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Intervento della Santa Sede alla LXIV assemblea generale delle Nazioni Unite

Ultimo Aggiornamento: 18/11/2009 06:03
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Intervento della Santa Sede alla LXIV assemblea generale delle Nazioni Unite

Il vero multilateralismo si basa sull'impegno per lo sviluppo


Pubblichiamo la nostra traduzione italiana dell'intervento svolto il 29 settembre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, durante il dibattito generale della 64ª Assemblea generale dell'Onu.

Signor Presidente,
Mentre assume la presidenza di questa sessantaquattresima sessione dell'Assemblea Generale, la mia delegazione Le augura tutto il meglio per i suoi sforzi e attende di poter lavorare con Lei per affrontare le numerose sfide della comunità globale.

Ogni anno c'è grande attesa per l'Assemblea Generale nella speranza che i governi siano in grado di trovare punti di accordo sui problemi persistenti che affliggono l'umanità e adottino una direzione comune per risolverli in modo pacifico per il benessere di tutti.

Naturalmente le decisioni della sessione precedente dell'Assemblea Generale sono state dominate dalla preoccupazione per la crisi economica e finanziaria mondiale. Risulta perciò opportuno che quest'anno sia stato chiesto alle delegazioni di concentrarsi sulle risposte efficaci alle crisi globali:  rafforzare il multilateralismo e il dialogo fra le civiltà per la pace internazionale, la sicurezza e lo sviluppo. In vista di un dialogo politico e culturale volto allo sviluppo armonioso dell'economia mondiale e dei rapporti internazionali faremmo bene a rileggere il preambolo della Carta delle Nazioni Unite in cui si afferma:  "Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a... riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole".

Le varie crisi mondiali degli ultimi mesi hanno stimolato il dibattito su principi e modi di valutare il comportamento individuale, sociale e internazionale, andando ben al di là del campo economico o finanziario. L'idea di produrre risorse e beni, ossia l'economia, e di gestirli in modo strategico, ovvero la politica, senza cercare con le stesse azioni di fare il bene, ossia l'etica, si è dimostrata una delusione, ingenua o cinica, ma sempre fatale. Il contributo più concreto e profondo che l'Assemblea Generale deve offrire alla soluzione dei problemi internazionali consiste nel promuovere i principi contenuti  nel  Preambolo  e  nell'articolo i della Carta di questa Organizzazione, in modo che questi alti valori umani e spirituali servano a rinnovare l'ordine internazionale dal di dentro, dove c'è la vera crisi.

Un primo elemento di verità si trova proprio nell'espressione:  "Noi, popoli delle Nazioni Unite". Il tema della pace e dello sviluppo, infatti, coincide con quello della inclusione relazionale di tutti i popoli nella comunità unica della famiglia umana che si costruisce in solidarietà.

Nei successivi g8 e g20 e negli incontri internazionali e regionali svoltisi parallelamente ai lavori della precedente Assemblea Generale, è stata evidente la necessità di dare legittimità agli impegni politici assunti, confrontandoli con le idee e le esigenze di tutta la comunità internazionale, cosicché le soluzioni escogitate potessero riflettere i punti di vista e le aspettative delle popolazioni di tutti i continenti. Per questo bisogna elaborare modalità efficaci per collegare le decisioni dei vari gruppi di Paesi a quelle delle Nazioni Unite, consentendo a ogni nazione, con il proprio peso politico ed economico, di esprimersi legittimamente in una condizione di parità con gli altri.

Signor Presidente,
è in questo contesto di verità e di sincerità che il recente appello di Papa Benedetto XVI viene messo in prospettiva. Come osserva nella sua Enciclica Caritas in veritate:  "Di fronte all'inarrestabile crescita dell'interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l'urgenza di una riforma sia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite sia dell'architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni". Tale riforma è urgente per "trovare forme innovative per attuare il principio di responsabilità di proteggere e per attribuire anche alle Nazioni più povere una voce efficace nelle decisioni comuni" (n. 67).

In effetti il dovere di rendere le Nazioni Unite un centro autentico di armonizzazione dell'operato delle nazioni nella ricerca di tali obiettivi comuni è estremamente difficile. Più aumenta l'interdipendenza dei popoli più diviene evidente la necessità dell'esistenza delle Nazioni Unite. La necessità di avere un'organizzazione in grado di affrontare gli ostacoli e la crescente complessità delle relazioni fra popoli e nazioni diviene dunque prioritaria.

Le Nazioni Unite progrediranno verso la formazione di una vera famiglia delle nazioni nella misura in cui accettino la verità dell'inevitabile interdipendenza fra i popoli e, pure, la verità sulla persona umana, come affermato nella propria Carta.

Signor Presidente,
considerando la natura dello sviluppo e il ruolo dei Paesi donatori e destinatari, dobbiamo sempre ricordare che uno sviluppo autentico implica necessariamente un rispetto integrale per la vita umana che non si può disgiungere dallo sviluppo dei popoli. Purtroppo, oggi, in alcune parti del mondo l'aiuto allo sviluppo sembra essere subordinato soprattutto alla disponibilità dei Paesi destinatari ad adottare programmi che scoraggiano la crescita demografica di certi popoli con metodi e pratiche che non rispettano la dignità e i diritti dell'uomo. A questo proposito, i frequenti tentativi di esportare questa mentalità ai Paesi in via di sviluppo come se si trattasse di un progresso culturale risultano cinici e nel contempo infausti. Infatti, per sua stessa natura, questa politica è in realtà un'imposizione e non una politica di reciprocità. Annunciare la decisione di offrire aiuti allo sviluppo condizionati all'accettazione di queste politiche costituisce un abuso di potere.

Ogni essere umano ha diritto al buon governo, ossia, a tutte le azioni sociali, a livello nazionale e internazionale, che contribuiscono, direttamente o indirettamente, a garantire a tutte le persone una vita libera e degna. Al contempo, è parte essenziale di quella dignità che ognuno si assuma la responsabilità delle proprie azioni e rispetti attivamente la dignità degli altri. I diritti esistono sempre contemporaneamente ai doveri e alle responsabilità. Ciò si applica a singoli uomini e donne e analogamente agli Stati, il cui progresso e la cui affermazione autentici dipendono dalla loro capacità di instaurare e mantenere relazioni con altri Stati ed esprimere una responsabilità comune per i problemi del mondo.

All'origine delle numerose crisi globali attuali ci sono la pretesa degli Stati e anche delle singole persone di esseri gli unici ad avere dei diritti e la riluttanza ad assumersi la responsabilità dello sviluppo integrale proprio e degli altri. Spesso nell'attività degli organismi internazionali si riflette un'incoerenza già diffusa nelle società industrializzate:  da una parte si lanciano appelli a favore di diritti presunti, arbitrari e non essenziali in natura, accompagnati dalla richiesta del loro riconoscimento e della loro promozione da parte di entità pubbliche, dall'altra diritti basici e fondamentali, già esplicitati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, restano inosservati e vengono violati in molte parti del mondo. I diritti e i doveri delle nazioni non dipendono solo da accordi, trattati e risoluzioni degli organismi internazionali, ma trovano il loro fondamento ultimo nella pari dignità di ogni singolo uomo e di ogni singola donna indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano cittadini o stranieri. In definitiva, il multilateralismo e il dialogo autentici fra culture devono basarsi sull'accettazione del dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutti gli esseri umani. Non dobbiamo dimenticare che la condivisione di doveri reciproci è un incentivo all'azione molto più potente della mera affermazione di diritti.

In questa luce, l'equità del sistema commerciale internazionale e dell'architettura finanziaria del mondo si valuterà in base alla loro capacità di creare opportunità permanenti di lavoro, di garantire la stabilità dell'attività lavorativa, di dare una giusta retribuzione alla produzione locale, e dalla disponibilità di credito pubblico e privato per la produzione e per il lavoro, in particolare nelle regioni e nei Paesi più poveri. Quindi, gli effetti degli inevitabili cicli economici verranno mitigati, evitando che sopravvengano nuove e più gravi crisi globali.

La realizzazione del principio della "responsabilità di proteggere", formulata durante il Vertice Mondiale del 2005 e approvata dal consenso unanime di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, diviene una pietra di paragone fra i due principi enunciati di verità nelle relazioni internazionali e nella governabilità globale. Il riconoscimento dell'obiettivo centrale e del valore essenziale della dignità di ogni uomo e di ogni donna, garantisce che i governi utilizzino qualsiasi mezzo a loro disposizione per evitare e per combattere i crimini di genocidio, pulizia etnica e qualsiasi altro crimine contro l'umanità. Quindi, riconoscendo la loro responsabilità condivisa di proteggere, gli Stati comprenderanno l'importanza di accettare la collaborazione della comunità internazionale allo scopo di poter compiere il loro ruolo di garantire una sovranità responsabile.

I meccanismi delle Nazioni Unite per affrontare la sicurezza comune e la prevenzione dei conflitti sono stati elaborati in risposta alla minaccia di guerra totale e di distruzione nucleare nella seconda metà dello scorso secolo e solo per questo motivo meritano perenne memoria storica. Inoltre, le operazioni di pace hanno posto fine a innumerevoli conflitti locali e reso possibile la ricostruzione. Ciononostante, è ben noto che il numero di conflitti che le Nazioni Unite non sono riuscite a risolvere resta elevato e che molti di essi sono divenuti occasioni di gravi crimini contro l'umanità. Per questo l'accettazione del principio della responsabilità di proteggere e le verità che lo sottendono e che guidano la sovranità responsabile può essere il catalizzatore della riforma dei meccanismi, delle procedure e della rappresentanza del Consiglio di Sicurezza.

In questo contesto, signor Presidente, la mia delegazione desidera ricordare il popolo honduregno che continua a sopportare sofferenze, frustrazioni e difficoltà a causa dello sconvolgimento politico che dura già da troppo tempo. Ancora una volta la Santa Sede esorta le parti in causa a compiere ogni sforzo per trovare una soluzione rapida per il bene del popolo dell'Honduras.

Signor Presidente,
questa sessione dell'Assemblea Generale è cominciata con un vertice speciale sul cambiamento climatico e presto si terrà a Copenaghen la Conferenza sul Clima (8-16 dicembre 2009). La protezione dell'ambiente continua a essere in prima linea nelle attività multilaterali perché implica in forma coesa il destino di tutte le Nazioni e il futuro di ogni individuo, uomo e donna. Il riconoscimento della doppia verità dell'interdipendenza e della dignità personale esige anche che le questioni ambientali siano considerate un imperativo morale e vengano tradotte in norme legali, in grado di proteggere il nostro pianeta e di garantire alle future generazioni un ambiente sano e sicuro.

Infine, signor Presidente, in questi tempi mutevoli la comunità internazionale, "noi popoli", ha la possibilità e la responsabilità uniche di garantire la piena realizzazione della Carta delle Nazioni Unite e quindi una pace e una comprensione maggiori fra le Nazioni.


(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2009)
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11/10/2009 04:52

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Per una maggiore solidarietà globale


Pubblichiamo la traduzione italiana dell'intervento pronunciato il 6 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nell'ambito della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, in merito al rapporto del segretario generale sul lavoro dell'Organizzazione.

Signor Presidente,
la mia delegazione desidera ringraziare il Segretario Generale per il rapporto sul lavoro dell'organizzazione e per il chiaro appello al ripristino della speranza e della solidarietà cosicché la sessantaquattresima sessione dell'Assemblea Generale divenga un momento di rinnovamento per questa organizzazione.

Durante l'anno appena trascorso la comunità globale è divenuta più consapevole della fragilità della prosperità e della crescita. Il mondo è stato colpito da una crisi economica che ha portato un numero senza precedenti di persone a perdere il lavoro, la sicurezza e la capacità di provvedere perfino alle necessità basilari delle proprie famiglie. Questa crisi ha sollevato alcuni interrogativi sulle cause e sulle conseguenze della svolta economica sfavorevole e ancor più interrogativi sul futuro. Quindi, un anno dopo l'aggravarsi della crisi finanziaria, iniziamo la sessantaquattresima sessione dell'Assemblea Generale con il nuovo proposito di imparare dagli errori e rinnovare il nostro impegno per la necessaria cooperazione.

Del rinnovato impegno per affrontare i problemi del mondo fa parte l'operare per alleggerire il fardello di molti dovuto all'assenza di risorse economiche. In numerose occasioni, la mia delegazione ha sottolineato la necessità di una solidarietà globale maggiore per gestire le implicazioni morali che il mondo deve attualmente affrontare e accordare una rinnovata priorità ai poveri. Accogliamo con favore il riconoscimento da parte del Segretario Generale delle basi morali che sottendono la necessità in tale sforzo di dare priorità ai più vulnerabili.

Per questo la mia delegazione reitera l'urgenza per le Nazioni Unite e per i Paesi industrializzati di unirsi per aiutare i numerosi Paesi incapaci di affrontare la crisi finanziaria e che continuano a trovarsi di fronte a sfide alla sicurezza e allo sviluppo. L'attuale crisi finanziaria non ha causato una situazione economica incerta e precaria nei Paesi più arretrati rispetto al resto del mondo, ma l'ha sicuramente aggravata. L'aiuto allo sviluppo sarà efficace soltanto se i governi locali e la società civile affronteranno la situazione con un impeto di responsabilità per risolvere i problemi di cronico malfunzionamento politico, amministrativo e sociale.

La mia delegazione apprezza gli sforzi del Segretario Generale per un impegno per il mantenimento della pace e la ricostruzione che sono due pietre d'angolo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Tutto ciò si otterrà soltanto nel contesto di un rinnovato impegno per una sovranità responsabile a livello sia nazionale sia internazionale.
Signor Presidente, la prossima Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici esaminerà la capacità della comunità internazionale di cooperare per affrontare un problema che ha cause e conseguenze globali. Al centro del dibattito sul cambiamento climatico c'è l'esigenza morale ed etica per gli individui, le aziende e gli Stati di riconoscere la propria responsabilità nell'uso delle risorse della terra in modo sostenibile. Questa responsabilità implica il dovere di tutti gli Stati e delle corporazioni internazionali che, per alcuni versi, hanno usato in modo sproporzionato o addirittura abusato delle risorse globali di assumersi la propria quota di responsabilità per risolvere il problema.

In seguito all'accordo sulla creazione di uno strumento legalmente vincolante sull'importazione, l'esportazione e il trasferimento delle armi convenzionali, con la Convenzione sulle munizioni a grappolo e il recente consenso da parte delle maggiori potenze nucleari a ridurre lo stoccaggio nucleare, si è verificato un aumento sensibile dell'impegno di alcuni Stati per affrontare questa questione fondamentale del disarmo. Tuttavia, la costante proliferazione di armi nucleari e la volontà di alcuni Stati di continuare a spendere somme di denaro sproporzionate per le armi suggerisce che sono necessari sforzi ulteriori se dobbiamo fare progressi importanti nel controllare e disarmare unilateralmente questi mezzi di distruzione.

I nostri sforzi per rinnovare il lavoro delle Nazioni Unite risulteranno vani se le organizzazioni internazionali e i singoli Stati non saranno in grado di incorporare le voci della società civile in tutti gli aspetti dell'opera dell'organizzazione. I membri della società civile svolgono un ruolo determinante nel portare aiuti umanitari, promuovere lo stato di diritto e denunciare gravi violazioni dei diritti umani. A questo proposito, le organizzazioni di natura religiosa sono importanti nel fornire informazioni sulle esigenze locali della comunità, offrire assistenza e promuovere la solidarietà a livello sia locale sia internazionale per le necessità degli abitanti del mondo. La mia delegazione accoglie con favore il riconoscimento del Segretario Generale del ruolo fondamentale dei membri della società civile e speriamo di operare con delegazioni per includere ulteriormente organizzazioni civili nell'offerta di assistenza salva-vita a chi ne ha bisogno.

Signor Presidente, la corruzione diffusa, le pandemie, la persistente mortalità infantile in alcune regioni del mondo, la crisi economica, il terrorismo, la sicurezza alimentare, il mutamento climatico e la migrazione dimostrano tutti che in un mondo sempre più globalizzato, le soluzioni nazionali sono solo una parte della formula per contribuire alla pace e alla giustizia. Questi problemi globali esigono una risposta internazionale e, quindi, è imperativo che le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali guardino al loro interno e all'esterno per elaborare le riforme necessarie ad affrontare le sfide di un mondo interconnesso. Lodando la guida del Segretario Generale, la mia delegazione spera di lavorare con Lei e con gli altri membri il prossimo anno per contribuire a creare un'organizzazione guidata dal dovere, dalla morale e dalla solidarietà verso i bisognosi.


(©L'Osservatore Romano - 11 ottobre 2009)
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13/10/2009 18:00

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Il multilateralismo rafforza disarmo e sicurezza


Pubblichiamo la traduzione italiana dell'intervento pronunciato l'8 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla prima commissione della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, durante il dibattito generale sul disarmo e sulla sicurezza internazionali.

Presidente,
innanzitutto mi permetta di congratularmi con lei per la sua elezione alla Presidenza di questa sessione del primo Comitato. Sia certo che la mia delegazione l'appoggerà nel compimento dei suoi sforzi.

La società civile, le organizzazioni umanitarie internazionali, i singoli individui e in particolare quanti soffrono e lottano a causa dei conflitti armati e della violenza si aspettano da noi risultati concreti e convincenti, nella speranza di poter vedere un mondo libero da armi nucleari, con severi controlli sul commercio delle armi, che, ai nostri giorni, è piuttosto nascosto in traffici illeciti e cagiona gravi danni all'umanità. Vogliono vedere un mondo in cui l'educazione, il cibo, la sanità e l'acqua pulita siano più accessibili delle armi illecite. Avendo già percorso due terzi del cammino previsto per il conseguimento (2015) degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (fissati per il 2010), molti si chiedono se la comunità internazionale raggiungerà mai questi obiettivi, dal momento che, per esempio, le spese militari nel 2008 sono aumentate del 4 per cento e sono state pari a 1.464 miliardi di dollari statunitensi e questo nell'anno in cui la crisi economica è stata più grave.

Il mondo ci guarda mentre affrontiamo ancora una volta dibattiti su questioni di disarmo. Le persone comuni possono aspettarsi maggiori cambiamenti graduali, concreti e coraggiosi dai loro capi? La risposta è nelle nostre mani e mostrerà la determinazione della comunità internazionale a perseguire un mondo di pace e sicurezza basate sulla promozione dello sviluppo umano integrale.

L'articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite dichiara che la spesa eccessiva per gli armamenti rappresenta una diversione delle risorse economiche e umane. Lo scopo principale dei meccanismi che promuovono il disarmo è la riduzione delle spese militari attraverso il controllo degli armamenti e lo stesso disarmo affinché la comunità internazionale possa progressivamente "disarmare" la sicurezza. Quali sono le alternative a questa eccessiva spesa militare che, al contempo, non riducono la sicurezza? Una è quella di rafforzare il multilateralismo.

Vi sono segni positivi del fatto che il disarmo sta tornando sull'agenda multilaterale, come abbiamo visto nel corso del vertice del Consiglio di sicurezza del 24 settembre sulla non proliferazione e sul disarmo nucleari. Tutto considerato, si osservano e si riconoscono un nuovo clima politico e un nuovo slancio da parte dei maggiori operatori del disarmo:  il risultato positivo dell'ultimo Comitato preparatorio per la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare del prossimo anno, l'adozione di una nuova Convenzione sulle munizioni a grappolo, rinnovati impegni per ottenere un mondo libero da mine, molte iniziative intraprese dai Governi, dalle organizzazioni internazionali, dalle Ong e dalle organizzazioni della società civile per promuovere il disarmo in tutti i suoi aspetti, scambi costruttivi e promettenti nel processo verso la stesura del Trattato sul commercio degli armamenti. Sono tutti risultati incoraggianti.
 
Da questo punto di vista, la mia delegazione reitera l'impegno della Santa Sede per promuovere i lavori relativi al Trattato sul commercio degli armamenti, come strumento legalmente vincolante sull'importazione, l'esportazione e il trasferimento delle armi. Le armi non si possono considerare come qualsiasi altro bene scambiato sul mercato globale, regionale o nazionale e il loro eccessivo accumulo o commercio indiscriminato, in particolare nelle aree colpite da conflitti, non si possono assolutamente giustificare da un punto di vista morale. In un mondo globalizzato è una dato di fatto dover regolarizzare il commercio, il sistema finanziario e l'economia interconnessa. Dovrebbe accadere lo stesso per il commercio delle armi.

Presidente, con l'adozione della risoluzione 1887 del Consiglio di sicurezza, il disarmo e la non proliferazione delle armi nucleari sono al centro del dibattito internazionale su pace e sicurezza. La mia delegazione loda le politiche nazionali e gli accordi bilaterali per ridurre gli arsenali nucleari e spera di assistere a progressi nell'affrontare seriamente questioni legate alle armi nucleari strategiche, a quelle tattiche e agli strumenti per il loro utilizzo.
Tuttavia, ciò non deve distrarre la nostra attenzione da questioni annose e ancora irrisolte.

Dopo 13 anni, il Trattato per il bando totale dei test nucleari non è ancora entrato in vigore perché mancano solo nove ratifiche e continuiamo ad assistere a test nucleari. Ostacoli persistenti impediscono i negoziati per un Trattato sull'interdizione del materiale fissile. Sebbene per la prima volta in 12 anni la Conferenza sul disarmo sia uscita da una situazione di stallo, non riesce ad andare avanti a causa di disaccordi sulle procedure. Il risultato dell'ultima commissione sul disarmo non è migliore. Alcuni dei maggiori attori hanno scelto di restare fuori dagli strumenti internazionali volti a bandire le mine antiuomo e le munizioni a grappolo, che sono significativi risultati umanitari. Alcuni Stati non hanno ancora aderito alla Convenzione sulle armi chimiche. Un Programma di azione internazionale per porre fine al traffico illecito di piccole armi e di armi leggere deve affrontare ancora numerose sfide per poter ottenere i suoi obbiettivi. Inoltre la comunità internazionale non ha norme legali multilaterali sui missili.

Presidente, numerose questioni relative agli armamenti sono in attesa di soluzioni definitive. Mentre, in questi giorni, comincia un nuovo ciclo sul disarmo, uniamo sforzi e buona volontà per garantire la sicurezza internazionale attraverso organismi multilaterali efficienti!


(©L'Osservatore Romano - 14 ottobre 2009)
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17/10/2009 19:30

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Politiche economiche e sociali a misura d'uomo


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 13 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nell'ambito della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, in merito all'attuazione integrata e coordinata e alla verifica dei risultati dei principali incontri e vertici delle Nazioni Unite nell'ambito economico, sociale e nei campi correlati. Commemorazione del quindicesimo anniversario della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo.

Presidente,
ricordando il XV anniversario della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo (Icpd), riconosciamo le sfide numerose che la comunità internazionale deve affrontare per raggiungere l'obiettivo di uno maggiore sviluppo economico e sociale sostenibile.

Nel 1994, molti degli Stati riunitisi al Cairo avevano l'impressione che stesse per verificarsi un'esplosione della popolazione, che avrebbe ostacolato la capacità di ottenere un adeguato sviluppo economico. Oggi, quindici anni dopo, capiamo che questa percezione era infondata. In molti Paesi in via di sviluppo il calo demografico è stato tale che alcuni legislatori nazionali stanno ora incoraggiando un aumento dei tassi di natalità per garantire una crescita economica costante. Nello stesso modo, in molte parti del mondo industrializzato, lo sviluppo si è verificato a tassi mai raggiunti in precedenza e la minaccia più grave allo sviluppo non proviene dall'esplosione demografica, ma da una gestione economica irresponsabile sia a livello mondiale sia locale. Da quasi un secolo si fanno tentativi per collegare la popolazione globale con il cibo, l'energia, le risorse naturali e le crisi ambientali. Tuttavia, al contrario, è stato ripetutamente dimostrato dall'ingegno umano e dalla capacità di cooperazione delle persone che queste ultime sono la più grande risorsa del mondo.

Il rapporto Icpd ha ripetuto la necessità degli Stati di promuovere e rafforzare la famiglia quale elemento vitale di produzione di un maggiore sviluppo sociale ed economico. La presenza sempre maggiore di donne sul mercato del lavoro ha creato nuove sfide per la famiglia e per le donne nei settori lavorativo e casalingo. Lo sfruttamento sessuale ed economico, il traffico di donne e ragazze e le pratiche discriminatorie sul mercato del lavoro hanno sfidato i Governi a promuovere e applicare politiche discriminatorie per porre fine a queste ingiustizie e sostenere la famiglia nelle responsabilità che le corrispondono.

Le politiche demografiche devono anche tenere in considerazione le necessità dei migranti come parte della responsabilità generale di porre la persona umana al centro di tutte le politiche di sviluppo. Troppo spesso la migrazione è vista dai Governi e dai singoli individui come una conseguenza involontaria della globalizzazione e stereotipi negativi sui migranti vengono utilizzati per promuovere politiche che hanno un effetto disumanizzante e creano divisioni profonde in seno alle famiglie. Come osservato nel recente "Rapporto sullo sviluppo umano", la migrazione esiste in tutte le regioni del mondo e i migranti spesso offrono le capacità e le abilità necessarie ai Paesi di destinazione e allo stesso tempo garantiscono un sostegno prezioso ai loro Paesi di origine. Sebbene altri aspetti del Programma di azione dell'Icpd abbiano ricevuto maggiore attenzione in passato, per raggiungere veramente tutte le proposte costruttive del Rapporto Icpd bisogna compiere sforzi maggiori per adottare politiche incentrate sull'uomo, che riconoscano i benefici comuni della migrazione. Bisogna fare di più affinché l'appello dell'Icpd al raggiungimento dello sviluppo in tutti i Paesi sia uno strumento per affrontare i motivi della migrazione e adottare politiche che proteggano i migranti dal traffico illegale.

Un'educazione qualitativamente elevata continua a essere lo strumento più efficace per promuovere lo sviluppo sostenibile, economico, sociale e politico. È superfluo dire che l'accesso all'istruzione per le donne e per le ragazze a tutti i livelli è al centro dell'acquisizione di potere delle donne nella società e della promozione dell'uguaglianza fra uomini e donne.

Troppo spesso nell'affrontare il ruolo dell'Icpd nella questione della salute materna, si è tentato di promuovere un concetto di "salute sessuale riproduttiva" che è dannoso per la vita umana dei nascituri e per le esigenze integrali delle donne e degli uomini nella società. Gli sforzi per affrontare la mortalità materna, la fistola ostetrica, la mortalità infantile, le cure prenatali, le malattie sessualmente trasmesse e altre questioni sanitarie sono ostacolate da politiche sanitarie che non tengono conto del diritto alla vita del nascituro e promuovono il controllo delle nascite come politica di sviluppo e falso servizio sanitario. Inoltre suggerire che la salute riproduttiva include il diritto all'aborto viola esplicitamente il linguaggio dell'Icpd, sfida i principi morali e legali delle comunità locali e divide gli sforzi per affrontare le necessità reali di madri e di bambini.

Rinnovare il nostro impegno a soddisfare le necessità relative alla salute integrale e i bisogni sociali della comunità implica prendere in considerazione le necessità spirituali, culturali e sociali di tutti.

Da parte sua, la Chiesa cattolica prosegue nel suo impegno a offrire a tutti accesso all'assistenza sanitaria. Attraverso più di 5.000 ospedali, 18.000 cliniche e 15.000 case per anziani e disabili e anche attraverso altri programmi sanitari nel mondo, le istituzioni cattoliche si impegnano a offrire a tutti il diritto a un'assistenza sanitaria di qualità, efficace e moralmente responsabile.

In definitiva, il Rapporto finale dell'Icpd come molti strumenti di sviluppo deve cercare di garantire quest'ultimo in particolare ai più vulnerabili della società. A questo proposito, offrire benessere generale fisico, emotivo e spirituale ai bambini è di prioritaria importanza per garantire che le generazioni future possano conoscere la povertà assoluta e la mortalità infantile come ricordo storico e non come realtà quotidiana.


(©L'Osservatore Romano - 18 ottobre 2009)
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Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

L'importanza della famiglia nella tutela dei diritti dei bambini


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 15 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla Terza Commissione della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, in merito alla promozione e alla tutela dei diritti dei bambini.

Presidente,
mentre consideriamo la promozione e la tutela dei diritti dei bambini, commemoriamo  anche  l'adozione della  Convenzione  sui  diritti  del  fanciullo, uno strumento importante volto a tutelare i diritti e gli interessi dei bambini.

Negli ultimi vent'anni la Convenzione ha ricevuto la ratifica o l'adesione di quasi duecento Stati. Il Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nel conflitto armato è stato ratificato da quasi 130 Paesi. Il Protocollo opzionale sulla vendita dei bambini, sulla prostituzione minorile e sulla pornografia infantile è stato ratificato da più di 130 Paesi. Il consenso internazionale è cresciuto a mano a mano che i Governi sono divenuti più consapevoli della necessità di proteggere tutti i bambini. A questo proposito, la mia delegazione incoraggia tutti gli Stati che non lo hanno ancora fatto ad associarsi alla promozione della tutela legale dei bambini ratificando e accedendo alla Convenzione e ai Protocolli ed esorta a una corretta attuazione di questi strumenti legali, che implica il rispetto per l'innato diritto alla vita di tutti i bambini.

Un recente rapporto dell'Unicef ci comunica una buona notizia:  la mortalità globale dei bambini al di sotto dei cinque anni è andata costantemente diminuendo negli ultimi due decenni. Tuttavia, le statistiche ci dicono anche che nell'ultimo decennio più di due milioni di bambini sono stati uccisi nel corso di conflitti armati, sei milioni sono rimasti disabili, decine di migliaia sono stati mutilati da mine anti-uomo e più di 300.000 sono stati reclutati come bambini soldato.

Nei nostri dibattiti sul porre fine alla violenza contro i bambini non possiamo non ricordare che a troppi bambini viene negato il diritto alla vita; che la selezione prenatale elimina sia i bambini sospettati di essere disabili, sia le bambine solo a motivo del loro sesso; che, spesso, i bambini divengono le prime vittime di carestie e guerre; che vengono mutilati da munizioni inesplose; che non hanno cibo sufficiente né abitazioni; che sono privati di istruzione; che si ammalano di Aids, malaria e tubercolosi senza poter aver accesso ai farmaci; che vengono venduti ai trafficanti, sfruttati sessualmente, reclutati in eserciti irregolari, sradicati a causa di dislocamenti forzati o costretti a lavori debilitanti.

Per eliminare la violenza contro i bambini è necessario che lo Stato e la società sostengano la famiglia e le permettano di svolgere la propria responsabilità. I governi devono assumere il loro ruolo giusto per proteggere e promuovere la vita familiare perché quest'ultima ha vincoli evidenti e vitali con la società. La società civile ha anche un ruolo importante da svolgere nel sostenere la famiglia e contrastare tutte le forme di violenza contro i bambini. Da parte loro, le più di 300.000 istituzioni educative, assistenziali e sociali della Chiesa cattolica operano quotidianamente sia per garantire  ai  bambini  un'istruzione sia per provvedere alla reintegrazione dei bambini abusati e trascurati nelle proprie famiglie, se possibile, e nella società.

A volte, nelle decisioni sulla promozione e sulla tutela dei diritti del bambino, si ha la tendenza a parlare in termini di rapporto fra bambino e Stato, minimizzando il ruolo dei genitori. A questo proposito la mia delegazione non potrà mai evidenziare abbastanza l'importanza della famiglia nella vita di ogni bambino e che tutta la legislazione relativa ai bambini deve prendere in considerazione il ruolo indispensabile dei genitori, perché i bambini sono nati da una madre e da un padre e in quella comunità fondamentale che è la famiglia. Non sorprende, dunque, che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo abbia giustamente affermato che "la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato" (articolo 16, 3) e che, di conseguenza, "la maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale" (articolo 25, 2). Queste affermazioni non sono concetti imposti dall'esterno, ma sono invece principi complementari derivati dalla natura della persona umana.

Quest'anno, l'Assemblea generale prosegue la sua considerazione sul diritto dei bambini di esprimere le loro opinioni liberamente su tutte le questioni che li riguardano e così, giustamente, si concentra sull'importanza di ascoltarli sul serio. Tutti i bambini devono essere rispettati pienamente nella loro innata dignità perché sono in tutto e per tutto esseri umani. La Convenzione sui diritti del fanciullo non include esplicitamente un articolo sul diritto specifico a partecipare. Ciononostante, la Convenzione contiene articoli che considerano la partecipazione dei bambini, per esempio, nell'esprimere le proprie opinioni e nell'ottenere che vengano ascoltate (articolo 12). Nel considerare la realizzazione concreta della partecipazione del bambino bisogna sempre ricordare, come affermato nella Convenzione, che gli Stati Parte sono chiamati a "rispettare la responsabilità, il diritto e il dovere dei genitori... di dare al bambino, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l'orientamento e i consigli adeguati all'esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione" (articolo 5).

In questa occasione la Santa Sede riafferma ancora una volta la sua costante preoccupazione per il benessere e per la tutela di tutti bambini e delle loro famiglie e continua a esortare tutti gli Stati a fare lo stesso con rinnovata urgenza, perché tutti i bambini meritano di crescere in un ambiente stabile e sano in sintonia con la loro dignità.

Grazie, presidente.


(©L'Osservatore Romano - 21 ottobre 2009)
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26/10/2009 17:43

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Rinnovato impegno a tutelare i diritti delle popolazioni indigene


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento sulle popolazioni indigene pronunciato il 19 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla Terza Commissione della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu.

Presidente,
per la Santa Sede, discutere dell'item di questa agenda è qualcosa di più di un esercizio intellettuale perché deriva da un impegno di lunga data volto ad affrontare le esigenze sociali, personali e spirituali dei più di 370 milioni di persone indigene del mondo. A partire dall'adozione della Dichiarazione sui Diritti dei popoli indigeni (Drip) da parte dell'Assemblea generale, nel settembre 2007, i diritti dei popoli indigeni hanno suscitato una speciale attenzione internazionale e la mia delegazione ritiene che la celebrazione della Seconda decade internazionale dei Popoli indigeni del mondo susciterà un interesse e un rispetto maggiori per queste comunità.

Per rivitalizzare le attività della Decade, la mia delegazione crede che iniziative pertinenti dovrebbero essere guidate da principi di rispetto per l'identità e la cultura delle popolazioni indigene. Capire e rispettare le loro tradizioni culturali, la loro sensibilità religiosa e la loro capacità, confermata nel tempo, di decidere e di controllare i propri programmi di sviluppo promuovono un'interazione e una cooperazione migliori fra popoli e governi.

Il Rapporteur Speciale sulla situazione dei diritti umani e sulle libertà fondamentali dei popoli indigeni ha osservato che le violazioni dei diritti umani proseguono e che la Drip non viene pienamente attuata. La mia delegazione desidera ricordare la convinzione, che risuona così tanto spesso in questa sala, che il riconoscimento della dignità fondamentale di ogni persona e la promozione dei diritti umani rimangono la strategia più efficace per il loro sviluppo completo. Dobbiamo impegnarci di più per rendere le popolazioni indigene consapevoli della propria dignità umana e per permettere alle loro comunità di plasmare la propria vita secondo le loro tradizioni.

In tempi di cambiamento e di crisi economica non bisognerebbe dimenticare le sfide che i popoli indigeni devono affrontare. Nel processo di ridimensionamento dei sistemi di sicurezza sociale, bisognerebbe attribuire loro la giusta considerazione con modelli di autentico sviluppo che evitino la distruzione della terra, il prosciugamento dell'acqua e altre forme di sfruttamento ambientale nel nome del vantaggio economico a breve termine. A questo proposito, la mia delegazione esorta le società a gestire la loro impresa in modo da non danneggiare i diritti dei popoli indigeni e a promuovere, invece, un uso responsabile dell'ambiente.

Nel cambiamento sociale ed economico le reti tradizionali di solidarietà hanno un ruolo importante da svolgere. La promozione delle iniziative delle popolazioni indigene per difendere i loro diritti va quindi onorata. Il concetto di mobilità del lavoro ha prodotto un aumento della migrazione, che porta a situazioni di decadenza umana e crea nuove forme d'instabilità psicologica e un profondo degrado culturale. L'interazione fra culture ha un valore positivo, ma dovrebbe essere attuata attraverso il dialogo interculturale e non attraverso il dominio o il soggiogamento.

Nella Seconda Decade, per favorire il benessere sociale, il problema dell'insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva a lungo termine, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. La riforma agricola esige dalle popolazioni indigene un maggiore investimento nelle infrastrutture rurali, nei sistemi di irrigazione, nei trasporti e nell'organizzazione di mercati così come in un maggior accesso alle tecnologie agricole. La Giornata internazionale dei popoli indigeni del mondo del 2009 si è concentrata sulle questioni relative all'Hiv/Aids. Nella Seconda Decade, la vulnerabilità delle popolazioni indigene, in particolare dei bambini e delle donne, a questa epidemia deve richiamare un'attenzione particolare, mentre un'appropriata educazione sanitaria è essenziale per prevenire la trasmissione di questa malattia. Tutte queste questioni vanno affrontate con l'impegno delle comunità locali e rispettando i valori morali basati sulla natura umana.

È anche necessario coltivare una coscienza pubblica che riconosca il cibo e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni. Il diritto al cibo, come quello all'acqua, occupa un posto importante nella ricerca di altri diritti, a cominciare da quello fondamentale alla vita.

Le comunità indigene sono profondamente radicate in culture, tradizioni e pratiche di rispetto per la Terra, il creato e la vita umana. L'apertura alla vita è da molto tempo al centro della spiritualità dei popoli indigeni e se si perde la sensibilità personale e sociale per l'accettazione di nuova vita, allora anche altre forme di accettazione preziose per la società vengono meno.

Grazie, Presidente



(©L'Osservatore Romano - 26-27 ottobre 2009)
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27/10/2009 23:01

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

L'Africa ha bisogno di una solidarietà concreta


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 21 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, in occasione della plenaria sul tema "Nuovo partenariato economico per lo sviluppo dell'Africa:  progressi nell'attuazione e nel sostegno internazionale".

Presidente,
nel congratularsi con il Segretario Generale per il suo Rapporto sul Nuovo Parteraniato Economico per lo Sviluppo dell'Africa (Nepad), la mia Delegazione desidera fare alcune osservazioni sulla situazione generale in Africa.

Innanzitutto, esistono alcuni pregiudizi che devono essere eliminati una volta per tutte. Spesso, quando si parla dell'Africa, sia giornalisticamente sia a livello accademico o politico, si parla di povertà estrema, colpi di Stato, corruzione e conflitti regionali. Quando si parla positivamente dell'Africa è sempre a proposito del suo futuro, come se, in questo momento, non avesse altro da offrire.

La realtà è che l'Africa, perfino nei suoi anni più difficili, è riuscita a offrire alla comunità internazionale esempi e valori degni di ammirazione e, oggi, può anche mostrare i segni della realizzazione di molte delle sue speranze. Pensiamo ai vari casi in cui l'Africa ha dimostrato una grande capacità di gestire i processi di transizione verso l'indipendenza o la ricostruzione dopo situazioni di conflitto. Consideriamo anche la presenza di numerosi e validi funzionari delle Nazioni Unite e delle sue agenzie, con cui l'Africa mostra al mondo le doti e la capacità della sua gente di gestire il settore multilaterale. Pensiamo anche al contributo sempre maggiore dei figli e delle figlie d'Africa alla vita scientifica, accademica e intellettuale dei Paesi industrializzati.

Alcuni Paesi africani sono riusciti a realizzare il sogno di un'agricoltura diversificata, che ottiene risultati fino a oggi considerati impossibili:  hanno dimostrato che un'agricoltura a gestione familiare di piccola o piccolissima scala può realmente essere multifunzionale, capace di garantire la sicurezza alimentare nel Paese e perfino di generare saldi esportabili e di gestire la conservazione della terra e delle risorse naturali. Inoltre, molti Paesi africani hanno compiuto notevoli progressi nel campo dell'istruzione elementare e del miglioramento della condizione delle donne.

Resta vero, comunque, che la maggior parte delle persone che vivono in povertà estrema abitano in Africa e che lo sradicamento della povertà e della fame, dimezzando la proporzione di persone il cui reddito sarà inferiore a un dollaro al giorno entro il 2015, è al di là della portata della maggior parte dei Paesi africani.
Quindi l'Africa necessita di una solidarietà concreta non solo per affrontare gli impatti negativi di queste crisi, ma per contribuire a sradicare la piaga inaccettabile della povertà e mettere a disposizione degli altri Paesi il suo potenziale autentico.

L'Africa ha bisogno di un rafforzamento notevole del suo sostegno economico di base, che consista nell'assistenza ufficiale allo sviluppo e permetta lo sradicamento della povertà estrema e la creazione e il mantenimento di strutture sociali di base. I programmi di finanziamento a lungo termine sono necessari per superare il debito estero delle nazioni povere pesantemente indebitate (Hipc), consolidare i sistemi economico e costituzionale e creare una rete di sicurezza sociale. Parimenti, le condizioni del commercio internazionale devono adeguarsi alle sue necessità e alle sue sfide economiche.

Nella crisi attuale, i Paesi industrializzati non dovrebbero ridurre il proprio aiuto allo sviluppo dell'Africa, ma, anzi, dovrebbero muoversi secondo una visione lungimirante dell'economia e del mondo per aumentare il proprio investimento per quanti sono nei Paesi poveri.

Nella stessa linea, l'Africa ha bisogno di sostegno per i suoi programmi legati all'agricoltura. Nell'affrontare il problema della sicurezza alimentare, bisogna accordare la dovuta considerazione ai sistemi strutturali, quali i sussidi nei Paesi industrializzati e la vendita sottocosto dei prodotti che fa diminuire la capacità degli agricoltori africani di ricavare un salario sufficiente per vivere. Inoltre, il lungo processo di declino degli investimenti nel settore agricolo in Africa va invertito e bisogna assumersi un rinnovato impegno per aiutare le aziende agricole a conduzione familiare a ottenere una produzione alimentare sostenibile. Il fallimento nell'aiutare gli africani a nutrire se stessi e i loro vicini avrà come risultato soltanto una mortalità insensata e costante a causa di un'inadeguata sicurezza alimentare e di una lotta sempre più cruenta per le risorse naturali.

L'Africa ha anche bisogno di sostegno per poter diversificare le proprie economie. Di recente, il mondo ha assistito in modo sia positivo sia negativo all'istituzionalizzazione del g20 come valido punto di riferimento per gestire l'economia mondiale. Positivo è il fatto che i grandi Paesi industrializzati hanno sentito la necessità di convocare al tavolo dei negoziati i maggiori mercati emergenti del Sud. Il coinvolgimento dei Paesi emergenti o in via di sviluppo permette oggi di gestire meglio la crisi. Negativo è, invece, il rischio di esclusione dei piccoli Paesi coinvolti in questi importanti dibattiti. Tuttavia, si osserva che le economie emergenti che influenzeranno la politica e l'economia mondiale sono quelle che sono riuscite, in misura maggiore o minore, a diversificare le proprie strutture industriali e agricole.

Infine, Presidente, l'Africa ha bisogno di sostegno per l'integrazione. Il Nepad e tutte le iniziative regionali e sub-regionali di cooperazione commerciale, economica e culturale, di gestione del conflitto, di mantenimento della pace e di ricostruzione dovrebbero essere promossi e consolidati. L'Ua ha dimostrato di essere un forte punto focale per collegare l'Africa alle Nazioni Unite e alle Organizzazioni finanziarie e commerciali internazionali. Parimenti, l'Ua fa convergere e coordina le molteplici iniziative multilaterali sub-regionali in Africa. L'economia integrata di oggi non rende ridondante il ruolo degli Stati, ma, anzi, impegna i Governi ad attuare una maggiore collaborazione reciproca. L'articolazione dell'autorità politica ai livelli locale, nazionale e internazionale è uno dei modi migliori per dare un orientamento al processo di globalizzazione economica.



(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)
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29/10/2009 16:30

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Responsabile impegno a sradicare le cause della povertà


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 22 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti al Secondo Comitato in merito al tema "Sradicamento della povertà e altre questioni legate allo sviluppo".

Presidente,
il tema dello sradicamento della povertà continuerà a essere presente nelle deliberazioni dell'Assemblea Generale fino a quando le limitazioni umane e le mutevoli circostanze storiche causeranno mancanze, squilibri e ingiustizie sociali. Tuttavia, oggi, affrontando ancora una volta questo tema, rinnoviamo l'impegno a sradicare le principali cause strutturali della povertà.

In questi giorni alcuni governi, agenzie intergovernative, accademie e altri esperti predicono la fine della decrescita economica causata dalla crisi finanziaria del 2008 e l'inizio della ripresa delle maggiori economie del mondo. Ciononostante, anche la visione più ottimistica ammette che la ripresa sarà molto lenta e che nulla garantisce che non ci saranno ulteriori scosse e contrattempi, inclusi quelli causati dall'uso inappropriato delle misure adottate per frenare gli effetti della crisi.

Fra le potenzialità di ripresa e i continui contrattempi vi sono alcune statistiche sconfortanti sul deterioramento della sanità pubblica, dei sistemi di assistenza sociale e dell'istruzione, nonché su un senso diffuso di disgregazione sociale. Tutto ciò è di difficile valutazione, ma lo si percepisce chiaramente nella vita quotidiana. Nel caso dei Paesi meno sviluppati (LDCs), in cui negli ultimi dieci anni si è verificata una crescita notevole, la nuova situazione mondiale non sembra offrire molta speranza.

La crisi reale, comunque, non consiste nello sconvolgimento delle strutture economiche internazionali, che in prevalenza poggiano su basi deboli o perfino fittizie, ma nell'acuto peggioramento della povertà in un mondo già tormentato da un'intollerabile miseria.

Inoltre, quanti subiscono maggiormente la crisi vengono citati solo marginalmente nel dibattito pubblico, nonostante il fatto che il loro numero sia aumentato sensibilmente e le opportunità di un loro reinserimento nella presunta crescita economica siano piuttosto scarse o addirittura inesistenti. Diverse agenzie di monitoraggio e di consulenza hanno annunciato che negli scorsi dodici mesi il tasso di disoccupazione nei Paesi industrializzati ha raggiunto livelli paragonabili a quelli degli anni trenta del novecento e che i tassi di malnutrizione sono aumentati dell'11 per cento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Sebbene sia imminente una ripresa economica, per quanti restano senza lavoro la crisi non è superata e i suoi costi umani e sociali persistono.

In questo contesto, non sembra sufficiente il solo rilanciare l'economia globale e stabilire alcune nuove regole e alcuni nuovi controlli per garantire l'esistenza di un settore finanziario meno incerto e traumatico. Oggi più che mai è necessario operare per un cambiamento qualitativo nella gestione degli affari internazionali.

La risoluzione 63/230 osserva con preoccupazione il declino dell'assistenza ufficiale allo sviluppo negli anni precedenti lo scoppio della crisi, in particolare nel 2006 e nel 2007. Nell'anno 2008 e nella prima metà del 2009 si è addirittura verificata un'accelerazione di questa tendenza, giustificata apparentemente dal desiderio di utilizzare tutti i fondi disponibili per evitare un crollo finanziario ulteriore. Molte voci si sono levate contro quest'argomentazione infondata. In effetti, la somma necessaria per onorare gli impegni di assistenza ufficiale allo sviluppo è decisamente inferiore a quella stanziata per ripristinare il settore finanziario globale. Il ritardo nella necessaria assistenza allo sviluppo ribadisce le radici morali della crisi, ovvero la mancanza di solidarietà e di responsabilità per gli effetti a lungo termine delle misure economiche. Come la mia delegazione ha dichiarato in diverse occasioni, solo un investimento costante e prolungato su tutte le donne e su tutti gli uomini garantirà la stabilità politica ed economica minima necessaria per il bene comune universale.

È dunque necessario cercare di onorare gli impegni politici internazionali senza indugio e senza pretesti. La già annunciata vendita di una parte delle riserve auree degli istituti finanziari internazionali per aiutare i Paesi più poveri e più indebitati nonché l'impegno a sostegno dei Paesi poveri, assunto nel g8 del 2005 a Gleneagles e nel g20 del marzo 2009 a Londra, non dovrebbero restare mere dichiarazioni da prendere in considerazione dopo il superamento della crisi, ma devono essere attuati e migliorati come passi urgenti verso una soluzione completa e duratura.

I vari impegni sociali assunti durante la Conferenza di Copenaghen sullo Sviluppo Sociale (1995) e la Conferenza Generale dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, in particolare quelli legati a un impiego decoroso (1999-2000) sono essenziali per un'azione e una soluzione di vasta portata a favore di una ripresa economica mondiale equilibrata e duratura. Inoltre, gli accordi commerciali internazionali e le dichiarazioni finanziarie devono garantire, sempre e in ogni situazione, spazio politico ed economico sufficiente agli stati membri affinché possano adempiere le proprie responsabilità, in particolare quelle dello sviluppo umano dei poveri, la promozione dell'integrazione sociale e la creazione e il consolidamento di reti di sicurezza sociale.

La mia delegazione guarda con attenzione e interesse al tema proposto "Conferimento di potere legale ai poveri". Infatti, la realizzazione di un sistema economico nazionale e internazionale che sia veramente al servizio degli interessi dei poveri esige che questi ultimi siano in grado di difendere e promuovere i loro diritti nel contesto dello stato di diritto ai livelli nazionale e internazionale. Tuttavia, questo non è sufficiente. Dobbiamo promuovere un reale e umano conferimento di potere ai poveri e offrire, anche in condizioni di crisi economica, maggiore accesso all'istruzione. Ciò deve andare oltre l'istruzione di base o la preparazione professionale, che, comunque, sono importanti strumenti di sviluppo, e riguardare la formazione totale della persona.


(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2009)
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03/11/2009 05:29

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Combattere la denutrizione promuovendo sviluppo agricolo e sicurezza alimentare


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 23 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti al Secondo Comitato sull'item 60:  lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare.

Presidente,
la mia delegazione desidera ringraziare il Segretario Generale per l'ampio rapporto redatto in vista di questo dibattito, che è particolarmente pertinente in un momento in cui lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare acquistano rinnovata attenzione da parte delle istituzioni internazionali e dei governi.

Quest'anno, per la prima volta, la denutrizione affligge più di un miliardo di persone. Sebbene il mondo produca abbastanza cibo per la comunità globale, la richiesta alimentare continua ad aumentare più velocemente della produzione agricola. Nello stesso tempo, varie iniquità e una cattiva gestione dei prodotti e dei sistemi finanziari impediscono che tutti possano vivere in un mondo libero dalla fame. Con il cambiamento dei modelli di consumo nei Paesi in via di sviluppo, i terreni agricoli vengono utilizzati a scopi non agricoli o restano incolti, e i prodotti agricoli vengono sempre più destinati a fini non alimentari. Chiaramente la capacità di nutrire la crescente popolazione mondiale richiede un rinnovato impegno nel campo delle politiche agricole.

La terra, ovvero il suolo, è una base fondamentale della nostra ricchezza, l'elemento su cui possiamo contare per la sopravvivenza dell'umanità.
Ciò implica considerazioni, decisioni e seri impegni nel contesto del cambiamento climatico, direzione verso cui le Nazioni Unite stanno lavorando per un esito positivo della prossima Conferenza di Copenaghen.

Di recente, la Banca Mondiale e la Fao hanno pubblicato un rapporto dall'indicativo titolo Awakening Africa's sleeping giant. Il "gigante" consiste di quattrocento ettari di savana africana, che si estende per 25 Paesi, dal Senegal al Sud Africa, e ha un immenso potenziale agricolo. Attualmente viene utilizzato solo il 10% della savana, ma una politica corretta e tempestiva basata sullo strumento della coltivazione su piccola scala potrebbe sortire gli stessi risultati sorprendenti ottenuti in altre regioni del mondo in cui la medesima politica è stata adottata circa vent'anni fa.
Per contribuire a questi sforzi, non si devono rinviare la riforma agraria e la revisione dei sistemi nazionali di proprietà, che dovrebbero anche essere accompagnati da politiche agricole e da altre misure nel campo della formazione, dell'informazione, del credito, delle infrastrutture e dei servizi sociali per permettere ai coltivatori di essere protagonisti della trasformazione agricola.

Le statistiche contenute nella recente pubblicazione State of Food Insecurity in the World (SOFI 2009) confermano che la fame è aumentata nell'ultimo decennio e non è stata causata, ma solo accentuata, dall'attuale crisi finanziaria. L'aumento della fame in tutte le principali regioni del mondo, in tempi sia di prosperità sia di crisi economica, evidenzia una causa più profonda, e precisamente una debole "governance" mondiale della sicurezza alimentare.

In effetti, bisogna ammettere che oggi il potere reale dell'agricoltura sembra stare non più nelle mani dei coltivatori, ma principalmente nelle fasi che precedono e seguono la produzione. La leadership agricola è nelle mani di quanti controllano il credito e la distribuzione delle nuove tecnologie, di quanti si occupano del trasporto, della distribuzione e della vendita dei prodotti.

Il ruolo sempre più importante dei contratti di filiera nei sistemi agroalimentari offre un certo margine di sicurezza e di stabilità ai produttori, ai quali viene garantita la vendita dei loro prodotti. Tuttavia, per rispettare la dignità dei coltivatori, questi contratti non devono privarli della creatività e dell'iniziativa trasformandoli semplicemente in lavoratori salariati.
A questo proposito, come dimostra l'attuale crisi finanziaria, bisogna sforzarsi di attribuire maggiore importanza ai ruoli del lavoro e della produzione rispetto a quelli del capitale, delle transazioni finanziarie e della speculazione. Quest'ultima, infatti, continua a istillare nei coltivatori una dose destabilizzante di incertezza e imprevedibilità, perché determina la caduta dei prezzi dell'uno o dell'altro prodotto agricolo, arrestando così la produzione di tali prodotti specifici e causando una perdita di impiego duratura e, a volte, tragica per moltissimi coltivatori. Inoltre, i sussidi che falsano il commercio e il mercato devono essere riesaminati alla luce della necessità di garantire che nei Paesi in via di sviluppo i coltivatori siano in grado di partecipare al mercato nazionale e globale e ricevano una retribuzione proporzionata al lavoro svolto.

Ci troviamo di fronte a un processo di ridefinizione del ciclo globale di produzione e di commercializzazione dei prodotti agricoli, che ci esorta a una seria riflessione sulle sue conseguenze e su quali potrebbero essere nuove soluzioni equilibrate. È a questi livelli che bisogna lavorare alla creazione di una nuova economia, più attenta non solo al profitto, ma, soprattutto, alle necessità e alle relazioni umane.
La scienza e la tecnologia, sebbene siano, senza dubbio, elementi necessari al miglioramento dell'agricoltura, non sono sufficienti ad affrontare i problemi esistenti. Ciò si può fare soltanto in un ambito di solidarietà e di azione così come di maggiore attenzione alla dignità dei coltivatori, che, più che beneficiari dello sviluppo agricolo e della sicurezza alimentare, ne sono i veri protagonisti.

Presidente, com'è evidente, il dibattito sulla denutrizione e sulla fame non necessita di stime astratte e di un moltiplicarsi di parole, ma richiede un'azione reale da parte di tutte le parti coinvolte.
Grazie, Presidente.


(©L'Osservatore Romano - 2- novembre 2009)
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05/11/2009 05:15

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Rinnovato impegno a tutelare il diritto alla libertà religiosa


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento sulla libertà religiosa pronunciato il 26 ottobre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nell'ambito della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, davanti alla Terza Commissione sull'item 69:  "Promozione e tutela dei diritti umani:  questioni relative ai diritti umani, incluse strategie alternative per migliorare la fruizione effettiva dei diritti umani e delle libertà fondamentali".

Presidente,
poiché ci dedichiamo alla promozione e alla tutela dei diritti umani, sappiamo che è la dignità della persona umana a motivare il nostro desiderio di impegnarci per lavorare alla realizzazione graduale di tutti i diritti umani.

Da un po' di tempo ormai le Nazioni Unite esaminano la nozione di libertà di coscienza a proposito della religione e della libertà della sua espressione. Ciò si è espresso in particolare nel contesto della promozione e della tutela dei diritti umani universalmente riconosciuti e delle libertà fondamentali, della diversità culturale e dell'eliminazione di tutte le forme di intolleranza religiosa nel mondo.

Il diritto alla libertà di religione, nonostante sia stato ripetutamente proclamato dalla comunità internazionale e specificato negli strumenti internazionali nonché nella Costituzione della maggior parte degli Stati, continua a essere oggi ampiamente violato. Purtroppo, non c'è alcuna religione al mondo che sia esente dalla discriminazione. Atti di intolleranza e violazioni della libertà religiosa continuano a essere perpetrati in molte forme. Infatti, sempre più casi vengono sottoposti all'attenzione dei tribunali o degli organismi internazionali per i diritti umani.

Con l'aumento dell'intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che quello dei cristiani è il gruppo religioso più discriminato perché potrebbero essercene ben più di 200 milioni, di differenti confessioni, che sono in situazioni di difficoltà a causa di strutture legali e culturali che portano alla loro discriminazione.

In questi ultimi mesi, alcuni Paesi asiatici e mediorientali hanno visto molte comunità cristiane attaccate, con molti feriti e altri uccisi. Le loro chiese e abitazioni sono state incendiate. Queste azioni sono state commesse da estremisti in risposta alle accuse mosse ad alcuni individui, percepiti, secondo le leggi contro la blasfemia, in un certo qual modo come irrispettosi dei credi degli altri. In questo contesto, la mia delegazione vede con favore e sostiene la promessa del Governo del Pakistan di rivedere ed emendare tali leggi.

Le leggi contro la blasfemia sono diventate troppo facilmente opportunità per gli estremisti di perseguitare quanti scelgono liberamente di seguire il sistema di credo di una tradizione di fede differente. Queste leggi sono state utilizzate per fomentare l'ingiustizia, la violenza settaria e la violenza fra religioni. I governi devono affrontare le cause che sono alla radice dell'intolleranza religiosa e abrogare queste leggi che fungono da strumenti di abuso.

La legislazione che limita la libertà di espressione non può modificare gli atteggiamenti. Ciò che invece è necessario è la volontà di cambiare. Quest'ultima si può ottenere efficacemente aumentando la consapevolezza degli individui, portandoli a una maggiore comprensione del bisogno di rispettare tutte le persone, indipendentemente dalla loro fede o dalla loro formazione culturale. Gli Stati dovrebbero astenersi dall'adottare restrizioni alla libertà di espressione che hanno spesso condotto ad abusi da parte delle autorità e al mettere a tacere le voci dissenzienti, in particolare quelle di individui appartenenti a minoranze etniche e religiose. L'autentica libertà di espressione può contribuire a un maggiore rispetto per tutte le persone perché può offrire l'opportunità di pronunciarsi contro violazioni come l'intolleranza religiosa e il razzismo e di promuovere la pari dignità delle persone.

Il ricorso all'odio e alla violenza contro religioni specifiche che persiste in vari luoghi suggerisce uno stato mentale caratterizzato da intolleranza. Per questo motivo è imperativo che le persone delle varie tradizioni di fede cooperino per accrescere la comprensione reciproca. C'è qui bisogno di un cambiamento autentico di mente e di cuore. Questo si può raggiungere al meglio attraverso l'educazione, a cominciare dai bambini e dai giovani, all'importanza della tolleranza e del rispetto per la diversità culturale e religiosa.

La cooperazione fra religioni è un prerequisito per la trasformazione della società e deve condurre a un cambiamento di mente e di cuore affinché si possa realmente creare una cultura di tolleranza e di coesistenza pacifica fra i popoli.

Da molti anni questa Organizzazione offre alla comunità internazionale parametri per ciò che i Paesi devono fare per compiere progressi concreti nel rispetto dei diritti umani. Un elemento chiave è aderire agli strumenti fondamentali delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa e applicare fedelmente i principi ivi consacrati cosicché tutte le persone, indipendentemente dalle loro credenze religiose, ottengano rispetto totale in conformità alla loro dignità di membri della comunità umana.


(©L'Osservatore Romano - 5 novembre 2009)
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06/11/2009 20:49

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Ancora irrisolta la questione dei profughi palestinesi


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 3 novembre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti al Comitato Speciale politico e sulla decolonizzazione (Quarto Comitato) sull'item 31:  Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'impiego dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente.

Signor presidente,
la mia Delegazione desidera cominciare esprimendo il proprio apprezzamento al Commissario Generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'impiego dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente per il rapporto annuale sull'operato dell'agenzia nello scorso anno. Il rapporto del Commissario Generale, Karen Abu Zayd, è degno di nota per due motivi:  è il sessantesimo anniversario dell'Unrwa e lo scorso anno è stato eccezionalmente difficile per l'Unrwa.
La mia delegazione coglie l'occasione di esprimere gratitudine e apprezzamento per i sei decenni di servizio e di assistenza dedicati dall'Unrwa ai profughi palestinesi. Porgiamo anche sincere condoglianze per i membri dello staff dell'Unrwa che sono rimasti uccisi o feriti nello svolgimento dei loro doveri negli ultimi sessant'anni.
L'Unrwa fu creata come organismo temporaneo delle Nazioni Unite con il compito di aiutare i profughi palestinesi fino a quando la loro situazione non si fosse giustamente risolta. Ora, sei decenni dopo, l'esistenza stessa dell'Unrwa rammenta che la questione dei profughi palestinesi resta irrisolta.
Signor presidente,
questa tragica realtà porta la mia Delegazione al secondo punto, ed esattamente al fatto che questo rapporto riferisce di tragedie e di difficoltà che i profughi vivono attualmente come hanno già fatto negli ultimi sessant'anni. La Santa Sede comprende perfettamente in che modo l'attuale situazione ha colpito la vita di milioni di persone con grande avversità. Operando con i suoi donatori e collaboratori di tutto il mondo, la Pontificia Missione per la Palestina, anch'essa fondata come agenzia temporanea nel 1949, offre attualmente, insieme con l'Unrwa, educazione, assistenza sanitaria, soccorso, servizi sociali e programmi per l'impiego ai profughi palestinesi in Giordania, in Libano, nella Repubblica Araba di Siria, in Cisgiordania e a Gaza.
Signor presidente,
la soluzione del conflitto israelo-palestinese rimane la chiave per risolvere le così tante situazioni che portano il caos nella regione del Medio Oriente e che hanno gravi implicazioni nel mondo. Purtroppo, entrambe le parti interessate falliscono nell'impegnarsi in un dialogo significativo e sostanziale e in una risoluzione delle dispute per portare stabilità e pace in Terra Santa. Ora più che mai, la comunità internazionale deve proseguire gli sforzi per facilitare rapidamente un riavvicinamento delle parti. È ovvio che i mediatori nei negoziati dovranno mantenere un approccio equilibrato, evitando l'imposizione di precondizioni da entrambe le parti.
Nella speranza che i numerosi problemi della regione vengano infine risolti grazie ai negoziati e al dialogo, la mia Delegazione sottolinea ulteriormente che una soluzione duratura deve includere lo status della Città Santa di Gerusalemme. Anche alla luce dei numerosi atti di violenza e delle sfide al libero transito poste dal Muro di Sicurezza, la Santa Sede rinnova il suo sostegno a "disposizioni internazionalmente garantite, atte ad assicurare la libertà di religione e di coscienza dei suoi abitanti, come pure l'accesso permanente, libero e privo di ostacoli ai luoghi santi per i fedeli di tutte le religioni e nazionalità" (A/RES/ES-10/2).
Infine, esortiamo ancora una volta la comunità internazionale a facilitare significativi negoziati fra le parti in conflitto. Soltanto con una pace giusta e duratura, non imposta, ma garantita da negoziati e compromessi ragionevoli, le aspirazioni legittime di tutti popoli della Terra Santa saranno soddisfatte.
Grazie, presidente.


(©L'Osservatore Romano - 7 novembre 2009)
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Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Per una strategia energetica a tutela della salute e dell'ambiente


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 3 novembre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nell'ambito della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, davanti al Secondo Comitato sull'item 53 (i):  Promozione di fonti energetiche nuove e rinnovabili.

Presidente,
innanzitutto la mia Delegazione si unisce agli altri nel congratularsi con lei  per  la  sua  elezione  e  la  sua guida di questo Comitato e ringrazia il Bureau per la sua preziosa collaborazione.
Quella dell'energia, sia rinnovabile sia non rinnovabile, è divenuta una questione chiave per la comunità internazionale e richiede l'individuazione di una strategia energetica duratura e completa. Questa strategia energetica dovrebbe riuscire a soddisfare tali esigenze nel breve e nel lungo termine, garantendo la sicurezza energetica, tutelando la salute e l'ambiente e assumendo impegni concreti per affrontare i problemi legati al cambiamento climatico. Dovrebbe anche essere in grado di avviare una transizione pacifica verso un'economia globale più efficiente che cerchi di diminuire il consumo di energia e l'uso di combustibili fossili.
La promozione di fonti energetiche nuove e rinnovabili, oltre a essere centrale per questa strategia, è di grande importanza per garantire uno sviluppo di lungo periodo, in grado di estendersi ad aree differenti del pianeta.
A questo proposito, la mia Delegazione  desidera  evidenziare  tre  questioni.
In primo luogo, il progresso nel campo dell'energia rinnovabile è estremamente importante per lo sradicamento della povertà. I numerosi benefici dell'impiego e della diffusione di fonti energetiche nuove e rinnovabili si possono sfruttare per lo sviluppo di obiettivi a ciò connessi. Parimenti, la cooperazione energetica dovrebbe essere orientata in ultima istanza verso l'alleviamento della povertà ed essere coordinata con gli strumenti economici e fiscali nonché la cooperazione regionale e internazionale, la condivisione delle informazioni, il trasferimento delle tecnologie e le pratiche migliori in questo campo.
Quando ci occupiamo delle varie tecnologie di energia rinnovabile, solare, idrica, biologica, osserviamo che i Paesi in via di sviluppo, nel complesso, hanno più del 40 per cento della capacità produttiva di energia rinnovabile installata, più del 70 per cento dell'esistente capacità produttiva di acqua calda ottenuta dal sole e il 45 per cento della capacità produttiva di energia da biocombustibili. Tuttavia, spesso le tecnologie a basso consumo di energia fossile come le tecnologie solari, inclusi i sistemi fotovoltaico, a concentrazione solare e solare termico, hanno costi iniziali molto elevati. L'accesso dei più poveri a questa innovazione è essenziale per permettere ai Paesi in via di sviluppo di soddisfare la domanda crescente di energia e promuovere uno sviluppo sostenibile.
La disponibilità di energia e l'accesso a essa hanno un impatto profondo e positivo sulle opportunità relative alla sanità, all'educazione, all'alimentazione e al reddito. Facilitare l'accesso all'energia richiede migliori infrastrutture, garantite da appropriati quadri legali e istituzionali. Questo implica inevitabilmente l'impegno delle istituzioni locali, che possono più facilmente individuare il tipo di energia, includendo forme di finanziamento e commercializzazione più appropriate per le realtà complesse della zona. Laddove questo accesso è negato ai poveri o procrastinato per vari motivi, dovrebbe essere promosso un uso più efficiente e sostenibile delle risorse energetiche tradizionali. Bisognerebbe promuovere l'efficienza energetica esistente e incoraggiare la conservazione basandosi su un insieme di tecnologie disponibili.
In secondo luogo, Presidente, ogni dibattito sull'individuazione di risorse e servizi energetici affidabili, accessibili, economicamente fattibili, socialmente accettabili e ambientalmente sani dovrebbe prendere in considerazione i costi umani e ambientali a lungo termine. Uno sfruttamento ambientale, senza riguardo per le preoccupazioni ambientali o quelle a lungo termine, può offrire una crescita economica a breve termine, ma a un prezzo elevato. Oggi, i costi vengono sostenuti soprattutto dai Paesi in via di sviluppo, dai poveri e da quanti non hanno la possibilità di proteggersi dalle sfide poste dal cambiamento climatico.
Il campo dell'energia rinnovabile è una sfida e un'opportunità per i governi e tutti gli altri partecipanti, inclusi il settore privato, la società civile e le organizzazioni internazionali, per lavorare insieme nell'affrontare questa sfida pressante. Le iniziative comuni relative all'energia rinnovabile dovrebbero anche basarsi sulla "giustizia intergenerazionale" poiché gli odierni modelli di consumo dell'energia sortiranno effetti sulle generazioni future. Quindi, a questo proposito, è imperativo un cambiamento di stile di vita. In tal modo i programmi di energia rinnovabile garantiranno una "solidarietà intergenerazionale" al di là dei confini economici e nazionali.
Infine, affinché i programmi relativi all'energia rinnovabile abbiano successo, sono di vitale importanza una corretta educazione alla consapevolezza dell'energia e l'apprendimento permanente su tale argomento. A questo proposito, la società civile e le organizzazioni di matrice religiosa possono contribuire molto, a livello di base, ad accrescere tale consapevolezza e a sostenere l'uso di fonti di energia rinnovabili.
Nell'elaborare strategie e politiche relative all'energia nuova e rinnovabile, non esiste una formula unica. Piuttosto, ciò richiederà una cooperazione multidimensionale, che ponga una responsabile gestione umana della terra al centro degli sforzi internazionali, nazionali e individuali per affrontare le cause e le conseguenze del cambiamento climatico. Sebbene questa sfida presenti una serie di altre sfide scientifiche ed economiche, con risolutezza di proposito e compassione per il prossimo riusciremo a ottenere un pianeta in cui il desiderio di tutelare la terra non sia una conseguenza della paura, ma un precursore di sviluppo personale ed economico a lungo termine.


(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)
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13/11/2009 18:42

Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite

Per una vera cultura della pace


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 10 novembre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, davanti alla plenaria, sull'item 49:  Cultura della pace.

Presidente,
innanzitutto la mia delegazione desidera congratularsi con il Segretario Generale per il suo rapporto, che evidenzia le attività svolte da organismi chiave delle Nazioni Unite impegnati nel campo del dialogo interreligioso e interculturale.

La questione della religione e il contributo delle religioni alla pace e allo sviluppo sono riemersi nelle Nazioni Uniti negli ultimi anni perché sono divenuti urgenti e ineludibili nell'opinione del mondo. Un secolo e mezzo fa, all'inizio della rivoluzione industriale, la religione era descritta come "l'oppio dei popoli". Oggi, nel contesto della globalizzazione, è sempre più considerata la "vitamina dei poveri".

Il contributo unico delle religioni e il dialogo e la cooperazione fra di esse fanno parte della loro raison d'être che consiste nel servire la dimensione spirituale e trascendente della natura umana. Parimenti tendono a elevare lo spirito, a tutelare la vita, a conferire forza ai deboli, a tradurre ideali in azione, a purificare le istituzioni, a contribuire a sanare le ineguaglianze economiche e non economiche, a ispirare i loro responsabili ad andare oltre il normale senso del dovere, a permettere alle persone di ottenere una realizzazione maggiore del loro potenziale naturale e a contrastare situazioni di conflitto attraverso la riconciliazione, i processi di ricostruzione post-conflitto e la guarigione di memorie segnate dall'ingiustizia.
È ben noto che nel corso della storia individui e leader hanno manipolato le religioni. Parimenti, movimenti ideologici e nazionalistici hanno colto le differenze religiose come un'opportunità per ottenere sostegno per le loro cause. Di recente, la manipolazione e il cattivo uso della religione a scopi politici hanno sollevato dibattiti e prodotto deliberazioni alle Nazioni Unite su questo tema, inserendolo nel contesto dei diritti umani.

Infatti, il dibattito nelle Nazioni Unite sul ruolo delle religioni si svolge già da un po' di tempo ormai e la necessità di una visione coerente di questo fenomeno e di un approccio adatto a esso è profondamente sentita. La mia delegazione vorrebbe offrire alcune considerazioni sulla questione al fine di contribuire a un'interazione appropriata ed efficace della religione e delle religioni con gli obiettivi e le attività delle Nazioni Unite.

Il dialogo interreligioso o fra diverse fedi, volto a studiare i fondamenti teologici e spirituali delle differenti religioni in vista di una comprensione e di una cooperazione reciproche, sta diventando sempre più un imperativo, una convinzione e uno sforzo concreto fra molte religioni.

Sono lieto di ricordare qui il ruolo guida assunto dalla Chiesa cattolica, circa quarant'anni fa, nel rivolgersi alle altre tradizioni religiose, con la promulgazione del documento conciliare Nostra Aetate. Oggi, molte denominazioni cristiane e altre religioni sono impegnate nel dialogo con programmi propri e in tal modo hanno continuato a fare progressi nella maggiore comprensione reciproca. A questo proposito, la Santa Sede ha realizzato una serie di iniziative per promuovere il dialogo fra denominazioni cristiane, con credenti ebrei, buddisti e hindu. Più di quaranta anni fa è stato creato un Consiglio per il Dialogo Interreligioso e più di recente è stata presa un'iniziativa, la prima del suo genere, con i rappresentanti del 138 firmatari musulmani del documento Una Parola Comune tra Noi e Voi. Questo impegno mira a promuovere maggiore rispetto, comprensione e cooperazione fra credenti di varie denominazioni, a incoraggiare lo studio delle religioni e a promuovere la formazione di persone che si dedichino al dialogo.
 
Questo tipo di dialogo teologico e spirituale richiede che sia condotto da e fra credenti e adotti una metodologia appropriata. Nello stesso tempo, offre una premessa e una base indispensabili per quella cultura di dialogo e di cooperazione molto più ampia che varie istituzioni accademiche, politiche, economiche e internazionali hanno avviato negli scorsi decenni.

Recenti eventi sociali e politici hanno rinnovato l'impegno delle Nazioni Unite a integrare le loro riflessioni e la loro azione volte all'affermazione di una cultura di rispetto con una sollecitudine specifica per la comprensione interreligiosa. I protagonisti di questo dialogo sono Stati membri nella loro interazione con la società civile. Il loro approccio e la loro metodologia scaturiscono dalla missione e dallo scopo stessi delle Nazioni Unite.

Tuttavia, avendo in mente lo spirito e la lettera della Carta delle Nazioni Unite nonché degli strumenti giuridici più importanti, è giusto affermare che la responsabilità specifica e primaria delle Nazioni Unite vis-à-vis la religione consiste nel discutere, spiegare e aiutare gli Stati a garantire pienamente, a tutti i livelli, la realizzazione del diritto alla libertà religiosa, come affermato nei pertinenti documenti delle Nazioni Unite, che includono il pieno rispetto e la promozione non solo della fondamentale libertà di coscienza, ma anche della libertà di espressione e di pratica della religione di ognuno, senza restrizioni.

Infatti, l'obiettivo e lo scopo definitivi delle Nazioni Unite nella ricerca della comprensione e della cooperazione interreligiose è quello di riuscire a impegnare gli Stati nonché tutti i segmenti della società umana a riconoscere, rispettare e promuovere la dignità e i diritti di ogni persona e di ogni comunità nel mondo.

Grazie, Presidente.



(©L'Osservatore Romano - 14 novembre 2009)
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18/11/2009 06:03

  Intervento della Santa Sede alla 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu

Per un'equa rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza


Pubblichiamo la traduzione dell'intervento pronunciato il 13 novembre dall'arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite, in occasione della 64ª sessione dell'Assemblea generale dell'Onu, davanti alla plenaria sull'item 119:  "La questione dell'equa rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza e dell'aumento dei suoi membri e temi correlati".

Presidente,
fra i temi della riforma del Consiglio di Sicurezza, la mia delegazione desidera concentrarsi in particolare sulla questione del diritto di veto.
A proposito del diritto di veto sono state espresse molte posizioni e opinioni valide e chiare. Tuttavia, in questa fase dei negoziati intergovernativi, l'abolizione del veto sembra essere la via meno percorribile. Quindi, la sua riforma è più appropriata e realistica.
L'esperienza insegna che ci sono buoni motivi per promuovere la posizione a favore della riforma del veto allo scopo di limitare il suo esercizio. In così tante occasioni della storia il suo esercizio ha rallentato e addirittura ostacolato la soluzione di questioni cruciali per la pace e la sicurezza internazionali, permettendo in tal modo il perpetrarsi di violazioni della libertà e della dignità umane. Troppo spesso è la mancanza di intervento a causare il danno vero.
La riforma del veto è tanto più necessaria in un momento in cui sperimentiamo l'ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua a essere in pericolo perché è ancora subordinato alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi sotto forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.
Su questo sfondo, la Santa Sede riconosce l'importanza del punto di vista presentato da altre delegazioni secondo il quale i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dovrebbero impegnarsi nella pratica di non opporre un veto in situazioni in cui sono coinvolti genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, gravi violazioni del diritto umanitario internazionale o atti simili.
Per lo meno, nello sforzo di trovare una soluzione tempestiva e più rappresentativa a queste gravi situazioni, il numero di voti favorevoli a sostegno delle decisioni del Consiglio di Sicurezza dovrebbe richiedere il voto coincidente di non più di due membri permanenti. Oppure, come già suggerito da altre delegazioni, un membro permanente potrebbe opporre un voto negativo, ma affermando espressamente che votare contro una data proposta non dovrebbe essere inteso come un veto e che questa sua opposizione non ha un carattere tale da giustificare il blocco di una decisione.
Molti concordano sul fatto che i membri permanenti dovrebbero dimostrare maggiore affidabilità e trasparenza nell'esercizio del diritto di veto. Prima di opporre questo voto, trasparenza, flessibilità, fiducia e volontà politica dovrebbero già essere state parte del processo di elaborazione di una risoluzione, per garantire che gli Stati non stiano effettivamente ponendo il veto a testi prima ancora che questi ultimi siano sottoposti all'attenzione del Consiglio. Infatti, sapendo che un membro permanente voterebbe contro la loro adozione, molte bozze di proposta non vengono mai formalmente presentate al Consiglio per il voto. Un dialogo e una cooperazione più aperti fra i membri permanenti e non del Consiglio di Sicurezza sono cruciali per evitare qualsiasi ostacolo successivo nell'adozione di una risoluzione. Una ricerca più profonda di modalità per prevenire e gestire conflitti è necessaria, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione e dando incoraggiamento perfino al segnale più debole di dialogo o desiderio di riconciliazione.
La decisione di estendere, limitare o abolire il veto è nelle mani degli Stati membri e dipenderà dal più ampio consenso possibile su una di tali opzioni. Confidiamo nel fatto che verrà presa una decisione giusta e a favore della trasparenza, dell'eguaglianza e della giustizia, rispecchiando i valori della democrazia e la fiducia reciproca nell'opera del Consiglio di Sicurezza riformato.



(©L'Osservatore Romano - 18 novembre 2009)
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