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Macerie sull'arte

Ultimo Aggiornamento: 12/09/2009 11:30
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12/09/2009 11:26

Delle circa diecimila opere custodite nelle chiese dell'aquilano solo tremilacinquecento sono state finora messe in salvo dopo il terremoto

Macerie sull'arte


di Pietro Petraroia

Tre giovani hanno recentemente pubblicato i rispettivi diari, uno dei quali anche fotografico, della loro esperienza del sisma abruzzese del 6 aprile scorso (Emiliano Dante, Massimiliano Laurenzi, Valentina Nanni, Terremoto zeronove. Diari da un sisma, L'Aquila, Textus, 2009, pagine 136, euro 14,50). Tutti e tre i diari cominciano con il resoconto privato di un sisma annunciato da tante scosse nelle settimane, nei giorni, nelle ore precedenti il disastro delle 3.32; si parla dei timori sopiti, degli spaventi esorcizzati, della voglia di non pensarci, dei progetti per il proprio futuro; ma poi arriva il boato profondo che sveglia dal sonno, i rumori dei crolli di oggetti quotidiani e muri; e poi l'angoscia improvvisa nella notte e nel freddo, l'esigenza di fuggire, le iniziative intraprese con un coraggio inatteso - e forse ancora ignaro dei fatti - da chi si è ritrovato vivo dopo l'esplosione della terra e delle case, un inferno di buio, macerie, polvere e puzzo di gas, della cui gravità si stenta a cogliere la dimensione fino all'alba.



Il dolore dei sopravvissuti sembra senza confini e senza fine; la perdita - da un momento all'altro - delle persone e delle cose che sembravano inseparabili sconvolge le menti e i corpi. I telegiornali ci hanno dato ampio resoconto, testimonianze personali, visioni d'insieme; ma ora questo piccolo libro restituisce, fuori dall'effimero della cronaca, il vissuto privato di una memoria ancora recente e dolorosa, che pure tenta di raccontarsi.

Ma accanto alle case, al privato, sono caduti i simboli della comunità:  tutte le sedi istituzionali; e anche tante chiese sono gravemente lesionate. Talvolta i muri perimetrali nascondono tuttora amplissimi crolli all'interno, metri e metri di macerie che hanno sommerso ciò che generazioni avevano creato e via via riconosciuto come identità della propria storia di fede comunitaria ma anche strettamente personale. Statue, altari, suppellettili più o meno preziose che si sapeva - specialmente tra i più anziani - essere stati testimoni antichi o recenti di personali preghiere e suppliche, segrete o pubbliche, parte comunque irrinunciabile del proprio essere più profondo, di pensieri a lungo custoditi.

Il recupero delle opere d'arte delle chiese, avviato immediatamente grazie alla coraggiosa cooperazione soprattutto di vigili del fuoco, volontari, soprintendenze e parroci, è tuttora in corso. Gravi le difficoltà e i rischi determinati dalle condizioni di pericolo di crollo degli storici edifici e dalle intemperie; su circa 10.000 oggetti di interesse artistico e storico custoditi nelle chiese dell'aquilano (questo è l'ordine di grandezza deducibile dalla catalogazione) circa 3.500 sono stati posti in salvo con avventurose procedure di prelievo e ricovero temporaneo, in molti casi destinate a restare per sempre ricordo privato ed emozionante di chi ne è stato intrepido protagonista.

Le opere di maggior pregio (a partire da quelle prelevate dalle chiese più viste in televisione:  il duomo di San Massimo, Santa Maria di Collemaggio e Santa Maria del Suffragio) sono state trasportate in un primo tempo a Celano presso il Museo archeologico nell'area di Paludi, ove erano disponibili ampi locali vuoti in un complesso protetto e provvisto dei presidi necessari, nonché di un laboratorio adattabile a interventi di restauro anche di opere d'arte. Qui, dal Castello dell'Aquila, sono state trasferite le opere d'arte del Museo nazionale d'Abruzzo non appena è stato possibile accedervi nonostante i gravissimi danni e i connessi pericoli:  un museo che era a sua volta nato dal recupero di opere d'arte dopo il terribile terremoto della Marsica, quasi un secolo fa. La curia dell'Aquila e la Conferenza episcopale italiana hanno deciso di realizzare nella città un proprio deposito e di trasferirvi le opere provenienti dalle chiese, rimuovendole anche dal deposito statale di Celano.

Nel frattempo, peraltro, le opere più pregiate fra quelle recuperate sono state trasferite a Coppito, presso L'Aquila, nella caserma della Guardia di Finanza che ospitava il g8, offrendole, in una mostra velocissimamente allestita, alla meditazione degli illustri ospiti in vista del possibile avvio di un percorso espositivo anche internazionale, destinato a tenere viva la consapevolezza della gravità dei danni del sisma. E, ancora prima, una serie di preziose e fragili sculture lignee policrome raffiguranti la Vergine sono state convocate a comporre la mostra itinerante "Terra Madre d'Abruzzo" che le ha circuitate presso diversi musei abruzzesi e, in qualche misura, le ha riproposte alla devozione popolare, anche in coincidenza con qualche estiva ricorrenza liturgica di antica tradizione.

Del resto le amministrazioni locali civili e la curia si sono subito opposte al ricovero delle opere in luoghi esterni ai confini della provincia dell'Aquila, ritenendo che un allontanamento degli oggetti di culto, sia pure provvisorio e dovuto alla tragica urgenza prodotta dal terremoto, avrebbe potuto trasformarsi in una migrazione definitiva, in un allontanamento senza ritorno dalle popolazioni e dai contesti d'origine.

La complessità della situazione è aggravata dal fatto che, se per l'Archivio di Stato dell'Aquila si è riusciti a trovare una sistemazione a Bazzano - dopo un temporaneo trasloco delle carte a Sulmona - non altrettanto è accaduto per gli uffici delle soprintendenze; gli stessi funzionari responsabili dei recuperi e della messa in sicurezza del patrimonio artistico hanno in molti casi perduto la propria casa e condividono con i concittadini il disagio delle tendopoli o dei trasferimenti temporanei di alloggio, rimanendo privi del supporto di una sede funzionante di servizio e costretti a lunghi viaggi quotidiani per avere un tetto.

La fine dell'estate già fa temere i disagi gravi dell'inverno, che in Abruzzo è precoce, lungo e particolarmente freddo; se si spera di trovare un ricovero dignitoso per molte persone e se è scongiurato il pericolo di chiudere l'università dell'Aquila - la regione Lombardia, grazie a un'intesa con la regione Abruzzo e altri enti, sta costruendo con propri mezzi la nuova Casa dello studente in tempo per l'inizio dei corsi - assai più difficoltosa sarà la gestione dei monumenti gravemente lesionati o ampiamente crollati, le cui macerie coprono probabilmente opere d'arte alle quali non è tuttora possibile accedere. Si può immaginare che le precipitazioni  e il gelo produrranno ulteriori danni ad abitazioni antiche ormai abbandonate e a monumenti, particolarmente alle chiese, precedute nelle priorità dei lavori di soccorso dal bisogno assoluto di dare subito un tetto ai sopravvissuti.

Le centinaia di interventi di messa in sicurezza finora attuati in gran parte dal corpo nazionale dei vigili del fuoco in stretto raccordo con il vicecommissario per il patrimonio culturale della Protezione civile nazionale, Luciano Marchetti, verranno sottoposti a dura prova e probabilmente molti cumuli di macerie rimarranno comunque quest'inverno allo scoperto; molti altari e opere d'arte sacra resteranno sotto le intemperie.

I depositi ufficiali sono quasi pieni e nei villaggi dell'aquilano decine di ricoveri di fortuna sono stati allestiti presso quelle chiese che ancora dispongono di locali utilizzabili per una prima protezione delle opere d'arte delle vicine sedi di culto più gravemente colpite, con il fine di trattenere le opere il più vicino possibile ai luoghi di provenienza. A parte la difficoltà del trasferimento in depositi adeguatamente attrezzati - che sul piano della tutela fisica resta comunque la prioritaria opzione concepibile - l'esigenza delle popolazioni di non vedersi ulteriormente allontanare i segni della fede e della memoria non può essere ignorata e va tuttavia gestita in modo da superare il possibile contrapporsi delle esigenze di tutela culturale e delle accertate esigenze di culto.

Per raggiungere equilibrate, seppur difficili, soluzioni lo Stato e la Conferenza episcopale italiana dispongono di tutti gli strumenti tecnici, professionali e amministrativi per ben operare con il massimo di tempestività ora possibile, a partire dalla completa condivisione del catalogo automatizzato dei beni culturali:  strumento, questo, di primaria utilità, con altre tecnologie, per non abbandonare alla precarietà della memoria degli individui la gestione complessa di così numerose opere delocalizzate dai contesti di origine ed esposte, da ora in poi, ai rischi tipici della gestione dei depositi postsismici.

Per fortuna gli interventi di messa in sicurezza e restauro sono alacremente in corso:  ma le risorse finanziarie finora stanziate dallo Stato italiano per la salvaguardia del patrimonio culturale e i servizi specialistici connessi sono di almeno centocinquanta volte inferiori rispetto a quelle in prima battuta stimate necessarie dal vicecommissario. Per questo la solidale generosità che tanti enti italiani e stranieri hanno espresso per i terremotati d'Abruzzo non potrà mancare di essere destinata anche alla preservazione nel tempo lungo della memoria storica e in particolare dell'arte, che, nell'area sismica, si concretizza in misura quasi totalizzante nel patrimonio artistico religioso.

Ma non è soltanto questione di fondi finanziari. Occorre trasformare la tragedia di questo sisma in un'occasione che generi ampia condivisione di competenze scientifiche e tecniche, facilitando il rilancio in Abruzzo di attività di ricerca e sviluppo che garantiscano l'accrescersi di competenze locali in fecondo dialogo con apporti che possono essere resi disponibili da Stati esteri e da altri territori italiani. In altre parole, dopo la fase di prima emergenza è ora indispensabile che la cooperazione interistituzionale e dei soggetti più competenti della società civile e della Chiesa cattolica perfezioni, in dialogo con le autorità preposte alla gestione postsismica, la definizione di obiettivi concreti e metodologie di intervento appropriate, il più possibile coerenti con un piano di gestione di lunga durata che veda protagoniste le realtà del luogo. Sarebbe impensabile - e davvero inaccettabile - che proprio l'Italia non sapesse coordinare il proprio ricchissimo patrimonio di competenze per la cura dei beni culturali presenti nelle università, nelle diocesi, negli istituti di ricerca, nei musei e, in primis, negli istituti del ministero per i Beni e le attività culturali, ma anche nelle imprese e nel mondo del volontariato.

Se un tale coordinamento non avesse luogo nel modo più efficace, il terremoto d'Abruzzo continuerebbe a produrre nel tempo i suoi danni in modo inesorabile e assai più gravemente che nei precedenti tragici di Campania, Umbria, Marche, Molise, in quanto la densità di presenze storiche nell'area del "cratere" sismico aquilano è fra le più alte registrate rispetto ai terremoti dell'ultimo secolo e le tipologie di materiali e manufatti artistici esposti ormai all'aperto sono tra le più fragili e vulnerabili alle intemperie:  stucchi, legno, tela, dipinti murali.

Basti considerare - mentre oggi si progetta la ricostruzione - quali gravissime conseguenze ha prodotto la presenza in antichi monumenti di pesanti travature in cemento armato, dovute proprio a precedenti restauri, che alle 3.32 del 6 aprile scorso hanno cominciato a vibrare e picchiare come enormi martelli, causando i danni forse più gravi a Collemaggio, nella cattedrale di San Massimo e a Santa Giusta, per citare soltanto alcuni casi. Basti pensare al danno che una mancanza di coordinamento nella gestione appropriata e nel costante aggiornamento degli strumenti di catalogazione rispetto alla delocalizzazione vorticosa delle opere d'arte (magari per essere presentate in mostre o sottoposte a restauri) potrà produrre a scapito della memoria storica:  nel giro di un decennio si potrebbe perdere cognizione persino dell'esatta provenienza di alcune opere d'arte salvate,  ma  trasporta- te nel frattempo chissà dove.

D'altra parte lo stato di rovina di chiese terremotate ma quasi mai mostrate in televisione, come Santa Maria di Paganica, impone di chiedersi con quali competenze imprenditoriali e professionali, con quali metodologie (e non soltanto con quante risorse finanziarie) i monumenti ampiamente crollati potranno venire gestiti o restaurati nei prossimi mesi, nei prossimi anni:  la dimensione e la diffusione del danno è una sfida anche alla ricerca delle soluzioni tecniche realmente praticabili in tempi ragionevoli per evitare la ruderizzazione definitiva dei monumenti più colpiti; in tale contesto il rischio di avvalersi di metodiche inappropriate o di abbandonare al loro destino i casi più  difficili va assolutamente scongiurato.

Se l'orgoglio tenace e la fibra forte degli abruzzesi, di cui abbiamo ampia prova in questa circostanza, si accorderanno con una critica ma aperta condivisione di risorse conoscitive e tecniche, sia proprie che provenienti da altrove, si può sperare nella salvezza della città non soltanto in senso fisico, ma anche identitario e dunque culturale, a partire dall'università e dalle imprese; se invece dovesse prevalere una sorta di "lottizzazione" degli interventi, gestiti da chi (dall'Italia o dall'estero) garantisse i finanziamenti, l'occasione risulterebbe perduta anche rispetto all'esigenza del Paese nel suo insieme di imparare da questo tragico frangente per costruire un più efficace piano nazionale di prevenzione e soccorso del patrimonio culturale in vista, purtroppo, dei futuri terremoti particolarmente nell'area dell'appennino centro-meridionale.

Il recente riapparire di due affreschi finora ignoti - uno sotto gli intonaci crollati nella controfacciata della chiesa di San Pietro Apostolo a Onna e uno dietro la pala dell'altare maggiore della chiesa dell'Addolorata all'Aquila - offre un auspicio e forse un viatico alla speranza, che occorrerà alimentare con una cooperativa organizzazione della seconda fase dell'emergenza.


(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2009)
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Nella chiesa di San Pietro Apostolo a Onna ritrovato un affresco medievale raffigurante la passione di Cristo

Dietro l'intonaco il simbolo del dolore



 

Da tempo sotto l'intonaco della controfacciata della chiesa di San Pietro Apostolo a Onna erano apparse piccole tracce di un dipinto murale; ma non si era ravvisata l'urgenza di riportarlo alla luce. Le scosse sismiche hanno portato la facciata della chiesa quasi al crollo (forse la cantoria lignea ne ha elasticamente smorzato la violenza) e hanno separato gli strati superficiali e più recenti di intonaco da un livello più interno e antico:  quello sul quale, da squarci relativamente ampi, è apparsa un'immagine del Cristo morente in croce, dal cui costato - secondo un'iconografia diffusa nel tardo medioevo - sgorga sangue, devotamente raccolto nel calice da un angelo in volo, a sottolineare il legame redentivo della Passione con ogni liturgia eucaristica. Il volto straziato della Vergine ai piedi della croce, che è il primo brano di affresco ritrovato, appare più in basso; agli scopritori - alcuni volontari di Legambiente e una storica dell'arte della Soprintendenza, Veronica De Vecchis, che ha dato la sua opera anche in occasione degli ultimi terremoti di Umbria e Molise - esso è apparso un commovente simbolo del dolore che ha colpito tante famiglie d'Abruzzo.

Quando si avranno tempo e risorse per proseguire i lavori di consolidamento e restauro della parete (finora nella chiesa si è scavato indefessamente a mano nelle macerie per settimane, con l'aiuto di volontari tedeschi) si potrà studiare meglio l'opera e situarla storicamente. Intanto, si è colpiti dalla maestria tecnica della stesura pittorica, rimasta intatta in molte delle zone finora riapparse:  l'affresco ha già resistito al terremoto del 1461 e poi alla rilavorazione delle superfici della controfacciata; ma sorprende anche la possibilità di apprezzare ancora la cura quasi calligrafica nella raffigurazione del volto di Cristo, mentre più corsiva appare la stesura degli angeli. Ai primi studiosi che hanno direttamente esaminato il dipinto la maniera dell'autore ricorda per qualche aspetto l'espressionismo vivace della scuola di Giovanni da Sulmona e suggerisce comunque una datazione prerinascimentale ai primi decenni del secolo XV. D'altra parte nella stessa controfacciata e sulla parete di sinistra della chiesa dovrebbero potersi mettere in luce prossimamente altri affreschi, dei quali già ora si intravede la presenza.

Non si può escludere che i lavori di restauro conseguenti al sisma riaprano, con ulteriori importanti scoperte, il capitolo degli studi dell'arte all'Aquila prima della conquista da parte di Carlo V. Si tratta di un periodo ampio e importante fra il XIII secolo e gli anni venti del Cinquecento, nel quale l'intensità di relazioni culturali e commerciali con l'Italia centrale (compresa Firenze, per la lavorazione e il commercio dei panni in lana), l'area adriatica e il Mezzogiorno, proprie di questo singolare crocevia delle culture artistiche italiane alla vigilia del Rinascimento, produssero all'Aquila e dintorni intrecci di vivaci presenze artistiche, anche di grande rilevanza, che attendono ancora di venire adeguatamente studiate e fatte conoscere nella loro effettiva complessità e ricchezza. (pietro petraroia)


(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2009)
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L'ultima scoperta:  una Trinità del Quattrocento



 

Dopo il caso della chiesa di San Pietro Apostolo a Onna, il 9 settembre scorso un altro splendido affresco è stato scoperto sull'altare maggiore della chiesa dell'Addolorata nel cuore del centro storico dell'Aquila. Ne ha dato notizia la Protezione Civile italiana. All'interno dell'edificio, gravemente danneggiato dal terremoto, è stata scoperta la parte superiore di un prezioso e inedito affresco databile intorno alla fine del XV secolo. Durante la rimozione della pala dell'altare maggiore ci si è trovati di fronte alla raffigurazione di una Trinità:  la composizione scoperta fino a ora presenta due angeli con panneggi molto ampi che volano sopra la testa del Padre. L'opera si trova sul muro su cui poggia l'altare maggiore e si ipotizza che continui dietro la base in muratura su cui si appoggia la mensa eucaristica; la chiesa in origine era intitolata proprio alla Trinità.
Secondo il nuovo soprintendente ai Beni Storico Artistici per l'Abruzzo, Lucia Arbace, si tratta di una scoperta importante "che a una prima analisi si può riferire al periodo immediatamente successivo alla peste che flagellò L'Aquila nel 1478, la stessa datazione posta alla base del San Sebastiano di Silvestro dall'Aquila conservato, fino al sisma dell'aprile scorso, al Museo nazionale d'Abruzzo". Nel luogo dove si trova la chiesa dell'Addolorata - continua il soprintendente - sorgeva in questo periodo il più grande ospedale dell'Aquila. Un dramma come quello del terremoto - continua Arbace - apre così uno spaccato su un altro dramma di circa cinque secoli precedente e su una società che reagisce inserendosi a pieno, grazie a una committenza ricca e illuminata, nell'importante filone del rinascimento italiano".


(©L'Osservatore Romano - 12 settembre 2009)
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