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PAPA: CHIESA SOFFRE PERCHE' MOLTI LAVORANO SOLO PER SE'

Ultimo Aggiornamento: 17/09/2009 15:26
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PAPA: CHIESA SOFFRE PERCHE' MOLTI LAVORANO SOLO PER SE'

CITTA' DEL VATICANO

Si soffre anche nella Chiesa, "come nella società civile", perché molti, ai quali é stata affidata una responsabilità, "lavorano per se stessi e non per la comunità ": è quanto ha
denunciato oggi Papa Benedetto XVI durante la messa solenne nella Basilica di San Pietro, in cui ha ordinato cinque nuovi vescovi, tutti uomini provenienti da incarichi di Curia e della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Il Papa ha ricordato che Gesù è venuto nel mondo per servire ed ha dunque esortato i vescovi ad essere "servi" fedeli, prudenti e buoni. "Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità", ha detto Ratzinger ricordando a sostegno delle sue parole due parabole del Vangelo. Una è quella del servo malvagio che si mette a "gozzovigliare e percuotere i dipendenti"; l'altra è quella del servo che sotterra le monete del padrone, per potersi dedicare "esclusivamente ai propri affari". Perciò, ha sottolineato, la "prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà".
Al servo "è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato.
Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi", ha esortato Benedetto XVI.
La seconda caratteristica di un vescovo , ha aggiunto, deve essere la "prudenza", non intesa come astuzia, ma come capacità di giudicare in base all'insieme "e non a partire da dettagli casuali". Infine, l'uomo di Chiesa deve essere "buono", nel senso del dialogo costante con Dio.
I nuovi vescovi ordinati oggi sono volti conosciuti della Curia: si tratta di mons. Gabriele Giordano Caccia, nuovo nunzio in Libano, di mons. Franco Coppola, nuovo nunzio in Burundi, di mons. Pietro Parolin, nuovo nunzio in Venezuela. di mons. Raffaello Martinelli, nuovo vescovo di Frascati e di mons. Giorgio Corbellini, nuovo presidente dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica.

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Per ulteriori approfondimenti potete cliccare qui: Benedetto XVI conferisce l'ordinazione a cinque nuovi vescovi

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14/09/2009 06:25

Il richiamo

Se il Papa dice che i Vescovi non lavorano per la Chiesa


Dietro le quinte
Il precedente della lettera sui lefebvriani


Le parole di Ratzinger e la «riforma» nei posti chiave della segreteria di Stato

Gian Guido Vecchi

«Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità».
Lo ha detto Benedetto XVI di fronte a cinque sacerdoti di Curia sul punto di essere consacrati vescovi, quindi successori degli apostoli. Un richiamo preciso, dopo le fratture interne alla Chiesa in relazione al caso Boffo.
Di là dal Tevere si racconta come Benedetto XVI, declinato ogni altro impegno, abbia passato un’intera giornata a curare e limare
l’omelia di ieri mattina, un testo «ratzingeriano » dalla prima all’ultima parola.
Il riferimento più immediato è la
lettera del 10 marzo rivolta ai vescovi del mondo, nel pieno delle polemiche sulla remissione della scomunica ai lefebvriani.
Le parole pronunciate nella Basilica di San Pietro arrivano invece a pochi giorni dalla riunione del consiglio episcopale permanente della Cei (il 21 settembre a Roma) e dopo il caso Boffo, le tensioni che hanno mostrato un serio problema di governance nel rapporto tra la stessa Cei e la Santa Sede, la mancanza di sintonia tra Segreteria di Stato e Chiesa italiana nell’affrontare l’«attacco» all’ex direttore di Avvenire.
Sono due testi affini, a cominciare dai riferimenti alle parole drammatiche di San Paolo, il rischio di «mordersi e divorarsi a vicenda» e ora il monito ad essere «servi» e guardarsi, dice il Papa, da «litigi» e «correnti».
È un richiamo all’unità, a una responsabilità di cui tutti i protagonisti sono consapevoli. Sulla vicenda, si fa sapere in Vaticano, ci sono stati in questi giorni incontri «ai più alti livelli», lo stesso Papa si è tenuto informato.
Oltretevere fanno notare che nella Basilica le parole di Benedetto XVI s’accompagnavano ad un’immagine a suo modo simbolica: il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e il cardinale William Joseph Levada, scelto da Ratzinger come successore al vertice dell’ex Sant’Uffizio, chiamati a concelebrare col pontefice davanti a cinque vecchi collaboratori consacrati vescovi. Quasi una sintesi della «riforma gentile» della Curia condotta gradualmente da Benedetto XVI in quattro anni di pontificato. Tra i nuovi vescovi, in particolare, ci sono Pietro Parolin e Gabriele Caccia — promossi nunzi apostolici in Venezuela e Libano —, già «numeri tre» della Segreteria di Stato scelti da Giovanni Paolo II. Al loro posto, in estate, erano stati nominati monsignor Ettore Balestrero, 42 anni, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, e monsignor Peter Brian Wells, americano di 46 anni, assessore agli Affari Generali. Il 17 agosto si è così completato il nuovo assetto della Segreteria di Stato che ora è tutta di nomina ratzingeriana e «più che mai saldamente in mano» al cardinale Bertone: il segretario di Stato che fin dal 2007, in una lettera al neoletto presidente della Cei Angelo Bagnasco, ha rivendicato a sé la «guida» nei rapporti col mondo politico, una linea «istituzionale » aliena dalle polemiche. Di là dallo stile più «pastorale» del cardinale Bagnasco rispetto all’era «interventista» del cardinale Ruini, le tensioni con la Cei nacquero allora.
È in questo quadro che si collocano le parole del pontefice, il richiamo a tutti i vescovi alla «fedeltà», alla «prudenza» che non è «astuzia», a considerare l’essenziale del proprio ministero: «Risanare la ferita interiore dell’uomo, la sua lontananza da Dio». Se il caso Boffo ha fatto crescere il malumore tra i vescovi e nella base, i cardinali Bertone e Bagnasco sono ora i primi a volere che tra Santa Sede ed episcopato si ritrovi sintonia.
Magari intorno a ciò che lo stesso Benedetto XVI, citando Dante,
diceva a Bagnoregio di San Bonaventura: «Pospose sempre la cura delle realtà temporali, la 'sinistra cura', al bene spirituale delle anime». Non si tratta solo di tenere la barra diritta, senza coinvolgimenti, la famosa linea «istituzionale».
Più a fondo, c’è la risposta alla
domanda che il Papa rivolgeva ieri ai nuovi vescovi: «Volete prestare fedeltà, sottomissione, obbedienza, secondo le prescrizioni canoniche, al beato apostolo Pietro, a cui Dio ha dato il potere di legare e sciogliere, e a me e ai miei successori, i Romani Pontefici?» .

© Copyright Corriere della sera, 13 settembre 2009
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14/09/2009 06:58

Troppe situazioni inaccettabili”

GIACOMO GALEAZZI

Vittorio Messori, a chi è diretto il monito contro il carrierismo episcopale di Benedetto XVI?

«Lo dico con un sorriso un po’ amaro: nell’Occidente secolarizzato c’è poco da esortare i vescovi a non fare i loro interessi. Sono quasi dei paria. In Francia, Spagna, Olanda e Belgio non contano più nulla, anzi sono visti con gran sospetto o, peggio ignorati come sopravvissuti da tollerare. Sotto Zapatero si fa di tutto per non invitarli alle occasioni ufficiali, in Francia è addirittura vietato dalla legge e la situazione è la stessa altrove. Il problema del servirsi della Chiesa invece di servirla può riguardare oggi, credo, soprattutto l’Africa e l’America Latina, dove lo status del sacerdote, e soprattutto del vescovo, è un sogno per molti dei giovani poveri locali, che anche per questo affollano i seminari. Il vescovo nel Terzo Mondo, dove la religiosità è intensa e le autorità civili screditate, è spesso ancora all’apice della scala sociale. Direi quasi come nell’Europa dell’Ancien Régime».

Il Pontefice denuncia gravi problemi interni della Chiesa. Qual è la situazione in Italia?

«Il problema per i vescovi, più che in Italia (dove il presenzialismo clericale è alto, eppure il potere effettivo debole) soprattutto nel resto d’Occidente, non è fare carriera ma sopravvivere. Nell’Europa centrale e settentrionale, ma particolarmente in Francia e Germania, stanno accorpando molte diocesi perché non sono più in grado di amministrarsi per mancanza di clero e gli antichi episcopi sono messi sul mercato. In queste condizioni, che peso sociale possono avere e di che lustrini potrebbero ammantarsi? Forse, le preoccupazioni del Papa sono altrove».

Secondo Benedetto XVI molti uomini di Chiesa «ai quali è stata affidata una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità». Dove?

«Nella cultura del Terzo Mondo la persona autorevole, il capo (come lo è un vescovo) deve essere circondato da mogli e figli. Il celibato non è considerato una virtù, ma una mancanza che toglie ogni prestigio. Nel suo realismo, in molti Paesi, soprattutto africani ma anche centro e sudamericani, pare che la Chiesa tolleri situazioni che da noi sarebbero inaccettabili. E’ l’antica teoria del male minore: meglio un clero non impeccabile oppure l’abbandono del gregge, con comunità ecclesiali allo sbando, senza più guide? Probabilmente è anche qui uno dei motivi per i quali in Africa, cristianizzata con eroici sacrifici dei missionari dell’Ottocento, in molte zone il Corano sta sostituendo il Vangelo. E uno dei motivi per i quali l’America Latina sta diventando rapidamente un continente ex-cattolico, con l’avanzata impressionante delle sette protestanti. Imam e pastori non hanno il problema del celibato. Comunque, mi lasci fare una precisazione forse controcorrente».

Cioè?

«Chi pratica la storia della Chiesa sa che la prova sanguinosa e terribile della Rivoluzione francese non è stata inutile. I Papi che si sono susseguiti dalla caduta di Napoleone sino a noi formano una catena di uomini di Dio di grande dignità, cultura, impegno, tanto che molti sono già santi e beati e altri lo saranno in futuro. E così molti cardinali e moltissimi vescovi. Il monito di Benedetto XVI si rifà al Vangelo e alle Lettere di Paolo e, dunque, vale per ogni tempo. Ma valeva, soprattutto, per la Chiesa prerivoluzionaria, dove davvero i presuli, tutti nobili, spesso pensavano innanzitutto al prestigio loro e della loro casata».

Esiste un problema di classe dirigente nella Chiesa?

«A differenza di altre istituzioni, la gerarchia cattolica non è declinata col tempo. Anzi, è qualitativamente assai migliorata. E non ingannino le storie di omosessualità clericale, soprattutto nordamericane: il guasto, qui, è dovuto alla sottomissione di quella Chiesa al "politicamente corretto", alle porte di conventi e seminari spalancati a chiunque, in nome del "no alle discriminazioni". Quei fatti, comunque, hanno visto implicati molti religiosi e preti ma solo rarissimi rappresentanti della gerarchia».

© Copyright La Stampa, 13 settembre 2009
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15/09/2009 13:16

CARD. BERTONE: “FEDELTÀ, PRUDENZA E BONTÀ” LE TRE CARATTERISTICHE DEL VESCOVO

“Fedeltà, prudenza e bontà”: si riassume in queste “tre caratteristiche” l’identikit del vescovo, il cui ministero è un “bene che ci è dato in consegna” e che “non ci appartiene”. Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, nell’omelia della messa celebrata oggi, nel’ambito del Convegno per i vescovi ordinati negli ultimi dodici mesi, organizzato dalla Congregazione per i vescovi. “La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio” - ha ribadito il cardinale citando le parole pronunciate sabato scorso dal Papa, nell’omelia per l’ordinazione di 5 nuovi vescovi - e dobbiamo rendere conto di come gestiamo quanto ci viene affidato”. Secondo Benedetto XVI, “la fedeltà è altruismo”.
“Non leghiamo gli uomini a noi”, l’esortazione papale: “non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Poi uno dei passaggi centrali dell’omelia del Papa, citato per intero dal card. Bertone: “Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”.

CARD. BERTONE: “NON ADEGUARE LA FEDE ALLE MODE DEL TEMPO”

La “fedeltà” del vescovo consiste nel “non cercare di adeguare la fede alle mode del tempo”. Ne è convinto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, che nell’omelia della messa celebrata oggi per i vescovi ordinati nell’ultimo anno ha ricordato che “solo Cristo ha parole di vita eterna, e le sue parole dobbiamo portare alla gente, essendo il bene più prezioso che ci è stato affidato”. “Una tale fedeltà – ha puntualizzato il porporato soffermandosi sulle caratteristiche fondamentali del ministero episcopale - non ha niente di sterile e di statico; è creativa”. Altra caratteristica del vescovo “è la prudenza che nulla a vedere con l’astuzia ed indica il primato della verità, che mediante la “prudenza” diventa criterio del nostro agire”. “La prudenza – come ha spiegato il Papa sabato scorso nell’omelia per l’ordinazione di cinque nuovi vescovi - esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme”. In questa prospettiva, ha spiegato il card. Bertone, “essere prudenti vuol dire essere innanzitutto persone di verità e dalla ragione sincera”. Terza caratteristica del vescovo è infine la bontà, che consiste nel “coltivare un profondo orientamento interiore verso Dio”.

CARD. BERTONE: SERVONO “TESTIMONI CREDIBILI” E “PASTORI SANTI”

“Il popolo cristiano ha bisogno di vedere testimoni credibili e di essere guidato da pastori santi”. Lo ha detto il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, nell’omelia della messa celebrata oggi per i vescovi ordinati negli ultimi dodici mesi, ai quali ha augurato di “essere santi come è stato santo il Curato d’Ars, cioè vivendo il vostro ministero secondo il cuore di Cristo e il cuore materno di Maria”. “Edificare il popolo cristiano prima di tutto con la testimonianza della vita”, l’esortazione del porporato ai nuovi vescovi, a partire dalla consapevolezza che, come diceva san Giovanni Crisostomo, “basta un uomo pieno di zelo per trasformare un popolo”. Di qui la necessità di “approfondire il valore del servizio episcopale”, tema del Convegno in corso in questi giorni a Roma per iniziativa della Congregazione per i vescovi. Il “modello” è Gesù, che “ha imparato l’obbedienza” anche per mezzo della sofferenza: mediante la “mediazione materna di Maria”, cioè “mediante la Chiesa, nostra madre”, ha aggiunto il cardinale, “le sofferenze del nostro ministero, unite alla Croce di Gesù, diventano feconde”. “Sia questo il programma di ciascuno di noi: essere santi per contagiare dell’amore di Dio tutti coloro che sono affidati alla nostra responsabilità di pastori del popolo di Dio”, ha concluso il segretario di Stato vaticano.

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15/09/2009 13:38

L’analisi
Quell’invito a cambiare rotta che parte da lontano

di Andrea Tornielli

Roma
Pochi giorni dopo il caso Boffo e le vicende che hanno evidenziato ancora una volta l’esistenza di cordate e scontri di potere interni al mondo ecclesiale il Papa fa sentire la sua voce.
Lo fa con
un’omelia che non si fatica a riconoscere come uscita interamente dalla sua penna, con la quale ha voluto tracciare nuovamente l’identikit del vero servo di Cristo, del sacerdote e del vescovo fedele, prudente e buono, nel giorno in cui ha presieduto la seconda consacrazione episcopale del suo pontificato.
Quello di Ratzinger è un discorso che parte da lontano.
Da quel famoso
Venerdì Santo del 2005, quando, con il Papa Giovanni Paolo II ormai alla fine dei suoi giorni e già rientrato in Vaticano dopo il secondo ricovero al Gemelli e l’operazione di tracheostomia, l’allora cardinale Prefetto della dottrina della fede scrisse le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Cristo. Quanta superbia, quanta autosufficienza».
Pochi giorni dopo Wojtyla si spegneva consumato dal Parkinson e il cardinale Ratzinger diventava il suo successore.
«Sporcizia» risuonava come un cenno ai gravi scandali di pedofilia che avevano visto coinvolti sacerdoti.
«Superbia» e «autosufficienza» allargavano lo sguardo a stili ecclesiali segnati da potere e carrierismo.
A quattro anni di distanza da quelle parole così chiare e così dure vergate dal custode dell’ortodossia cattolica, rimangono ancora straordinariamente attuali.
Non sono mancate le difficoltà, soprattutto nell’ultimo anno: basti pensare alla gestione del caso Williamson, il prelato lefebvriano negazionista sulle camere a gas, le cui dichiarazioni sono state rese pubbliche a ridosso della
revoca del decreto di scomunica ai vescovi della Fraternità San Pio X. Lo stesso Pontefice è stato al centro di attacchi e critiche, anche da esponenti di spicco del mondo ecclesiale, per quella decisione dettata dalla volontà di riconciliazione.
Nella
lettera inviata ai vescovi cattolici per spiegare le motivazioni della revoca della scomunica, assumendosi tutte le responsabilità che sarebbero dovute ricadere sui suoi collaboratori per la sottovalutazione delle parole di Williamson, Benedetto XVI aveva citato amaramente una frase di San Paolo: «Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri», aggiungendo che «purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».
L’omelia di ieri si colloca su questa scia e ripropone lo sguardo di Ratzinger sulla Chiesa e sugli uomini di Chiesa che rischiano di snaturarla quando fanno prevalere lotte di potere, cordate, fazioni contrapposte, e che finiscono per trasformarla in un congresso di partito, nel consiglio di amministrazione di una multinazionale o in un talk show.
Le parole di Benedetto XVI sull’identikit del servo di Cristo, che non cerca il dominio e il potere, e che non lavora per se stesso, sono l’ideale continuazione di questo percorso. E pur non contenendo alcun riferimento specifico agli avvenimenti degli ultimi giorni, in qualche modo li comprende e cerca di superarli richiamando tutti, senza alcuna distinzione, a un cambio di rotta.

© Copyright Il Giornale, 13 settembre 2009 consultabile online anche
qui.
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16/09/2009 17:20

Il Papa sa che i fuochi d’artificio non fanno abbastanza luce

Ha scritto bene Andrea Riccardi sul Corriere della Sera: questi fuochi d’artificio mediatici, sebbene diano l’illusione d’illuminare la realtà, denunciano una «mancanza di visione» che affligge il nostro paese


di Bruno Mastroianni

Ha scritto bene Andrea Riccardi sul Corriere della Sera
: questi fuochi d’artificio mediatici, sebbene diano l’illusione d’illuminare la realtà, denunciano una «mancanza di visione» che affligge il nostro paese: «Abbiamo poche idee sul presente e sul futuro».
C’è bisogno di qualcuno che torni a «scaldare i cuori».
È proprio quello che Benedetto XVI sta prospettando alla sua Chiesa. «I nostri contemporanei, quando s’incontrano con noi, vogliono vedere quello che non vedono in nessun’altra parte»
ha detto la settimana scorsa ai vescovi brasiliani.
E sabato, durante
l’omelia per le ordinazioni episcopali, ha richiamato i pastori alla «fedeltà», che significa portare alla gente le «parole di vita eterna» e non cercare di «adeguare la fede alle mode del tempo». Una certa mentalità contemporanea liquiderebbe tutto questo come “devozione” che non c’entra coi problemi seri. Ma per Ratzinger è molto di più: la fede, se fervente, migliora la realtà. È il succo della Caritas in veritate: l’apertura a Dio dà prospettiva, l’«attenzione alla vita spirituale» porta a uscire da se stessi e a impegnarsi con tutte le facoltà umane per il bene di tutti. Lo sguardo “in alto” rende più consapevoli su ciò che occorre “in basso”.
La secolarizzazione, a forza di tagliar fuori la dimensione soprannaturale dalla vita, ha lasciato molti strappi. La «mancanza di visione» diagnosticata da Riccardi ne è una conseguenza. È giunto il momento di mettersi a ricucire. Benedetto XVI ha già iniziato a farlo.

© Copyright Tempi, 15 settembre 2009
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17/09/2009 15:26

VATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello

Pastori secondo il cuore di Dio


Città del Vaticano (Agenzia Fides)

Grande eco ha suscitato
l’omelia pronunciata dal Santo Padre Benedetto XVI, sabato 12 settembre, nella papale Basilica di San Pietro, in occasione della Consacrazione episcopale di alcuni prelati.
Un’eco per certi versi ingiustificata, per altri plausibile. È sempre necessario tenere presente che, quando Pietro parla, si rivolge a tutta la Chiesa ed il suo magistero ha costantemente un carattere universale, legato alla responsabilità personale del Papa, ed è quindi improprio attribuire, a questo o quell’intervento, specifici riferimenti a situazioni o persone, o peggio, a realtà politiche mondane.
Purtroppo l’informazione pubblica tende, per ragioni di cronaca, ad effettuare tali passaggi, attribuendo, non di rado, intenzionalità diretta a discorsi generali.

Altro dato di un certo interesse è la reazione mediatica ad alcune affermazioni che il Santo Padre, in un’omelia ampia e di grandissimo spessore teologico, ha fatto, quasi fossero “rivelazioni straordinarie”, mai prima conosciute da alcuno.

Ha affermato Benedetto XVI: “La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune. Il Signore traccia con poche linee un'immagine del servo malvagio, il quale si mette a gozzovigliare e a percuotere i dipendenti, tradendo così l'essenza del suo incarico. In greco, la parola che indica ‘fedeltà’ coincide con quella che indica fede”. La maggior parte dei giornali si è soffermata su tale periodo, trascurando il fatto che al primo posto è stata messa la “società civile”, dunque se richiamo c’è stato, esso è davvero da intendere come rivolto a tutti coloro che sono investiti di responsabilità in ogni ambito. Successivamente, due indicazioni riguardanti la Chiesa appaiono di un coraggio straordinario e profetico: “non di rado” e “molti”. Posto che l’aggettivo “molti” è riferibile sia alla società civile sia alla Chiesa, il “non di rado” è, senz’ombra di dubbio, un giudizio chiaro ed inequivocabile, una chiamata forte del Pastore della Chiesa universale alla conversione, per tutti coloro che sono stati investiti di responsabilità nella Chiesa, in particolare per i successori degli Apostoli.
È quanto di più naturale e fisiologico possa accadere che un Padre richiami i propri figli, è segno dell’amore e della carità misericordiosa verso di essi. Potrebbe stupire una certa ammissione di “imperfezione” all’interno della gerarchia cattolica, ed infatti ha fatto notizia, ma per un Pontefice che, in tempi non sospetti, ha pubblicamente denunciato la “sporcizia interna alla Chiesa” (“
Via Crucis” al Colosseo del 2005), non dovrebbe assolutamente stupire.
Il punto è che esercitare il ministero, ma anche qualunque responsabilità pubblica civile, servendosi degli altri invece che servendo i fratelli, rende infelice innanzitutto chi, di tale atteggiamento, è responsabile. Sia in termini psico-antropologici sia in termini evangelici, tutti ben sappiamo come l’egoismo ed il male soffochino progressivamente coloro che in essi vivono e, del resto, chi ha ancora bisogno di utilizzare il potere per affermare se stesso è perché non ha chiara l’esperienza di “essere affermato da Dio”, affermato ed afferrato da quel Mistero Buono che fa tutte le cose e che, solo, costituisce i Pastori. La vera preoccupazione, al limite, potrebbe essere quella di avere persone costituite in responsabilità ma, ancora, incerte dell’amore gratuito di Dio, tanto da dover cercare gratificazioni e appigli umani, forse troppo umani, credendo illusoriamente di trovarvi una risposta al proprio bisogno esistenziale.
La vera libertà, invece, non ha prezzo! Quella che nasce dalla gioiosa certezza di avere solo in Dio il proprio riferimento e la vera garanzia della propria piena realizzazione: nel compimento umile e fedele della Sua volontà, l’uomo trova se stesso e scopre un insperato equilibrio interiore, che diviene capacità di reale dono gratuito, superando, con l’aiuto della grazia, ogni umano egoismo.
Preghiamo, sempre, il padrone della messe, perché ci dia “pastori secondo il Suo cuore”, contemplativi della Divina misericordia e, perciò, di grande equilibrio interiore e pubblico.

© Copyright (Agenzia Fides 17/9/2009)
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