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L'assemblea plenaria dei vescovi a Kafanchan

Ultimo Aggiornamento: 15/09/2009 20:57
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L'assemblea plenaria dei vescovi a Kafanchan

Per la Nigeria una pace nella giustizia


Abuja, 15. "Una cultura della violenza prevale nella nostra nazione":  lo hanno denunciato con forza i vescovi della Nigeria nel comunicato finale della seconda riunione plenaria, svoltasi presso il Centre of Transfiguration, a Kafanchan.



La situazione sociale e politica del Paese con la più vasta popolazione nel continente africano è stata al centro dei vari interventi dei presuli, i quali hanno sottolineato la necessità che il Governo assicuri la protezione della popolazione, in particolare delle minoranze religiose.
Due sono le aree geografiche sulle quali si sono concentrate le riflessioni:  quella a Nord, dove agiscono gruppi fondamentalisti religiosi, e il Delta del Niger, dove è in atto da lungo tempo un conflitto sociale legato allo sfruttamento delle risorse naturali della regione.

I presuli hanno fatto esplicito riferimento agli scontri tra le forze di polizia e le milizie islamiche appartenenti alla setta Boko Haram (conosciuti come i "talebani") che hanno causato un alto numero di morti. Anche nel passato dalla Conferenza episcopale erano giunti diversi appelli alla riconciliazione, sottolineando il timore della comunità cattolica che i disordini possano diffondersi e innescare un vero e proprio scontro di religioni.

Nel comunicato i vescovi esprimono "una grande preoccupazione relativa ai recenti eventi in alcune zone del Nord". In particolare, si legge "deploriamo profondamente e condanniamo la perdita di vite umane e di beni causati dalla setta religiosa Boko Haram". E ricordano poi che "la Costituzione garantisce la libertà di religione di ogni cittadino". Tuttavia, specificano, "alcuni nigeriani fraintendono il loro diritto di religione, interpretandolo come diritto di perseguitare i connazionali di altre religioni. Il diritto di propagare il proprio credo non deve essere esercitato in modi che possano violare i diritti delle persone affiliate ad altre religioni. Noi deploriamo l'uso e l'abuso della religione per calpestare i diritti degli altri. Noi condanniamo la violenza da qualsiasi direzione essa provenga".

"Noi - aggiungono - condanniamo tutto questo, soprattutto quando gli autori delle violenze in maniera blasfema e fraudolenta si servono della religione per giustificare le loro azioni. Desideriamo osservare che quanti affermano di amare Dio, mentre odiano altri esseri umani fino ad arrivare a ucciderli, sono dei bugiardi". "Dio - sottolineano - non ha dato a nessuno il diritto di uccidere in suo nome né ha autorizzato qualcuno a violare la dignità di altri esseri umani".

Dalla plenaria si è quindi levata l'esortazione alle autorità civili a rafforzare la sicurezza della popolazione. "Ricordiamo - puntualizzano i vescovi - al Governo federale, e a ogni Governo dei vari Stati della nazione, che è loro responsabilità proteggere i diritti delle minoranze religiose. Non c'è democrazia se il Governo non può proteggere la vita e le proprietà dei cittadini".

Per quanto concerne, invece, la situazione nel Delta del Niger, i vescovi hanno dichiarato il loro apprezzamento per gli sforzi delle autorità civili per garantire la pace. "Elogiamo il Governo - è scritto nel comunicato - per l'amnistia concessa ai militanti del Delta. Chiediamo che questo programma di amnistia venga attuato con sincerità e anche con sensibilità per la giustizia e la riconciliazione". "Suggeriamo che il Governo - riporta il comunicato - prosegua nel cammino volto al miglioramento della qualità di vita della popolazione del Delta". Per i presuli, infatti, "non basta sventolare il ramoscello d'ulivo" perché "la situazione nel Delta è profondamente radicata nell'ingiustizia", in quanto spiegano che "è profondamente ingiusto impoverire la popolazione che vive nella terra che produce la maggior parte della ricchezza del Paese". "Esortiamo il Governo - concludono - a concretizzare la promessa dello sviluppo del Delta e chiediamo parimenti ai militanti di accettare l'amnistia".

Fra l'altro la Chiesa cattolica in Nigeria ha lanciato una colletta nazionale per sostenere le vittime della crisi in corso nella zona, che ha provocato morti, distruzioni e migliaia di sfollati. Recentemente, infatti, è stato messo in atto un assalto dell'esercito nigeriano nella regione controllata dal gruppo Movement for the emancipation of the Niger Delta (Mend). La colletta si svolgerà in tutte le chiese e il denaro raccolto verrà utilizzato per mettere a disposizione delle vedove, degli orfani e dei rifugiati, generi alimentari e beni di prima necessità.

I vescovi nel documento finale sono poi passati ad analizzare altre tematiche, dalla corruzione generalizzata che pervade la società, alla necessità di garantire uno sviluppo economico e il miglioramento dell'istruzione. Per i presuli, infatti, il Paese "continua a soffrire sotto il peso della corruzione e la persone vivono nella paura per l'insicurezza della vita e per quella economica". "Il male della corruzione - evidenziano - ha impoverito la popolazione; il livello della povertà e il problema dell'insicurezza nella nostra nazione vanno di pari passo". "Quando poi - si rileva ancora - l'economia gira male, milioni di giovani nigeriani non hanno accesso al lavoro e finiscono nelle mani di coloro che li vogliono sfruttare a fini politici o nei gruppi armati".

I vescovi ritengono soprattutto che "alla radice dei problemi del Paese ci sia l'assenza di giuste relazioni tra Dio e gli esseri umani e tra gli esseri umani stessi". Per questo, propongono "con urgenza un cambiamento dei cuori". "La soluzione - affermano - è la conversione e questa conversione deve essere personale e collettiva".

Sul tema dell'istruzione, i presuli hanno fatto riferimento, in particolare, alle insufficienti risorse messe a disposizione dal Governo e, inoltre, "incoraggiano il Governo, le istituzioni accademiche universitarie e i lavoratori a riprendere le trattative" per evitare ulteriori scioperi.

Brevi riflessioni sono state dedicate anche alle elezioni politiche che si svolgeranno nel 2011 e al settore bancario. Per quanto concerne il primo aspetto, si legge nel comunicato che i vescovi "osservano che il responsabile dell'Independent National Electoral Commission (Inec) ha già espresso alcune preoccupazioni riguardo le elezioni del 2011". "Noi esortiamo - affermano - tutti i partiti e i candidati ad assicurare lo svolgimento di elezioni credibili e libere". Infine, i presuli hanno espresso alcune preoccupazioni sul settore creditizio e auspicano che il processo di risanamento avvenga in maniera corretta.


(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2009)
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Le radio cattoliche in Sudan strumento di unità nazionale


Nel Paese attivate otto stazioni
di Alessandro Trentin

Rigenerare le potenzialità della popolazione e nutrirla dei valori evangelici:  è l'impegno che caratterizza il lavoro degli operatori del Sudan Catholic Radio Network, la rete radiofonica cattolica nel Paese, che il mese scorso ha ulteriormente potenziato il suo servizio grazie all'entrata in funzione dell'ottava stazione che trasmette dalla città di Malakal. "Si tratta - spiega a "L'Osservatore Romano" la direttrice, suor Paola Moggi - di una rete di radio locali, nata su iniziativa della famiglia comboniana, che contribuisce a ricostituire il tessuto umano della società sudanese e a promuoverne la crescita spirituale e materiale". "La metodologia stessa della "rete" di stazioni radiofoniche - aggiunge - facilita il superamento della frammentazione etnica, che tuttora divide la nazione, e favorisce un'integrazione della popolazione basata sul rispetto dei diritti umani". Per la suora, inoltre, "il grado elevato di analfabetismo e la mancanza di strade, soprattutto in Sud Sudan rende la radio uno strumento importante per raggiungere la popolazione e coinvolgerla in un processo che guarisca i traumi causati dalla lunga guerra".

Oltre che da Malakal, i programmi vengono diffusi dalle città di Juba, Rumbek, Torit, Yei, Tombora-Yambio, Wau e Gidel:  si tratta di località situate nel Sud Sudan, mentre nella restante parte della nazione non sono finora state rilasciate da parte delle autorità civili le frequenze necessarie per trasmettere da Khartoum ed El Obeid. "Nel campo delle comunicazioni - ricorda la suora - il Paese ha una delle legislazioni più ristrettive di tutto il continente africano". Le radio e la televisione sono controllate direttemente dal Governo centrale e devono rispecchiare le direttive delle autorità. La televisione nazionale, fra l'altro, è sottoposta al controllo di un censore militare permanente che assicura che le notizie trasmesse corrispondano al punto di vista del Governo.

Il Governo di unità nazionale gestisce il servizio radio-televisivo pubblico, che trasmette un misto di notizie, musica e programmi culturali, ma, tuttavia, l'autonomia garantita dal trattato di pace al Governo del Sud Sudan ha consentito l'avvio delle trasmissioni radiofoniche e televisive e il moltiplicarsi delle licenze ai privati.
In questo contesto favorevole si è quindi potuto sviluppare il Sudan Catholic Radio Network. Articolato risulta l'organigramma che sovrintende al sistema. L'organo direttivo (board of governors) è costituito da due vescovi che rappresentano la Conferenza episcopale del Sudan e dai superiori e dalle superiore provinciali dei comboniani in Sud Sudan.

Il network opera, dunque, sulla base di un coordinamento nazionale con decentramento operativo a livello diocesano. "Le articolazioni diocesane del network - puntualizza suor Moggi - sono finalizzate a garantire la necessaria unità nella diversità, ma rendono il progetto molto complesso. Solo un efficiente coordinamento può evitare il rischio della frammentazione e dell'accentramento".

Dal punto di vista, invece, dei contenuti, le radio sono tenute a trasmettere programmi comuni al network (notizie regionali, nazionali e internazionali, approfondimenti e lezioni di educazione civica) per almeno due ore al giorno; assieme ai programmi locali per il resto della giornata. Dato l'altro grado di analfabetismo tra la popolazione, la lingua usata per i programmi comuni è l'inglese (lingua ufficiale del Sud Sudan); mentre i programmi specifici di ogni radio, prodotti a livello diocesano, tengono conto delle varie lingue parlate localmente (Shilluk, Dinka, Nuer, Anyuak, Mabban, Bari e altre).

Un aspetto cui tiene in particolare la religiosa è quello della capacità del progetto, in linea con il motto dei comboniani "Salvare l'Africa con l'Africa", di coinvolgere la popolazione locale. "La sostenibilità del progetto - sottolinea - si basa essenzialmente sulla mobilitazione delle potenzialità locali, che sono state gravemente compromesse dalla lunga guerra civile". Per questo, è stato costituito una centro di formazione provvisorio a Juba, nel 2008, che finora ha permesso a una ventina di giovani di acquisire nozioni e tecniche al fine di progettare e produrre programmi radiofonici di qualità.


(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2009)
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