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Carlo I d'Asburgo: Un uomo di pace in tempo di guerra

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2009 05:19
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Carlo I d'Asburgo ultimo sovrano dell'impero austroungarico

Un uomo di pace in tempo di guerra


Pubblichiamo l'omelia pronunciata ad Anversa sabato 19 settembre, in occasione della festa del beato Carlo d'Asburgo, dal cardinale prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

di Franc Rodé

Fin dall'infanzia il beato Carlo d'Asburgo, ultimo sovrano dell'impero, si distinse per il suo carattere affabile e per un vivissimo senso di compassione verso i poveri e i sofferenti. "Erano dei segni precoci di quella bontà d'animo che ha sempre mantenuto intatta come arciduca, come imperatore, come esiliato. La promessa manifestata nel bambino si è mantenuta nell'uomo" (Gordon Brook-Shepherd, La tragedia degli ultimi Asburgo, Milano, Rizzoli, 1974, p. 20).

Carlo era un uomo di una pietà profonda. Tutti i giorni assisteva alla Messa, recitava il rosario in famiglia e faceva spesso l'adorazione del Santissimo Sacramento. Aveva una devozione particolare verso la Vergine Maria. In queste forme era fedele alla tradizione secolare degli Asburgo. 

Nato nel 1887 al castello di Persenbeug, pronipote di Francesco Giuseppe, divenne imperatore a 29 anni, in piena guerra mondiale. Il giorno della morte del vecchio imperatore, il 21 novembre 1916, si inginocchiò davanti all'immagine della Madonna, la corona in mano, accettando da Dio la dignità imperiale. Nel suo primo messaggio proclamava:  "Voglio essere per i miei popoli un principe giusto e pieno d'affetto. Animato da un profondo amore per i miei popoli, voglio dedicare la mia vita e tutte le mie forze a questo alto fine:  rispettare le libertà costituzionali e gli altri diritti e vigilare con cura sull'uguaglianza di tutti davanti alla legge".

Dal momento in cui salì al trono intraprese dei negoziati in vista di un armistizio con la Francia e l'Inghilterra. Nella primavera del 1917 è il solo capo di Stato che accoglie l'appello di Benedetto xv a mettere fine all'"inutile strage" della guerra. Appoggia le trattative segrete per la pace avviate da Sisto di Borbone-Parma, fratello della moglie Zita. Ma tutti questi sforzi non avranno successo.

Carlo si sente investito di una sorta di paternità verso le nazioni  del  suo  impero.  Si  sente  responsabile  della  loro  sorte  terrena, e   anche,  in una certa misura, del loro destino eterno. L'autorità di cui è investito gli viene di Dio, non  dal  popolo, perciò  prima  di  tutto  si sente responsabile davanti a Dio. Lungi dal farne un motivo di vanità personale o di esaltazione di sé, esercita il potere con modestia, in uno spirito di umile servizio a Dio e agli uomini.

Alla fine della guerra, l'11 novembre 1918, il giovane imperatore si ritira degli affari di Stato, ma non abdica. Il 3 aprile 1919 parte per l'esilio in Svizzera, essendo stati confiscati tutti i suoi beni dal governo repubblicano. Dopo due sfortunati tentativi di restaurazione della monarchia in Ungheria, parte per Madera, dove muore il 1° aprile 1922. Lascia questo mondo da vero cristiano, in un atto di adorazione del Signore presente nell'Eucaristia, tra le braccia della sua sposa e in presenza del suo primogenito Otto.

Per secoli la casa dell'Austria ha incarnato il principio dell'impero cristiano, unendo, come una grande famiglia, i popoli dell'Europa centrale. Si tratta, oggi, di riconoscere il valore esemplare di questa civilizzazione. Essa potrebbe bene servire da modello all'Europa nel suo processo di unificazione, ricordandoci che l'economia e la tecnocrazia - da sole - non bastano a dare un fondamento solido alla sua costruzione. Come diceva Hugo von Hofmannsthal, il celebre autore di Jedermann, contro la deriva del materialismo e del nazionalismo un ritorno ai fondamenti spirituali dell'Europa s'impone, il riconoscimento delle sue radici cristiane, se vogliamo un avvenire di rispetto e di armonia tra i popoli, di vera unità, di giustizia e di pace.

Secondo Claudio Magris, "poche civiltà hanno lasciato un ricordo così intenso e indelebile" come quella dell'Austria degli Asburgo. È per il loro senso del dovere e dell'onore, per il loro spirito di servizio come valori supremi che essi hanno esercitato un'azione altamente educatrice dei loro popoli. È in questa linea che si situa l'ultimo imperatore. Carlo fu un uomo di grande levatura morale, uomo dalla fede profonda che ha sempre cercato il bene del suo popolo, ispirandosi nella sua azione di governo ai principi del Vangelo, tendendo costantemente alla santità. Con la sua vita e la sua azione egli ci invita alla sola nostalgia che valga, la nostalgia della santità.

Sento il bisogno di esprimere la mia gratitudine alla casa d'Austria per una ragione particolare che tocca non solo la mia famiglia e il popolo sloveno, ma anche una larga parte dell'Europa centrale.

Quando nei primi decenni del XVI secolo apparve in Germania un movimento di ribellione contro il Papa che minacciava l'unità della Chiesa, il giovane imperatore Carlo V d'Asburgo si schierò subito dalla parte del Pontefice. La stessa politica di fedeltà alla Sede di Roma è seguita da suo fratello Ferdinando e dai suoi successori. Dal punto di vista politico ed economico questa fedeltà alle posizioni della Santa Sede non poteva portare alcun vantaggio alla dinastia. Al contrario, gli Asburgo avrebbero potuto fare come il re dell'Inghilterra e quelli dei Paesi scandinavi, come i principi tedeschi, come quasi tutta la nobiltà dell'impero:  rompere con Roma proclamandosi capi delle Chiese regionali e appropriandosi dei beni della Chiesa. Sarebbe stato tanto più naturale, dato che il protestantesimo era di origine germanica e si presentava come il punto di riferimento di una nuova identità dei popoli germanici dopo la rottura con Roma. La casa degli Asburgo è restata invece incrollabilmente fedele alla fede cattolica e al Successore di Pietro. È questa fermezza, questa misteriosa fedeltà che ha salvato la fede cattolica dei popoli dell'Europa centrale. È giusto dirlo e ringraziarne questa nobile famiglia.

Accogliendolo il 17 febbraio 2000 a Ljubljana, ho rivolto all'arciduca Otto queste parole:  "Negli sconvolgimenti religiosi del XVI secolo, la vostra Casa ha difeso l'unità dell'impero nella grande comunione della Chiesa cattolica, con una tenacia e un'ostinazione che hanno del miracoloso. Anche il popolo sloveno, che nella sua grande maggioranza non era per nulla attratto dal protestantesimo, è rimasto fedele alla Chiesa di Roma. È per me un dovere, oggi, ringraziarvi".


(©L'Osservatore Romano - 20 settembre 2009)
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