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Il 17 gennaio 2010 Benedetto XVI visiterà la Sinagoga di Roma

Ultimo Aggiornamento: 20/01/2010 13:17
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17/09/2009 15:06

Papa Benedetto XVI in sinagoga a Roma dopo festività ebraiche

Il rabbino Di Segni: messaggio significativo ed importante


Papa Bendetto XVI sarà ospite della Sinagoga ebraica di Roma al termine delle festività ebraiche dello Yom Kippur e del Sukkot. Lo conferma lo stesso Pontefice, nel messaggio inviato alla comunità ebraica di Roma in occasion dell'inizio delle feste religiose.
"Anche quest' anno, in occasione della ricorrenza di Rosh Ha Shana 5770, di Yom Kippur e di Sukkot, volentieri formulo i miei più sentiti auguri a lei e alla comunità ebraica di Roma": è il testo del telegramma inviato da Benedetto XVI al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni per le festività ebraiche, reso noto dalla stessa comunità ebraica capitolina.
"Mentre auspico che queste feste siano motivo di comune santa letizia - prosegue Papa Ratzinger - invoco dall'eterno per tutti gli ebrei copiose benedizioni a costante incoraggiamento dell'impegno profuso per promuovere la giustizia, la concordia e la pace.
Rinnovo a lei la mia cordiale amicizia, in attesa di compiere con gioia, dopo le vostre feste, la visita a codesta comunità e alla sinagoga, animato dal vivo desiderio di manifestarvi la personale vicinanza mia e quella di tutta la chiesa cattolica", conclude il messaggio vaticano. Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni esprime, nella nota della comunità ebraica, gratitudine per "un messaggio così significativo e importante" confermando il lavoro per l'organizzazione dalla visita.

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[sepolcro21.jpg] 
Il Papa agli ebrei di Roma: presto verrò a visitare la vostra sinagoga

L'annuncio di Benedetto XVI in un telegramma di auguri alla comunità per l'inizio delle festività ebraiche


ROMA

Andrà in autunno. Dopo la conclusione delle feste di Yom Kippur e Sukkot. Lo ha detto lui stesso in un telegramma inviato al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Nella seconda metà di ottobre Papa Benedetto XVI visiterà per la prima volta la sinagoga di Roma.

«SENTITI AUGURI» - Lo conferma lo stesso Pontefice, nel messaggio inviato alla comunità ebraica di Roma per l’inizio delle feste religiose. "«nche quest'anno, in occasione della ricorrenza di Rosh Ha Shana 5770, di Yom Kippur e di Sukkot, volentieri formulo i miei più sentiti auguri a lei e alla comunità ebraica di Roma»: è il testo del telegramma inviato al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni per le festività ebraiche, reso noto dalla stessa comunità ebraica capitolina. «Mentre auspico che queste feste siano motivo di comune santa letizia - prosegue Papa Ratzinger - invoco dall'eterno per tutti gli ebrei copiose benedizioni a costante incoraggiamento dell'impegno profuso per promuovere la giustizia, la concordia e la pace. Rinnovo a lei la mia cordiale amicizia, in attesa di compiere con gioia, dopo le vostre feste, la visita a codesta comunità e alla sinagoga, animato dal vivo desiderio di manifestarvi la personale vicinanza mia e quella di tutta la chiesa cattolica», conclude il messaggio vaticano.

«MESSAGGIO SIGNIFICATIVO» - Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni esprime, nella nota della comunità ebraica, gratitudine per «un messaggio così significativo e importante» confermando il lavoro per l`organizzazione dalla visita che potrebbe avvenire dopo la seconda metà di ottobre. La festività di Sukkot (l'ultima in ordine di tempo dopo Rosh Ha Shana e Yom Kippur) terminerà infatti al tramonto del 9 ottobre. La sala stampa vaticana ha confermato che la visita è in programma, ma che non è ancora stata fissata una data.

IL PRECEDENTE - L'ultima visita di un papa alla sinagoga romana risale al 1986, quando Giovanni Paolo II fu accolto nel tempio dall'allora rabbino capo di Roma Elio Toaff.

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[0012.jpg] 

Gli auguri di Benedetto XVI alla comunità ebraica romana

"Invoco dall'Eterno per tutti gli ebrei copiose benedizioni a costante incoraggiamento dell'impegno profuso per promuovere la giustizia, la concordia e la pace".
Lo scrive il Papa in un telegramma inviato al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, in occasione dell'annuale ricorrenza di Rosh Ha Shanah 5770, di Yom Kippur e di Sukkot.
Nel formulare alla comunità ebraica romana i "più sentiti auguri", Benedetto XVI auspica che "queste feste siano motivo di comune santa letizia" e rinnova a Di Segni la sua "cordiale amicizia", in attesa - scrive - "di compiere con gioia, dopo le vostre feste, la visita a codesta comunità e alla sinagoga, animato dal vivo desiderio di manifestarvi la personale vicinanza mia e quella di tutta la Chiesa cattolica".

(©L'Osservatore Romano - 18 settembre 2009)
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13/10/2009 13:25

Il 17 gennaio 2010 Benedetto XVI visiterà la Sinagoga di Roma


Ventitré anni e nove mesi dopo la storica visita di Giovanni Paolo II, un Papa tornerà a varcare la soglia della Sinagoga di Roma. L’avvenimento, ufficializzato oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede, è stato fissato per il pomeriggio del 17 gennaio 2010, quando Benedetto XVI incontrerà la comunità israelitica della capitale in occasione della Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei e della commemorazione di un importante fatto storico per la comunità ebraica romana. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Era stato lo stesso Benedetto XVI, il mese scorso, a parlare della sua imminente visita alla Sinagoga di Roma nel telegramma di auguri inviato il 17 settembre al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, per le ricorrenze ebraiche dello Yom Kippur e del Sukkot. Inizialmente, la visita era stata ventilata per questo autunno, poi la scelta è caduta significativamente sul 17 gennaio 2010, durante il quale è in programma la 21.ma edizione della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. Quella di Roma sarà la terza Sinagoga che Benedetto XVI visiterà, dopo quelle di Colonia, in Germania, nell’agosto 2005, e di Park East a New York, nell'aprile del 2008. Già subito dopo l’elezione al Soglio pontificio, nell’aprile del 2005, Benedetto XVI aveva manifestato con un messaggio a Riccardo Di Segni la sua volontà di confidare “nell’aiuto dell’Altissimo per continuare il dialogo e rafforzare la collaborazione con i figli e le figlie del popolo ebraico”.
 
Ma il 17 gennaio prossimo - giorno della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga romana - vedrà anche il ricordo di un’importante pagina di storia per gli ebrei romani, quella del “Mo’ èd di Piombo”, che si celebra il 2 del mese di shevàt in memoria di un avvenimento considerato miracoloso. Nel 1793, gli ebrei del ghetto di Roma scamparono alla furia del popolino romano che si era radunato presso i portoni del ghetto per incendiarli e penetrare all’interno del recinto con intenzioni ostili, convinto che gli ebrei dessero aiuto e protezione agli odiati sostenitori delle nuove idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia. Episodi di violenta intolleranza si erano già verificati altrove e si temeva il peggio quando un provvidenziale acquazzone, quasi un diluvio torrenziale, contribuì a spegnere le fiamme appiccate ai portoni e, insieme, anche i bollori dei più scalmanati. Il nome di “Mo’ èd di Piombo” sembra sia da ricollegarsi al colore del cielo di quella giornata, scuro e livido come il piombo. La ricorrenza era ricordata ogni anno nella Scuola Siciliana ad opera della congrega “Ezrà Betzaròt” con una luminaria e un rinfresco durante il quale erano raccolte donazioni in denaro tra i membri della Chevrà.

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25/11/2009 19:24

Per Benedetto al Museo Ebraico una esposizione scoop

postato da Angela Ambrogetti

Quattordici panelli del XVIII secolo che documentano i festeggiamenti per l' elezione di un nuovo papa anche da parte della comunità ebraica di Roma.
Sono stati recuperati di recente e Benedetto XVI il prossimo 17 gennaio sarà il primo a vederli esposti al Museo Ebraico di Roma. La notizia è riportata da " Pagine Ebraiche" e descrive così l' attesa della visita del papa alla Sinagoga e alla Comunità.
Un gesto simbolico che arricchisce il significato della visita.
I pannelli documentano un periodo di anni dal 1730 al 1775 in cui si racconta una parte della storia di Roma. Nel settecento quando si eleggeva il papa uno dei momenti più suggestivi delle celebrazioni era la processione da San Pietro al Laterano. Strade e piazza si riempivano di gente e colori, tutti i romani partecipavano all' abbellimento della città.
Alla Comunità ebraica era assegnato il compito di decorare l'area che dal Colosseo portava all' Arco di Tito. Arazzi, vessilli e pannelli venivano issati sugli edifici. In particolare si dipingevano a tempera dei grandi fogli di carta con immagini allegoriche. Una parte con iscrizioni in latino e in ebraico, in genere messaggi di benvenuto e compiacimento per l'elezione del papa, o testi dei salmi.
Daniela Di Castro, direttrice del Museo Ebraico di Roma spiega: " Qualcuno potrebbe considerare le premure degli ebrei romani come una forma di sottomissione alla Chiesa, ma è una interpretazione errata. In realtà è la prova della loro inclusione nella società del tempo."
Oggetti di grande importanza storica ed artistica che assumono un significato speciale se uniti alla visita del papa, giorno nel quale saranno esposti al pubblico per la prima volta.
Fino ad ora ne sono stati ritrovati 14 dalla elezione di Pio VII infatti il percorso del corteo papale cambiò e finì la decorazione del Colosseo. I pannelli che prima erano riportati in ghetto dopo il passaggio del papa, vennero donati personalmente al papa che li conservava in Vaticano.
Forse cercando bene, si potrebbero addirittura ritrovare in qualche archivio. La speranza degli studiosi della Comunità ebraica di Roma e che si possano ricercare anche quei pannelli, magari per poterli esporre insieme a quelli che inaugurerà Benedetto XVI il prossimo 17 gennaio.

http://www.angelambrogetti.org/
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30/12/2009 13:43

Il rabbino Di Segni: la visita del Papa alla Sinagoga di Roma, tappa fondamentale del dialogo

Proseguono i preparativi per la visita del Papa nella Sinagoga di Roma, il prossimo 17 gennaio in occasione della Giornata per il dialogo ebraico-cristiano. Si tratta della terza Sinagoga visitata da Benedetto XVI dopo quelle di Colonia, nel 2005, e di Park East a New York, nel 2008. Già subito dopo l’elezione al Soglio pontificio, Benedetto XVI aveva manifestato con un messaggio al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni la sua volontà di confidare “nell’aiuto dell’Altissimo per continuare il dialogo e rafforzare la collaborazione con i figli e le figlie del popolo ebraico”. L'evento si svolgerà a quasi 24 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma, avvenuta il 13 aprile 1986. Ma con quale spirito la comunità ebraica della capitale vive questo appuntamento? Fabio Colagrande lo ha chiesto allo stesso rabbino Di Segni:


R. – Con la consapevolezza che si tratti di un avvenimento importante, di una tappa fondamentale nel dialogo, e con una grande attesa per tutto ciò che questo potrà significare in termini di prospettive del clima generale.

D. – Cosa ha rappresentato per i rapporti tra ebrei e cattolici la visita di Giovanni Paolo II del 13 aprile del 1986?

R. – Essenzialmente la caduta di un muro di diffidenza: ne abbiamo avuto proprio la sensazione palpabile nel corso degli anni.

D. – In qualche modo quindi leggete questa visita in continuità con quella?

R. – Sì, è un gesto di continuità, prima di tutto.

D. – Il Papa sarà in visita alla Sinagoga romana, in occasione della ricorrenza del Mo'ed di piombo. Che significato dà a questa coincidenza?

R. – Bisognerebbe spiegare che ricorrenza è: ci fu un assalto al ghetto nel 1793 da parte della plebaglia, chiamiamola così, che vedeva nella comunità ebraica la sostenitrice dei diritti promossi dalla Rivoluzione francese. Chiaramente la comunità ebraica non ne poteva più di stare chiusa nel ghetto sotto una politica restrittiva delle libertà e quindi simpatizzava per la Rivoluzione. Ci fu un assalto al ghetto. Si chiama di piombo, perché il cielo si colorò di un colorito plumbeo e cominciò un acquazzone che spense l’incendio che era stato appiccato alla Sinagoga e anche gli entusiasmi degli assalitori. Che significato ha? Chiaramente stiamo in una fase storica completamente differente, in cui è finito il ghetto con le repressioni della libertà e oggi dobbiamo guardare al rapporto tra ebraismo e cristianità in maniera completamente differente.

D. – La visita del prossimo 17 gennaio avverrà ad un anno di distanza dalla scelta dei rabbini italiani di non partecipare alla Giornata del dialogo ebraico-cristiano per la questione della preghiera del Venerdì Santo. Quella vicenda, rabbino Di Segni, è ormai chiusa?

R. – Diciamo che la vicenda è chiusa dal punto di vista diplomatico. Esiste ancora una preghiera che si chiama “De conversione iudeorum”. Quindi, era necessario avere dei chiarimenti, soprattutto a livello locale. Da quando il cardinale Bagnasco, nella sua qualità di presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato esplicitamente che la Chiesa cattolica non ha intenzioni “conversionistiche” nei confronti degli ebrei, noi possiamo affrontare serenamente il dialogo, perché l’intenzione “conversionistica” è francamente un muro che impedisce la comunicazione. A questo punto andiamo avanti, sperando che sul campo si realizzi quello che desideriamo per il bene di tutti quanti.

D. – A proposito di chiarimenti, rabbino Di Segni, pochi giorni fa lei ha manifestato il suo apprezzamento per le parole di padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, dopo la pubblicazione del Decreto sulle virtù eroiche di Pio XII. Che importanza ha avuto questo chiarimento?

R. – Il chiarimento di padre Lombardi, che penso sia importante e come tale debba essere riconosciuto e non minimizzato, ha avuto un senso nel cambiare un clima, nel senso che ha dato un segno della sensibilità vaticana alla reazione ebraica a questo Decreto.

D. – Quindi momenti di divergenze, di contrasto, nonostante i quali il dialogo può e deve continuare. Lei la pensa così?

R. – Sì, assolutamente, perché se noi ci fermiamo alle cose che ci dividono profondamente non andiamo da nessuna parte. Dovremmo pensare piuttosto alle cose che ci uniscono, lasciando le controversie ai tavoli di discussione, che non devono mancare, ma che devono essere fatte al tempo giusto e con la serenità dovuta. D’altra parte il dialogo significa anche discussione. La discussione è necessaria. Se ci sono due persone che la pensano allo stesso modo, uno dei due è inutile. Quindi, le divergenze sono importanti per andare avanti. Al di là di questo, però, bisogna lanciare dei messaggi di fratellanza, di impegno per tutti quanti. Il mondo ci sta guardando appunto per vedere se riusciamo a realizzare queste cose. E questa è la sfida, chiamiamola così, che si pone di fronte a noi, nella prospettiva di questa visita.

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Sulla preghiera del Venerdì, la Chiesa ha già dato e anche troppo, siamo noi adesso che aspettiamo che dal Talmud tolgono le infamie su Gesù e Maria.

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13/01/2010 19:35

Il cardinale Kasper sull'imminente visita del Pontefice alla Comunità ebraica di Roma

Nel segno della continuità e del dialogo


È continuità la parola-chiave della visita di Benedetto XVI, domenica 17 gennaio, alla Sinagoga di Roma. Lo ha spiegato stamane, mercoledì 13, durante un incontro con la stampa, il cardinale Walter Kasper, presidente dalla Commissione della Santa Sede per i Rapporti religiosi con l'ebraismo.
Rispondendo alle domande dei giornalisti presenti, il porporato ha parlato della "nuova atmosfera di dialogo" che si respira tra cattolici ed ebrei, sebbene non manchino "difficoltà e problemi". La visita del Pontefice - ha detto - "intende confermare come i rapporti tra le due parti siano cresciuti e maturati; per questo Benedetto XVI sottolineerà con il suo gesto soprattutto gli elementi che abbiamo in comune". Anzitutto la fede nell'unico Dio, che costituisce una sfida fondamentale nelle società attuali sempre più secolarizzate; ma anche l'aspirazione dei popoli alla pace, la tutela della vita e della famiglia, la giustizia sociale e l'educazione.
Il cardinale Kasper ha evidenziato come il dialogo tra cattolici ed ebrei, avviato dopo il concilio Vaticano ii, abbia inizialmente parlato soprattutto del passato; mentre negli ultimi dieci anni esso ha preso "una nuova direzione", che mette al centro della discussione "gli elementi comuni". Il porporato si è detto consapevole dei problemi che restano aperti "e che rimarranno tali fino all'ultimo giorno della storia", ma ha anche rimarcato la volontà di dialogare di entrambe le parti: un dialogo "che non è solo uno scambio intellettuale o un'operazione pratica". Al contrario esso impone una "testimonianza comune di amicizia nel rispetto reciproco delle differenze". Del resto, nella storia, gli influssi tra l'una e l'altra parte sono stati molto numerosi: non soltanto nella diffusione universale della fede nell'unico Dio, ma anche nella liturgia e nell'architettura sacra e, soprattutto, nello studio della Bibbia.
Infine il porporato ha sollecitato a non sovrapporre gli aspetti del dialogo politico - cui sono preposte istituzioni specifiche - con quello religioso, nel quale si inserisce a pieno titolo la visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma. Lo stesso Pontefice, in un telegramma indirizzato dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, in risposta ai suoi auguri natalizi, ha auspicato che l'imminente visita possa costituire "un'ulteriore tappa nell'irrevocabile cammino di concordia e amicizia" tra cattolici ed ebrei.
Secondo quanto reso noto dalla Sala Stampa della Santa Sede, il Papa arriverà al Ghetto domenica pomeriggio in automobile. Lo accoglieranno i presidenti della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna: e subito ci sarà un omaggio alle vittime della Shoah, con la deposizione di una corona floreale davanti alla lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943.
Quindi il Pontefice e le altre personalità si incammineranno per via Catalana, verso il Tempio Maggiore. Lungo il tragitto è prevista una breve sosta davanti alla targa posta a memoria dell'attentato del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita il piccolo Stefano Tachè, di appena due anni, e rimasero feriti 37 ebrei.
Ai piedi della scalinata centrale della sinagoga il Pontefice sarà accolto dal rabbino Di Segni, mentre una corale intonerà il salmo 126. Seguiranno i discorsi e lo scambio dei doni, mentre il coro intonerà l'inno Anì Maamin. Al termine il vescovo di Roma e il rabbino capo raggiungeranno una sala attigua al Tempio per un colloquio privato. Quindi, insieme, usciranno nel giardino della sinagoga, passando davanti all'ulivo piantato a ricordo della visita. Successivamente il Papa scenderà al Museo ebraico di Roma per l'inaugurazione della Mostra "Et ecce gaudium", che espone quattordici disegni preparati nel Settecento dalla Comunità ebraica in occasione dell'incoronazione di Pontefici dell'epoca. Infine, nella Sinagoga spagnola, Benedetto XVI incontrerà alcuni rappresentanti della Comunità ebraica, prima di rientrare in Vaticano.
La visita di Papa Ratzinger avviene ventiquattro anni dopo quella di Giovanni Paolo II, che il 13 aprile 1986 fu il primo successore di Pietro a incontrare gli ebrei a casa loro, proprio a Roma, dall'altra parte del Tevere. Per Benedetto XVI comunque sarà la terza visita a una sinagoga: la prima fu il 19 agosto 2005,
a Colonia in Germania, la seconda il 18 aprile 2008, alla Park East Synagogue di New York
, durante il viaggio negli Stati Uniti.
A far da corona alla visita del Papa, l'inizio dei lavori, sempre il 17 gennaio - per concludersi il 20 - della riunione annuale della Commissione mista tra Chiesa cattolica e esponenti del Gran Rabbinato di Israele; e, a livello italiano, la Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che riprende in questo 2010, dopo l'interruzione dello scorso anno.

(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2010)
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14/01/2010 17:29

Programma della visita del Papa alla Comunità ebraica di Roma


Previsto un omaggio alle vittime delle persecuzioni


di Anita S. Bourdin

ROMA, giovedì, 14 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Durante la sua visita, prevista per domenica 17 gennaio, alla grande Sinagoga di Roma per un incontro con la comunità ebraica, Benedetto XVI renderà omaggio alle vittime della persecuzione nazista deportate nell'ottobre 1943 e morte nella Shoah.

La retata venne ordinata dal comandante delle SS della Roma occupata, Herbert Kappler, su richiesta di Berlino. Più di mille ebrei romani vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento. Solo 16 persone, tra cui un'unica donna, tornarono dall'inferno.

Il Papa renderà anche omaggio alla memoria di un bambino morto durante l'attentato terroristico del 1982 contro la Sinagoga di Roma, attacco severamente condannato da Giovanni Paolo II il giorno dopo (il 10 ottobre) dopo l'Angelus.

Benedetto XVI inaugurerà anche un'esposizione che rimarrà aperta al pubblico fino al 31 marzo, intitolata "Et Ecce gaudium".

Si tratta di 14 stampe del XVIII secolo realizzate dalla comunità ebraica di Roma per l'incoronamento di diversi Papi: Clemente XII (1730), Clemente XIII (1758), Clemente XIV (1769) e Pio VI (1775). Le rappresentazioni sono state trovate negli archivi storici della Comunità ebraica di Roma.

La "Radio Vaticana" ha pubblicato il programma della visita del Pontefice alla Comunità ebraica:

Ore 16.15: partenza dal Vaticano


Ore 16.25: arrivo a Largo XVI Ottobre, al famoso Portico d'Ottavia, nel ghetto. Il Papa sarà accolto da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, e da Renzo Gattegna, presidente delle Comunità ebraiche d'Italia. E' previsto che deponga dei fiori davanti alla lapide che commemora la deportazione del 16 ottobre 1943.


Ore 16.30: il Papa si incamminerà per Via Catalana, verso la Sinagoga. Si fermerà davanti alla lapide che ricorda l'attentato del 9 ottobre 1982, sul luogo dove morì il piccolo Stefano Taché, di due anni. Più di 30 persone che uscivano in quel momento dalla Sinagoga rimasero ferite. Il Papa sarà ricevuto ai piedi della scalinata dal Gran Rabbino, Riccardo Di Segni. Durante l'ingresso nella Sinagoga, il coro canterà il Salmo 126. Il Pontefice attraverserà il corridoio centrale e si dirigerà verso la tribuna. Prima di salirvi, saluterà alcune autorità civili presenti. A destra siederanno i membri cattolici e quelli ebraici della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, a sinistra i membri del seguito papale. Il Papa e il Rabbino siederanno al centro.


Ore 17.00: accoglienza di Benedetto XVI con tre indirizzi di saluto: saluto del presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici; saluto del presidente delle Comunità ebraiche d'Italia, Renzo Gattegna;saluto del Gran Rabbino, Riccardo Di Segni. Il coro intonerà il salmo 133. Discorso del Papa. Scambio di doni. Il coro intonerà l'inno di professione della fede "Anì Maamin".


Ore 17.35 : conclusione dell'incontro ufficiale nella grande Sinagoga. Il Papa e il Gran Rabbino usciranno per incontrarsi in privato in una sala contigua alla Sinagoga. Il coro canterà durante l'uscita.


Ore 17.45: il Papa e il Gran Rabbino usciranno nel giardino della Sinagoga, passeranno davanti all'ulivo piantato per ricordare la visita e scenderanno nel Museo ebraico di Roma. Inaugurazione dell'esposizione "Et Ecce gaudium".


Ore 18.00: nella sinagoga spagnola (nel sottosuolo della grande Sinagoga) il Papa incontrerà alcuni rappresentanti della Comunità ebraica.


Ore 18.15: il Pontefice lascerà la Sinagoga, tornando in Vaticano verso le 18.30.

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Il Museo Ebraico di Roma, il primo ad essere visitato da un Papa
Presentata alla stampa la mostra "Et ecce gaudium", che si inaugurerà domenica

di Carmen Elena Villa

ROMA, giovedì, 14 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Domenica prossima, oltre alla Sinagoga di Roma, Benedetto XVI visiterà il Museo Ebraico. E' la prima volta nella storia della Chiesa che un Papa visita un museo ebraico.

Per l'occasione, l'istituzione ha organizzato la mostra “Et ecce gaudium”, sugli ebrei romani e la cerimonia di elezione dei Pontefici, che si aprirà domenica 17 gennaio durante la visita del Papa alla Comunità ebraica romana e rimarrà aperta fino all'11 marzo.

La mostra è stata presentata questo giovedì nel corso di una conferenza stampa realizzata nel Museo Ebraico di Roma.

L'esposizione contiene preziosi oggetti medievali con cui la comunità ebraica dava il benvenuto a un nuovo Pontefice, riconoscendolo come Vescovo della Città Eterna.

Durante il Medioevo, ogni Papa, dopo essere stato eletto, compiva una solenne cavalcata che andava dal Vaticano alla Basilica di San Giovanni in Laterano.

La Comunità ebraica era incaricata di decorare una parte del percorso della processione: dall'Arco di Tito al Colosseo. Gli ebrei lo adornavano con tappeti, tessuti preziosi che si realizzavano con un fondo di grandi tavole decorate con figure simboliche e pergamene su cui erano stati scritti alcuni motti e delle citazioni bibliche.

Sono questi gli oggetti che verranno esposti nel Museo attiguo alla Sinagoga di Roma per illustrare un capitolo importante delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Comunità ebraica.

Alcune pergamene sono ancora conservate. Si tratta di quelle che davano il benvenuto a Pontefici come Clemente XII (1730), Benedetto XIV (1740) Clemente XIII (1758), Clemente XIV (1769) e Pio VI (1755).

L'archivio della Comunità ebraica di Roma è stato dichiarato nel 1981 di “notevole interesse storico” da parte del Ministero italiano dei Beni Culturali e Ambientali. Conserva soprattutto documenti che vanno dall'inizio del XVI secolo agli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.

“Papa Benedetto XVI è il primo Pontefice a visitare un museo ebraico, così come il Museo Ebraico di Roma è il primo museo ebraico a essere visitato da un Papa. E' quindi un grandissimo onore per il nostro museo, e con questo si aprono per noi le celebrazioni del cinquantenario”, ha detto durante la conferenza stampa la direttrice dell'istituzione, Daniela Di Castro.

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Domenica 17 gennaio la visita di Papa Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma

La comune testimonianza del Dio unico


di Norbert Hofmann

Segretario della Commissione per i rapporti religiosi
con l'ebraismo del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell'Unità dei Cristiani


Nel pomeriggio di domenica 17 gennaio, Papa Benedetto XVI visiterà la comunità ebraica di Roma e in questo contesto il Tempio Maggiore, che si trova sul lungotevere, nelle immediate vicinanze del Vaticano. Per il Santo Padre si tratta dunque di un breve tragitto, dal centro della Chiesa cattolica universale al luogo sacro dell'ebraismo a Roma. Cristianesimo ed ebraismo in questa città vivono da sempre fianco a fianco. Hanno una lunga storia comune, fatta di momenti diversi:  sia periodi di pacifica fratellanza che periodi di tensione. Sin dal tempo dei Maccabei nel ii secolo prima dell'era cristiana, v'è la testimonianza di una comunità ebraica a Roma, riconducibile direttamente all'ebraismo del secondo tempio di Gerusalemme. L'odierna comunità ebraica può dunque essere fiera della sua venerabile storia e della sua tradizione religiosa preservata nel corso dei secoli.

Papa Benedetto XVI non è il primo Pontefice a visitare il Tempio Maggiore di Roma:  il primo a farlo è stato il suo predecessore, Papa Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986. Da Nostra aetate (n. 4) del concilio Vaticano II del 1965, che ha gettato le basi di un dialogo sistematico tra ebrei e cattolici da un punto di vista teologico e pratico, le relazioni tra le due comunità si sono man mano intensificate. Sebbene siano state soggette ad alti e bassi, esse sono oggi molto più resistenti che nel passato. Lo dimostra, per esempio, il "caso Williamson", che, a partire dal 24 gennaio 2009, ha messo alla prova i rapporti. Nel giro di alcune settimane, grazie agli sforzi compiuti da parte sia ebraica che cattolica, è stato possibile appianare la situazione. Il 12 febbraio 2009 il Papa ha ricevuto una delegazione composta dai presidenti delle principali organizzazioni ebraiche statunitensi. In tale occasione, egli ha ribadito con forza che il negazionismo e l'antisemitismo non hanno posto nella Chiesa cattolica; ha espresso la sua solidarietà al popolo ebraico e si è detto intenzionato a fare il possibile per promuovere le relazioni con l'ebraismo.

Al tempo stesso, il Papa annunciava ufficialmente il suo viaggio in Terra Santa, dall'8 al 15 maggio 2009. Uno degli scopi di tale pellegrinaggio è stato chiaramente quello di fornire un nuovo impulso al dialogo interreligioso tra le tre religioni monoteistiche. È stato alquanto significativo che, durante la sua permanenza in Israele, il Papa abbia visitato il memoriale di Yad-Wa-Shem per pregare per i sei milioni di ebrei, vittime innocenti della Shoah, e ricordare i loro nomi, "incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente". Il Santo Padre si è recato anche al Muro del Pianto, dove s'è fermato in silenziosa meditazione e ha riposto la sua preghiera in una fessura tra le pietre, come aveva fatto anche Papa Giovanni Paolo ii nel marzo del 2000. Il Santo Padre, inoltre, ha incontrato nel Centro Hechal Shlomo i due rabbini capo del Gran Rabbinato di Gerusalemme, Jonah Metzger e Shlomo Amar, come pure altri importanti rappresentanti dell'ebraismo israeliano e internazionale.

Il viaggio del Pontefice in quanto tale, i numerosi incontri con i partners ebrei di dialogo della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo della Santa Sede e le parole pronunciate esplicitamente dal Papa sull'irreversibilità degli sforzi compiuti finora per la promozione del dialogo hanno sicuramente contribuito a rafforzare le relazioni tra le nostre comunità.

Ricordiamo per inciso che Papa Benedetto XVI ha già visitato due altre sinagoghe:  il 19 agosto 2005 a Colonia, durante la Giornata mondiale della gioventù, e il 18 aprile 2008 a New York, in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti. Papa Benedetto XVI sarà dunque ricordato dalla storia anche come il Papa che ha visitato più sinagoghe. Egli ha dimostrato ripetutamente d'avere a cuore le relazioni tra ebrei e cattolici e soprattutto, come Papa tedesco, l'aspetto della riconciliazione, come ha sottolineato chiaramente nel discorso pronunciato il 28 maggio 2006 durante la sua visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Il fatto che Papa Benedetto XVI abbia scelto il 17 gennaio 2010 per incontrare la comunità ebraica di Roma è particolarmente simbolico. La Conferenza episcopale italiana festeggia dal 1990 una Giornata dell'ebraismo, che evidenzia l'unicità delle relazioni tra ebrei e cristiani, mette in risalto le radici ebraiche del cristianesimo e intende rafforzare i rapporti odierni tra ebraismo e Chiesa cattolica anche tramite azioni comuni. Questa Giornata è festeggiata il 17 gennaio, ovvero un giorno prima dell'inizio della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (18-25 gennaio). In questo contesto, ricordiamo che il 2010 segna un piccolo giubileo:  i vent'anni della Giornata dell'ebraismo nella Chiesa italiana. Anche altri Paesi hanno introdotto una simile iniziativa:  l'Austria, la Polonia e i Paesi Bassi.

La decisione del Santo Padre d'effettuare quest'anno la visita alla Sinagoga di Roma, in occasione del ventesimo anniversario dell'introduzione della Giornata dell'ebraismo, dimostra chiaramente il desiderio di riconciliazione del Pontefice e il coraggio, donatogli da Dio, di ricominciare e andare oltre ogni possibile tensione. Il Papa va incontro agli ebrei, esprimendo la sua solidarietà al popolo che Dio ha scelto affinché sia luce per tutti i popoli.

Tutti questi incontri s'iscrivono nel contesto dei dialoghi sia internazionali che con il Gran Rabbinato d'Israele, dialoghi che hanno portato nel frattempo molti buoni frutti. Malgrado le differenze che rimarranno, abbiamo più profondamente riscoperto la nostra eredità comune e siamo fermamente decisi a dare insieme testimonianza del Dio unico e dei suoi comandamenti, fondamentali per la società e la civiltà odierna.



(©L'Osservatore Romano - 16 gennaio 2010)
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Benedetto XVI incontra la comunità ebraica di Roma

Una visita storica

(ma anche normale)


Anticipiamo l'articolo che il nostro direttore ha scritto per il numero in uscita della rivista bimestrale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore "Vita e Pensiero". Una sintesi del testo è stata pubblicata nel numero di gennaio di "Pagine ebraiche", il mensile dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

La visita di Benedetto XVI agli ebrei di Roma è un gesto importante perché conferma ancora una volta l'apertura e l'amicizia della Chiesa cattolica per il popolo ebraico. Che Papa Ratzinger torna ad abbracciare idealmente visitando i luoghi più significativi - l'antico ghetto e la grande sinagoga - della più antica comunità della diaspora occidentale. Un insediamento di molto precedente l'arrivo nella città imperiale dei primi seguaci di Gesù, i quali vi giunsero negli anni quaranta del primo secolo. 

Iniziava così - circa un quindicennio prima che Paolo descrivesse nella lettera ai cristiani di Roma il rapporto misterioso tra i due popoli - una storia di contiguità e vicinanza ma anche di concorrenza e contrasti, segnata da litigi e amicizie, curiosità e sofferenze, attrazioni reciproche e reciproche ignoranze. Come sembra attestare già Svetonio a proposito dell'espulsione dei giudei dalla città a causa di disordini originati appunto dall'annuncio di Cristo (impulsore Chresto). E come del resto avviene normalmente tra chi appartiene alla stessa famiglia, e persino tra fratelli, quali sono ebrei e cristiani; lo vogliano riconoscere oppure no.

Nonostante atteggiamenti ruvidi da entrambe le parti, nonostante l'antigiudaismo cristiano, peraltro radicalmente diverso dall'antisemitismo pagano del mondo antico e da quello dell'età moderna e contemporanea, sfociato nella tragedia della Shoah. Alla quale la Chiesa cattolica di Pio xii oppose, come poté, la silenziosa - e talvolta eroica - resistenza della carità, salvatrice di moltissime vite umane. E alle vittime della tremenda persecuzione Benedetto XVI renderà omaggio nel ghetto di Roma, come già più volte inequivocabilmente ha fatto, in particolare ad Auschwitz e più volte in Israele.

Pochi sono i cattolici del Novecento che hanno fatto tanto quanto Joseph Ratzinger - come teologo, come vescovo, come responsabile dell'organismo custode della dottrina cattolica e ora come Papa - per avvicinare ebrei e cristiani. A ricordarlo è stato, quasi con indignazione, lo stesso Benedetto XVI nella sua lettera ai vescovi cattolici dopo la revoca della scomunica a quelli lefebvriani, ritortagli contro da interessate strumentalizzazioni:  "Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario:  un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico".

Le radici di questa scelta di Ratzinger affondano negli anni della guerra, nella sua avversione all'ideologia pagana del nazionalsocialismo e nella formazione giovanile. Significativi sono in proposito i ricordi - nel profilo autobiografico pubblicato nel 1997 e relativo al periodo precedente l'episcopato - del tempo trascorso nel seminario di Frisinga subito dopo il conflitto:  "Nessuno dubitava che la Chiesa fosse il luogo delle nostre speranze. Malgrado le molte debolezze umane, essa era stata il polo di opposizione all'ideologia distruttiva della dittatura nazista; essa era rimasta in piedi nell'Inferno, che pure aveva ingoiato i potenti, grazie alla sua forza, proveniente dall'eternità. Noi avevamo la prova:  le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Sapevamo, per esperienza diretta, che cosa erano "le porte degli inferi" - e potevamo anche vedere con i nostri occhi che la casa costruita sulla roccia si era mantenuta salda".

Nella comprensione dell'ebraismo, importante per il giovane seminarista fu soprattutto, a Monaco, l'insegnamento del biblista Friedrich Stummer, come sottolinea Ratzinger in un passo che per il suo interesse, non soltanto storico, conviene citare per esteso:  "In questo modo l'Antico Testamento è divenuto importante per me e ho capito sempre di più che il Nuovo Testamento - sottolinea - non è il libro di un'altra religione, che si è appropriata delle Sacre Scritture degli Ebrei, quasi si trattasse di una sorta di preliminare tutto sommato secondario. Il Nuovo Testamento non è altro che un'interpretazione a partire dalla storia di Gesù di "legge, profeti e scritti", che al tempo di Gesù non erano ancora giunti alla loro forma matura di canone definitivo, ma erano ancora aperti e si presentavano quindi ai discepoli come testimonianza a favore di Gesù stesso, come Sacre Scritture che rivelavano il suo mistero".

E continua:  "Ho capito sempre di più che il giudaismo (che in senso stretto comincia con la conclusione del processo di formazione del canone scritturistico e, dunque, nel primo secolo dopo Cristo) e la fede cristiana, così come è descritta nel Nuovo Testamento, sono due modi di far proprie le Sacre Scritture di Israele, che in definitiva dipendono dalla posizione assunta nei confronti della figura di Gesù di Nazaret. La Scrittura, che noi oggi chiamiamo Antico Testamento, è di per sé aperta ad ambedue le strade. Solo dopo la seconda guerra mondiale - riconosce Ratzinger - abbiamo comunque cominciato davvero a capire che anche l'interpretazione ebraica possiede una sua specifica missione teologica nel tempo "dopo Cristo"".

Questa convinzione storica e teologica è stata poi approfondita nel corso dei decenni e ha portato il cardinale Ratzinger all'introduzione che nel 2001 ha voluto premettere all'innovativo testo della Pontificia commissione biblica su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana e alla stesura, iniziata nel 2003 e ormai in via di completamento, del Gesù di Nazaret, dove i riferimenti all'ebraismo sono continui e fondamentali. Nella breve introduzione al documento il porporato tedesco (allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e della stessa commissione), dopo averne ripreso l'affermazione che "senza l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi" (n. 84), sottolineava che "l'ermeneutica cristiana dell'Antico Testamento, che senza dubbio è profondamente diversa da quella del giudaismo, "corrisponde tuttavia ad una potenzialità di senso effettivamente presente nei testi" (n. 64). È questo un risultato, che mi sembra essere di grande importanza - aggiungeva Ratzinger - per la continuazione del dialogo, ma soprattutto anche per i fondamenti della fede cristiana".

Chiamato alla successione di Giovanni Paolo ii, esattamente un mese dopo la sua elezione Benedetto XVI ha dichiarato di considerare provvidenziale il fatto che sulla sede romana a un pontefice polacco sia succeduto un tedesco, quasi a chiudere simbolicamente gli orrori della seconda guerra mondiale. Nella continuità della ricerca di riconciliazione e amicizia con i "fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati - ha detto durante la messa inaugurale del pontificato - da un grande patrimonio spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di Dio". Un cammino che è cominciato nella Galilea e nella Giudea al tempo del dominio romano e ha attraversato quasi venti secoli. Facendosi più largo e piano nella seconda metà del Novecento. Grazie a molti uomini e donne di buona volontà, tra i quali spiccano senza dubbio i successori del pescatore galileo. È su questo sfondo che va letta la visita di Papa Ratzinger alla comunità ebraica di Roma. Che arriva dopo numerosi incontri con esponenti dell'ebraismo mondiale, e in particolare dopo le visite alle sinagoghe di Colonia e di New York e il viaggio in Israele durante il pellegrinaggio in Terra Santa. E che è dunque una visita storica, ma anche normale.


(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2010)
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PAPA: SONO SFUGGITO A PERICOLI GUERRA E DOMINIO NAZISTA

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 16 gen.

Alla vigilia della sua visita alla Sinagoga di Roma, Benedetto XVI ha rievocato gli anni della formazione in seminario dopo il nazismo, confidando l'emozione con la quale nel 1945 ha sperimentato che Cristo e' ''piu' forte di ogni tirannide'', capace di rendere i sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale che lo riscoprivano ''uomini nuovi'' in un mondo che rinasceva dalle sue macerie storiche e spirituali.
Con parole dense di commozione il Papa ha ripercorso infatti oggi gli anni della sua giovinezza, culminata con l'ordinazione sacerdotale, al cospetto della delegazione della citta' tedesca di Frisinga, giunta in Vaticano per conferire al Papa la cittadinanza onoraria. Insieme con Monaco, Frisinga compone il territorio dell'arcidiocesi bavarese che l'allora cardinale Joseph Ratzinger guido' dal 1977 al 1982, prima di essere chiamato a Roma da Giovanni Paolo II a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Accantonato il discorso che gli era stato preparato, il Papa tedesco si e' lasciato trasportare oggi dai ricordi di quei luoghi che compongono la sua ''geografia del cuore''.
In questo panorama interiore, ha confidato alla delegazione che lo ha ''commosso'' concedendogli la cittadinanza onoraria, ''la citta' di Frisinga svolge un ruolo molto particolare. Qui ho ricevuto la formazione che ha determinato la mia vita e per questo la citta' e' sempre presente in me ed io in lei''. Un legame testimoniato dalla presenza dei simboli del Moro di Frisinga e dell'orso di San Corbiniano dapprima nello stemma episcopale e poi in quello pontificio di Benedetto XVI.
Tra le tante immagini risvegliate dai ricordi, il Pontefice ha rievocato un momento a meta' degli anni Quaranta del '900, nel primo - drammatico - dopoguerra tedesco. Il 3 febbraio 1946, dopo una lunga attesa, ''il seminario di Frisinga pote' riaprire le porte ai reduci; era pur sempre un lazzaretto per i prigionieri di guerra, ma noi - ha raccontato - potemmo riprendere gli studi e fu un momento significativo nella nostra vita: avere finalmente iniziato il percorso per il quale ci sentivamo chiamati.
Visto dal punto di vista di oggi, abbiamo vissuto in modo molto 'spartano' e senza 'comfort': riposavamo nei dormitori, studiavamo nelle sale da studio, ma eravamo felici, non solo perche' eravamo sfuggiti alle miserie e ai pericoli della guerra e del dominio nazista, ma perche' ormai eravamo liberi. E soprattutto, perche' stavamo preparandoci alla nostra vocazione''.
Sapevamo, ha proseguito a braccio il Papa sul filo della memoria, ''che Cristo e' piu' forte della tirannide, della forza della sua ideologia e dei suoi meccanismi di oppressione''. ''Sapevamo che il tempo e il futuro - ha continuato il Pontefice appartengono a Cristo; sapevamo che lui ci aveva chiamati e sapevamo che lui aveva bisogno di noi, che c'era bisogno di noi. E sapevamo che gli uomini di questo tempo nuovo aspettavano noi, aspettavano sacerdoti che venivano con un nuovo slancio della fede per costruire la casa viva di Dio''.
Ricordando gli insegnanti del suo vecchio Liceo - che lo vide prima studente e poi docente - Benedetto XVI ha detto: ''Non erano solo 'professori', ma soprattutto 'maestri''', che non ''si limitavano ad offrire le primizie della loro specializzazione'', ma il cui ''scopo principale'' era quello di radicare la fede negli studenti rendendoli capaci di ''tramandarla in un'epoca nuova con nuove sfide''.
Certezze intime che si riannodano all'intimita' spirituale piu' personale per un sacerdote, quella del giorno della sua ordinazione.
Di quel 29 giugno 1951, Benedetto XVI ha rievocato l'immagine di se stesso, sdraiato sul pavimento davanti all'altare, mentre vengono intonate le litanie dei Santi: ''Quando sei li', supino, sei consapevole una volta di piu' della tua miseria e ti chiedi: ma sarai poi veramente capace di tutto cio'?
Poi, l'imposizione delle mani e' stata profonda e significativa, per noi tutti''. ''Avevamo - ha confidato il Pontefice - la consapevolezza che fosse il Signore stesso ad imporre le sue mani su di me a dire: tu appartieni a me, non appartieni piu' semplicemente a te stesso: io voglio te! Tu sei al mio servizio''. Una nuova dissolvenza e i ricordi del Papa hanno toccato i ''tre anni indimenticabili'' assieme ai genitori trascorsi nel Lerchenfeldhof, il ''casale delle allodole'', che, ha ammesso, ''hanno fatto si' che sentissi Frisinga veramente come 'casa mia''', immerso nella rigogliosa natura circostante. Poi, ancora, le torri della citta' che svettano dal Domberg, la collina sulla quale sorge il Duomo. Quelle torri non lontane dall'aeroporto di Monaco, ''indicano - ha suggerito Benedetto XVI - un'altitudine diversa da quella alla quale possiamo assurgere con l'aereo: indicano l'altitudine vera, quella di Dio, dalla quale proviene l'amore che ci fa diventare uomini, che ci dona il vero 'essere umani'''.
Il Duomo indica pure ''la via'' e ''l'ampiezza'' della vita divina, perche' oltre a custodire ''secoli di fede e di preghiera'', in esso e' presente ''tutta la comunione dei Santi, di tutti coloro che prima di noi hanno creduto, pregato, sofferto e gioito''.
Un'ampiezza, ha concluso il Papa, ''che va al di la' della globalizzazione, perche' nella differenza e nella contrapposizione delle culture e delle origini dona la forza dell'unita' interiore, ci dona quello che ci puo' unire: la forza unificante dell'essere amati da Dio stesso''.

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17/01/2010 10:44

Dal card. Bertone al patriarca Twal, tutti gli uomini di Ratzinger al Tempio

Città del Vaticano - (Adnkronos)

E' molto nutrita la delegazione che accompagnerà il Papa nella sua visita alla Sinagoga di Roma. Ricca anche la componente ebraica.

Città del Vaticano, 17 gen. (Adnkronos)

Sarà molto nutrita la delegazione vaticana e cattolica che accompagnerà il Papa nella sua visita alla Sinagoga di Roma. Con Benedetto XVI saranno infatti il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, e il sostituto per gli affari interni, mons. Fernando Filoni.
Poi naturalmente il Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani al gran completo, dal presidente del dicastero cardinale Water Kasper al responsabile dei rapporti con l'ebraismo, padre Norbert Hoffman, al segretario del Pontificio consiglio, Brian Farrell. Poi il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, mons. Rino Fisichella, quindi il presidente della Cei, Angelo Bagnasco.
Sarà presente anche l'arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, e il responsabile dei rapporti con l'ebraismo della Chiesa francese, padre Patrick Desbois. Ma dato che a partire da domani si celebra il 9° incontro ebraico-cattolico internazionale, saranno con il Pontefice anche il Patriarca di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, il nunzio apostolico a Gerusalemme, mons. Antonio Franco, mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vescovo ausiliare del patriarcato di Gerusalemme, il teologo mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti, il cardinale Jorge Mejia, mons. Elias Chacour, arcivescovo di Akka, mons. Pier Francesco Fumagalli, della Biblioteca ambrosiana.
Ricca, per lo stesso motivo - il meeting interreligioso - anche la componente ebraica che, oltre al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, al presidente della Comunità Riccardo Pacifici e al presidente delle comunità italiane Renzo Gattegna, vede una nutrita partecipazione da Israele e Stati Uniti. Fra questi il rabbino David Rosen, dell'American Jewish Committee; poi il rabbino capo di Haifa, Shear Yashun Cohen. Quindi ci sarà Oded Wiener, segretario generale del Gran rabbinato di Israele, Josef Levi, rabbino capo di Firenze e con loro altre personalità del mondo ebraico; David Brodman, rabbino capo di Savyon, Ratson Arussi, rabbino capo di Kyriat Ono e Daniel Sperbar, presidente dell'istituto di studi sulla Torah dell'università di Bar-Ilan.

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17/01/2010 10:45

Benedetto XVI in sinagoga

«Ebrei, cambiamo giudizi sui cristiani»


La rivista Azure da Gerusalemme: «Ratzinger è il miglior amico del popolo ebraico nella Chiesa»

Domenica 17 gennaio Benedetto XVI si recherà nella sinagoga di Roma. Una visita che avviene su invito della comunità ebraica della capitale al pontefice e che non ha mancato di causare polemiche e discussioni sia nell’opinione pubblica che all’interno dello stesso mondo ebraico.
Da Israele arriva al contempo un intervento molto interessante che chiede all’insieme dell’ebraismo di «fare i conti con il cristianesimo»
In un editoriale del direttore Assaf Sagiv Azure, sontuosa rivista dello Shalem Centre («Idee per una nazione ebraica» il sottotitolo del trimestrale di questo centro studi di Gerusalemme), si leggono parole che, in questi giorni di polemiche, risultano particolarmente importanti proprio perché provengono da un contesto spiccatamente ebraico.

«Benedetto XVI è attualmente uno dei migliori amici che il popolo ebraico abbia mai avuto in Vaticano» sentenzia Sagiv nell’ultimo numero della rivista.

Ma Azure si spinge oltre e chiama a un esame di coscienza il mondo ebraico a livello interreligioso: «Mentre i leader cattolici nei tempi recenti hanno ripetutamente espresso sofferenza e anche rimorso per centinaia di anni di antisemitismo, il mondo ebraico non ha mostrato una pari volontà di riconsiderare la propria percezione del cristianesimo».
E Sagiv rincara la dose: «Oggi le circostanze richiedono che tutte le religioni riesaminino il loro tradizionale atteggiamento le une verso le altre. Il cristianesimo, in tutte le sue varie denominazioni, ha in generale colto questa occasione. L’ebraismo, da parte sua, non ha fatto ciò».

Qui puoi consultare integralmente l'articolo di Azure.
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«Vi spiego perché oggi si fa la Storia»

di Andrea Tornielli

Parla David-Maria A. Jaeger, uomo chiave del dialogo tra Vaticano ed ebrei: «È un giorno fondamentale per i rapporti tra Israele e Santa Sede. Le incomprensioni sono più mediatiche che reali». Su Pio XII: «Un cristiano dai meriti eccezionali»

Roma
Padre David-Maria A. Jaeger, francescano, israeliano, è un docente di diritto canonico, specializzatosi nei rapporti tra Chiesa e Stato in Israele, di cui si occupa da oltre trent’anni. Collabora con la rivista La Terra Santa ed è un esperto nel dialogo tra il Vaticano e Israele. Il Giornale lo ha intervistato alla vigilia della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma.

Perché è importante e che cosa ci si può aspettare dalla visita del Papa in Sinagoga?

«Personalmente penso che lo sia soprattutto per i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Israele. In fondo è soprattutto in Israele che il Popolo Ebraico vive e si esprime pienamente. Spero che la riconferma della singolare fratellanza che lega la Chiesa al Popolo Ebraico abbia sempre maggior risonanza nel rapporto Chiesa-Stato in Israele. Ci sono ancora numerose questioni che attendono di essere regolate da accordi che facilitino il rapporto Chiesa-Stato, in Israele. Così, per esempio, l’assistenza religiosa ai carcerati, ai militari, ai degenti negli ospedali, ma anche il rilascio dei permessi di soggiorno per il personale ecclesiastico proveniente da altri Paesi».

Di recente si sono verificati alcuni incidenti di percorso nel dialogo. Sono superati?

«Nel contesto attuale degli ottimi rapporti di amicizia che ci sono tra i cattolici e gli ebrei, questi “incidenti di percorso” sono più mediatici che reali. È certo che come accade in un rapporto tra due, una parte può non percepire sempre perfettamente tutte le sensibilità dell’altra, ma questo vale in entrambe le direzioni.
Penso ad esempio all’offesa recata senza volere ai cattolici di tutto il mondo dalla didascalia calunniosa sotto la foto di un grande Papa, esposta in un significativo museo ebraico di Gerusalemme. L’importante è essere sempre consapevoli che l’altra parte è veramente amica, che ti vuol bene e che perciò non avrebbe mai fatto nulla per addolorarti. E allora ci si parla serenamente e tutto si chiarisce e si risolve».

Come guarda a questo pontificato il mondo ebraico?

«Lo conosce poco. Infatti un compito urgente del dialogo sarebbe proprio quello di ottenere una migliore conoscenza della Chiesa e della sua fede da parte del mondo ebraico. Negli ultimi decenni la Chiesa giustamente ha fatto e fa moltissimo per diffondere tra i cattolici una miglior conoscenza degli ebrei e dell’ebraismo - ma a molti sembra che uno sforzo analogo sia ancora da intraprendere da parte ebraica, soprattutto in Israele».

La comunità ebraica ha criticato il via libera alla beatificazione di Pio XII. Lei, da cattolico membro del Popolo Ebraico, come giudica la sua figura?

«Il giudizio è già stato emesso da Benedetto XVI: è stato un cristiano dai meriti del tutto eccezionali, che ha esercitato le virtù umane e cristiane in grado davvero eroico. Questo giudizio non impedisce una discussione serena e rispettosa su qualche scelta operativa del pontificato. Il punto non è se una determinata scelta prudenziale si sia rivelata, a posteriori e secondo qualcuno, la migliore che si potesse fare, ma se la scelta fatta sia comunque stata motivata da un animo generoso e retto, fatta con coraggio e bontà, come lo sono sempre state le scelte di Pio XII, specie durante la guerra e in relazione all’immane tragedia della Shoah. Era, in fondo, la scelta coerente e costante di salvare tutte le vite ebraiche che poteva, e ne ha salvato davvero numerose, evitando mere dichiarazioni che, a suo prudente giudizio, avrebbero sicuramente limitato di molto - e forse tolto del tutto - la possibilità di questo aiuto concreto e che avrebbero finito con l’aggiungere sofferenza su sofferenza».

Lei ritiene che l'antigiudaismo cattolico esista ancora?

«Pur cattolico per tutta la mia vita da adulto - ho 55 anni e ne avevo 18 al tempo del battesimo - non me ne sono mai accorto, non ne ho mai visto alcun esempio».

Quali sono i campi per l’impegno comune di ebrei e cristiani?

«L’individuazione di questi campi risulta dalla lettura del comune patrimonio delle Scritture Ebraiche, nel contesto delle sfide attuali. Si può pensare alla tutela della sacralità e inviolabilità della vita umana, dal concepimento alla morte naturale; alla salvaguardia del creato; alla solidarietà che nasce dal riconoscimento dell’unità del genere umano; alla giustizia - si pensi, per esempio, alle nuove forme di sfruttamento del lavoro, ma anche all’esigenza di libertà per i singoli e per i popoli; all’intero arco dei diritti umani, radicati nella rivelazione biblica, e soprattutto al diritto alla libertà da ogni coercizione sociale e civile in materia di coscienza e di religione».

© Copyright Il Giornale, 17 gennaio 2010 consultabile online anche
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VISITA DEL PONTEFICE BENEDETTO XVI ALLA COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA , 17.01.2010

Nel pomeriggio di oggi, 17 gennaio 2010 - 2 shevat 5770, il Pontefice Benedetto XVI si è recato in Visita alla Comunità Ebraica di Roma.

Alle ore 16.25 il Pontefice è arrivato a Largo XVI ottobre al Portico di Ottavia ed è stato accolto da Riccardo Pacifici, Presidente della Comunità ebraica di Roma e da Renzo Gattegna, Presidente delle Comunità ebraiche italiane. Davanti la lapide che ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943 è stata deposta una corona floreale in omaggio alle vittime della Shoah. Percorrendo Via Catalana verso la Sinagoga, il Vescovo di Roma ha compiuto una breve sosta davanti alla lapide che ricorda l’attentato del 9 ottobre 1982, in cui perse la vita un bambino ebreo di due anni e rimasero ferite decine di persone che uscivano dal Tempio dopo la preghiera.
Accolto ai piedi della scalinata centrale della Sinagoga dal Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, il Pontefice ha quindi fatto il suo ingresso nel Tempio. Nel corso della visita, dopo i saluti del Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, del Presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna e del Rabbino Capo, Riccardo Di Segni, il Vescovo di Roma ha pronunciato un discorso, al termine del quale è avvenuto lo scambio dei doni. L’incontro ufficiale nella Sinagoga si è concluso con il canto dell’Inno "Anì Maamin".
Il Pontefice e il Rabbino Capo hanno raggiunto quindi la Sala attigua alla Sinagoga per un breve colloquio privato. Insieme poi, il Pontefice e il Rabbino Capo sono usciti nel giardino del Tempio, passando davanti all’ulivo che è stato piantato a ricordo della visita e sono scesi nel Museo ebraico di Roma per l’inaugurazione della Mostra "Et ecce gaudium" che espone 14 disegni preparati nel 700 dalla Comunità ebraica per l’incoronazione dei Sommi Pontefici. Infine, nella Sinagoga Spagnola posta nei sotterranei del Tempio maggiore, il Pontefice ha incontrato alcuni Rappresentanti della Comunità ebraica.
Il Pontefice ha lasciato quindi la Sinagoga per far rientro in Vaticano.
Pubblichiamo di seguito il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato nella Sinagoga di Roma nel corso della visita alla Comunità ebraica:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

“Il Signore ha fatto grandi cose per loro”
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia” (Sal 126)
“Ecco, com’è bello e com’è dolce
che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133)

Signor Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma,
Signor Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
Signor Presidente della Comunità Ebraica di Roma
Signori Rabbini,
Distinte Autorità,
Cari amici e fratelli
,

1. All’inizio dell’incontro nel Tempio Maggiore degli Ebrei di Roma, i Salmi che abbiamo ascoltato ci suggeriscono l’atteggiamento spirituale più autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia: la lode al Signore, che ha fatto grandi cose per noi, ci ha qui raccolti con il suo Hèsed, l’amore misericordioso, e il ringraziamento per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono e continuare a percorrere la strada della riconciliazione e della fraternità. Desidero esprimere innanzitutto viva gratitudine a Lei, Rabbino Capo, Dottor Riccardo Di Segni, per l’invito rivoltomi e per le significative parole che mi ha indirizzato. Ringrazio poi i Presidenti dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Avvocato Renzo Gattegna, e della Comunità Ebraica di Roma, Signor Riccardo Pacifici, per le espressioni cortesi che hanno voluto rivolgermi. Il mio pensiero va alle Autorità e a tutti i presenti e si estende, in modo particolare, alla Comunità ebraica romana e a quanti hanno collaborato per rendere possibile il momento di incontro e di amicizia, che stiamo vivendo.

Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo. Con sentimenti di viva cordialità mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo.

2. La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell’anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione Nostra Aetate, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York.

Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l’accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza”.

3. Il passare del tempo ci permette di riconoscere nel ventesimo secolo un’epoca davvero tragica per l’umanità: guerre sanguinose che hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima; ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad uccidere il fratello. Il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo. Come dissi nella visita del 28 maggio 2006 al campo di concentramento di Auschwitz, ancora profondamente impressa nella mia memoria, “i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità” e, in fondo, “con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno” (Discorso al campo di Auschwitz-Birkenau: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 1[2006], p. 727).

In questo luogo, come non ricordare gli Ebrei romani che vennero strappati da queste case, davanti a questi muri, e con orrendo strazio vennero uccisi ad Auschwitz? Come è possibile dimenticare i loro volti, i loro nomi, le lacrime, la disperazione di uomini, donne e bambini? Lo sterminio del popolo dell’Alleanza di Mosè, prima annunciato, poi sistematicamente programmato e realizzato nell’Europa sotto il dominio nazista, raggiunse in quel giorno tragicamente anche Roma. Purtroppo, molti rimasero indifferenti, ma molti, anche fra i Cattolici italiani, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne. Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta. La memoria di questi avvenimenti deve spingerci a rafforzare i legami che ci uniscono perché crescano sempre di più la comprensione, il rispetto e l’accoglienza.

4. La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia – in ebraico Sifre Qodesh o “Libri di Santità” – il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 839). “A differenza delle altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono ‘l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne’ (Rm 9,4-5) perché ‘i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!’ (Rm 11,29)” (Ibid.).

5. Numerose possono essere le implicazioni che derivano dalla comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti. Vorrei ricordarne alcune: innanzitutto, la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraico “a livello della loro stessa identità” spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di promuovere “un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento” (cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001, pp. 12 e 55); la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità; l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella “cura del creato” affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente (cfr Gen 2,15).

6. In particolare il Decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (cfr Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizia e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e il male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona umana. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17). In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza. Vorrei ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.

Le “Dieci Parole” chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire assieme.

Le “Dieci Parole” chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo “shalom” auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele.

Le “Dieci Parole” chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il “sì” personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano.

7. Come insegna Mosè nello Shemà (cfr. Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (cfr. Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumono nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi. Nella tradizione ebraica c’è un mirabile detto dei Padri d’Israele: “Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Aboth 1,2). Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza.

8. In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant’anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d’Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero. Proprio domani la Commissione Mista terrà qui a Roma il suo IX incontro su “L’insegnamento cattolico ed ebraico sul creato e l’ambiente”; auguriamo loro un proficuo dialogo su un tema tanto importante e attuale.

9. Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso.

10. Infine un pensiero particolare per questa nostra Città di Roma, dove, da circa due millenni, convivono, come disse il Papa Giovanni Paolo II, la Comunità cattolica con il suo Vescovo e la Comunità ebraica con il suo Rabbino Capo; questo vivere assieme possa essere animato da un crescente amore fraterno, che si esprima anche in una cooperazione sempre più stretta per offrire un valido contributo nella soluzione dei problemi e delle difficoltà da affrontare.

Invoco dal Signore il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa. Nel mio pellegrinaggio del maggio scorso, a Gerusalemme, presso il Muro del Tempio, ho chiesto a Colui che può tutto: “manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione” (Preghiera al Muro Occidentale di Gerusalemme, 12 maggio 2009).
Nuovamente elevo a Lui il ringraziamento e la lode per questo nostro incontro, chiedendo che Egli rafforzi la nostra fraternità e renda più salda la nostra intesa.

[“Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode,
perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre”.
Alleluia” (Sal 117)]

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17/01/2010 19:27

Il Papa in Sinagoga: "Sia sanata per sempre la piaga dell'antisemitismo"

Città del Vaticano

Papa Benedetto XVI è arrivato, poco prima delle 16.30, al Ghetto di Roma dove, da Largo XVI Ottobre, si è diretto a piedi verso la Sinagoga. All'arrivo della sua vettura al Portico d'Ottavia è stato accolto dal presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, e dal presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. E' la terza visita di Ratzinger ad una Sinagoga, dopo Colonia (agosto 2005) e New York (aprile 2008). La visita avviene a 24 anni dal memorabile ingresso di Giovanni Paolo II nella Sinagoga romana,il 13 aprile del 1986. Wojtyla fu il primo pontefice romano ad entrare in un tempio ebraico dopo San Pietro.

Omaggio alla lapide della deportazione

Prima di entrare in Sinagoga, ha sostato davanti alla lapide che ricorda la tragica deportazione del Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, quando 1.021 ebrei romani furono mandati dai nazisti verso i campi di sterminio, da dove solo 17 tornarono vivi. Il papa tedesco ha deposto una corona di fiori, in un gesto altamente simbolico, perché proprio sul silenzio di Pio XII di fronte a quell'evento si sono appuntate molte delle critiche del mondo ebraico sulla figura di Pacelli. Ad accogliere il papa subito dopo è stato il direttore del Museo della Shoah di Roma, Marcello Pezzetti, che si è rivolto al pontefice in tedesco. Durante il percorso a piedi per raggiungere la sinagoga ha stretto le mani e scambiato poche parole con i sopravvissuti dell'attentato del 9 ottobre 1982 in cui morì il piccolo Stefano Taché, un bambino ebreo di due anni, e rimasero ferite altre 37 persone che uscivano dal Tempio. Tra questi, un signore anziano che ha ricordato al papa di aver conosciuto in passato il suo predecessore Giovanni Paolo II. Subito dopo il papa è entrato in sinagoga accolto dagli applausi. Benedetto XVI è stato accolto ai piedi del Tempio dal rabbino capo Riccardo Di Segni. Il Papa, prima di entrare nel tempio, ha incontrato e salutato l'ex rabbino capo della capitale, Elio Toaff. I due si sono intrattenuti per un breve scambio di parole, visibilmente emozionati

Lunghissimo applauso

Un lunghissimo applauso, con tutti i presenti che si sono alzati in piedi, ha seguito il "saluto grato di benvenuto" al papa espresso da Di Segni, all'inizio del suo intervento nella sinagoga della Capitale. Di Segni ha ringraziato Benedetto XVI "per il gesto che compie oggi visitando il luogo più importante di preghiera della nostra Comunità ".

Pacifici: certi stati vogliono la fine di Israele

Certi Stati sovrani "sostengono il fondamentalismo religioso" e "programmano la distruzione dello Stato d'Israele e il conseguente sterminio degli ebrei". E' la preoccupazione espressa da Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, nel suo saluto a Benedetto XVI. "Uomini e donne - ha detto - animati dall'odio e guidati e finanziati da organizzazioni terroristiche cercano il nostro annientamento non solo culturale ma anche fisico. Questo fanatismo religioso è sostenuto anche da Stati sovrani". "Tra questi Stati - ha aggiunto Pacifici - ci sono coloro che sviluppano la tecnologia nucleare a scopi militari programmando la distruzione dello Stato d'Israele e il conseguente sterminio degli ebrei, con l'intento ultimo di ricattare il mondo libero". "Per questo - ha concluso il presidente della Comunità ebraica -, dobbiamo solidarizzare con le forze che nell'Islam interpretano il Corano come fonte di solidarietà e fraternità umana, nel rispetto della sacralità della vita. In questa Sinagoga, sono presenti oggi alcuni di questi leader musulmani e con calore e affetto sento di dar loro il benvenuto".

"Shoa, il silenzio di Pio XII atto mancato"

"Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso, un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz". E' uno dei passaggi del discorso in sinagoga di Riccardo Pacifici davanti a papa Benedetto XVI. "In attesa di un giudizio condiviso, auspichiamo - ha detto ancora -, con il massimo rispetto, che gli storici abbiano accesso agli archivi del Vaticano che riguardano quel periodo e tutte le vicende successive al crollo della Germania nazista". Nel suo intervento Pacifici ha ricordato, interrompendosi per la commozione, il nonno morto ad Auschwitz. "Noi figli della Shoah della seconda e terza generazione, che siamo cresciuti nella libertà, sentiamo ancor di più la responsabilità della Memoria. Chi le parla - ha sottolineato con la voce rotta dall'emozione - è figlio di Emanuele Pacifici e nipote del Rabbino Capo di Genova Riccardo Pacifici, morto ad Auschwitz insieme alla moglie Wanda". "Se sono qui a parlare da questo luogo sacro - ha aggiunto -, è perche mio padre e mio zio Raffaele trovarono rifugio nel Convento delle Suore di Santa Marta a Firenze". "Il debito di riconoscenza nei confronti di quell'Istituto religioso è immenso e il rapporto continua con le Suore della nostra generazione. Lo Stato d'Israele ha conferito al Convento la Medaglia di Giusti fra le Nazioni", ha aggiunto Pacifici salutando una delle Suore di Santa Marta presente in sinagoga.

Di Segni: "Terra d'Israele irrinunciabile"

Nella coscienza ebraica è "fondamentale e irrinunciabile" ricordare che la terrasanta "é la terra di Israele" con "la promessa fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi di darla ai loro discendenti". Lo sottolinea il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, nel suo intervento al cospetto di papa, ricordando che tale promessa "si basa sulla Bibbia" che per cattolici ed ebrei ha, "pur nelle differenti letture, un significato sacro". "Nel linguaggio comune si usano spesso espressioni come 'terra santa' e 'terra promessa', ma si rischia di perderne il senso originario e reale. La terra è la terra d'Israele - sottolinea Di Segni -, e in ebraico letteralmente non è la terra che è santa, ma è eretz haQodesh la terra di Colui che è Santo; e la promessa è quella fatta ripetutamente dal Signore ai nostri patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe di darla ai loro discendenti, i figli di Giacobbe-Israele, che effettivamente l'hanno avuta per lunghi periodi". "Nella coscienza ebraica - spiega il rabbino capo - questo é un dato fondamentale e irrinunciabile che è importante ricordare che si basa sulla Bibbia alla quale voi e noi diamo, pur nelle differenti letture, un significato sacro".

"Il silenzio dell'uomo non sfugge a Dio"

"Il silenzio di Dio o la nostra incapacità di sentire la Sua voce davanti ai mali del mondo, sono un mistero imperscrutabile. Ma il silenzio dell'uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio". Così il rabbino capo, con un riferimento che appare rivolto a Pio XII.

"Ebrei, cristiani e musulmani chiamati alla pace"

"Ebrei, Cristiani e Musulmani sono chiamati senza esclusioni a questa responsabilità di pace", ha detto Di Segni. "L'immagine di rispetto e di amicizia che emana da questo incontro - ha spiegato poco prima - deve essere un esempio per tutti coloro che ci osservano. Ma amicizia e fratellanza non devono essere esclusivi e oppositori nei confronti di altri. In particolare di tutti coloro che si riconoscono nell'eredità spirituale di Abramo".

"Non si metta in discussione il Concilio"

Se "le aperture" del Concilio Vaticano, che rendono possibile il dialogo tra ebrei e cattolici, "venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo". Lo ha detto il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, nel suo intervento nella sinagoga della capitale alla presenza di papa Benedetto XVI.

Il Papa: "Antisemitismo piaga da sanare per sempre"

Possano le piaghe dell'antisemitismo e dell'antigiudaismo "essere sanate per sempre": è l'auspicio fatto da papa Ratzinger nel discorso alla Sinagoga di Roma. Benedetto XVI ha ricordato come la Chiesa non abbia mancato di deplorare le "mancanze dei suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell'antisemitismo e dell'antigiudaismo".

"Concilio punto fermo"

Il Concilio Vaticano II rappresenta per i cattolici "un punto fermo", un "cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia" verso gli ebrei. "Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa - ha detto -, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, quasi ventiquattro anni fa, intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio". "Questa mia visita - ha sottolineato - si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo". "Con sentimenti di viva cordialità - ha aggiunto papa Ratzinger - mi trovo in mezzo a voi per manifestarvi la stima e l'affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l'intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo".

"Shoah vertice dell'odio"

Il "dramma singolare e sconvolgente della Shoah" rappresenta "il vertice di un cammino di odio che nasce quando l'uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell'universo".

"Deportazione, la S. Sede agì con discrezione"

Papa Benedetto XVI ha ricordato, nel suo discorso, la deportazione degli ebrei di Roma e "l'orrendo strazio" con cui vennero uccisi ad Auschwitz. In quell'occasione - ha detto il pontefice - "la Sede Apostolica svolse un'azione di soccorso, spesso nascosta e discreta".

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17/01/2010 19:37

La puntata di Lucia Annunziata sulla visita di Benedetto XVI nella sinagoga di Roma:

LA PUNTATA DELLA TRASMISSIONE DI LUCIA ANNUNZIATA: VIDEO INTEGRALE
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18/01/2010 10:43

Nella sinagoga di Roma il papa rilegge le "Dieci Parole"

Ha riproposto il decalogo di Mosé come "stella polare" per Israele, i cristiani e l’intera umanità. Ma le parole di Benedetto XVI agli ebrei cadono su un terreno molto accidentato. Anna Foa e Mordechay Lewy: anche l'ebraismo deve fare autocritica


di Sandro Magister

ROMA, 17 gennaio 2010

Le parole dette oggi da Benedetto XVI nella sinagoga di Roma
– riportate integralmente più sotto – sono tanto più rilevanti in quanto sono risuonate entro un paesaggio non tutto amico, come è inesorabile che sia tra due fedi così unite in radice e insieme così radicalmente divise da quel Gesù di Nazaret che per i cristiani è il Figlio di Dio.
Ad accogliere papa Joseph Ratzinger in sinagoga c'era il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, c'era la comunità ebraica romana quasi al completo, la più consistente e fiorente d'Italia, erede di quella che abitava nella città "caput mundi" prima ancora che vi arrivassero gli apostoli Pietro e Paolo, ebrei convertiti a Gesù.
Non c'era però l'altro celebre rabbino d'Italia, Giuseppe Laras, della comunità ebraica di Milano. Non ha creduto in questo incontro e l'ha detto: "Sarà solo la Chiesa a trarne vantaggio". A suo giudizio, con Benedetto XVI il rapporto fraterno tra ebrei e cattolici non si è rafforzato ma "è diventato sempre più debole".
Gli ha risposto il rabbino Di Segni: "Sarà il tempo a decidere quale delle due [nostre] opposte visioni avrà avuto ragione".
In effetti, sono molte le questioni ancora "indecise", tra gli ebrei e la Chiesa di Roma.

IL GIORNO DEL "MOED DI PIOMBO"

Già la data scelta per la visita era a doppio taglio. Il 17 gennaio è per gli ebrei di Roma il giorno del "Moed di piombo": la memoria dell'incendio appiccato per odio al loro ghetto nel 1793, fortunatamente spento da un violento acquazzone disceso da un cielo dal colore "di piombo".
Il ghetto recintato è stato per secoli la modalità della presenza degli ebrei nella Roma papale. Al termine della visita in sinagoga, Benedetto XVI ha inaugurato nel Museo Ebraico una mostra su come nel Settecento gli ebrei romani erano obbligati a partecipare alla cerimonia di insediamento di ogni nuovo papa: con fiori, drappi e stendardi nell'area tra il Colosseo e l'Arco di Tito, quello che celebra la definitiva distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera dell'impero di Roma.

IL RIFIUTO DEL RABBINO LARAS

Ma il 17 gennaio è anche, in Italia, la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei". Dal 2001 la comunità ebraica la promuove assieme ai vescovi italiani e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato di dedicarla, volta per volta, a uno dei dieci comandamenti, sulla scia del discorso tenuto quell'anno da Benedetto XVI nella sinagoga di Colonia.
Lo scorso anno, però, gli ebrei ritirarono la loro adesione alla Giornata, per impulso soprattutto del rabbino Laras, dando la colpa allo stesso Benedetto XVI e in particolare alla sua decisione di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo la preghiera affinché Dio "illumini" i cuori degli ebrei, "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Preghiera giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana.
Non tutti gli ebrei italiani erano d'accordo con questo gesto di rottura. Ma la polemica contro Benedetto XVI raggiunse toni ancora più aspri e si allargò a tutto il mondo a motivo della revoca della scomunica a quattro vescovi lefebvriani di orientamento antigiudaico, tra i quali ve n'era uno, l'inglese Richard Williamson, che negava sfrontatamente la Shoah.
Il papa spiegò l'intenzione del suo gesto in una lettera ai vescovi cattolici del 10 marzo 2009. E in un passaggio della lettera ringraziò "gli amici ebrei" che – più di tanti uomini di Chiesa – l'avevano "aiutato a togliere di mezzo il malinteso e a ristabilire amicizia e fiducia".
La tempesta si acquietò un poco. E così nel 2010, questo 17 gennaio, gli ebrei italiani sono tornati a promuovere assieme ai vescovi la Giornata del dialogo, dedicandola al comandamento: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo", il quarto nella numerazione ebraica.
A migliorare il clima ha contribuito il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, lo scorso maggio.
Ma anche dopo quel viaggio le questioni controverse sono rimaste aperte. Due in particolare, tra loro intrecciate: Pio XII e la Shoah.

I SILENZI DI PIO XII E DEGLI EBREI

L'accusa maggiore che larga parte dell'ebraismo mondiale – ma anche una frazione del cattolicesimo – imputa a Pio XII è di aver taciuto di fronte allo sterminio nazista.
Prima di entrare, oggi, nella sinagoga, Benedetto XVI ha sostato davanti alla lapide che ricorda la deportazione ad Auschwitz di un migliaio di ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943. L'accusa contro Pio XII è di aver taciuto anche in quella occasione, come ha ribadito il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, nel discorso con cui ha accolto il papa in sinagoga:
"Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah duole ancora come un atto mancato. Forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana, per quei nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz".
A difesa di Pio XII, si sostiene che egli tacque per non provocare, con proteste pubbliche, ancora più vittime. Ed anzi egli fece moltissimo per salvare le vite di numerosi ebrei, che in effetti trovarono protezione in chiese, conventi, istituti cattolici. Protezione riconosciuta con parole commosse dallo stesso Pacifici, il cui padre trovò salvezza in un convento di suore di Firenze.
Proprio nei giorni che hanno preceduto la visita di Benedetto XVI in sinagoga, altri casi di ebrei salvati sono divenuti noti. Alcuni di questi trovarono rifugio durante la guerra nell'abbazia romana delle Tre Fontane, edificata sul luogo del martirio di san Paolo. I tedeschi vi si erano insediati, ma non si accorsero che tra i monaci, nascosti dal saio, c'erano degli ebrei, che alla fine furono salvi.
Sul piano storiografico, il profilo di Pio XII come "papa di Hitler" appare dunque sempre più infondato. Restano però forti e diffuse le critiche ai suoi silenzi pubblici sulla Shoah. E questo spiega le reazioni negative di molti ebrei al procedere della causa di beatificazione di Pio XII, un cui passo importante è stata la proclamazione della sue "virtù eroiche", lo scorso 19 dicembre.
Secondo il rabbino Laras, questa decisione di Benedetto XVI sarebbe stata motivo sufficiente perché gli ebrei di Roma cancellassero la sua visita alla sinagoga.
Ma la questione del silenzio sulla Shoah è più complessa di quanto appaia. Oltre al silenzio di Pio XII vi furono anche i silenzi di altri, che durarono a lungo dopo la seconda guerra mondiale. Le accuse a Pio XII si fecero rumorose e persistenti solo dopo la sua morte, a partire dagli anni Sessanta. Poiché, prima d'allora, anche il mondo ebraico tacque, non tanto su quel papa, ma sulla stessa Shoah:
"Il quindicennio dopo la seconda guerra mondiale, che in Europa fu il periodo del silenzio e della grande rimozione della Shoah, fu infatti anche per Israele un periodo di silenzio".
Questo ha scritto Anna Foa, ebrea, docente di storia all'Università di Roma "La Sapienza", in un articolo pubblicato su "L'Osservatore Romano" del 15 gennaio 2010, antivigilia della visita di Benedetto XVI in sinagoga.
Un articolo di notevole rilevanza, per dove è stato scritto e quando.

ANNA FOA E IL "PECCATO D'ORIGINE" DI ISRAELE

Nell'articolo, Anna Foa fa proprie le tesi di uno dei maggiori studiosi del sionismo, Georges Bensoussan. A giudizio di entrambi, lo Stato d'Israele non nacque come "redenzione" dallo sterminio degli ebrei compiuto da Hitler. Il vero generatore dello Stato fu il sionismo, già durante il mandato britannico, con l'insediamento su quella terra di ebrei motivati a costruire un uomo nuovo. L'idea della Shoah come fondamento dello Stato d'Israele ha preso forza solo molto più tardi, dopo il processo ad Eichmann e soprattutto dopo la guerra del Kippur, in decenni recenti. E a prepararla – scrive Anna Foa – fu proprio il quindicennio di silenzio postbellico: un silenzio "abitato da memorie represse, da nuove paure identificate con le antiche paure realizzatesi nella Shoah, da sensi di colpa e volontà di rivincita".
Letta così, la nascita dello Stato d'Israele non è più quel "peccato d'origine" che ancor oggi gli imputano tanti suoi amici e nemici. Tra questi ultimi vi sono anche molti cattolici, in prima fila gli arabi che vivono nella regione. Il più autorevole di loro, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, era anche lui oggi nella sinagoga di Roma, all'arrivo del papa.
Secondo tale "vulgata", lo Stato d'Israele fu creato dalle grandi potenze per porre rimedio al precedente sterminio in Europa di sei milioni di ebrei, e così si compensò un'ingiustizia compiendone un'altra a danno delle popolazioni arabe del luogo. Nel 1964, quando Paolo VI si recò in Terra Santa, ancora la Chiesa di Roma non aveva accettato l'esistenza del nuovo Stato. E quando tre decenni dopo, nel 1993, la Santa Sede finalmente riconobbe lo Stato d'Israele e stabilì con esso rapporti diplomatici, gli arabo-cristiani presero quell'atto come un tradimento.
Ma da parte di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI, il riconoscimento d'Israele non ha più alcuna riserva.
Mentre, dall'altro lato, la memoria della Shoah incessantemente piegata ad arma di accusa contro la Chiesa di Pio XII e dei suoi successori, impedisce all'ebraismo di fuoruscire dalla sua identità di vittima.
Proprio così termina Anna Foa il suo articolo su "L'osservatore Romano". Assumendo la Shoah, invece che il sionismo, come fondamento della propria identità politica e religiosa, Israele rischia "un ripiegamento sulla catastrofe invece che sulla speranza del futuro"; si chiude in "un'identità dolente che oscilla sempre tra Auschwitz e Gerusalemme".

MORDECHAY LEWY E L'INCAPACITÀ DI PERDONARE

Ancora su "L'Osservatore Romano", nei giorni precedenti la visita di Benedetto XVI in sinagoga, un altro ebreo autorevole è andato ancor più a fondo della stessa questione.
L'autore, Mordechay Lewy, è ambasciatore di Israele presso la Santa Sede e ha pubblicato il suo articolo, oltre che sul giornale vaticano del 13 gennaio, sul mensile degli ebrei italiani "Pagine ebraiche".
Lewy riconosce che "solo pochi rappresentanti dell'ebraismo sono realmente impegnati nell'attuale dialogo con i cattolici". Sono soprattutto gli ebrei riformati, mentre le correnti ortodosse sono più restie.
Il motivo – scrive – è che il dialogo tra ebrei e cristiani è asimmetrico. Mentre i cristiani hanno l'Antico Testamento assieme al Nuovo, gli ebrei tendono a definire la propria identità religiosa in termini di "autosufficienza teologica". Si sentono gli unici "prescelti" da Dio. Impegnati strenuamente a sopravvivere in mezzo a cristiani che per secoli hanno fatto di tutto per convertirli, "gentilmente o, nella maggioranza dei casi, coercitivamente".
Così, "una ferita grave e dolorosa, inflitta nel passato, si apre ogni qualvolta la vittima si trova di fronte ai simboli del carnefice".
Anche oggi per molti ebrei avviene questo, scrive Lewy:

"Desiderano evitare ogni situazione in cui si debba perdonare qualcuno, specialmente se viene identificato giustamente o erroneamente come rappresentante del carnefice. La vittima ebrea sembra incapace di concedere l'assoluzione per misfatti lontani o recenti perpetrati contro i suoi fratelli e sorelle".

L'autocritica non è da poco. Ma proprio nel discorso che ha rivolto a Benedetto XVI, accogliendolo in sinagoga, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha detto parole che fanno sperare, a proposito dell'essere "fratelli" tra ebrei e cristiani:
"Il racconto del Sefer Bereshit, la Genesi, dà su questo delle indicazioni preziose. Come spiega rav Sachs, c'è nel libro, dall'inizio alla fine, un filo conduttore che lega storie diverse. il rapporto tra fratelli comincia molto male, Caino uccide Abele. Un'altra coppia di fratelli, Isacco e Ismaele, vive separata, vittima di rivalità ereditate, ma si ritrova per un gesto di pietà alla sepoltura del padre comune Abramo. Una terza coppia di fratelli, Esaù e Giacobbe, parimenti conflittuale, si incontra per una breve conciliazione e un abbraccio, ma le strade dei due si separano. Finalmente la storia di Giuseppe e i suoi fratelli, iniziata drammaticamente con un tentato omicidio e una vendita in schiavitù, si risolve con una conciliazione finale quando i fratelli di Giuseppe riconoscono il loro errore e danno prova di volersi sacrificare per l'altro. Se il nostro è un rapporto tra fratelli c'è da chiedersi sinceramente a che punto siamo di questo percorso e quanto ci separa ancora dal recupero di un rapporto autentico di fratellanza e comprensione; e cosa dobbiamo fare per arrivarci".

*

Su questo sfondo, ecco che cosa ha detto papa Joseph Ratzinger nella sinagoga di Roma, il 17 gennaio 2010.

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18/01/2010 10:50

VISITA DEL PAPA ALLA SINAGOGA DI ROMA: RASSEGNA STAMPA DEL 17 GENNAIO 2010


CORRIERE DELLA SERA del 17/1/2010 DALL'ANELLO DEL PESCATORE AL MANTO RITUALE UN INCONTRO TRA SIMBOLI ANTICHISSIMI (TORNO ARMANDO) a pag. 20/21

CORRIERE DELLA SERA del 17/1/2010 LE PAROLE DI WOJTYLA CONTRO LE PERSECUZIONI E IL SOGNO DI TOAFF (ACCATTOLI LUIGI) a pag. 20

LIBERO del 17/1/2010 CARI RABBINI, ORA BASTA CAPRICCI (MAGLIE MARIA G.) a pag. 1

MATTINO del 17/1/2010 EBREI E IL PAPA IL DIALOGO OLTRE LE FERITE (MEGHNAGI DAVID) a pag. 1

MESSAGGERO del 17/1/2010 LARAS ATTENUA LA POLEMICA: SPERO IN QUALCOSA DI BUONO a pag. 5

MESSAGGERO del 17/1/2010 Int. a FOA ANNA ANNA FOA: "ABBIAMO IDEE DIVERSE, PER QUESTO DOBBIAMO DIALOGARE" (PIOVANI PIETRO) a pag. 5

MESSAGGERO del 17/1/2010 "NON E' LO STESSO CLIMA DI 20 ANNI FA" (NUNBERG FRANCESCA) a pag. 5

MESSAGGERO del 17/1/2010 IL PAPA CERCA "L'INCONTRO POSSIBILE" PREGHIERA SULLA LAPIDE DELLA SHOAH (GIANSOLDATI FRANCA) a pag. 5

MESSAGGERO del 17/1/2010 Int. a COSTALLI CARLO CARLO COSTALLI: "SARA' IL GESTO DI FRATELLANZA DI UN PAPA RIGOROSO" (PIE.P.) a pag. 5

MESSAGGERO del 17/1/2010 RATZINGER E LA LUNGA RICERCA DI DIALOGO CON GLI EBREI (VIAN GIAN MARIA) a pag. 17

REPUBBLICA del 17/1/2010 DALL'ACCUSA DI DEICIDIO AL DIALOGO I SECOLI OSCURI DELLA PERSECUZIONE (ZIZOLA GIANCARLO) a pag. 17

REPUBBLICA del 17/1/2010 Int. a DZIWICSZ STANISLAO "QUELL'ABBRACCIO TRA TOAFF E WOJTYLA CHE RESE FRATELLI EBREI E CRISTIANI" (LA ROCCA ORAZIO) a pag. 17

REPUBBLICA del 17/1/2010 LA VISITA DEL PAPA NEL GHETTO IN SINAGOGA ANCHE I MUSULMANI (O.L.R.) a pag. 16/17

RIFORMISTA del 17/1/2010 IL DOPPIO BINARIO TEOLOGICO-POLITICO DI UNA VISITA STORICA a pag. 1

SOLE 24 ORE del 17/1/2010 EBREI, CRISTIANI ALLA MONTAGNA DEL SERMONE (FORTE BRUNO) a pag. 1

SOLE 24 ORE del 17/1/2010 DIALOGO RELIGIOSO CON UN OCCHIO A ISRAELE (MARRONI CARLO) a pag. 12

TEMPO del 17/1/2010 RATZINGER RICORDA LA FUGA DALLA TIRANNIDE NAZISTA (MAU.PIC.) a pag. 11

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