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L'uomo plasmato dal perdono

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2010 18:03
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01/03/2010 18:03

L'inno vespertino delle domeniche di Quaresima

L'uomo plasmato dal perdono


di Inos Biffi

Oltre che tempo di austerità, la Quaresima è tempo di pentimento e di perdono. Lo illustra un altro inno delle settimane che avviano alla Pasqua, l'Audi, benigne conditor, in dimetri giambici, dubbiosamente attribuito a Gregorio Magno. "Le preghiere e le lacrime (preces cum fletibus) / o Signore pietoso, / a te più intense si sciolgono / in questo tempo santo". Né sono implorazioni sterili e lacrime vane:  esse vanno a toccare il cuore di Dio, che, non ignorando quanto sia fragile l'argilla di cui è plasmato l'uomo, è pronto  a  concedere alla compunzione  e  al  ravvedimento  la  grazia del perdono. Da qui l'affidamento accorato e fiducioso:  "Tu che  conosci  i cuori / e deboli ci vedi  (Scrutator alme cordium, / infirma  tu  scis virium) / a chi si pente e ti invoca / concedi il tuo perdono".
Da parte nostra riconosciamo la gravità delle colpe commesse e invochiamo la misericordia che le rimette e la medicina che risana e rinvigorisce il nostro languore:  "Grande è il nostro peccato / ma il tuo amore è più grande:  / risana le oscure ferite / a gloria del tuo nome".
È detto audacemente:  la gloria di Dio è il nostro perdono. Ma sant'Ambrogio è ancora più audace:  egli ritiene che Dio abbia creato l'uomo, e si sia riposato, proprio per il fatto di aver finalmente chiamato all'esistenza una creatura a cui poter rimettere le colpe, ossia su cui riversare il suo amore nella forma del perdono.
La rivelazione dell'essenza di Dio è l'amore misericordioso.
Quanto alla Quaresima, è certamente un tempo di austero rigore e di sincera volontà di conversione:  chiediamo la forza di digiunare, la resistenza all'incanto deviante dei sensi, e il dono di uno "spirito sobrio", che rifugga dai cedimenti alla colpa (ieiunet ut mens sobria / a labe prorsus criminum).
Austero rigore, però, non vuol dire continua afflizione interiore, né pentimento sincero significa un perseverare incessante di rimorsi implacabili, a sfiducia e a tormento dell'anima.
Ricordiamo e riconosciamo i peccati commessi per esserne dispiaciuti e detestarli, ma soprattutto per esperimentare il miracolo della riconciliazione e il gusto e la gioia della grazia, che ci ha riammessi all'amicizia del Padre celeste.
L'uomo è fatto tutto del perdono di Dio, secondo gli  accenti  vibranti di una stupenda invocazione della liturgia quaresimale ambrosiana:  "La vita nostra sospira nell'angoscia, ma non si corregge il nostro agire. Se aspetti, Signore, non ci pentiamo; se punisci,  non resistiamo. Tendi la mano a noi che siamo caduti, tu che al ladro pentito apristi il paradiso".


(©L'Osservatore Romano - 1-2 marzo 2010)
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