Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Attentato a Kabul, colpiti due nostri blindati: morti 6 parà della Folgore

Ultimo Aggiornamento: 18/09/2009 19:34
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
17/09/2009 14:20

Attentato a Kabul, colpiti due nostri blindati: morti 6 parà della Folgore

Due kamikaze in auto si fanno saltare in aria sulla strada dell'aeroporto. Tra i nostri soldati 4 feriti gravi

MILANO - Almeno 6 militari italiani sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in modo grave in Afghanistan in seguito ad un attentato kamikaze che ha colpito un convoglio della Nato sulla strada che porta dal centro cittadino all'aeroporto di Kabul. Sia i morti che i feriti (quest'ultimi non sarebbero in pericolo di vita) sono tutti del 186esimo Reggimento Paracadutisti Folgore di stanza a Siena tranne un ferito che è un militare dell'aeronautica. Nello scoppio sono rimasti coinvolti due blindati italiani di scorta al convoglio. Lo confermano fonti del ministero della Difesa e dello Stato maggiore della Difesa. «Gli effetti sono stati devastanti», ha sottolineato una fonte militare, confermando che «le sei vittime sono tutte italiane».

Oltre ai nostri 6 militari morti ci sono secondo il ministero della Difesa afghano, tra i civili, anche 10 vittime afghane e 55 feriti. I morti italiani sono invece quattro caporal maggiore, un sergente maggiore e il tenente che comandava i due blindati Lince coinvolti nell'attentato.
L'attentato di Kabul ha provocato l'immediato cordoglio del governo e di tutto il mondo politico italiano.


COINVOLTI DUE BLINDATI LINCE -

L'attentato in cui sono rimasti coivolti due nostri blindati Lince, è avvenuto alle 12.10 locali, le 9.40 in Italia, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli sul traffico diretto verso l'ambasciata Usa, il comando Isaf e l'aeroporto. Sui due lati delle strade sono stati distrutti case e negozi. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto ha riferito in Senato il ministro della Difesa Ignazio La Russa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i mezzi prima di esplodere.

www.corriere.it

[Modificato da Cattolico_Romano 17/09/2009 14:20]
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
17/09/2009 14:55

Strage in Afghanistan: morti 6 soldati italiani e 10 civili afghani. Il dolore del Papa

Gravissimo attentato contro il contingente italiano in Afghanistan. Un kamikaze si è fatto esplodere al passaggio di due mezzi dell’Isaf uccidendo 6 militari italiani e almeno dieci civili afghani. Si tratta dell’attentato più grave da quello avvenuto a Nassirya nel 2003. Il Papa, appena informato, ha espresso il proprio profondo dolore per l’accaduto assicurando la sua preghiera per le vittime e la sua vicinanza alle famiglie e a tutte le persone coinvolte. Lo ha detto ai giornalisti padre Federico Lombardi. Il direttore della Sala Stampa vaticana ha auspicato che “tutto questo sangue alla fine possa essere sostituito dalla pace per la quale tante persone sono impegnate e stanno donando la loro vita". "Quello che ferisce di più – ha sottolineato padre Lombardi - è il fatto che continui questa violenza proprio nei confronti di persone che sono impegnate per la pace". Il servizio di Stefano Leszczynski.


I talebani hanno rivendicato l’attacco condotto oggi a Kabul contro una pattuglia di militari italiani in servizio di scorta. L’attentato, forse portato a termine da un kamikaze, ha provocato la morte di sei soldati e di almeno 10 civili afgani, oltre al ferimento di almeno una trentina di persone, come confermato dal Ministero della Difesa e dal Ministero della Sanità afghano. Con l'attentato è salito a 20 il numero di militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione italiana nel 2004. Intanto, la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo ipotizzando il reato di strage a fini di terrorismo. ''Grande vicinanza'' e ''grande dolore'' sono stati espressi, oltre che dal Papa, dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, appresa la notizia della morte dei militari italiani a Kabul. Unanimi le espressioni di cordoglio da parte del mondo politico ed istituzionale: la Camera, appresa la notizia, ha osservato su proposta del suo presidente un minuto di silenzio. L’attacco segna il picco di una escalation della violenza da parte dei ribelli talebani contro l’esercito afghano e il contingente internazionale. Lo scorso mese l’azione dei talebani si era fatta più aggressiva in occasione delle elezioni presidenziali, i cui risultati definitivi non sono ancora noti. I dati preliminari sulle presidenziali del 20 agosto scorso danno vittorioso il presidente uscente Hamid Karzai con il 54,6% delle preferenze contro il 27,8% del suo principale rivale Abdullah Abdullah. Un risultato tuttavia velato da forti dubbi per la denuncia di estese irregolarità. Anche l’Ue ieri aveva bollato come "sospetti" almeno un milione e mezzo di voti, la maggior parte dei quali, circa un milione e centomila, attribuiti proprio al presidente uscente.

Durissima la reazione del presidente, che ha bollato come “irresponsabile” l’accusa dell’Ue. Si teme, ora, per un rischiosissimo vuoto politico, in un Paese fortemente instabile, come dimostra l’attentato di oggi. Sul peggioramento della situazione nel Paese asiatico, Salvatore Sabatino ha intervistato Maurizio Simoncelli, esperto di geopolitica di “Archivio Disarmo”.

"Abbiamo visto che nel corso di quest’anno il livello della mortalità degli eserciti occidentali è cresciuto e c’è uno scontro molto duro, tanto è vero che mentre Obama ha voluto ridurre la presenza militare nell’Iraq ha invece ritenuto opportuno intensificare l’azione militare inviando anche alcune altre decine di migliaia di uomini in Afghanistan per tentare di risolvere militarmente la situazione. A tutt’oggi questo purtroppo non si vede. E’ una battaglia estremamente difficile e contemporaneamente la battaglia non è solo di tipo militare ma è anche una battaglia di tipo politico".

© Copyright Radio Vaticana
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
17/09/2009 14:57

Preghiamo per queste anime innocenti e per le loro famiglie, preghiamo anche per i loro aguzzini e per tutti coloro che a causa di questi eventi hanno perso la pace e propri cari, preghiamo affinchè queste inutili guerre finiscano...

Dio abbi pietà di noi!
__________________________________________________

17/09/2009 19:22

Ai nostri ragazzi ,animati da un forte ideale e dal coraggio,una preghiera .Un sostegno anche per le loro famiglie.
17/09/2009 19:56

"E se ci rattrista la certezza di dover morire,

ci consola la promessa dell'immortalità futura".

(da un prefazio al Sanctus)


L'eterno riposo dona a loro o Signore,

risplenda ad essi la Luce perpetua

e riposino in pace.

Amen

[Modificato da (Zacuff) 17/09/2009 19:59]
OFFLINE
Post: 267
Registrato il: 15/11/2008
Registrato il: 16/11/2008
Sesso: Maschile
18/09/2009 09:57

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2009/09/cristina-kabul.shtml

Mi ha detto: «Aspetta qui». Poi un sorriso e il lampo


Partiamo alle 7 da Abu Dhabi, con un aereo C-130 dell'aeronautica militare, diretto a Kabul. Di fronte a me è seduto un parà della Folgore. Sorride. Ha il pizzetto e uno sguardo molto allegro. Lo ricordo perfettamente perché mi ha regalato i tappi per le orecchie, che non avevo.
Non si può parlare su un C-130, a causa del rumore, perciò ci capiamo a gesti. Mi insegna ad allacciare la cintura, sorridendomi con aria paterna. Ci offre un tramezzino, a me e agli altri. Io rifiuto perché ho solo sete.
All'atterraggio apre un pacchetto di salviette profumate e le offre a quanti siedono vicino a lui. Da poco ho scoperto che tra i morti dell'attentato c'era anche lui, quel parà molto gentile seduto di fronte a me sull'aereo militare, il sergente maggiore Roberto Valente. Ho scoperto che aveva anche un bambino.
Avevo avuto un presentimento, quando mi hanno detto che sui Lince c'erano anche i nostri militari. Il pensiero è andato subito a quel soldato con il basco amaranto e il pizzetto, di cui non conoscevo ancora il nome, perché era partito con il primo gruppo dall'aereoporto di Kabul.
Prima di lasciare la zona militare dello scalo aveva salutato me e gli altri due giornalisti dicendoci: «Andiamo al quartier generale, magari ci vediamo se uno di questi giorni venite al Comando».

I Lince su cui viaggiavano erano diretti al quartier generale Isaf-Nato. Noi, invece, saremmo dovuti andare a Camp Invicta, alla base militare alla periferia di Kabul.
Ripercorro il viaggio. Per lo più abbiamo dormito, eravamo tutti un po' stravolti perché avevamo alle spalle una notte in bianco: partenza da Fiumicino, oltre cento militari e tre civili (giornalisti), con un volo Alitalia per Abu Dhabi. Lì arriviamo a mezzanotte e dobbiamo attendere diverse ore prima di imbarcarci sul C-130 per Kabul, mentre un altro gruppo parte per Herat. Ricordo il tenente Antonio Fortunato, sullo stesso volo. È tra le vittime dell'esplosione. Ricordo facce serene, scherzi, sorrisi.
Dopo quattro ore circa atterriamo a Kabul. Sbrighiamo le varie procedure di recupero dei bagagli che vengono poi caricati su un camion container. I primi Lince partono. «Voi restate qui, vi veniamo a prendere dopo», ci dice un militare, forse era proprio il tenente Fortunato, che guidava il primo gruppo. Un grande professionista, dicono, che conosceva a memoria tutti i percorsi.
Noi attendiamo all'aeroporto il nostro turno, chiacchieriamo e scherziamo. Poi sentiamo il rumore sordo di un'esplosione. Noto un certo movimento tra i militari in servizio alla base, cercano di capire cosa è successo. Inizialmente penso a un razzo e ho l'impressione che sia esploso nelle vicinanze dell'aeroporto. «Ci danno il benvenuto con i razzi», scherziamo. Ma quando rivolgiamo uno sguardo verso la città, in lontananza distinguiamo una colonna di fumo. Seguono momenti di grande concitazione. Arriva un Lince con a bordo alcuni militari. Quello sulla ralla, il mitragliere, si porta le mani alla testa e mi sembra di percepire che dica: «Uno dei nostri, uno dei nostri». Poi sento altre frasi, che mi fanno rabbrividire: «Cinque sono a terra!». E poi ancora: «Sono i nostri, sono i nostri!».

Il cielo di Kabul si fa cupo, come prima di un temporale. Anche il morale degli uomini si fa cupo. Qualcuno piange, qualcuno ha reazioni di rabbia. Ma è l'emozione del momento e la preoccupazione per la loro vita non li fermerà. Hanno una missione da portare a termine. «Siamo consapevoli dei rischi che corriamo, fa parte del mestiere», mi dice uno dei militari. «Siamo preoccupati, certo, ma siamo dei professionisti». Gli sguardi, però, sono pieni di dolore. Quei soldati erano più che commilitoni: erano i loro amici. Ho appena conosciuto un tenente che è stato sul luogo dell'attentato. È sconvolto. «Una cosa così qui non ci era mai capitata», mi dice. Cerca di sorridermi, ma è distrutto. Come molti altri. Il dolore è palpabile.
Dopo ore di attesa arriva l'ordine di salire sui Lince: dobbiamo lasciare l'aeroporto di Kabul, raggiungere Camp Invicta, la base militare alla periferia di Kabul. Il Lince mi dà un senso di claustrofobia. Se qualcosa esplode, è come essere in gabbia. Non riesco nemmeno a muovermi, perché il giubbotto antiproiettile e l'elmetto sono pesantissimi. Restiamo in attesa per un po', poi arriva il contrordine: «Scendere dai blindati, non si parte ancora».

Nessuno mi spiega perché e io non oso fare domande perché l'atmosfera è piuttosto tesa. Mi fido di loro. So che se ci fanno partire è perché si può partire, se restiamo, invece, è perché non sono sicuri. Loro sanno come fare.
Sento che dicono che ci sono dei warnings, degli allarmi. La strada è pericolosa. Aspettiamo all'aeroporto fino all'imbrunire. Mi chiedono di interrompere i collegamenti telefonici con la radio perché potrebbero intercettarci e non è il caso che sappiano che stiamo per andare a Camp Invicta. Spengo il telefono. Finalmente arriva l'ordine: «Si parte». Ricomincia la procedura: cintura, giubbotto antiproiettile, elmetto.

Nel Lince dove sono sistemata, sul sedile posteriore, cerco di cacciar via la paura. Alla mia sinistra c'è il mitragliere. È nervoso. Si scambiano ordini via radio. Dall'altro lato c'è un collega giornalista. Altri due militari sono seduti sui sedili anteriori. La paura c'è e credo di non essere l'unica. Del resto, dicono che i soldati devono averne, perché la paura aumenta il livello di allerta. I sei militari diretti al quartier generale sono morti su un veicolo come questo. «Se succede qualcosa, cosa facciamo?», chiedo al soldato al volante. «Assolutamente niente - mi risponde - resti dov'è e non si muova».

Quando il blindato lascia finalmente la base ho il cuore in gola e la polvere nel naso. Fuori dai vetri il paesaggio è buio e minaccioso. Quando si avvicina un'automobile o, peggio, un grosso camion, mi sento stringere lo stomaco. Noi andiamo molto veloci e in una ventina di minuti raggiungiamo Camp Invicta. Quando vedo l'insegna mi sento sollevata. Siamo salvi. Qualcun altro però non tornerà più a casa. Questione di minuti: sui Lince sventrati avrei potuto esserci anch'io oggi.


OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
18/09/2009 19:30

Vicinanza alle famiglie delle vittime cadute in missione di pace

Il dolore della Chiesa in Italia per i soldati morti a Kabul



 
Roma, 18. I vescovi italiani si stringono nel dolore alle famiglie dei soldati italiani uccisi nell'attentato di ieri in Afghanistan, ricordando il valore delle vittime impegnate in una missione di pace. In un telegramma inviato all'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, ha espresso "sentite condoglianze e profonda vicinanza al doloroso lutto per la scomparsa dei connazionali impegnati in missione di pace in Afghanistan", assicurando "il ricordo e la preghiera a conforto delle famiglie e delle comunità locali colpite dal drammatico evento". Il porporato ha ricordato i militari caduti anche nel corso dell'omelia della messa celebrata questa mattina nella cattedrale di Genova per la festa della Guardia di Finanza:  i militari italiani - ha detto - sono "uomini di pace e di dialogo, la cui benevolenza d'animo e la cui carità fraterna sono ben note a tutte le popolazioni". Ricordando i tre anni passati come ordinario militare per l'Italia, il cardinale ha poi affermato:  "Ho potuto recarmi laddove i nostri militari ed i cappellani svolgevano la loro missione, in zone difficili che hanno visto anche tributo di sangue". In queste occasioni - ha aggiunto - "ho conosciuto il valore della dedizione, della generosità, il senso del dovere, l'attaccamento al proprio dovere ed alla propria missione che caratterizza tutti i militari italiani".

Particolarmente colpite nel dolore sono le diocesi di provenienza dei militari uccisi. Il vescovo di Pozzuoli, Gennaro Pascarella, ha espresso i suoi sentimenti di vicinanza "alla famiglia del sergente maggiore Roberto Valente e alle famiglie degli altri cinque militari italiani vittime dei gravi attentati di Kabul. In particolare, esprimo profondo affetto alla moglie del giovane sergente Valente, Stefania e al piccolo Simone a nome di tutta la comunità diocesana, della parrocchia Buon Pastore e San Francesco di Paola e del nido Centro Arcobaleno di Fuorigrotta, frequentato dal figlio". Dolore e vicinanza sono stati espressi anche dal vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, Gioacchino Illiano, in particolare ai familiari di Massimiliano Randino, i cui funerali si terranno nella parrocchia di San Giovanni Battista a Nocera Superiore. Sarà l'arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna, a officiare la prossima settimana a Solarussa le esequie del caporalmaggiore Matteo Mureddu. Il presule ieri pomeriggio ha portato il cordoglio della Chiesa oristanese ai familiari del militare. I giovani dal paese stanno cercando di organizzare una fiaccolata da tenere nei prossimi giorni.

Cordoglio per quanto è accaduto ieri mattina a Kabul, è stato poi espresso dall'arcivescovo di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani:  "La notizia terribile, ma ormai non insolita, della strage in Afghanistan ha colpito particolarmente la nostra città, che ha profondi legami con i paracadutisti della Folgore. Il ricordo per me - ha detto - è andato immediatamente alla primavera scorsa quando, in occasione della Pasqua, ebbi modo di salutare i militari prima della partenza per la loro missione, che affrontavano con coraggio ma anche coscienti dei rischi che li attendevano. Pur sottolineando il legame tra la morte e risurrezione di Cristo e paventando il pericolo, evidenziai la forza della speranza che i cristiani debbono nutrire in ogni circostanza della vita". Buoncristiani ha aggiunto che "dinanzi al dramma del male e della morte innocente di civili e militari, inviati come strumenti di pace, è proprio la speranza che ci deve sostenere a convincerci che la loro fine è un rinnovato appello alla ragione di resistere alla violenza per il bene dei più deboli ed indifesi. In tal senso la morte dei giusti viene ad identificarsi con la passione del Giusto. È con questi sentimenti - ha concluso - che nella preghiera partecipiamo al loro sacrificio, all'angosciante sofferenza delle famiglie e a quella di tutti i loro commilitoni, ricordando la beatitudine espressa da Gesù per gli operatori di pace".


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
18/09/2009 19:34

A colloquio con l'arcivescovo Pelvi, ordinario militare per l'Italia

Il terrorismo si nutre di morte perché ha paura della solidarietà


di Nicola Gori

"Il terrorismo ha paura della solidarietà, per questo si nutre del disprezzo per la vita umana". C'è amarezza ma anche lucida consapevolezza nelle parole dell'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, all'indomani del tragico attentato a Kabul costato la vita a sei militari italiani. Il presule sa che non è facile dare una risposta ai tanti che in queste ore si domandano se il prezzo da pagare per ristabilire pace e democrazia in Afghanistan non stia diventando troppo alto. "Ci sono momenti - confessa - in cui il bene e il male si confondono, in cui la rabbia prevarica, momenti in cui è naturale chiedersi:  perché? Essere in un Paese ostile per il bene dello stesso sembra un paradosso". Tuttavia - afferma - "bisogna ricordare che non è il Paese a essere ostile, ma solo una minoranza di chi lo popola".
 
Proprio qualche giorno fa monsignor Pelvi aveva inviato a ciascun militare impegnato in Afghanistan una lettera in cui esprimeva stima e incoraggiamento per la missione svolta. Parole che rilette oggi suonano quasi profetiche. "La tua - scriveva - è una chiara lezione di pace evangelica nella insanguinata storia dei nostri giorni. Il Vangelo della pace non si dimostra, si mostra pagando di persona". In questa intervista al nostro giornale l'arcivescovo ribadisce il valore del compito che i militari svolgono al servizio della pace e spiega in particolare il ruolo dei cappellani delle forze armate, anche alla luce dell'Anno sacerdotale che la Chiesa sta vivendo.

Di fronte a eventi tragici come questo viene da chiedersi se ha ancora un senso una missione militare in uno scenario così instabile e difficile.

I nostri militari sono in Afghanistan per proteggere e incoraggiare chi vuole vivere in pace e migliorare le proprie drammatiche condizioni di vita. A nessuno può sfuggire la loro generosità che, oltre
a garantire la sicurezza del territorio, sta aiutando a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture di quel Paese. In questo periodo così delicato, dunque, sento anzitutto il dovere di ringraziare i giovani militari, sia come uomo che come fratello e padre nel Signore.

In situazioni così drammatiche, quale può essere il ruolo di un cappellano militare?

In una situazione resa drammatica dalla sempre più incombente minaccia del terrorismo il primo pensiero è rivolgere a Dio la nostra supplica intensa e fiduciosa. Quanto più insormontabili sembrano le difficoltà e oscure le prospettive, tanto più insistente deve farsi la preghiera per implorare da Dio il dono della comprensione reciproca, della concordia e della pace.

Quali sono gli attuali orientamenti pastorali della Chiesa castrense?

Il nostro è un programma quinquennale, iniziato nel 2007 con una esplicita priorità:  costruire il presbiterio, aiutando i cappellani a risvegliare la loro identità sacerdotale. Al riguardo, abbiamo vissuto due significativi convegni, le cui conclusioni sono sintetizzate nella lettera pastorale Splendete come astri di speranza. Ne è seguita la consapevolezza, da parte dei cappellani, di crescere nella fede assieme alla comunità militare. Da qui il convegno di Assisi del 2008 su "Annuncio del Vangelo e mondo militare", che ha offerto percorsi di accompagnamento spirituale per coloro che desiderano rendere più solida la fede, certa la speranza e operosa la carità. L'anno pastorale 2009-2010, perciò, con la riflessione su Parola di Dio e accompagnamento spirituale, intende concretizzare la guida spirituale delle famiglie e dei giovani, privilegiando la formazione cristiana del militare nel percorso dell'iniziazione cristiana, del cammino vocazionale e della testimonianza.

Come si colloca l'Anno sacerdotale in questo cammino pastorale?

È una provvidenziale coincidenza vivere la grazia dell'Anno sacerdotale, mentre come Chiesa siamo impegnati nell'incoraggiare fedeli, consacrati e presbiteri a celebrare la Penitenza sacramentale, come pure ad accostarsi periodicamente alla direzione e vivere gli annuali esercizi spirituali. L'Anno sacerdotale, infatti, vuole essere un tuffo nella spiritualità, sperimentando, alla scuola di san Giovanni Maria Vianney, una inesauribile fiducia nel sacramento della Confessione, dove viene offerto l'infinito amore di Dio per l'uomo.

Perché insistete proprio su questo sacramento?

Perché consideriamo il senso più genuino della Confessione:  eravamo morti, e, attraverso la morte di Cristo, siamo rigenerati a vita nuova; la buona notizia che Dio ci ama come e più di un padre, desidera il nostro bene, la felicità. In Cristo c'è un bene più grande, un orizzonte di vita infinito; il Vangelo di Gesù Cristo è il trionfo della vita sulla morte, della luce sulla disperazione delle tenebre. Ci saranno, allora iniziative pastorali, perché la caserma, la nave, l'aeroporto diventino come la parrocchia del curato d'Ars.

Oltre alla riscoperta della Confessione, lei sottolinea anche la necessità di una maggiore valorizzazione della direzione e degli esercizi spirituali. Perché?

Perché i cappellani non sono militari, ma sacerdoti tra i militari, che vogliono essere sostenuti nel loro cammino verso la santità, imparando a discernere la volontà di Dio nel concreto quotidiano. In quest'Anno sacerdotale ai cappellani si chiede di risvegliare il gusto e la frequenza periodica della direzione spirituale; ma anche, di essere consapevoli del loro ruolo di educatori nella fede e quindi di formatori, mettendosi nell'ottica della persona a cui si dà la direzione:  in altre parole, avere tempo ogni giorno per incontrare giovani e adulti. Nell'esistenza cristiana, illuminata dalla prospettiva della fede e dalla certezza della verità della presenza del Signore, l'amore stesso di Dio ci tiene uniti a sé e fra di noi più fortemente di quanto possono le promesse umane. Nel Dio della vita continuano a esistere i vincoli dell'amore e della comunione. La pratica della direzione richiamerà tra le forze armate il gesto del samaritano che si carica sulle spalle il viandante percosso dai banditi, lo porta alla locanda, ci rimette del suo. L'offerta della propria disponibilità, della propria casa, della propria vita.

I cappellani riescono a creare un clima di dialogo e di familiarità con i militari?

Accade non di rado che di fronte al cappellano vengano poste delle domande, ci si apra a delle confidenze personali, ci si dichiari disponibili a un confronto, o a uno scambio anche di riflessioni più approfondite. È il momento dell'accoglienza rispettosa, del dialogo, della possibilità di una rivelazione più esplicita delle realtà e dei significati appena intravisti. Tutto questo predispone al momento della richiesta esplicita di essere aiutati a credere, di poter stabilire quello stesso rapporto sereno, di fiducia, di grazia con il Signore, riprendendo un incontro interrotto per vari motivi e per un tempo più o meno lungo. La direzione spirituale manifesta una sensibilità diffusa nella comunità cristiana, una enorme disponibilità presente nel vissuto di donne e uomini con le stellette. 

I cappellani partecipano annualmente agli esercizi spirituali?

Sono solito predicare tre corsi di esercizi, rispettivamente per i cappellani del nord, del centro e sud Italia, essendo il presbiterio presente su tutto il territorio nazionale. Ciò permette di sperimentare uno stile di serena appartenenza e dare vigore all'aspetto contemplativo che illumina e sostiene l'assistenza spirituale dei militari. Noi sacerdoti siamo ministri del Signore. È importante spogliarci delle preoccupazioni del ministero e pensare al ministro.

C'è una specifica spiritualità del cappellano militare?

La spiritualità del cappellano militare è quella di santificarsi personalmente attraverso il ministero e quindi santificare la sua opera personale con la sua santità personale, ma di far servire anche la sua opera pastorale alla santificazione propria. Come ricorda il Papa, in Gesù, Persona e missione tendono a coincidere:  tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo "Io filiale" che, da tutta l'eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia anche il sacerdote deve aspirare a questa identificazione, avendo come modello il Curato d'Ars, che desiderò sempre quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato. Ritornare agli esercizi annuali e ai ritiri mensili con i nostri giovani oppure all'esperienza dei fine settimana di spiritualità familiare significa interrogarsi se Dio sta al cuore di ogni giornata. La fede non può essere un fatto scontato, un dato ovvio; e non è che la fede - nelle sue esigenze di radicalità e totalità di risposta e del dono di tutta la vita - faccia sconto ai presbiteri. Più che di atto di fede, una volta per sempre, dobbiamo parlare di continua e permanente adesione credente, perché chiamati a diventare adulti, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

Come si fa a diventare modelli di fede per i giovani militari?

Come cappellani non possiamo considerarci modelli di fede per i nostri militari solo perché affermiamo senza incertezze alcune verità e sappiamo esporle in modo teologicamente corretto. La fede non è una scelta nostra. Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata. Gli esercizi spirituali e ogni momento di sosta nello spirito è riflettere sul cammino personale, percorso incontro a Cristo, sulla strada lungo la quale il Signore benevolmente ci è venuto incontro. È importante verificare se il Signore è un interlocutore reale, il vero fondamento dell'esistenza:  più siamo attaccati a lui, più il nostro cuore è pieno di lui e di desiderio che tutti lo conoscano e lo amino, più diventiamo - senza nemmeno rendercene conto - suo segno trasparente; più si affina la nostra capacità di attrarre verso di lui, più contiamo su di lui e meno sulle nostre capacità e più il Vangelo si fa strada nel cuore dei nostri militari.

Cosa si aspetta per l'Ordinariato militare in questo Anno sacerdotale?

Mi auguro che aiuti i cappellani e i fedeli militari a crescere nella spiritualità. C'è uno stretto rapporto tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, anche se sono di natura diversa. Ogni fedele con la sua vita santa deve essere opera lucis, ma di questa luminosità cristiana il sacerdote deve essere come una sorgente. L'augurio che si fa preghiera costante è che la nostra comunità ecclesiale abbia una claritas occupans ac dirigens. La chiarezza non è solo quella che illumina la vita personale del sacerdote, ma anche l'intero popolo di Dio; l'occuparsi e il dirigere non è solo riferito alla condotta privata del presbitero, ma anche a quell'orientamento soprannaturale che deve dare ai fedeli perché camminino, nella Chiesa, sulla via della salvezza. Tutto il popolo di Dio è sacerdotale. In questo dono del sacerdozio di Cristo, sia pure in forma e misura diversa, sta il grande fermento di spiritualità da seminare nel mondo militare.


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
__________________________________________________

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:49. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com