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Mons. Ravasi: le chiese di oggi sembrano garage

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2009 15:41
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16/09/2009 16:14

«Quelle di oggi sembrano garage»

di Redazione

Città del Vaticano

«Un certo cattivo gusto nelle chiese, oggi è un dato di fatto. Per questo è indispensabile una formazione di tipo estetico a partire dai seminari e dalle parrocchie».
È quanto ha detto monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia commissione per i beni culturali, illustrando qualche giorno fa ai giornalisti l’incontro del 21 novembre del Papa con gli artisti. Ricordando una frase di padre David Maria Turoldo - il religioso e poeta dell’Ordine dei Servi morto nel 1992 - «oggi le chiese sono come un garage dove Dio viene parcheggiato e i fedeli sono tutti allineati davanti a Lui», Ravasi ha esortato a fare del «linguaggio della comunicazione religiosa un linguaggio estetico».
Idea condivisa anche da Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, per il quale «le chiese, che nel Medio Evo erano prefigurazione del Paradiso, ricche di colori, oggi sono grigie e spoglie. È urgente riscoprire le cose positive che possono costruire l’estetica di domani».
Del resto monsignor Ravasi, è un sacerdote e un intellettuale da sempre interessato al mondo dell’arte e al rapporto tra estetica ed etica. In particolare da quando è stato nominato presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia commissione per i beni culturali, due anni fa, ha sempre cercato di favorire una riflessione sull’arte sacra, invitando al confronto anche il mondo laico. «Perché il dialogo con l'architettura c'è: le chiese moderne vengono costruite effettivamente da grandi architetti a livello internazionale, quali Renzo Piano, Mario Botta, Kenzo Tange, Tadao Ando, Alvaro Siza e altri. Però queste chiese nell'interno o sono spoglie, perché hanno soltanto l'architettura della luce, o hanno immagini di cattivo gusto, oppure hanno la presenza dell'artigianato soltanto, e non invece, come accadeva in passato, grandi opere d'arte». «Pensiamo alle grandi chiese del Cinquecento, dell'arte barocca, che avevano in sé la meraviglia dell'architettura, ma anche la presenza di artisti come Bernini, per esempio, oppure Tiziano, Veronese - aveva spiegato in occasione di una lunga intervista lo scorso anno -. Pensiamo alle grandi chiese veneziane, quali presenze altissime hanno, dal punto di vista della storia dell'arte».
Ravasi ha più volte sollecitato i grandi artisti contemporanei - per esempio negli Stati Uniti Bill Viola, Anish Kapoor per l'India, per l'Europa Jannis Kounellis - a impegnarsi in progetti di arte sacra: «Grandi artisti, che ritornino ancora a rappresentare le grandi immagini religiose, creando anche un interesse da parte della committenza stessa, cioè delle autorità ecclesiali, affinché ripropongano ancora le grandi opere nell'interno delle loro chiese».

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Basta con le archistar atee e le loro chiese-scatole

Non è particolarmente originale affermare che Gianfranco Ravasi è persona intelligente e sensibile, ma è certamente bello trovarlo su un campo in cui la chiesa e molti preti hanno gravi responsabilità, ed è, per chi ha un ruolo importante come Ravasi più facile fingere di non vedere o ripararsi dietro a formule di comodo. Per intendere fino a che punto io condivida il suo pensiero, mi sembra utile citare uno stralcio di un mio articolo su questo giornale, il 29 agosto. Non avevo parlato con Ravasi e non conoscevo il suo pensiero.

«Le biblioteche nuove come questa, minacciata a Milano, sono come le moderne architetture religiose, senza anima e vita rispetto alle chiese gotiche, rinascimentali e barocche». Oggi Ravasi esce, candidamente, allo scoperto, e dichiara: «Un certo cattivo gusto nelle chiese oggi è un dato di fatto. Per questo è indispensabile una formazione di tipo estetico a partire dai seminari e dalle parrocchie».

Come è nella sua natura Ravasi guarda quello che ha davanti e parla con immediatezza. Gli torna alla memoria il pensiero di quell’altro prete straordinario e umanissimo che era David Maria Turoldo, ancora più severo: «Oggi le chiese sono come un garage dove Dio viene parcheggiato e i fedeli sono parcheggiati davanti a lui». Il destino gli ha risparmiato la visione dell’orrido edificio concepito per la povera città di Foligno da Fuksas, che sembra aver voluto dare corpo alle parole di Turoldo e ha edificato un garage chiamandolo chiesa. Si tratta dell’architettura religiosa di più recente costruzione, ma se si escludono le chiese progettate da Mario Botta con forti richiami alla tradizione romanica, le preoccupazioni di Ravasi e la profezia di Turoldo sono purtroppo confermate da una realtà catastrofica. Prima di tutto gli architetti hanno perso il cielo: sono sparite cupole e volte e ogni riferimento alla sfera celeste. Questa aberrazione (fortunatamente scongiurata nella rigorosa ricostruzione della cattedrale di Noto, per la quale mi sono battuto anch’io con un altro prete dotto e sensibile, il vescovo Chenis, perché la decorazione pittorica e plastica fosse coerente con le linee architettoniche restituite), è evidente nella chiesa matrice di Menfi parzialmente abbattuta con il terremoto del Belice. Per non rischiare il falso storico (che in architettura è un concetto assai opinabile, se soltanto si pensa al tempo di costruzione del Duomo di Milano), l’architetto Gregotti ha pensato bene di rovesciare la direzione dell’architettura e di integrarla con linee geometriche a forma di scatola, a lui tanto cara, in cemento armato. Ne è uscito un aborto che ha sfigurato l’edificio sia all’esterno che all’interno.
Evidentemente gli architetti, soprattutto quelli di grido, non riescono a superare le loro convinzioni atee e si applicano a una chiesa come un supermercato, prima di tutto negando lo spirito di elevazione che l’architettura nella sua vastità intende indicare. Ecco quindi la predilezione per le scatole e un linearismo funesto.

Ne è un esempio il santuario di San Gabriele al Gran Sasso sfortunatamente risparmiato dal terremoto: un gigantesco garage con un avancorpo di cemento armato per proteggere le migliaia di pellegrini il cui numero dovrebbe giustificare l’assoluta assenza di spiritualità e anche la prepotenza di spazi informi sovrapposti alla piccola chiesa dedicata al santo all’inizio del secolo scorso. Le architetture religiose contemporanee denunciano l’assenza di fede e sembrano negare il mistero. Non c’è spazio per cripte, presbiteri, transetti riferimenti alla croce, vertigini luminose.

Se Dio esistesse assomiglierebbe a un operaio in fabbrica, e ogni pompa e sfarzo, come nella chiesa storica risulterebbero impropri e inopportuni.

Così le nuove chiese tentano pateticamente di somigliare a stabilimenti industriali in ossequio a un’ideologia che intende la bellezza e la ricchezza come una colpa.

Ha dunque ragione monsignor Ravasi quando pone la questione in termini di formazione, di studio, di estetica. L’estetica della chiesa come quella del teatro fa riferimento a una realtà sociale, di identificazione in valori comuni, allegati alla religione e alla letteratura. Oggi individualismo e scetticismo hanno cancellato questi valori condivisi e l’architettura mostra i segni evidenti di questa crisi dell’uomo e dei suoi valori. È singolare che lo stesso disagio segnalato da Ravasi e da Turoldo si riscontri anche nel mondo del teatro, luogo per eccellenza di rappresentazione di valori umani condivisi e di cui è evidente la doppia crisi, sia negli spazi architettonici sia nella produzione letteraria. Ciò che si è perduto è la spiritualità dell’uomo che non si proietta neppure nelle architetture religiose.

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20/09/2009 15:17

MA CHE BELLA CHIESA...



di Francesco Colafemmina

Questa mattina ero per lavoro in quel di Policoro Lido, frazione marittima della ridente località lucana a ridosso della costa ionica. Improvvisamente dai vetri di un albergo nel quale avevo un appuntamento, scorgo un mostro architettonico: due pareti biancastre che si innalzano a forma di capanna-piramide verso il cielo. In un'area particolarmente vincolata, un territorio già pesantemente devastato dagli abusi edilizi e dalla sfrontatezza di costruttori ed amministratori pubblici, ecco emergere l'ennesima mostruosità. Ma non avevo visto bene!
Non si trattava infatti di un auditorium o di un albergo ecclettico, bensì di una chiesa.
Al che, mi sono proprio detto che non doveva essere un caso. La chiesa poi ricorda moltissimo l'obbrobrio già proposto ai lettori ed opera di Mons. Giusti: due vele unite a creare una sorta di capanna. Dal sito della
Parrocchia di San Francesco d'Assisi (cui la chiesa in questione è dedicata) si apprende che: "le linee scarne e semplici di tutta l'architettura ci avvicinano al Poverello di Assisi. Il legno lamellare e gli archi gotici danno la sensazione di calore e di elevazione verso la maestà di Dio". Se riuscite a sopravvivere all'effetto psichedelico della pagina internet della parrocchia, leggerete anche che le vele invece ricorderebbero la vocazione marittimo-turistica di Policoro.

Quello che non capisco e che mi stupisce è la scempiaggine di committenti ed architetti. Parto dai secondi. Come può un architetto nel tentativo di ispirarsi al luogo in cui sorgerà la chiesa prendere ispirazione dalle vele delle barche? Possibile che quella località ispiri soltanto l'immagine delle barche a vela? E come può una chiesa meridionale, lucana, sul mare, essere concepita con delle travi goticheggianti di legno lamellare manco fossimo in Finlandia?
Questa palese incapacità di guardare i contesti nei quali sorgono delle nuove chiese è patologica. Ed è assurdo poter pensare che un architetto in procinto di costruire una nuova chiesa non riesca ad ispirarsi almeno all'esempio più caratteristico del luogo: la chiesetta della Madonna del Ponte.

Questa chiesetta è nel tipico stile rurale pugliese di fine settecento. Forme essenziali, squadrate, ma leggermente ammorbidite da tenere curve in alto al prospetto frontale. All'interno il bianco che domina lo spazio. Altari semplici con qualche residuo barocco. Tenerezza e callosità dei contadini di un tempo erano unite in quelle forme.

Capisco che oggi non siamo più nel settecento, ma l'ispirazione architettonica non può essere talmente spaesata ed esotica da disconoscere l'eredità del passato. Tanto più che persino la moderna cattedrale di Policoro nella sua bruttezza anni cinquanta rappresenta un tentativo maldestro di recupero dello stile proprio della Madonna del Ponte. E poi perchè elevare questa chiesa oscena verso l'alto? Perchè in un contesto che nonostante il deturpamento edilizio per il turismo ha mantenuto case e villette basse? Ma non è tutto. Ciò che mi stupisce più di ogni altra cosa è trovare sul web un articolo a firma dell'architetto che questa chiesa oscena ha progettato e dal titolo shock: "
Fermiamo il brutto che avanza". L'articolo è esplicito e richiama gli abusi commessi in architettura senza alcun rispetto per il paesaggio. Appunto, architetto, si fermi, non progetti mai più squallori del genere!

Veniamo poi ai committenti. I committenti sono la causa prima di scandalo per la Chiesa. Essi infatti non sorvegliano gli architetti, non hanno idee precise su ciò che desiderano e una volta realizzate le nuove costruzioni, sposano immediatamente l'estetica proposta da architetti ed esecutori. Spesso si tratta di bravi parroci di periferia che in una gara di bontà verso i propri parrocchiani vorrebbero veder svettare il proprio campanile su tutte le altre parrocchie del paese e sono ampiamente lusingati da progetti ambiziosi e megagalattici. Ma sulla buona fede di questi bravi parroci chi sorveglia? La CEI. E la CEI è devota alle novità,
come ben sappiamo dal pensiero di don Russo, intriso di hegelismo e relativismo estetico. Come risolveremo questa questione? Quando riusciremo ad avere chiese degne di tal nome? Nel frattempo becchiamoci anche la tenda cementizia o meglio la baita finlandese di Policoro...

fidesetforma
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20/09/2009 15:23



Questa si che è Chiesa!!!!
Il mio amato Duomo di Messina!!!



A sx si vede la parrocchia dove freguento, è l'unica foto che ho pescato su internet.
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20/09/2009 15:38

Mili San Pietro, panorama



La chiesa parrocchialeA sx la mia parrocchia, qui si vede meglio, a dx il paesino in cui vivo, piccolo ma pacifico...












C'è anche un altra Chiesa che purtroppo è lasciata abbandonata ma ha un suo valore storico:



Credo che sia del XII secolo.

[Modificato da Cattolico_Romano 20/09/2009 15:41]
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