"Caritas in Veritate" - Carità nella Verità: nuova Enciclica Sociale di Benedetto XVI

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Cattolico_Romano
00martedì 30 giugno 2009 17:00
Benedetto XVI anticipa alcune considerazioni sulla sua Enciclica di prossima pubblicazione....

dice il Pontefice:

" Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale"



                  Caritas in Veritate

UDIENZA AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE"

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri della Fondazione "Centesimus Annus - Pro Pontifice" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

  • DISCORSO DEL SANTO PADRE


  • Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

  • illustri e cari amici!


  • Grazie per questa vostra visita, che si colloca nel contesto della vostra annuale riunione. Vi saluto tutti con affetto e vi sono grato per quanto voi fate, con provata generosità, al servizio della Chiesa. Saluto e ringrazio il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, vostro Presidente, che ha interpretato con fine sensibilità i vostri sentimenti, esponendo a grandi linee l’attività della Fondazione. Ringrazio anche coloro che, in lingue diverse, hanno voluto presentarmi l’attestato della comune devozione. L’odierno nostro incontro assume un significato e un valore particolare alla luce della situazione che vive in questo momento l’intera umanità.


  • In effetti, la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni. Bene ha fatto, quindi, la vostra Fondazione ad affrontare, nel Convegno internazionale svoltosi ieri, il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana.

  • Sono lieto di apprendere che avete esaminato, in particolare, le interdipendenze tra istituzioni, società e mercato partendo, in accordo con l’Enciclica Centesimus annus del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, dalla riflessione secondo la quale l’economia di mercato, intesa quale "sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia" (n. 42), può essere riconosciuta come via di progresso economico e civile solo se orientata al bene comune (cfr n. 43).

  • Tale visione però deve anche accompagnarsi all’altra riflessione secondo la quale la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi "in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale", una libertà responsabile "il cui centro è etico e religioso" (n. 42). Opportunamente l’Enciclica menzionata afferma: "Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti" (n. 43).

  • Auspico che le indagini sviluppate nei vostri lavori, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo, elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli.

  • Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale.

  • Prendo altresì atto con compiacimento di quanto state operando a favore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), alle cui finalità, da voi condivise, attribuisco grande valore per un dialogo interreligioso sempre più fecondo.

  • Cari amici, grazie ancora una volta per la vostra visita; assicuro per ciascuno di voi un ricordo nella preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.


    [00928-01.01] [Testo originale: Italiano]

    www.vatican.va

  • Cattolico_Romano
    00martedì 30 giugno 2009 17:01
    Da un articolo ed intervista di Radio Vaticana del 1 maggio 2009 Festa di san Giuseppe lavoratore....


    La Chiesa festeggia San Giuseppe lavoratore. Il magistero sociale di Benedetto XVI sulla centralità della persona nell’economia

    Oggi, primo maggio, Festa internazionale del lavoro, la Chiesa ricorda San Giuseppe Lavoratore. Negli ultimi mesi, il Papa ha moltiplicato i suoi interventi sulla crisi economica, mettendo l’accento sul recupero di una dimensione etica del lavoro e sulla centralità della persona nei rapporti economici. Riflessioni che precedono l’annunciata pubblicazione della prima Enciclica sociale di Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Per rendere l’economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia”: all’inizio del 2009, nel discorso al Corpo diplomatico l’8 gennaio scorso, Benedetto XVI sprona la comunità internazionale a non scoraggiarsi di fronte alla crisi economica ed indica i principi su cui fondare un sistema economico che rispetti la dignità dell’uomo:

    Cet objectif ne pourra être atteint que par la mise...

    “Questo obiettivo - è il suo richiamo - può essere realizzato solo attraverso l’attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana”. “So quanto ciò sia impegnativo - riconosce il Papa - ma non è un’utopia!”.

    Di politiche economiche, Benedetto XVI parla nell’udienza agli amministratori locali di Roma e Lazio, il 12 gennaio, e ribadisce che compito della Chiesa, attraverso la sua dottrina sociale, è formare la coscienza di tutti i cittadini di buona volontà:

    “Forse mai come oggi la società civile comprende che soltanto con stili di vita ispirati alla sobrietà, alla solidarietà ed alla responsabilità, è possibile costruire una società più giusta e un futuro migliore per tutti”.

    Per questo, spiega il Papa, è una “priorità inderogabile” ridurre l’individualismo e la difesa degli interessi di parte “per tendere insieme al bene di tutti, avendo particolarmente a cuore le attese dei soggetti più deboli della popolazione”. E un appello per una nuova cultura della solidarietà, Benedetto XVI lo lancia nell’udienza ai dirigenti del sindacato Cisl, il 31 gennaio:

    “Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società”.

    Di economia, Benedetto XVI parla ampiamente, il 26 febbraio scorso, nel tradizionale incontro di inizio Quaresima con il clero romano. Il Papa si sofferma sulle ragioni che, a partire dagli Stati Uniti, hanno portato alla crisi economica mondiale:

    “Bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona». Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione”.

    Il Pontefice non manca poi di esprimere la propria vicinanza ai lavoratori in difficoltà.
    All’Angelus del primo marzo, si rivolge ai dipendenti dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, ai lavoratori dei territori del Sulcis in Sardegna e di Prato in Toscana, uniti da una preoccupante condizione di precarietà:

    “Desidero esprimere il mio incoraggiamento alle autorità sia politiche che civili, come anche agli imprenditori, affinché con il concorso di tutti si possa far fronte a questo delicato momento. C’è bisogno, infatti, di comune e forte impegno, ricordando che la priorità va data ai lavoratori e alle loro famiglie”.

    E sul magistero sociale di Benedetto XVI e la riscoperta dell’etica nel mondo dell’economia e del lavoro, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace:

    R. - C’è una riscoperta dell’etica e anche dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, non soltanto per un motivo etico. Ci sono degli economisti che stanno cercando di far capire al mondo dell’economia, e al mondo in generale, che i principi etici migliorano l’economia. Questo è un principio che si sta diffondendo ma che non tutti ancora hanno afferrato.

    D. - E quale effetto positivo può avere, ad esempio, questo richiamo ai principi della solidarietà e della responsabilità, per quanto riguarda il mondo del lavoro?

    R. - Intanto, il primato della persona umana nel mondo del lavoro: mi pare ampiamente sperimentato che un’attenzione alla persona migliora anche l’esito del lavoro, i frutti del lavoro. Non è stressando la persona all’inverosimile che si ottengono risultati migliori. Un altro aspetto, ad esempio, è la sinergia tra mondo del lavoro e famiglia. Mi pare siano tutte piste di ricerca e di esperienza che ci aiutano a capire come l’etica e la solidarietà non siano affatto in concorrenza con l’economia.

    D. - Nella sua esperienza di pastore, nota che gli amministratori, le istituzioni politiche, chi si occupa del lavoro, sappiano ascoltare i richiami etici che arrivano dalla Chiesa?

    R. - Mi pare che l’ascolto sia interessante, notevole nei momenti dell’emergenza. Quando passano i momenti dell’emergenza, si tende ad andare avanti come sempre, dimenticando che le situazioni cambiano e dimenticando soprattutto che il mondo dei giovani è in attesa che si offra anche un modello diverso di sviluppo e non soltanto posti di lavoro numericamente sufficienti: direi proprio un modello di vita, uno stile di vita diverso. In questo mi pare si faccia molta fatica. Paradossalmente, le emergenze diventano a volte l’occasione per tirare fuori il meglio di noi e anche per rimettere un po’ in crisi certi modi di vivere e di organizzarsi.

    D. - In questo senso, la preannunciata Enciclica dedicata ai temi sociali di Papa Benedetto XVI arriva proprio al momento giusto...

    R. - Io credo che a ormai 18 anni dalla Centesimus annus sia davvero provvidenziale che arrivi un’occasione di riflessione globale per la Chiesa e per tutte le persone di buona volontà, proprio perché dai tempi della Centesimus annus molte cose sono accadute. Quindi, c'è bisogno di sedersi e di riprendere in mano i principi e declinarli nel momento attuale.

    Radio Vaticana
    Cattolico_Romano
    00martedì 30 giugno 2009 17:01
    Vi proponiamo l'indice stupendo (e lincato) tratto dal Blog dell'amica RAFFAELLA....
    vi invitiamo a consultarlo in attesa di leggere l'Enciclica...



    ENCICLICA "CARITAS IN VERITATE": ANTICIPAZIONI



    IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG

    La ricetta del Papa: “L’etica sia il centro dell’economia” (Galeazzi)

    Il Papa e l’enciclica sulla crisi: servono regole etiche (Vecchi)

    Papa Ratzinger annuncia l'enciclica. Benedetto XVI: "Economia e lavoro per una convivenza libera e solidale" (Lorenzoni)

    Economia e lavoro, pronta l'enciclica del Papa (Bobbio)

    SERVIZIO DI STEFANO MARIA PACI

    Il Papa: «Una libera economia per liberi uomini» (Tornielli)

    Il Papa: Nella mia enciclica traccerò i valori da difendere instancabilmente (Pinna)

    Il Papa annuncia la prossima uscita della sua enciclica dedicata al vasto tema dell'economia e del lavoro

    Il Papa: la mia enciclica sociale verterà su economia e diritti dei deboli

    Un’enciclica del Papa contro «paradisi fiscali e off shore» (Galeazzi)

    Card. Martino: L'Enciclica Sociale di Papa Benedetto XVI potrebbe uscire il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo

    Papa Ratzinger convoca un summit segreto su crisi ed enciclica sociale (Rodari)

    L’enciclica «Caritas in veritate» sarà la terza pubblicata da Benedetto XVI (Tornielli)

    Il Papa riscrive l’enciclica: sarà un testo anti crisi (Tornielli)

    Caritas in Veritate, l’enciclica sociale di Benedetto XVI (Tempi)

    Da Benedetto XVI un assaggio della prossima enciclica. Commento di Carlo Marroni

    Card. Martino: l'Enciclica sociale potrebbe uscire nei primi mesi del 2009

    L'enciclica sulla dottrina sociale può aspettare. Ma non la scommessa sui paesi poveri (Magister)

    La crisi nelle Sacre Stanze. E il Papa scrive un’enciclica economica (Ingrao)

    Card. Bertone: "L'enciclica sociale uscirà in autunno. Per ora il titolo è Caritas in veritate" (Apcom)

    Verso l'enciclica sociale. Il Papa: «Sussidiarietà e lotta alla diseguaglianze» (Marroni)

    Lo sviluppo responsabile che piace al Papa: la globalizzazione nella nuova enciclica (Gentili)

    Prima enciclica sociale per il Papa (Tosatti per "La Stampa")

    Il Papa: «La scuola dia un’educazione etica». La prossima enciclica sarà dedicata ai temi sociali (Il Messaggero)

    Arcangelo Paglialunga commenta l'udienza generale di ieri e le anticipazioni sulla "Caritas in veritate"

    È la «Caritas in veritate» la nuova enciclica di Benedetto XVI (Bobbio per "L'Eco di Bergamo")

    "Caritas in veritate": sarà questo il titolo della prossima enciclica di Benedetto XVI (Nina Fabrizio per l'Ansa)

    CARITAS IN VERITATE: L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA (Ansa)

    Il cardinale Bertone parla del rapporto con gli Ortodossi, della preghiera per gli Ebrei e dell'enciclica sociale del Papa...

    Card. Bertone: «Presto l'incontro del Papa con Alessio II». «Reciprocità con gli Ebrei nelle preghiere» (Eco di Bergamo)

    Presto la terza enciclica di Benedetto XVI: sarà dedicata ai temi sociali (Arcangelo Paglialunga)

    L'ENCICLICA SOCIALE DEL PAPA USCIRA' A PASQUA, ANCHE IN ARABO E CINESE

    Card. Bertone: "Il Papa prepara un´enciclica sociale" (Politi per "Repubblica")

    Ingrao (Panorama): l'enciclica sociale avrà la data del 1° maggio, festa di San Giuseppe lavoratore



    Cattolico_Romano
    00martedì 30 giugno 2009 17:02

    Ultimi ritocchi per la 'Caritas in veritate'. Tra il 6 e il 7 luglio la presentazione. Alcuni stralci della terza e attesa Enciclica di Benedetto XVI

    Economia Globale: la Nuova Enciclica
    di Gian Guido Vecchi
    Corriere della Sera

    "Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c’è coscienza e responsabilità sociale e l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali".

    L’ultima revisione di Benedetto XVI è ormai pronta, in queste ore si stanno rivendendo le ultime pagine della "Caritas in veritate", la terza enciclica del Papa "dedicata al vasto tema dell’economia e del lavoro" che porterà la data del 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, e sarà presentata tra il 6 e il 7 luglio.
     
    Il Pontefice ha consultato una quantità di esperti, tra economisti e prelati, ma rispetto all’ultima bozza di aprile ha compiuto la stesura definitiva da solo, parola per parola. In Vaticano si dice ne abbia portata una copia con sé pure nel viaggio in Terra Santa, il mese scorso. L’Enciclica, rinviata per tener conto della crisi e "rispondere in base agli elementi reali", richiama la necessità di "una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione approfondita e lungimirante sul modello di sviluppo".

    La globalizzazione non è il male ma neppure si regola da sé: se governata con "nuove regole" può diventare un’opportunità. E nel "nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale" che ha "modificato il potere politico degli Stati", il testo suggerisce "una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere", invita i sindacati a "instaurare nuove sinergie a livello internazionale" per affrontare "la riduzione delle reti di sicurezza sociale" e invoca "la presenza di una vera autorità politica mondiale", sulle tracce della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII: non un super-Stato né semplicemente l’Onu, ma un modello internazionale di governo della globalizzazione, un’autorità "che dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune e impegnarsi nella promozione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità della verità".
     
    Caritas in veritate, appunto: "Il principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa". Benedetto XVI riconduce tutto ai suoi fondamenti teologici e teoretici.

    Fin dall’incipit: "La carità della verità, che Gesù Cristo ci ha mostrato con tutta la sua vita terrena e, soprattutto, con la Sua morte e risurrezione, è la principale risorsa a servizio del vero sviluppo di ogni singolo uomo e dell’umanità intera". La crisi, ha osservato il Papa, "è nata da un deficit di etica nelle strutture economiche". Un sistema infettato dalla cupidigia. Ma l’economia "ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento", o è contro l’uomo o lo distrugge.

    Di qui la necessità di un codice etico comune: fondato sulla "verità ad un tempo della fede e della ragione", una verità che quindi è accessibile a tutti, "la luce attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità". La ricerca della "giustizia" e del "bene comune" derivano da qui. Benedetto XVI parla di "responsabilità sociale dell’impresa in senso ampio, che tenga conto di tutti gli impatti sociali del suo agire". Fermo restando che anzitutto c’è la responsabilità personale: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune".

    Tutto si tiene, lotta alla fame e difesa della vita e attenzione allo "stato di salute ecologica del pianeta", visto che "i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri verso la persona": perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo nella sua integrità". Il Papa all’inizio richiama la "Populorum progressio" di Paolo VI, che nel ’67 denunciò la disuguaglianza tra Paesi ricchi e poveri, ma l’Enciclica recepisce anche la Humanae vitae, contro aborto e contraccezione. Così "l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo" e "se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono". Del resto sviluppo economico e crescita demografica corrispondono. E una "apertura moralmente responsabile" alla vita rappresenta "una ricchezza sociale ed economica".

    Detto questo, "la carità nella verità chiede urgenti riforme per affrontare con coraggio e senza indugio i grandi problemi dell’ingiustizia nello sviluppo dei popoli".

    Dopo più di quarant’anni dalla "Populorum progressio" lo sviluppo che doveva essere "estensibile a tutti" è stato "e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". La fame, anzitutto: "Dare da mangiare agli affamati è un imperativo etico per la Chiesa". E "alimentazione e accesso all’acqua" sono "diritti universali".

    E i Paesi poveri devono essere sostenuti e coinvolti nei processi decisionali. La crisi preoccupa, ma "dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta dei valori di fondo su cui costruire un futuro migliore". 'Oikonomia' significa "legge" o "amministrazione" dell’oikos, la casa: "Lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia".

    Cattolico_Romano
    00giovedì 2 luglio 2009 08:32
    La nuova Enciclica del Papa sarà presentata il 7 luglio

    In Sala Stampa Vaticana dai Cardinali Martino e Cordes



    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 1° luglio 2009 (ZENIT.org).- La nuova Enciclica del Papa "Caritas in veritate" sarà presentata il 7 luglio, alle ore 11.30, in Sala Stampa vaticana.

    Quattro gli interventi previsti: quello del Cardinale Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace; del Cardinale Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum; di mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario di Giustizia e Pace, e del prof. Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all’Università di Bologna e consultore del medesimo dicastero pontificio.

    Il testo a disposizione dei giornalisti sarà in sei lingue: italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo e portoghese.
    Cattolico_Romano
    00venerdì 3 luglio 2009 16:21
    Nuova Enciclica per approfondire la “Populorum Progressio”

    di Flavio Felice* 



    ROMA, giovedì, 2 luglio 2009 (ZENIT.org).- Lunedì, 29 giugno 2009, festa solenne dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha firmato la sua terza enciclica, la prima del suo Magistero sociale. 


    Lo scorso 13 giugno, durante l'udienza concessa ai soci e ai corsisti della Fondazione «Centesimus Annus», il Papa aveva sostenuto la necessità di ripensare i «paradigmi economico-finanziari dominanti negli ultimi anni». Secondo il pontefice, proprio «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni». 


    Il pontefice, parlando di economia di mercato, cita un passaggio decisivo della Centesimus annus del 1991, ritenendo che «la libertà nel settore dell'economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». A questo punto del discorso, il Papa ricorda ai presenti l'imminente pubblicazione dell'Enciclica dedicata all'economia, al lavoro e allo sviluppo: la Caritas in veritate. L’enciclica sociale sullo sviluppo che nelle intenzioni del Pontefice celebra ed aggiorna la Populorum progressio (1967) di Paolo VI. È stata proprio l’enciclica di Paolo VI ad insistere, oltre che sull’apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell’uomo, anche sul "dovere gravissimo", che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di "aiutare i Paesi in via di sviluppo". 


    Con riferimento all’enciclica firmata oggi (ieri n.d.r.), Benedetto XVI disse ai soci e ai corsisti della Fondazione Centesimus Annus: «Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell'economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Nell'occasione, Benedetto XVI cita un passaggio della «Centesimus Annus»: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti». 


    Mercato, proprietà, impresa, profitto, lavoro assumono un significato cristianamente consistente nella misura in cui il centro è Cristo; Cristo redentore che, rivelando Dio all’uomo, rivela l’uomo all’uomo. Il mercato dunque può assumere i caratteri cristiani della “relazionalità”, la proprietà assume la cifra della “responsabilità”, con il lavoro l’uomo – creato ad immagine e somiglianza del Padre-Creatore – “soggettivamente” partecipa in un certo senso all’“opera creatrice” del Padre-Creatore, l’impresa è la “comunità” di lavoro nella quale sperimenta il suo profondo legame con l’umanità intera ed il profitto è uno dei tanti (ma indispensabile) “parametri” per misurare la corretta (responsabile) allocazione dei beni della terra. 


    Al centro della riflessione della Caritas in veritate troviamo la questione dello sviluppo integrale della persona, ricordiamo quanto riconosciuto e proposto da Giovanni Paolo II e ripreso dallo stesso Benedetto XVI durante l’udienza del 13 giugno: «un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia». 


    Il senso di queste affermazioni, confermate e rafforzate da Benedetto XVI, incontra un caposaldo della tradizione dell’“economia sociale di mercato”: le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in un vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono e ssere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. In questa prospettiva, una sana “economia di mercato”, “economia d’impresa”, “economia libera” – ovvero un capitalismo rettamente inteso – sono sempre limitate da un ordine giuridico che le regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi che, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, interagiscono con esse e le influenzano, essendone esse stesse influenzate. 


    L’economia di mercato è sempre plasmata dalla cultura nella quale essa vive, e a sua volta, è influenzata dalle azioni e dalle abitudini quotidiane di coloro che la pongono in essere, poiché le azioni dei singoli influenzano la qualità della vita all’interno della società. È questo il “personalismo metodologico” che ha pervaso il Magistero sociale di Wojt yla e che continuerà a plasmare la cura pastorale di Benedetto XVI anche in ambito socio-economico. 


    ----------

    * Flavio Felice è docente di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e di Filosofia dell'Impresa alla LUISS Guido Carli di Roma. Direttore della Fondazione Novae Terrae e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton è autore di “Appunti di dottrina sociale della Chiesa”, insieme a P. Asolan (Rubbettino 2008) e di “L’economia sociale di mercato” (Rubbettino 2008).

    [L’articolo in questione è stato pubblicato anche dal sito del Centro Tocqueville-Acton al link: www.cattolici-liberali.com/pubblicazioni/OpinionieCommenti/2009/NuovaEnciclica.aspx]

    Cattolico_Romano
    00lunedì 6 luglio 2009 12:17

     


     

    In edicola il 7 Luglio con ‘Famiglia Cristiana’ l’Enciclica ‘Caritas in Veritate’

    CITTA’ DEL VATICANO - La terza Enciclica di Benedetto XVI, 'Caritas in Veritate' - che uscirà martedì 7 luglio -, sarà in allegato al prossimo numero di 'Famiglia Cristiana'. "Riprendendo la tematiche sociali contenute nella ‘Populorum progressio’, scritta dal Servo di Dio Paolo VI nel 1967, questa Enciclica - che porta la data 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo - scrive il Papa -, intende approfondire alcuni aspetti dello sviluppo integrale nella nostra epoca, alla luce della carità nella verità. Affido alla vostra preghiera questo ulteriore contributo che la Chiesa offre all'umanità nel suo impegno per un progresso sostenibile, nel pieno rispetto della dignità umana e delle reali esigenze di tutti". Il testo, che sarà reso pubblico martedì con una conferenza stampa in Vaticano, sarà disponibile con 'Famiglia Cristiana' dal 9 luglio, in edicola o in parrocchia, a 1,5 euro più il costo della rivista (1,95 euro). Nelle prossime settimane, inoltre, sarà possibile richiedere l'Enciclica prenotandola in parrocchia o, per gli abbonati al settimanale, inviando la cartolina allegata al numero del settimanale che ricevono a casa. Ulteriori richieste possono essere inoltrate all'indirizzo e-mail: vpc@stpauls.it, o telefonare al Servizio Clienti 02-48027575.
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:18

                                               Presentata la terza enciclica di Benedetto XVI

                             La carità nella verità
                                                       

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede. Solo nella verità la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" e "forza di liberazione nelle vicende sempre nuove della storia" afferma il documento papale, che rilegge la Populorum progressio di Paolo VI evidenziando l'attualità del suo messaggio a oltre quarant'anni dalla pubblicazione. "Il progresso - riconosce il Pontefice - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere, "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi". L'enciclica non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro. O quando sperequazioni e speculazioni sottraggono a intere popolazioni il diritto al cibo e all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche. Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici". Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - senza forme di gratuità e solidarietà "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa". Si tratta, in definitiva, di governare la globalizzazione realizzando una autentica "civilizzazione dell'economia".


     

    IL TESTO ITALIANO
    DEL DOCUMENTO PAPALE


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:25

    Speranza e realismo


    Realismo e speranza, nonostante la crisi economica mondiale. Ecco la terza enciclica di Benedetto XVI in brevissima sintesi o, meglio, secondo l'approssimazione sommaria a un testo tanto importante e ricco quanto lunga è stata la sua elaborazione. Per continuare una tradizione di documenti papali avviata nel 1891 dalla celebre Rerum novarum di Leone XIII e poi sviluppata con vigore nel 1931 dalle due encicliche di Pio XI successive alla grande depressione economica e finanziaria manifestatasi due anni prima:  la Quadragesimo anno e la quasi sconosciuta Nova impendet sulla gravità della crisi e sulla follia della corsa agli armamenti, che manifestò già allora acuta percezione di un problema ancora attuale. Sino ad arrivare agli insegnamenti sociali di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
    In questa serie la Caritas in veritate si inserisce sottolineando, anche in questo ambito, la continuità tra la tradizione anteriore e quella successiva al Vaticano II. Richiamandosi in modo particolare alle encicliche del predecessore e soprattutto alle due ultime montiniane, che quaranta giorni prima di morire Paolo VI ricordò come specialmente espressive del suo pontificato:  la Populorum progressio, punto di riferimento continuo e quasi sottotesto di questo documento benedettino, e la Humanae vitae, della quale viene ripresa esplicitamente anche la lettura sociale, come un quarantennio fa avvenne soprattutto nel Terzo mondo a fronte della bufera di critiche, anche all'interno della Chiesa, che nelle ricche società occidentali investirono l'enciclica paolina e sembrarono quasi travolgerla.
    A reggere tutto l'impianto della Caritas in veritate, indirizzata non usualmente ai cattolici e "a tutti gli uomini di buona volontà", è il rapporto tra i due termini del titolo. Connessi con tale forza che da esso viene fatta discendere la possibilità di uno sviluppo integrale della persona e dell'umanità:  assicurato appunto solo dalla "carità nella verità", cioè dall'amore di Cristo. Come mostra con chiarezza l'introduzione. All'interno di questa cornice teologica l'enciclica disegna una summa socialis vigile e aggiornata, che smentisce - se ce ne fosse ancora bisogno - l'immagine di un Papa soltanto teologo chiuso nelle sue stanze e conferma invece quanto Benedetto XVI sia attento, come teologo e pastore, alla realtà contemporanea in tutti i suoi aspetti.
    A spiccare nel testo è dunque, a prima vista, l'attenzione ai fenomeni della mondializzazione e della tecnocrazia, di per sé neutri ma soggetti a degenerazioni a causa - "in termini di fede" specifica il Papa - del peccato delle origini. Uno sguardo meno fuggevole coglie tuttavia la fiducia nella possibilità di uno sviluppo davvero umano, quello che già Paolo VI vedeva racchiuso nel disegno della provvidenza divina, e segno, in qualche modo, del cammino progressivo dalla città dell'uomo a quella di Dio. L'atteggiamento di Benedetto XVI non può dunque essere qualificato come pessimistico a priori, come alcuni vorrebbero, ma nemmeno è assimilabile a ingenui e irresponsabili ottimismi, perché si fonda piuttosto sulla fiducia tipicamente cattolica in una ragione aperta alla presenza del divino.
    Così la sfera economica e la tecnica appartengono all'attività umana e non vanno demonizzate, ma neppure lasciate a se stesse perché devono essere vincolate al bene comune, e cioè governate dal punto di vista etico. Per limitarsi a un solo esempio, il puro fenomeno della globalizzazione non rende di per sé gli uomini fratelli, cosicché con evidenza sono necessarie regole e logiche che la indirizzino.
    Se allora la dimensione economica può - e, anzi, deve - essere umana, se il momento storico è propizio per abbandonare ideologie che soprattutto nel secolo scorso hanno lasciato dietro di sé soltanto rovine, allora davvero è venuto il momento di approfittare dell'occasione offerta dalla crisi mondiale per uscirne insieme, i credenti con le donne e gli uomini di buona volontà. A tutti infatti il Papa scrive che bisogna vivere come una famiglia, sotto lo sguardo del Creatore.

    g. m. v.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:27
      L'introduzione della «Caritas in veritate»

    L'uomo verso la città di Dio


    1.La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s'è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera. L'amore - "caritas" - è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza:  in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr. Gv 8, 22). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, "si compiace della verità" (1 Cor 13, 6). Tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico:  amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell'amore e della verità e ci svela in pienezza l'iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr. Gv 14, 6).

    2. La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l'insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (cfr. Mt 22, 36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni:  rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni:  rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (cfr. 1 Gv 4, 8.16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, "Dio è carità" (Deus caritas est):  dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.

    Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della "veritas in caritate" (Ef 4, 15), ma anche in quella, inversa e complementare, della "caritas in veritate". La verità va cercata, trovata ed espressa nell'"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio.

    3. Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità:  ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario. La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale. Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme "Agápe" e "Lógos":  Carità e Verità, Amore e Parola.

    4. Perché piena di verità, la carità può essere dall'uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è "lógos" che crea "diá-logos" e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell'amore:  è, questo, l'annuncio e la testimonianza cristiana della carità. Nell'attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero, vivere la carità nella verità porta a comprendere che l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale. Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.

    5. La carità è amore ricevuto e donato. Essa è "grazia" (cháris). La sua scaturigine è l'amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo. È amore che dal Figlio discende su di noi. È amore creatore, per cui noi siamo; è amore redentore, per cui siamo ricreati. Amore rivelato e realizzato da Cristo (cfr. Gv 13, 1) e "riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo" (Rm 5, 5). Destinatari dell'amore di Dio, gli uomini sono costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effondere la carità di Dio e per tessere reti di carità.

    A questa dinamica di carità ricevuta e donata risponde la dottrina sociale della Chiesa. Essa è "caritas in veritate in re sociali":  annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società. Tale dottrina è servizio della carità, ma nella verità. La verità preserva ed esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia. È, a un tempo, verità della fede e della ragione, nella distinzione e insieme nella sinergia dei due ambiti cognitivi. Lo sviluppo, il benessere sociale, un'adeguata soluzione dei gravi problemi socio-economici che affliggono l'umanità, hanno bisogno di questa verità. Ancor più hanno bisogno che tale verità sia amata e testimoniata. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali.

    6. "Caritas in veritate" è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi dell'azione morale. Ne desidero richiamare due in particolare, dettati in special modo dall'impegno per lo sviluppo in una società in via di globalizzazione:  la giustizia e il bene comune.

    La giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius:  ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del "mio" all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è "suo", ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso "donare" all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità:  la giustizia è "inseparabile dalla carità" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 22:  aas 59, 1967, 268; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 69), intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, "la misura minima" di essa (Discorso per la giornata dello sviluppo, 23 agosto 1968:  aas 60, 1968, 626-627), parte integrante di quell'amore "coi fatti e nella verità" (1 Gv 3, 18), a cui esorta l'apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia:  il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s'adopera per la costruzione della "città dell'uomo" secondo diritto e giustizia. Dall'altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002 aas 94, 2002, 132-140). La "città dell'uomo" non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo.

    7. Bisogna poi tenere in grande considerazione il bene comune. Amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c'è un bene legato al vivere sociale delle persone:  il bene comune. È il bene di quel "noi-tutti", formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 26). Non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d'incidenza nella pólis. È questa la via istituzionale - possiamo anche dire politica - della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della pólis. Quando la carità lo anima, l'impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell'impegno soltanto secolare e politico. Come ogni impegno per la giustizia, esso s'inscrive in quella testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l'eterno. L'azione dell'uomo sulla terra, quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all'edificazione di quella universale città di Dio verso cui avanza la storia della famiglia umana. In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni (cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963:  aas 55, 1963, 268-270), così da dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio.

    8. Pubblicando nel 1967 l'Enciclica Populorum progressio, il mio venerato predecessore Paolo VI ha illuminato il grande tema dello sviluppo dei popoli con lo splendore della verità e con la luce soave della carità di Cristo. Egli ha affermato che l'annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo (cfr. n. 16:  l.c., 265) e ci ha lasciato la consegna di camminare sulla strada dello sviluppo con tutto il nostro cuore e con tutta la nostra intelligenza (cfr. ibid., 82:  l.c., 297), vale a dire con l'ardore della carità e la sapienza della verità. È la verità originaria dell'amore di Dio, grazia a noi donata, che apre la nostra vita al dono e rende possibile sperare in uno "sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini" (Ibid., 42:  l.c., 278), in un passaggio "da condizioni meno umane a condizioni più umane" (Ibid., 20:  l.c., 267), ottenuto vincendo le difficoltà che inevitabilmente si incontrano lungo il cammino.

    A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell'Enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell'ora presente. Questo processo di attualizzazione iniziò con l'Enciclica Sollicitudo rei socialis, con cui il Servo di Dio Giovanni Paolo II volle commemorare la pubblicazione della Populorum progressio in occasione del suo ventennale. Fino ad allora, una simile commemorazione era stata riservata solo alla Rerum novarum. Passati altri vent'anni, esprimo la mia convinzione che la Populorum progressio merita di essere considerata come "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea", che illumina il cammino dell'umanità in via di unificazione.

    9. L'amore nella verità - caritas in veritate - è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12, 21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.

    La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36; Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 4:  aas 63, 1971, 403-404; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 1° maggio 1991, 43:  aas 83, 1991, 847) e non pretende "minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati" (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 13:  l.c., 263-264). Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio:  essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 76).




    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:29

    Per leggere l'enciclica


    Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. (12)

    La Chiesa propone con forza il collegamento tra etica della vita e etica sociale. (15)

    Solo se libero, lo sviluppo può essere integralmente umano; solo in un regime di libertà responsabile esso può crescere in maniera adeguata. (17)

    L'esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà. (21)

    Continua "lo scandalo di disuguaglianze clamorose". La corruzione e l'illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. (22)

    Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove delocalizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. (25)

    L'insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori. (25)

    L'estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. (25)

    Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità. (25)

    Il problema dell'insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. (27)

    È necessario che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni. (27)

    Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l'importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli. (28)

    Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale. (28)

    Preoccupanti sono tanto le legislazioni che prevedono l'eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico. (28)

    La carità non esclude il sapere, anzi lo richiede, lo promuove e lo anima dall'interno. Il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza. (30)

    Le valutazioni morali e la ricerca scientifica devono crescere insieme e la carità deve animarle in un tutto armonico interdisciplinare, fatto di unità e di distinzione. (31)

    I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. (32)

    L'abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori o la rinuncia a meccanismi di ridistribuzione del reddito per far acquisire al Paese maggiore competitività internazionale impediscono l'affermarsi di uno sviluppo di lunga durata. (32)

    All'elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si è aggiunto ormai da molto tempo anche quello dell'economia. (34)

    Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave. (35)

    I poveri non sono da considerarsi un "fardello", bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico. (35)

    L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune, di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica. (36)

    Nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. (36)

    Ogni decisione  economica  ha  una conseguenza di carattere morale. (37)

    Accanto all'impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. È dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si può attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d'impresa e dunque un'attenzione sensibile alla civilizzazione dell'economia. (38)

    La vittoria sul sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. (39)

    La gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa:  i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento. (40)

    Non è però lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile. (40)

    La concezione più ampia di imprenditorialità favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa, da quello pubblico a quello proprio della società civile, da quello delle economie avanzate a quello dei Paesi in via di sviluppo. (41)

    Considerare l'aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico. (44)

    L'economia  ha  bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di  un'etica  qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona. (45)

    Si sviluppa una "finanza etica", soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno. (45)

    In questi ultimi decenni è andata emergendo un'ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Essa è costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione. (46)

    Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale. Questo è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l'umanità intera. (48)

    La comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri. (49)

    Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico. (49)

    Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. (57)

    La cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano. (59)

    Una solidarietà più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggiore accesso all'educazione. (61)

    Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione. (62)

    Nella considerazione dei problemi dello sviluppo, non si può non mettere in evidenza il nesso diretto tra povertà e disoccupazione. I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano. (63)

    Il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. (64)

    C'è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell'impresa. (66)

    È fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l'urgenza della riforma sia dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che dell'architettura economica e finanziaria internazionale. (67)

    Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l'assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell'uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. (74)

    La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo. (75)

    Lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un'"unità di anima e corpo", nata dall'amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. (76)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:51

    Un nuovo progetto di sviluppo globale


    di Francesco M. Valiante

    Più etica nella finanza, gratuità come antidoto alla logica del profitto, iniezione di solidarietà nei meccanismi del mercato:  nessuna ricetta miracolistica o pretesa dogmatica, ma la ragionevole convinzione che "l'adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale". Ecco in sintesi quanto propone la nuova enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, presentata martedì mattina, 7 luglio, nella Sala Stampa della Santa Sede.

    Già le premesse sgombrano il campo da equivoci e confusioni di ruolo. La Chiesa non ha in tasca "soluzioni tecniche" ai drammatici problemi della crisi mondiale né "pretende minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati". Tuttavia non rinuncia alla sua "missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua
    dignità, della sua vocazione".

    Nasce da qui la sua dottrina sociale, che è appunto caritas in veritate in re sociali, "annuncio della verità dell'amore di Cristo nella società".

    Solo nella verità - "da qualsiasi sapere provenga" precisa il documento richiamando la necessità del dialogo tra fede e ragione - la carità diventa "via maestra della dottrina sociale della Chiesa" ed "elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane". Senza di essa, invece, rischia di scivolare nel sentimentalismo o finire preda di manipolazioni che ne stravolgono il significato, trasformandola nel suo esatto contrario. La verità, si legge nell'enciclica, "esprime la forza di liberazione della carità nelle vicende sempre nuove della storia". Forza che trova il suo sbocco naturale nella giustizia - "chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro" ricorda il Papa - e nel bene comune, che della carità rappresenta "la via istituzionale" e "politica".

    Su questa base concettuale - in continuità con le due precedenti encicliche Deus caritas est e Spe salvi - la riflessione di Benedetto XVI propone una rilettura della Populorum progressio di Paolo VI, il cui messaggio è ancora attuale a distanza di oltre quarant'anni dalla pubblicazione. Tanto da spingere il Papa a definirla "la Rerum novarum dell'epoca contemporanea, che illumina il
    cammino dell'umanità in via di unificazione". Ma in realtà è l'intero insegnamento sociale dei Pontefici - innestato nella "tradizione sempre vitale della Chiesa" e illuminato soprattutto dal Concilio Vaticano II - a fare da sfondo alla Caritas in veritate. Che dunque, al pari del testo montiniano, non può essere letta al di fuori di questo corpus di riferimento senza ridursi a un documento privo di radici o a un semplice elenco di "dati sociologici".

    In questa prospettiva le intuizioni della Populorum progressio - che ignorava i recenti sviluppi della globalizzazione ma ne ha anticipato profeticamente avvento e dinamiche - rivelano una sorprendente modernità. Anche perché mostrano quanto poco si è fatto in questi quarant'anni e quanto resta da fare per dar voce ai "popoli della fame" che ancora oggi "interpellano in maniera drammatica i popoli dell'opulenza", come scriveva nel 1967 Papa Montini. Il quale avvertiva, in particolare, che l'autentico sviluppo riguarda la persona nella sua integralità - "se non è di tutto l'uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo" - e dipende dalla realizzazione di una reale fraternità tra i popoli.

    Alla verifica dei fatti le preoccupazioni di Paolo VI si sono rivelate fondate. "Il progresso - riconosce Benedetto XVI - resta ancora un problema aperto". Lo dimostra il bilancio dell'attuale modello di sviluppo, che pur avendo creato ricchezza e benessere per molte popolazioni del mondo "è stato e continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall'attuale situazione di crisi". La denuncia del Pontefice è netta e circostanziata:  nel mondo aumentano le disuguaglianze, nascono nuove povertà, permangono illegalità e corruzione, sono disattesi i diritti dei lavoratori, vengono sfruttate indiscriminatamente le risorse della terra. Per questo continua a essere "un dovere" per la comunità internazionale la "riprogettazione globale dello sviluppo" a partire da "una nuova sintesi umanistica". Occorrono realismo, fiducia e speranza - suggerisce il Papa - per affrontare soprattutto le inedite responsabilità derivanti dalla crisi economica, che può trasformarsi così in "occasione di discernimento e di nuova progettualità".

    L'enciclica evita le secche ideologiche e le disquisizioni accademiche - nel testo non compaiono mai termini come capitalismo, socialismo, comunismo, proprietà privata - ma non si sottrae a un'analisi senza sconti dell'attuale sistema di mercato. A partire dall'affermazione che "il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato a un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo". Al contrario, se questo manca, "rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Come avviene, per esempio, quando la corsa alla competitività provoca tagli di spesa e riduzione dei posti di lavoro, con la conseguente creazione di "situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale". O quando sperequazioni agrarie, speculazioni e irresponsabilità internazionali sottraggono a intere popolazioni il diritto all'alimentazione e l'accesso all'acqua. O ancora, quando politiche di controllo demografico - basate sull'erronea convinzione che l'aumento della popolazione sia la causa del sottosviluppo - giustificano pratiche antinataliste ed eugenetiche in nome di un malinteso "progresso culturale". Si dimentica così - ammonisce Benedetto XVI - che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, la sua integrità". E soprattutto che "i costi umani sono sempre anche costi economici".

    Proprio in questa chiave l'enciclica legge i fenomeni e propone i correttivi:  non soltanto alla luce di criteri etici ma anche in termini di ragionevolezza economica. Perché - è convinzione del Papa - il "principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto entro la normale attività economica". Senza forme di solidarietà e fiducia reciproca - afferma - "il mercato non può pienamente espletare la propria funzione". Gli stessi poveri non vanno considerati "un fardello" ma "una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico". Si tratta, in definitiva, di realizzare "una forma concreta e profonda di democrazia economica" attraverso l'apertura dei rapporti mercantili ad attività produttive che - superando la tradizionale distinzione tra imprese profit e non profit - perseguano fini solidaristici con "quote di gratuità e comunione":  un'opera di "civilizzazione dell'economia" - la definisce il Pontefice - che risponde a "un'esigenza della stessa ragione economica" oltre che della verità e della carità.

    Per governare la globalizzazione Benedetto XVI invoca anche una rivalutazione del ruolo dei poteri pubblici nazionali. E chiede per le imprese "una più ampia responsabilità sociale" che tenga conto del "significato morale, oltre che economico" delle scelte di gestione e di investimento. Riproponendo il legame tra "ecologia ambientale" ed "ecologia umana", richiama a "un governo responsabile della natura" soprattutto attraverso oculate politiche energetiche e nuovi stili di vita più sobri. In ogni caso - avverte - il progresso tecnico deve sempre trovare un orizzonte di senso, evitando quella "mentalità tecnicistica" in base alla quale il vero coincide con il fattibile. Anche qui la strada indicata è quella di una riconciliazione tra fede e ragione sul terreno della difesa della vita - manipolazioni genetiche ed eutanasia preoccupano in particolare il Papa - e del futuro dell'uomo.

    L'enciclica riafferma poi lo stretto rapporto tra sviluppo dei popoli e tutela dei diritti. Per la religione, in particolare, il Pontefice reclama libertà e "statuto di cittadinanza" nella sfera pubblica, invitando alla collaborazione credenti e non credenti. In questo contesto rilancia il principio di sussidiarietà come l'"antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista", ma al tempo stesso rinnova agli Stati più avanzati la richiesta di destinare maggiori aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri.

    Quanto al sistema finanziario globale - messo sul banco degli imputati per l'attuale crisi economica - Benedetto XVI auspica che esso recuperi i suoi fondamenti etici e torni a essere "uno strumento finalizzato alla miglior produzione di ricchezza e allo sviluppo".

    Nell'immediato chiede soprattutto una regolamentazione del settore in grado di "garantire i soggetti più deboli e impedire scandalose speculazioni". Ma l'orizzonte dell'enciclica va oltre le visioni di corto respiro, per invocare una riforma complessiva dell'architettura economica e finanziaria internazionale che proceda di pari passo con quella dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e con la creazione di un'"Autorità politica mondiale" - sulla scia dell'analoga richiesta fatta a suo tempo da Giovanni XXIII - ordinata alla realizzazione del bene comune e di "un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    00martedì 7 luglio 2009 20:53

    Progresso è difesa della vita


    Il 29 giugno 1978, solennità dei santi Pietro e Paolo. Per il XV anniversario della sua incoronazione Paolo VI pronunciò un'omelia che costituisce un vero e proprio bilancio dell'intero pontificato. È l'ultimo grande discorso pubblico di Papa Montini e in un passaggio - che qui di seguito riportiamo - richiama alcuni punti della Populorum progressio e dell'Humanae vitae ai quali l'odierna Caritas in veritate si richiama in modo esplicito e continuo.

    Noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con parole gravissime che "Dio, padrone della Vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita"! (Gaudium et spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l'assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.

    Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento.
    Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con l'enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967).

    Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ammoniva che "la vita, una volta concepita, dev'essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti" (51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna quando, dieci anni fa, promanammo l'enciclica Humanae Vitae (25 luglio):  ispirato all'intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!

    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    00martedì 7 luglio 2009 20:55
    Presentata la «Caritas in veritate»

    L'enciclica più attesa


    Sala stampa affollata come nelle grandi occasioni per la presentazione della Caritas in veritate, l'enciclica sociale di Benedetto XVI. Oltre duecento inviati di testate internazionali, una ventina di emittenti televisive, altrettante radiofoniche, decine di fotografi, cardinali, arcivescovi e vescovi in prima fila oltreché al tavolo della presentazione. Senza ombra di dubbio la Caritas in veritate un record lo ha già stabilito:  è l'enciclica più attesa della storia recente della Chiesa. Attesa non solo in ordine di tempo di pubblicazione - della sua uscita si parlava ormai da quasi due anni - ma anche per quanto riguarda i contenuti, nonostante le indiscrezioni dei media - "a volte molto fantasiose" come ha detto proprio questa mattina monsignor Crepaldi - e i numerosi accenni fatti dal Papa stesso in varie occasioni.



    Sta di fatto che questa mattina, martedì 7 luglio, l'aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, era gremita. I cardinali Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor unum, l'arcivescovo-vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi, sino alla vigilia segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all'università di Bologna, hanno presentato ufficialmente l'enciclica.

    Dei loro interventi preordinati pubblichiamo ampie sintesi in questa pagina. Tuttavia le domande poste successivamente dai giornalisti presenti hanno chiamato i relatori a ulteriori approfondimenti su alcune questioni:  le più ricorrenti quelle relative alla possibile identificazione dell'enciclica come pro o contro il capitalismo, all'individuazione delle organizzazioni internazionali da rifondare come destinatarie del documento papale, ai motivi che avrebbero indotto a non citare mai l'indebitamento dei Paesi più poveri, le situazioni di guerra, ai possibili presupposti etici del capitalismo, sino all'evoluzione complessiva dell'enciclica.

    Alternandosi, i relatori hanno sostanzialmente ribadito intanto che nessun documento pontificio si può considerare pro o contro qualcosa o qualcuno. Dunque non sarebbe corretto definire questa enciclica più o meno anticapitalista; e ciò non cambia anche se nel testo non si usa mai la parola capitalismo. Secondo Zamagni il documento è da interpretare come un qualcosa che invita ad andare oltre queste categorie. Così come non si parla esplicitamente di Paesi indebitati perché - come ha sottolineato il cardinale Cordes - il Papa chiede di cambiare quelle regole finanziarie che inducono l'indebitamento dei Paesi poveri:  abbattere i loro debiti rientrerebbe nella logica degli interventi umanitari per l'immediato, i quali non risolvono il problema di fondo. Inutile dunque continuare a chiedere l'abbattimento del debito se non si cambiano le regole; se così non fosse dopo un certo numero di anni si ripresenterebbe la situazione dell'indebitamento.

    In questo senso la richiesta anche di una riforma delle Nazioni Unite. L'enciclica - ha spiegato il cardinale Martino - non chiede un supergoverno mondiale. Ma non lo chiede neppure la Santa Sede quando auspica un cambiamento dell'Onu, "invocandone anzi una maggiore autorità e una maggiore rappresentatività". Un atteggiamento - ha fatto notare monsignor Crepaldi - non nuovo nella storia della Chiesa "poiché già Giovanni XXIII, prima di scrivere la Pacem in terris, auspicò proprio un cambiamento nelle organizzazioni internazionali".

    Quanto alla genesi dell'enciclica è stato spiegato che la stesura non ha richiesto più di due anni di lavoro. Per quanto riguarda il sopraggiungere della crisi economico-finanziaria "quello che è accaduto - ha spiegato il cardinale Martino - era stato definito come possibile se le cose non fossero cambiate. E non sono cambiate. E avrebbero detto che l'encliclica sarebbe stata profetica". (
    mario ponzi)


    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    00martedì 7 luglio 2009 20:56
    Il cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

    Uno sviluppo umano integrale


    di Renato Raffaele Martino

    Cardinale, presidente del Pontificio Consiglio
    della Giustizia e della Pace


    La Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un'enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione che siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII e arriva dopo diciotto anni dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, durante i quali grandi cambiamenti sono avvenuti nella società.
    Le ideologie politiche, che avevano caratterizzato l'epoca precedente al 1989, sembrano aver perso di virulenza, sostituite però dalla nuova ideologia della tecnica.

    Secondo elemento:  l'accentuazione dei fenomeni di globalizzazione determinati, da un lato, dalla fine dei blocchi contrapposti e, dall'altro, dalla rete informatica e telematica mondiale.

    Terzo elemento di cambiamento:  le religioni. Molti osservatori notano che in questo ventennio, pure a seguito della fine dei blocchi politici contrapposti, le religioni sono tornate alla ribalta della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno, spesso contraddittorio e da decifrare con attenzione, si contrappone un laicismo militante, e talvolta esasperato, che tende a estromettere la religione dalla sfera pubblica.

    Quarto e ultimo cambiamento:  l'emergenza di alcuni grandi Paesi da una situazione di arretratezza, che sta mutando notevolmente gli equilibri geopolitici mondiali. La funzionalità degli organismi internazionali, il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento sono anche collegate con questo fenomeno, positivo in sé, ma dirompente e che ha bisogno di essere bene indirizzato. Torna qui il problema della governance internazionale.

    Queste quattro grandi novità basterebbero da sole a motivare la scrittura di una nuova enciclica sociale. All'origine della Caritas in veritate, c'è, però, un altro motivo. Essa infatti inizialmente era stata pensata come una commemorazione dei 40 anni della Populorum progressio di Paolo VI.

    Il tema della Caritas in veritate non è lo "sviluppo dei popoli", ma "lo sviluppo umano integrale", senza che questo comporti una trascuratezza del primo. Si può dire, quindi, che la prospettiva della Populorum progressio venga allargata, in continuità con le sue profonde dinamiche.

    La Caritas in veritate dimostra con chiarezza non solo che il pontificato di Paolo VI non ha rappresentato nessun "arretramento" nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa, come troppo spesso si è detto, ma che questo Papa ha contribuito in modo significativo ad impostare la visione della Dottrina sociale della Chiesa sulla scia della Gaudium et spes e della tradizione precedente e ha costituito le basi, su cui si è poi potuto inserire Giovanni Paolo II.

    A parte l'utilizzo di alcuni spunti particolari relativi alle problematiche specifiche dello sviluppo dei Paesi poveri, la Caritas in veritate fa proprie tre prospettive di ampio respiro, contenute nell'enciclica di Paolo VI. La prima è l'idea che "il mondo soffre per mancanza di pensiero". La Caritas in veritate sviluppa questo spunto articolando il tema della verità dello sviluppo e nello sviluppo fino a sottolineare l'esigenza di una interdisciplinarità ordinata dei saperi e delle competenze a servizio dello sviluppo umano. La seconda è l'idea che "non vi è umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto" e anche la Caritas in veritate si muove nella prospettiva di un umanesimo veramente integrale. Il traguardo di uno sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini è ancora davanti a noi. La terza è che all'origine del sottosviluppo c'è una mancanza di fraternità. Anche Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità quando invitava ad operare "con tutto il loro cuore e tutta la loro intelligenza".

    La Caritas in veritate parla anche della attuale crisi economica e finanziaria. La stampa si è dimostrata interessata soprattutto a questo aspetto e i giornali si sono chiesti cosa avrebbe detto la nuova enciclica sulla crisi in atto. Vorrei dire che il tema centrale dell'enciclica non è questo, però la Caritas in veritate non si è sottratta alla problematica. L'ha affrontata, non in senso tecnico, ma valutandola alla luce dei principi di riflessione e dei criteri di giudizio della Dottrina sociale della Chiesa e all'interno di una visione più generale dell'economia, dei suoi fini e della responsabilità dei suoi attori. La crisi in atto mette in evidenza, secondo la Caritas in veritate, che la necessità di ripensare il modello economico cosiddetto "occidentale", richiesta dalla Centesimus annus, non è stata attuata fino in fondo.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    00martedì 7 luglio 2009 20:58
      Il cardinale Cordes, presidente di Cor Unum

    Non è una «terza via»


    di Paul Josef Cordes

    Cardinale, presidente
    del Pontificio Consiglio «Cor Unum»


    La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, sulla teologia della carità, conteneva indicazioni sulla dottrina sociale. Ora siamo di fronte a un testo dedicato interamente a questa materia. Ma balza agli occhi che il concetto centrale resta la caritas, intesa come amore divino manifestato in Cristo.

    La Chiesa è stata costituita per essere sacramento di salvezza per tutti i popoli. La sua missione la strappa a un malinteso ricorrente:  secolarizzarla fino a farne un agente politico. La Chiesa ispira, ma non fa politica. La Chiesa non è un partito né un attore politicizzante. Lo stesso cardinale Ratzinger si è opposto negli anni '80 a questo possibile malinteso.

    Questo implica che la dottrina sociale della Chiesa non è una "terza via", cioè un programma politico da realizzare per giungere a una società perfetta. Chi la pensa così rischia paradossalmente di preparare una teocrazia, dove i principi validi nel discorso della fede diventano tout court principi da applicare al vivere sociale, sia per chi crede, sia per chi non crede, abbracciando anche la violenza. Di fronte a tali errori, la Chiesa salvaguarda, insieme alla libertà religiosa, la giusta autonomia dell'ordine creato.

    In positivo, l'enciclica Caritas in veritate esprime il significato della dottrina sociale della Chiesa in diverse parti, quando ne va del rapporto tra evangelizzazione e promozione umana. Mentre finora l'accento della dottrina sociale era piuttosto sull'azione per promuovere la giustizia, ora si avvicina in senso lato alla pastorale:  la dottrina sociale è affermata elemento dell'evangelizzazione. Cioè l'annuncio di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli ha una sua attualizzazione anche rispetto al vivere sociale.

    Quest'affermazione contiene due aspetti. Non possiamo leggere la dottrina sociale fuori dal contesto del Vangelo e del suo annuncio. La dottrina sociale, come mostra questa enciclica, nasce e si interpreta alla luce della rivelazione. D'altra parte, la dottrina sociale non si identifica con l'evangelizzazione, ma ne è un elemento. Il Vangelo riguarda il vivere dell'uomo anche in relazioni sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono, ma non si può restringere l'uomo al suo vivere sociale. E dunque la dottrina sociale della Chiesa non può sostituire tutta l'opera di annuncio del Vangelo.

    Nella logica di questa enciclica si affaccia prepotentemente un ulteriore passaggio, forse una terza fase della riflessione della dottrina sociale. Non è un caso se si è posta la carità come punto di snodo:  dunque la carità divina cui risponde come atto umano una virtù teologale. L'uomo non si pone solo come obiettivo di un processo, ma come il soggetto di questo processo. L'uomo che ha conosciuto Cristo si fa attore di cambiamento perché la dottrina sociale non resti lettera morta.




    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 20:59
    L'arcivescovo Giampaolo Crepaldi

    Le principali novità


    di Giampaolo Crepaldi

    Arcivescovo-vescovo di Trieste

    Il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l'annuncio di Cristo. Da ciò derivano le importanti precisazioni della Caritas in veritate sulla natura della dottrina sociale.
    La prima riguarda la sua appartenenza alla Tradizione viva della Chiesa. La seconda è che il punto di vista non è la realtà sociologicamente intesa, ma la fede apostolica. Queste importanti precisazioni di Benedetto XVI provengono dalla considerazione dell'importanza fondativa della Verità e dell'Amore per l'organizzazione sociale.

    Altra novità:  i due fondamentali diritti alla vita e alla libertà religiosa trovano per la prima volta un'esplicita e corposa collocazione in un'enciclica sociale. Non che nelle precedenti encicliche fossero stati trascurati, ma certamente qui sono organicamente collegati con il tema dello sviluppo e la Caritas in veritate ne mette in evidenza le ricadute negative anche di ordine economico e politico sullo sviluppo quando non venissero rispettati. Nella Caritas in veritate la cosiddetta "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale". La procreazione e la sessualità, l'aborto e l'eutanasia, le manipolazioni dell'identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l'accoglienza del debole. Queste indicazioni della Caritas in veritate non hanno solo valore esortativo, ma invitano ad un nuovo pensiero e a una nuova prassi per lo sviluppo che tengano conto delle sistematiche interconnessioni tra i temi antropologici legati alla vita e alla dignità umana e quelli economici, sociali e culturali relativi allo sviluppo.

    Ci sono inoltre nell'enciclica due tematiche nuove. La prima è quella dell'ambiente richiamata anche dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. La Caritas in veritate propone un'impostazione in termini di precedenza del ricevere sul fare:  da una natura come deposito di risorse materiali alla natura vista come parola creata. I due diritti alla vita e alla libertà religiosa, sono strettamente collegati dalla Caritas in veritate con l'ecologia ambientale. Questa, infatti, deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità. Tentazioni ideologiche oggi presenti in molte versioni dell'ecologismo. L'impegno per l'ambiente non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana.

    L'altro tema nuovo è l'ampia trattazione del problema della tecnica:  è la prima volta che un'enciclica affronta in modo così organico questo tema, dopo gli approfondimenti antropologici sulla tecnica della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. L'idea di fondo è che la crisi delle grandi ideologie politiche abbia lasciato il campo alla nuova ideologia della tecnica o, possiamo dire, alla "tecnicità" come mentalità. Si tratta della più grande sfida al principio della precedenza del ricevere sul fare. La mentalità esclusivamente tecnica, infatti, riduce tutto a puro fare. Per questo essa si sposa bene con la cultura nichilista e relativista.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00martedì 7 luglio 2009 21:00
    L'economista Stefano Zamagni

    Un nuovo ordine economico


    di Stefano Zamagni

    Università di Bologna

    Tre sono i principali fattori strutturali dell'attuale crisi. Il primo concerne il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi consolidatosi nell'ultimo trentennio.
    A partire dalla metà degli anni '70 del secolo scorso, i Paesi occidentali hanno condizionato le loro promesse in materia pensionistica a investimenti che dipendevano dalla profittabilità sostenibile dei nuovi strumenti finanziari. Al tempo stesso, la creazione di questi strumenti ha via via esposto l'economia reale ai capricci della finanza, generando il bisogno crescente di destinare alla remunerazione dei risparmi in essi investiti quote crescenti di valore aggiunto.

    Il secondo fattore è la diffusione a livello di cultura popolare dell'ethos dell'efficienza come criterio ultimo di giudizio e di giustificazione della realtà economica. Per un verso, ciò ha finito col legittimare l'avidità - che è la forma più nota e più diffusa di avarizia - come una sorta di virtù civica. Per l'altro esso è all'origine dell'alternanza sistematica di avidità e panico.

    La terza causa ha a che vedere con la matrice culturale che si è andata consolidando negli ultimi decenni sull'onda del processo di globalizzazione e dall'avvento della terza rivoluzione industriale:  quella delle tecnologie info-telematiche, della quale due aspetti specifici sono rilevanti. Il primo riguarda la presa d'atto che alla base dell'economia capitalistica è presente una seria contraddizione di tipo pragmatico. Quella capitalistica è certamente un'economia di mercato, cioè un assetto istituzionale in cui sono presenti e operativi i due principi basilari della modernità:  la libertà di agire e fare impresa; l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge.

    Al tempo stesso, però l'impresa capitalistica è andata edificandosi nel corso degli ultimi tre secoli sul principio di gerarchia. Ha preso così corpo un sistema di produzione in cui vi è una struttura centralizzata alla quale un certo numero di individui cedono, in cambio di un prezzo (salario), alcuni dei loro beni e servizi, che una volta entrati nell'impresa sfuggono al controllo di quanti li hanno forniti.

    Il secondo aspetto riguarda l'insoddisfazione, sempre più diffusa, circa il modo di interpretare il principio di libertà, e le sue tre dimensioni costitutive:  autonomia, immunità, capacitazione (capacità di azione). Mentre l'approccio liberal-liberista vale ad assicurare la prima e la seconda l'approccio stato-centrico, vuoi nella versione dell'economia mista vuoi in quella del socialismo di mercato, tende a privilegiare la seconda e la terza a scapito della prima. La sfida da raccogliere è allora quella di fare stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà.

    È dunque quanto mai opportuna l'insistenza della Caritas in veritate sulla necessità di attuare una governance globale, di tipo sussidiario e poliarchico. Ciò implica il rifiuto di dare vita a una sorta di superstato e l'urgenza di completare e aggiornare l'opera svolta nel 1944 a Bretton Woods quando si disegnò il nuovo ordine economico internazionale. Si tratta di affiancare all'attuale assemblea delle Nazioni unite una seconda assemblea in cui siedano i rappresentanti delle varie espressioni della società civile transnazionale; dare vita al Consiglio di sicurezza socio-economica delle Nazioni unite in appoggio a quelle di sicurezza militare; istituire una Organizzazione mondiale delle migrazioni e una Organizzazione mondiale per l'ambiente; intervenire sul Fondo monetario internazionale per affrontare il problema di una valuta globale e realizzare la riforma delle riserve monetarie globali, come è stato proposto dalla conferenza delle Nazioni unite del 23 giugno scorso.



    (©L'Osservatore Romano - 8 luglio 2009)
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    00mercoledì 8 luglio 2009 16:53
    Carità e verità: la Chiesa ispira ma non fa politica

    Il Cardinale Paul Josef Cordes presenta la nuova enciclica del Papa



    di Carmen Elena Villa

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Nella sua enciclica, pubblicata questo martedì, Benedetto XVI non pretende di fare politica ma di fornire degli spunti di riflessione presentando la “carità nella verità” come il giusto orientamento per la vita personale e comunitaria.
    Lo ha affermato il Cardinale Paul Josef Cordes, in occasione della presentazione in Sala Stampa vaticana della enciclica “Caritas in Veritate”. Due termini chiave nel magistero sociale pontificio, che mostrano ancora tutta la loro attualità, ha sottolineato il porporato.

    L'obiettivo della dottrina sociale della Chiesa

    Il Cardinale Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l'organismo vaticano che si occupa della promozione umana e cristiana attraverso la carità e il sostegno ai più bisognosi, ha affermato che il testo papale mette in luce nuovamente il ruolo della Chiesa nella promozione dell'assistenza sociale. Secondo il porporato l'enciclica “inspira ma non fa politica”, e non rappresenta una “terza via” rispetto al comunismo e al capitalismo finalizzata al raggiungimento di una società perfetta o di un “paradiso terrestre”.Il Cardinale ha precisato che la dottrina sociale della Chiesa è un elemento di evangelizzazione: “Cioè l'annuncio di Cristo morto e risorto che la Chiesa proclama lungo i secoli” e che “ha una attualizzazione anche rispetto al vivere sociale”.Per questo ha assicurato che l'enciclica non può essere letta al di fuori del contesto del Vangelo, che “riguarda il vivere dell’uomo anche in relazioni sociali e in istituzioni che da queste relazioni nascono".

    Tuttavia, ha spiegato, “non si può restringere l’uomo al suo vivere sociale”.Il Cardinale Cordes ha evidenziato che la Rivelazione deve essere un elemento chiave nel tema sociale: “I principi della dottrina sociale non sono dunque rimasti meramente filosofici, ma hanno la loro origine in Cristo e nella sua Parola”. Secondo il porporato, la nuova enciclica tratta in maniera più esplicita e pratica il tema della carità, già affrontato su un piano più teorico dal Papa nella sua prima enciclica "Deus caritas est", definendolo come “la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. Piuttosto che essere un sistema ideologico o un manife sto politico privo d'anima, la dottrina sociale “impegna invece in primo luogo il cristiano a 'incarnare' la sua fede”, ha detto il Cardinale.

    "La carità – scrive il Papa nell'ultima enciclica – manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico ad ogni impegno nel mondo".

    Il primo capitale, l'uomo

    Il presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” ha quindi messo in risalto la visione dell'essere umano che emerge dalla dottrina sociale e che viene ribadita in questa enciclica: “ "Il primo capitale da salvaguardare e da valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità”. Per questo, assicura il Papa, "la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”.Tuttavia, l'uomo non può essere inserito all'interno di un orizzonte solamente terreno, interessat o solo ai beni materiali, lasciando in secondo piano le questioni morali: "Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune", afferma il Papa.

    In questa maniera, il Pontefice ha approfondito quanto già affermato nella “Deus caritas est”, dove mette in rilievo le caratteristiche di coloro che lavorano negli organismi caritatevoli. Pur affermando che la società è ferita dal peccato, il Papa assicura che “non c' è società nuova senza uomini nuovi”. Il Cardinale Cordes ha quindi osservato come il Papa abbia voluto concludere la sua enciclica sottolineando l'importanza della preghiera in una vita plasmata dalla carità: “Dio rinnova il cuore dell’uomo perché questi possa dedicarsi a vivere nella carità e nella giustizia”.

    “Perciò i cristiani – ha affermato il porporato – non stanno semplicemente alla finestra a guardare o a protestare, contagiati dalla moderna cultura della denuncia (Kultur des Einspruchs), ma si lasciano convertire per costruire, in Dio, una cultura nuova. Questo vale anche per i membri della Chiesa, singoli o associati”.
    Cattolico_Romano
    00mercoledì 8 luglio 2009 16:55
    Le grandi novità dell’Enciclica “Caritas in Veritate”

    La "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale"



    di Antonio Gaspari

    ROMA, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Da oltre un anno i mass media di tutto il mondo hanno cercato di fornire anticipazioni e dettagli dell’Enciclica sociale di Benedetto XVI. In molti casi hanno raccontato cose fantasiose.

    Adesso che l’Enciclica è uscita, bisogna valutarne le novità e precisarne le sfide.In particolare, a spiegarne il progetto culturale e le rilevanti novità, è stato monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, appena nominato dal Santo Padre, Arcivescovo di Trieste.Intervenendo nella Sala Stampa vaticana martedì 6 lugl io, monsignor Crepaldi ha indicato la grammatica dell’Enciclica con la frase “il ricevere precede il fare” spiegando che la ‘Caritas in Veritate’ propone una vera e propria "conversione" verso una nuova sapienza sociale. Nel contesto in cui dai doveri nascono i diritti, il neo Arcivescovo di Trieste ha affermato che “bisogna convertirsi a vedere l’economia e il lavoro, la famiglia e la comunità, la legge naturale posta in noi ed il creato posto davanti a noi e per noi, come una chiamata” perchè secondo la dottrina cristiana lo sviluppo è una “vocazione” che implica “una assunzione solidale di responsabilità per il bene comune”.Per fare in modo che la società sarà una vera comunità, le cui relazioni siano dettate dalla fraternità, la “Caritas in Veritate” ritiene che la verità e l’a more abbiano una forza sociale fondamentale.

    L’Enciclica di Benedetto XVI sostiene che “la società ha bisogno di verità e di amore” ed “il cristianesimo è la religione della Verità e dell’Amore”, per questo motivo “il più grande aiuto che la Chiesa può dare allo sviluppo è l’annuncio di Cristo”.Verità e amore sono fondanti per l’organizzazione sociale e svolgono una funzione di "purificazione" per l’economia e per la politica.Monsignor Crepaldi ha sottolineato che, per la prima volta in una Enciclica sociale, il diritto alla vita e alla libertà religiosa trovano una esplicita e corposa collocazione in relazione allo sviluppo.

    Nella “Caritas in Veritate” (ai punti 28, 44 e 75) la cosiddetta "questione antropologica" diventa a pieno titolo "questione sociale". “ La procreazione e la sessualità - ha aggiunto -, l’aborto e l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono valutati come problemi sociali di primaria importanza che, se gestiti secondo una logica di pura produzione, deturpano la sensibilità sociale, minano il senso della legge, corrodono la famiglia e rendono difficile l’accoglienza del debole”.

    L’Enciclica ribadisce che “non sarà più possibile, impostare programmi di sviluppo solo di tipo economico-produttivo che non tengano sistematicamente conto anche della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”.Altra tematica nuova è quella dell’ambiente. Il Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha sostenuto che “l’ecologia ambientale deve liberarsi da alcune ipoteche ideologiche (presenti in molte versio ni dell’ecologismo) che consistono nel trascurare la superiore dignità della persona umana e nel considerare la natura solo materialisticamente prodotta dal caso o dalla necessità”.

    “L’impegno per l’ambiente – ha affermato mons. Crepaldi – non sarà pienamente fruttuoso se non verrà sistematicamente associato al diritto alla vita della persona umana, primo elemento di una ecologia umana che faccia da cornice di senso per una ecologia ambientale”.Novità assoluta anche la trattazione che l’Enciclica svolge nei confronti del problema della tecnica che spesso sfocia in una mentalità che può chiamarsi "tecnicità".

    “Il rischio – ha rilevato mons. Crepaldi – è che la mentalità esclusivamente tecnica, riduca tutto a puro fare e si sposi con la cultura nichilista e relativista”.Per il neo Arcivesco vo di Trieste la “Caritas in Veritate” è una grande proposta culturale e di mentalità a servizio dell’autentico sviluppo, perchè le risorse da utilizzare per lo sviluppo non sono solo economiche, ma immateriali e culturali, di mentalità e di volontà.

    In questo contesto si richiede una nuova prospettiva sull’uomo che solo il Dio che è Verità e Amore può dare.Monsignor Crepaldi ha precisato che “verità e amore sono gratuiti, superano la semplice dimensione della fattibilità e ci aprono alla dimensione dell’indisponibile”.

    Si tratta del principio secondo cui la reciprocità propria della fraternità entra pienamente dentro i meccanismi economici ed è motivo di ridistribuzione, di giustizia sociale e di solidarietà non successivamente o a latere degli stessi.

    E’ in questo cont esto che la gratuità della verità e dell’amore conducono verso il vero sviluppo anche perché eliminano riduzionismi e visioni interessate. In conclusione, monsignor Crepaldi ha constatato che l’Enciclica ha il grande merito di togliere di mezzo visioni obsolete, schemi di analisi superati, semplificazioni di problemi complessi, quali: un eccessivo riduzionismo Nord-Sud dei problemi dello sviluppo, dopo il crollo del riduzionismo Est-Ovest; una frequente sottovalutazione dei problemi culturali del sottosviluppo; un ecologismo spesso separato da una completa visione della persona umana; l’attenzione verso i problemi economici in senso stretto più che verso quelli istituzionali; una visione assistenzialista e non sussidiaria dello sviluppo. L’attenzione è ancora una volta indirizzata all’uomo concreto, oggetto di verità e di amore ed esso stesso capace di verità e di amore.

    Alla domanda sul perchè si sia dovuti aspettare tanto per l'uscita dell’Enciclica, monsignor Crepaldi ha raccontato che “La Centesimus annus, l’ultima Enciclica sociale pubblicata da Giovanni Paolo II, impiegò 5 anni ad uscire, mentre la “Caritas in Veritate” ha impiegato solo due anni e mezzo.Sul perchè il tema della pace non sia stato affrontato a fondo, il segretario del Pontificio Consiglio ha risposto che si tratta di “una Enciclica e non di una enciclopedia”.

    D’altro canto, quando ci fu l’anniversario della “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, alla richiesta di scrivere un eventuale Enciclica, l’allora Pontefice Giovanni Paolo II rispose che i Messaggi annuali per la Pace sono già una corposa Enciclica.
    Cattolico_Romano
    00mercoledì 8 luglio 2009 17:00
    L'apertura alla vita è il cuore del vero sviluppo

    Papa Benedetto e la crisi economica nella sua terza enciclica



    di Padre Thomas Rosica, C.S.B.*

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Quest'oggi a mezzogiorno, ora di Roma, Papa Benedetto XVI ha pubblicato la terza lettera enciclica del suo pontificato, “Caritas in Veritate” (La Carità nella Verità), un documento di grande respiro sulla dottrina sociale della Chiesa. L'enciclica di 60 pagine, suddivisa in 79 paragrafi, affronta molte altre questioni oltre all'etica dell'economia contemporanea e alla crisi economica globale, che certamente hanno influenzato Benedetto XVI nella preparazione del testo annunciato con largo anticipo. Questo opus magnum segue da vicino le precedenti due encicliche del pontificato di Ratzinger: "Deus Caritas Est" (Dio è amore); “Spe Salvi” (Nella Speranza siamo stati salvati), e ora l'analisi papale sui tempi attuali.

    Benedetto XVI non è un Papa dalle frasi ad effetto e l'enciclica di oggi ne è la prova vivente. Chi cerca delle facili risposte alla crisi economica attuale è meglio che non si avvicini a questo documento per avere facili e rapide soluzioni. Il testo papale di oggi è voluminoso, denso, pieno di sfumature e complesso, e invita tutti a una seria riflessione sulla storia della dottrina sociale dei Pontefici, con particolare attenzione al documento post-conciliare "Popolorum Progressio", che racchiude la ricca dottrina sociale di Papa Paolo VI.

    Questo testo monumentale del 1967 analizzava l'economia su un piano globale e trattava dei diritti dei lavoratori a organizzarsi in sindacati e ad avere un impiego sicuro, e della necessità di condizioni lavorative decenti. In questo testo del 2009, il Papa affronta in profondità temi come: fraternità, sviluppo economico e società civile; sviluppo dei popoli, diritti e doveri e ambiente; collaborazione della famiglia umana; sviluppo dei popoli e tecnica.Queste sono le diverse aree in cui si articola il testo di Benedetto che va contro l'indole della società contemporanea e che un lettore, che ha un rapporto problematico con la Chiesa, l'autorità, la verità e la vita umana, potrebbe facilmente rigettare. A mio avviso, queste aree costituiscono il punto cruciale della crisi economica e dello stato critico delle cose nel mondo odierno, facendo capire al di là di ogni ombra di dubbio che la crisi economica è in sostanza una crisi morale.


    Due sono gli importanti leitmotiv di questo pontificato: il relativismo morale e l'esclusione di Dio dalla società e dalla vita umana. Nell'enciclica di oggi, Benedetto scrive: “Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni”.

    Negli ultimi quattro anni, Benedetto ha ripetuto continuamente che il rifiuto ideologico di Dio e un'ateismo dell'indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare allo stesso tempo i valori umani, sono tra i principali ostacoli allo sviluppo odierno. Nell'enciclica di oggi lo afferma chiaramente: “L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano”.

    Secondo le parole di Benedetto: “L'anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come 'Padre nostro!'. Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini im parare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperLo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosità verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male”.


    Queste parole non provengono dal dizionario del politically correct o del falso inclusivimo, ma sgorgano dalla mente e dal cuore di uno dei più grandi pensatori del nostro tempo.

    Un altro ambito che farà sicuramente esitare molti lettori o che verrà semplicemente rigettato è quello riguradante la dignità e il rispetto della vita umana, “che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli”.

    Benedetto scrive: “Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale”.
    “L'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s'avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.

    Forse questa frase sintetizza in modo mirabile la crisi e l'enciclica: “I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani”.



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    *Padre Thomas Rosica, C.S.B., è responsabile esec utivo della Salt and Light Catholic Media Foundation and Television Network in Canada e consultore del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali
    Cattolico_Romano
    00mercoledì 8 luglio 2009 17:01
    Un’Enciclica che guarda al futuro con il realismo della sapienza cristiana

    di Stefano Fontana*



    ROMA, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    L’enciclica sociale Caritas in veritate di Benedetto XVI, presentata stamattina in Vaticano, trasforma la dottrina sociale della Chiesa nientemeno che nel rapporto tra la Chiesa e il Mondo, dato che essa tratta de “lo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”, dilatando all’estremo il tema dello sviluppo della Populorum progressio di Paolo VI della quale ricorda il quarantesimo anniversario.

    E’ quindi una grande enciclica di ampio respiro, perfettamente inserita nel pontificato di Benedetto XVI, che non solo ha fatto dei due termini carità e verità il cuore del suo magistero - essendo essi, secondo lui, il cuore stesso del cristianesimo - , ma ha anche posto nel modo pi&ugr ave; radicale il tema di “Dio nel mondo”, ossia se il cristianesimo sia solo utile o anche indispensabile alla costruzione di un vero sviluppo umano. Il papa pensa che sia indispensabile e in questa enciclica dice perché.

    E’ un’enciclica coraggiosa, quindi, in quanto elimina ogni possibile perplessità sul ruolo pubblico della fede cristiana e sul fatto che da essa derivi una coerente visione della vita, in concorrenza con altre visioni. Il mondo, secondo la Caritas in veritate non è solo da accompagnare nel dialogo e mediante una carità senza verità, ma è da salvare mediante la carità nella verità. Per ottenere questo risultato il papa ha da un lato “riabilitato” Paolo VI e dall’altro ha indicato il punto di vista teologico dal quale la Chiesa deve considerare i fatti sociali. Si tratta di due puntualizzazioni dal grande valore strategico che il cardinale Martino e i l vescovo Crepaldi, presentando stamattina l’enciclica in Sala stampa della Santa Sede, hanno astutamente ben evidenziato.

    L’intero primo capitolo dell’enciclica è dedicato a Paolo VI, appunto per ricordare la sua Populorum progressio del 1967. Paolo VI non era incerto sul valore della dottrina sociale della Chiesa, come molti hanno detto e continuano a dire, e non ha per nulla ridimensionato l’importanza di una presenza pubblica del cristianesimo nella storia. Anzi, dice Benedetto XVI, egli ha gettato le basi del grande rilancio che di lì a poco avrebbe fatto Giovanni Paolo II. Viene così tolto di mezzo uno dei principali argomenti dei teologi che hanno contestato il presunto carattere ideologico della dottrina sociale della Chiesa. Essendo Paolo VI il papa del Concilio, va da sé che le precisazioni della nuova enciclica riguardano la valutazione di un intero periodo. Queste affermazioni del papa hanno la s tessa importanza della condanna dell’ermeneutica della frattura circa il Vaticano II da lui fatta nel dicembre 2005. La Caritas in veritate, infatti, afferma che non esistono due dottrine sociali una preconciliare ed una postconciliare, ma un’unica dottrina sociale della Chiesa. Pio IX o Leone XIII non si erano sbagliati.

    Quanto alla visione teologica da cui partire, il papa chiarisce che questa è la fede apostolica e non qualche problema sociologicamente inteso. Insomma la Chiesa non parte “dal mondo” ma dalla fede degli apostoli. Solo così essa può essere utile al mondo. Questa è la prospettiva centrale di tutta l’enciclica e spiega l’insieme delle valutazioni che vi sono contenute. Che lo sviluppo vero non possa tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia; che non si possa lottare per la salvaguardia della natura dimenticando la superiorit&agrav e; della persona umana nel creato; che l’eugenetica è molto più preoccupante della diminuzione della biodiversità nell’ecosistema; che l’aborto e l’eutanasia corrodono il senso della legge e impediscono all’origine l’accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado; che l’economia abbia bisogno di gratuità e che questa non si deve aggiungere alla fine o a latere dell’attività economica ma deve essere elemento di solidarietà dall’interno dei processi economici, dato che ormai, tra l’altro, l’attività redistributiva dello Stato è pressoché impossibile.

    Queste ed altre valutazioni l’enciclica le trae dal Vangelo e mentre con il Vangelo illumina queste realtà – società, economia, politica - le restituisce anche a se stesse, all’autonomia della loro dignità, riscontrando impensate convergenze tra la visione cristiana e i bisogni autentici della società umana. Pensiamo, per esempio, all’economia: la globalizzazione impedisce di fatto agli Stati di organizzare la solidarietà “dopo” la produzione. Bisogna organizzare la solidarietà già dentro la produzione come cerca di fare per esempio, tra mille contraddizioni, il movimento della responsabilità sociale dell’impresa. Qui si incontrano i bisogni concreti dell’economia globalizzata di oggi e le indicazioni della fede cristiana secondo le quali l’economia è sempre un fatto umano e comunitario e quindi la dimensione etica non la riguarda solo “dopo” ma fin dall’inizio.

    In questa enciclica per la prima volta vengono trattati in modo sistematico i temi della globalizzazione, del rispetto dell’ambiente, della bioetica e della sua centralità sociale, che n elle precedenti encicliche erano stati solo sfiorati. E’ un’enciclica che guarda decisamente al futuro con il coraggio del realismo della sapienza cristiana. Lo schema Nord-Sud è superato, dice Benedetto XVI, la responsabilità del sottosviluppo non è solo di alcuni ma di tanti, compresi i paesi emergenti e le élites di quelli poveri, talvolta anche le organizzazioni umanitarie e gli organismi internazionali sembrano più interessati al proprio benessere e a quello delle proprie burocrazie che non allo sviluppo dei poveri, il turismo sessuale è sostenuto non solo dai paesi da dove partono i “clienti, ma anche da quelli che lo ospitano, la corruzione la si ritrova in tutta la filiera degli aiuti umanitari, se i paesi occidentali sbagliano a proteggere eccessivamente la proprietà intellettuale specialmente per i farmaci nelle culture dei paesi arretrati ci sono superstizioni e visioni ancestrali che bloccano lo svilup po, e così via. E’ un’enciclica che condanna le ideologie del passato ed anche quelle nuove: dall’ecologismo al terzomondismo. Essa affronta però soprattutto una ideologia, l’ideologia della tecnica, alla quale è dedicato l’intero capitolo sesto. Dopo il crollo delle ideologie politiche si è consolidata l’ideologia della tecnica, tanto più pericolosa in quanto si alimenta di una cultura relativista, alimentandola a sua volta.

    Il punto di vista centrale dell’enciclica è stato riassunto dal vescovo Crepaldi, che l’ha presentata stamane in Vaticano, come la “prevalenza del ricevere sul fare”. E siamo così tornati al problema di fondo: senza Dio gli uomini sono frutto del caso e della necessità e nulla possono ricevere. Ma il mondo – il mercato come la comunità politica – ha bisogno di presupposti che esso stesso non si sa dare. La pretesa crist iana rimane sempre la stessa.

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    *Stefano Fontana è Direttore dell’Osservatorio internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa e consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
    Cattolico_Romano
    00mercoledì 8 luglio 2009 17:06
    Sintesi dell'Enciclica sociale di Benedetto XVI

    CITTA' DEL VATICANO, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la sintesi non ufficiale dell'Enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in Veritate”, distribuita dalla Sala Stampa vaticana.

                                                                                       * * *

     "La Carità nella verità, di cui Gesù s’è fatto testimone" è "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera": inizia, così, Caritas in Veritate, Enciclica indirizzata al mondo cattolico e "a tutti gli uomini di buona volontà".

    Nell’Introduzione, il Papa ricorda che "la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa". D’altro canto, dato "il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico", va coniugata con la verità. E avverte: "Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali". (1-4)

    Lo sviluppo ha bisogno della verità. Senza di essa, afferma il Pontefice, "l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società". (5) Benedetto XVI si sofferma su due "criteri orientativi dell’azione morale" che derivano dal principio "carità nella verità": la giustizia e il bene comune. Ogni cristiano è chiamato alla carità anche attraverso una "via istituzionale" che incida nella vita de lla polis, del vivere sociale. (6-7) La Chiesa, ribadisce, "non ha soluzioni tecniche da offrire", ha però "una missione di verità da compiere" per "una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione". (8-9)

    Il primo capitolo del documento è dedicato al Messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI. "Senza la prospettiva di una vita eterna – avverte il Papa – il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro". Senza Dio, lo sviluppo viene negato, "disumanizzato".(10-12)

    Paolo VI, si legge, ribadì "l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia".(13) Nell’Enciclica Humanae Vitae, Papa Montini "indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale". Anche oggi, "la C hiesa propone con forza questo collegamento". (14-15) Il Papa spiega il concetto di vocazione presente nella Populorum Progressio. "Lo sviluppo è vocazione" giacché "nasce da un appello trascendente". Ed è davvero "integrale", sottolinea, quando è "volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo". "La fede cristiana – soggiunge – si occupa dello sviluppo non contando su privilegi o su posizioni di potere", "ma solo su Cristo". (16-18) Il Pontefice evidenzia che "le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale". Sono innanzitutto nella volontà, nel pensiero e ancor più "nella mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli". "La società sempre più globalizzata – rileva – ci rende vicini, ma non ci rende fratelli". Bisogna allora mobilitarsi, affinch&eacu te; l’economia evolva "verso esiti pienamente umani". (19-20)

    Nel secondo capitolo, il Papa entra nel vivo dello Sviluppo umano nel nostro tempo. L’esclusivo obiettivo del profitto "senza il bene comune come fine ultimo – osserva – rischia di distruggere ricchezza e creare povertà". Ed enumera alcune distorsioni dello sviluppo: un’attività finanziaria "per lo più speculativa", i flussi migratori "spesso solo provocati" e poi mal gestiti e, ancora, "lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra". Dinnanzi a tali problemi interconnessi, il Papa invoca "una nuova sintesi umanistica". La crisi "ci obbliga a riprogettare il nostro cammino". (21)

    Lo sviluppo, constata il Papa, è oggi "policentrico". "Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità" e nas cono nuove povertà. La corruzione, è il suo rammarico, è presente in Paesi ricchi e poveri; a volte grandi imprese transnazionali non rispettano i diritti dei lavoratori. D’altronde, "gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità" dei donatori e dei fruitori. Al contempo, denuncia il Pontefice, "ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario". (22)

    Dopo la fine dei "blocchi", viene ricordato, Giovanni Paolo II aveva chiesto "una riprogettazione globale dello sviluppo", ma questo "è avvenuto solo in parte". C’è oggi "una rinnovata valutazione" del ruolo dei "pubblici poteri dello Stato", ed è auspicabile una partecipazione della società civile alla politica nazionale e internazionale. Rivolge poi l’attenzione alla delocalizzazione di produzioni di basso costo da parte dei Paesi ricchi. "Questi processi – è il suo monito – hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale" con "grave pericolo per i diritti dei lavoratori". A ciò si aggiunge che "i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi". D’altronde, si verifica anche che "i governi per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali". Ricorda perciò ai governanti che "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità". (23-25)

    Sul piano culturale, prosegue, le possibilità di interazioni apro no nuove prospettive di dialogo, ma vi è un duplice pericolo. In primo luogo, un eclettismo culturale in cui le culture vengono "considerate sostanzialmente equivalenti". Il pericolo opposto è "l’appiattimento culturale", "l’omologazione degli stili di vita". (26) Rivolge così il pensiero allo scandalo della fame. Manca, denuncia il Papa, "un assetto di istituzioni economiche in grado" di fronteggiare tale emergenza. Auspica il ricorso a "nuove frontiere" nelle tecniche di produzione agricola e un’equa riforma agraria nei Paesi in via di Sviluppo. (27)

    Benedetto XVI tiene a sottolineare che il rispetto per la vita "non può in alcun modo essere disgiunto" dallo sviluppo dei popoli. In varie parti del mondo, avverte, perdurano pratiche di controllo demografico che "giungono a imporre anche l’aborto". Nei Paesi sviluppati si è diffusa una "mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale". Inoltre, prosegue, vi è "il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati" a "politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione" del controllo delle nascite. Preoccupanti sono pure le "legislazioni che prevedono l’eutanasia". "Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita – avverte – finisce per non trovare più" motivazioni ed energie "per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo" (28).

    Altro aspetto legato allo sviluppo è il diritto alla libertà religiosa. Le violenze, scrive il Papa, "frenano lo sviluppo autentico", ciò "si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista". Al tempo stesso, la pro mozione dell’ateismo da parte di molti Paesi "contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane". (29) Per lo sviluppo, prosegue, serve l’interazione dei diversi livelli del sapere armonizzati dalla carità. (30-31)

    Il Papa auspica, quindi, che le scelte economiche attuali continuino "a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro" per tutti. Benedetto XVI mette in guardia da un’economia "del breve e talvolta brevissimo termine" che determina "l’abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori" per far acquisire ad un Paese "maggiore competitività internazionale". Per questo, esorta una correzione delle disfunzioni del modello di sviluppo come richiede oggi anche lo "stato di salute ecologica del pianeta". E conclude sulla globalizzazione: "Senza la guida della carit&ag rave; nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni". E’ necessario, perciò, "un impegno inedito e creativo". (32-33)

    Fraternità, Sviluppo economico e società civile è il tema del terzo capitolo dell’Enciclica, che si apre con un elogio dell’esperienza del dono, spesso non riconosciuta "a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza". La convinzione di autonomia dell’economia dalle "influenze di carattere morale – rileva il Papa – ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo". Lo sviluppo, "se vuole essere autenticamente umano", deve invece "fare spazio al principio di gratuità". (34) Ciò vale in particolare per il mercato.

    "Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca – è il suo monito – il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica". Il mercato, ribadisce, "non può contare solo su se stesso", "deve attingere energie morali da altri soggetti" e non deve considerare i poveri un "fardello, bensì una risorsa". Il mercato non deve diventare "luogo della sopraffazione del forte sul debole". E soggiunge: la logica mercantile va "finalizzata al perseguimento del bene comune di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica". Il Papa precisa che il mercato non è negativo per natura. Dunque, ad essere chiamato in causa è l’uomo, "la sua coscienza morale e la sua responsabilità". L’attuale crisi, conclude il Papa, mostra che i "tradizionali principi dell’etica sociale" - trasparenza, onestà e responsabilità - "non possono venire trascurati". Al contempo, ricorda che l’economia non elimina il ruolo degli Stati ed ha bisogno di "leggi giuste". Riprendendo la Centesimus Annus, indica la "necessità di un sistema a tre soggetti": mercato, Stato e società civile e incoraggia una "civilizzazione dell’economia". Servono "forme economiche solidali". Mercato e politica necessitano "di persone aperte al dono reciproco". (35-39)

    La crisi attuale, annota, richiede anche dei "profondi cambiamenti" per l’impresa. La sua gestione "non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari", ma "deve anche farsi carico" della comunità locale. Il Papa fa riferimento ai manager che spesso "rispondono solo alle indicazioni degli azionisti" ed in vita ad evitare un impiego "speculativo" delle risorse finanziarie. (40-41)

    Il capitolo si chiude con una nuova valutazione del fenomeno globalizzazione, da non intendere solo come "processo socio-economico". "Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti – esorta – procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità". Alla globalizzazione serve "un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza" capace di "correggerne le disfunzioni". C’è, aggiunge, "la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza", ma la diffusione del benessere non va frenato "con progetti egoistici, protezionistici". (42)

    Nel quarto capitolo, l’Enciclica sviluppa il tema dello Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente. Si nota, osserva, "la rivendicazione del diritto al superfluo" nelle società opulente, mentre mancano cibo e acqua in certe regioni sottosviluppate. "I diritti individuali svincolati da un quadro di doveri", rileva, "impazziscono". Diritti e doveri, precisa, rimandano ad un quadro etico. Se invece "trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini" possono essere "cambiati in ogni momento". Governi e organismi internazionali non possono dimenticare "l’oggettività e l’indisponibilità" dei diritti. (43) Al riguardo, si sofferma sulle "problematiche connesse con la crescita demografica". E’ "scorretto", afferma, "considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo". Riafferma che la sessualità non si può "ridurre a mero fatto edonistico e ludico". Né si può regolare la sessualità con politiche materialistiche & quot;di forzata pianificazione delle nascite". Sottolinea poi che "l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica". Gli Stati, scrive, "sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità della famiglia". (44)

    "L’economia – ribadisce ancora – ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona". La stessa centralità della persona, afferma, deve essere il principio guida "negli interventi per lo sviluppo" della cooperazione internazionale, che devono sempre coinvolgere i beneficiari. "Gli organismi internazionali – esorta il Papa – dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici", "spesso troppo costosi". Capita a volte, constata, che "i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche". Di qui l’invito ad una "piena trasparenza" sui fondi ricevuti (45-47).

    Gli ultimi paragrafi del capitolo sono dedicati all’ambiente. Per il credente, la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente. In tale contesto, si sofferma sulle problematiche energetiche. "L’accaparramento delle risorse" da parte di Stati e gruppi di potere, denuncia il Pontefice, costituisce "un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri". La comunità internazionale deve perciò "trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili". "Le società tecnologicamente avanzate – aggiunge – possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico", mentre deve "avanzare la ricerca di energie alternative".

    Infondo, esorta il Papa, "è necessario u n effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita". Uno stile che oggi, in molte parti del mondo "è incline all’edonismo e al consumismo". Il problema decisivo, prosegue, "è la complessiva tenuta morale della società". E avverte: "Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale" la "coscienza umana finisce per perdere il concetto di ecologia umana" e quello di ecologia ambientale. (48-52)

    La collaborazione della famiglia umana è il cuore del quinto capitolo, in cui Benedetto XVI evidenzia che "lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia". D’altronde, si legge, la religione cristiana può contribuire allo sviluppo "solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica". Con "la negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione", la politica "assume un volto opprimente e aggressivo". E avverte: "Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo" tra la ragione e la fede. Rottura che "comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità". (53-56)

    Il Papa fa quindi riferimento al principio di sussidiarietà, che offre un aiuto alla persona "attraverso l’autonomia dei corpi intermedi". La sussidiarietà, spiega, "è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista" ed è adatta ad umanizzare la globalizzazione. Gli aiuti internazionali, constata, "possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza", per questo vanno erogati coinvolgendo i soggetti della società civile e non solo i governi. "Troppo spesso", infatti, "gli aiuti sono valsi a cre are soltanto mercati marginali per i prodotti" dei Paesi in via di sviluppo. (57-58) Esorta poi gli Stati ricchi a "destinare maggiori quote" del Pil per lo sviluppo, rispettando gli impegni presi. Ed auspica un maggiore accesso all’educazione e ancor più alla "formazione completa della persona" rilevando che, cedendo al relativismo, si diventa più poveri. Un esempio, scrive, ci è offerto dal fenomeno perverso del turismo sessuale. "E’ doloroso constatare – osserva – che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali, con il silenzio di quelli da cui provengono i turisti e con la complicità di tanti operatori del settore". (59-61)

    Affronta poi il fenomeno "epocale" delle migrazioni. "Nessun Paese da solo – è il suo monito – può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori". Ogni migr ante, soggiunge, "è una persona umana" che "possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione". Il Papa chiede che i lavoratori stranieri non siano considerati come una merce ed evidenzia il "nesso diretto tra povertà e disoccupazione". Invoca un lavoro decente per tutti e invita i sindacati, distinti dalla politica, a volgere lo sguardo verso i lavoratori dei Paesi dove i diritti sociali vengono violati. (62-64)

    La finanza, ripete, "dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato" allo sviluppo. E aggiunge: "Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività". Il Papa chiede inoltre "una regolamentazione del settore" per garantire i soggetti più deboli. (65-66).

    L’ultimo paragrafo del capitolo il Pontefice lo dedica "all’urgenza della riforma" dell’Onu e "dell’architettura economica e finanziaria internazionale". Urge "la presenza di una vera Autorità politica mondiale" che si attenga "in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà". Un’Autorità, afferma, che goda di "potere effettivo". E conclude con l’appello ad istituire "un grado superiore di ordinamento internazionale" per governare la globalizzazione. (67)

    Il sesto ed ultimo capitolo è incentrato sul tema dello Sviluppo dei popoli e la tecnica. Il Papa mette in guardia dalla "pretesa prometeica" secondo cui "l’umanità ritiene di potersi ricreare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia". La tecnica, è il suo monito, non può avere una "libertà assoluta". Rileva come "il process o di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica". (68-72) Connessi con lo sviluppo tecnologico sono i mezzi di comunicazione sociale chiamati a promuovere "la dignità della persona e dei popoli". (73)

    Campo primario "della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica", spiega il Papa che aggiunge: "La ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza". La questione sociale diventa "questione antropologica". La ricerca sugli embrioni, la clonazione, è il rammarico del Pontefice, "sono promosse dall’attuale cultura" che "crede di aver svelato ogni mistero". Il Papa paventa "una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite". (74-75) Viene quindi ribadito che "lo svilupp o deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale". Infine, l’esortazione del Papa ad avere un "cuore nuovo" per "superare la visione materialistica degli avvenimenti umani". (76-77)

    Nella Conclusione dell’Enciclica, il Papa sottolinea che lo sviluppo "ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera", di "amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace". (78-79)
    Cattolico_Romano
    00giovedì 9 luglio 2009 18:37
    L'apprezzamento degli episcopati per l'enciclica di Benedetto XVI

    La «Caritas in veritate» dagli Stati Uniti all'Europa


    Roma, 9. Dagli Stati Uniti all'Europa sono molteplici gli interventi di gratitudine e apprezzamento dei vescovi per la nuova enciclica di Benedetto XVI. La Caritas in veritate sarà fra l'altro al centro della riflessione dei segretari generali del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) che fino al 13 luglio saranno riuniti nel Centro per gli esercizi spirituali di Bryuchovychi, presso Leopoli, in Ucraina.

    La terza enciclica di Benedetto XVI è una utile guida per trovare risposte a questioni morali, economiche e sociali del mondo contemporaneo nella ricerca della verità:  sono le parole di commento del cardinale Francis Eugene George, arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d'America, contenute in una nota pubblicata nel sito dell'episcopato, che accompagna la lettura di alcuni passaggi del documento. L'enciclica - si legge nella nota - afferma che sono stati fatti dei progressi nello sviluppo mondiale ma che bisogna affrontare anche altre sfide causate dai problemi emergenti nella società globale. Il documento - è spiegato - offre riflessioni sulla vocazione dello sviluppo umano così come sui principi morali su cui deve basarsi l'economia mondiale. Il documento, inoltre, sfida le imprese commerciali, i Governi, i sindacati e i singoli individui, a riesaminare le loro responsabilità economiche alla luce della carità governata dalla verità. È un'esortazione - è proseguito - a vedere il rapporto fra ecologia umana e ambientale e a legare la carità e la verità alla ricerca della giustizia del bene e dello sviluppo. Il papa - conclude la nota - evidenzia le responsabilità e i limiti del Governo e del mercato, sfida le ideologie tradizionali di destra e sinistra e invita tutti a pensare e ad agire in modo nuovo.

    Come già riferito, la Caritas in veritate sarà uno dei due temi centrali dell'incontro promosso dal Ccee. L'altro argomento di riflessione sarà "Il sacerdote:  la sua vita e la sua missione". In particolare sull'enciclica offrirà una riflessione padre Hans Langendörfer, segretario generale della Conferenza episcopale di Germania. L'incontro si svolge fra l'altro su invito congiunto della Conferenza episcopale ucraina (di rito latino) e del Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica (di rito bizantino).

    La Conferenza episcopale di Germania, in un intervento del presidente della commissione sociale, l'arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, afferma che "la nuova enciclica sociale di Benedetto XVI è un punto esclamativo morale". "Un'enciclica - ha commentato l'arcivescovo - non è né un testo scientifico, sebbene debba essere scientificamente fondata nelle proprie affermazioni, né una predica, né un programma politico, ma un orientamento vincolante a livello dottrinale per formare la politica, la società e l'economia". "Il Papa - ha sottolineato - ci ha dato questo orientamento al momento giusto:  un orientamento che tutti devono concretizzare".

    L'arcivescovo di Westminster e primate di Inghilterra e Galles, Vincent Gerard Nichols, ha definito l'enciclica "un'applicazione potente e completa della visione della fede cristiana per i problemi complessi dello sviluppo umano". "La nostra speranza - ha affermato il presule - è che venga letta da molti. L'enciclica merita uno studio accurato. Essa si inserisce con fermezza nella tradizione dell'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa e soprattutto nella tradizione dell'umanesimo cristiano espresso così chiaramente da Paolo VI nella Populorum progressio". L'arcivescovo ha poi annunciato che i vescovi inglesi hanno organizzato per il 21 ottobre una giornata dedicata all'enciclica nella City di Londra e più in particolare all'insegnamento sociale della Chiesa e all'economia di mercato.

    In un altro comunicato, i vescovi d'Irlanda scrivono che l'enciclica "mette in luce l'inseparabile legame tra amore e verità" e, citando alcuni passi del documento, evidenziano che "senza verità la carità degenera in sentimentalismo e l'amore diventa un guscio vuoto da riempire in modo arbitrario". "Per tale motivo i cristiani - ribadiscono - devono essere pronti a proclamare questo amore all'umanità".

    Per i vescovi del Belgio "il Papa nell'enciclica chiede una nuova riflessione sul senso dell'economia, delle sue finalità e una revisione etica del modello di sviluppo". "Il documento - è sottolineato - ricorda inoltre agli uomini che un'economia mondializzata che si sviluppa al di fuori dei valori morali, è destinata all'impasse". "Senza cadere - prosegue la nota - nel gioco della politica partigiana, la Chiesa non aspira a servire il capitalismo selvaggio, non propone soluzioni tecniche e non vuole entrare nelle decisioni dei Governi, ma ha una missione di verità da compiere a favore di una società a misura d'uomo e della sua dignità".

    Il presidente della Conferenza episcopale d'Olanda, il vescovo di Rotterdam, Adrianus Herman van Luyn, rileva che "gli abusi e gli eccessi del sistema economico attuale che il Papa denuncia, sono i principali ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una giustizia sociale globale". Il presule aggiunge che Benedetto XVI "interviene con decisione, fornendo importanti linee guida sia per la sfera privata che per quella pubblica con la sua richiesta di riallineamento globale dei sistemi economici".

    Infine, i vescovi del Portogallo, riferendosi al documento, parlano "di un arazzo intessuto di fili di carità e verità". Il vescovo ausiliare del patriarcato di Lisboa, Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, presidente della commissione episcopale della pastorale sociale, ha affermato che si tratta "di un trattato sulla crescita morale di ciascun individuo e sullo sviluppo in senso cristiano dell'intera umanità. Dinanzi a essa ci sentiamo come di fronte a un bellissimo arazzo intessuto con fili di carità e di verità".


    (©L'Osservatore Romano - 10 luglio 2009)
    Cattolico_Romano
    00giovedì 9 luglio 2009 18:42
    "Caritas in Veritate": un documento morale, non politico

    Il Papa fornisce una base etica per affrontare la crisi


    di Carl Anderson*

    NEW HAVEN (Connecticut, Stati Uniti), mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Molto prima che ci fossero una "sinistra" o una "destra" c'era il Vangelo, e molto dopo che queste etichette politiche saranno cadute nell'oblio il Vangelo rimarrà. Alla luce di ciò, è incredibilmente importante che si guardi all'Enciclica di Benedetto XVI
    Caritas in Veritate come a un documento che dovrebbe modellare la nostra prospettiva.

    Potremmo riassumere il pensiero del Papa sull'economia in questo modo: ognuno di noi de ve rispondere alla domanda di Cristo "Chi dite che io sia?", e se, con Pietro, rispondiamo "Il Messia", allora questo dovrebbe essere l'asse della nostra vita. La nostra realtà più importante deve essere la verità delle nostre relazioni. In questo modo, possiamo capire come la legge e i profeti possano essere riassunti nei due comandamenti di Cristo: amare totalmente Dio e amare il prossimo come noi stessi. In questo modo possiamo parlare di "caritas in veritate".

    Una volta che abbiamo accettato Cristo e questi due comandamenti, non possiamo più porre la domanda di Caino: "Sono forse il guardiano di mio fratello?". Dobbiamo invece capire che il nostro esercizio della libertà non può voler dire accumulare più ricchezza possibile. Piuttosto, tutto ciò che facciamo in libertà deve riflettere quella realtà, e tutte le nostre azioni devono tener conto degli eff etti che possono avere sugli altri. Non abbiamo bisogno di guardare oltre le prime due parole del "Padre nostro", che Papa Benedetto XVI cita alla fine di questo documento, per renderci conto della comune famiglia umana alla quale apparteniamo.

    A questo scopo, dovremmo ricordare vari elementi importanti. In primo luogo dovremmo chiederci non come questa Enciclica convalidi la nostra visione del mondo, ma piuttosto come questa visione dovrebbe cambiare in risposta a questo documento.

    I commentatori dovrebbero evitare la tentazione di cercare di analizzare l'Enciclica dal proprio punto di vista o attraverso una lente politica. La tesi del Papa mostra chiaramente che una base etica deve trascendere la politica, e come il documento esprime in modo esplicito le soluzioni tecniche appartengono ai policy makers.

    In secondo luogo, il mondo merita un'economia di mercato con una coscienza, come hanno dimostrato lo scorso anno gli eventi dell'ec onomia globale. In un intervento del 1985 Papa Benedetto XVI ha criticato il marxismo perché escludeva Dio e un giusto ruolo umano, e quindi per il fatto di essere troppo "deterministico". Avvertiva che anche le economie di mercato rischiavano di collassare se escludevano o ignoravano a loro volta la componente etica del decision making individuale. Gli avvenimenti recenti hanno sicuramente confermato la sua conclusione, e dunque questa Enciclica e la sua esortazione a un sistema morale sono ancora più irrefutabili.

    In terzo luogo, mentre il dibattito in tutto il mondo si concentra sulle soluzioni tecniche alla crisi economica, Papa Benedetto XVI ci chiede di riconsiderare le vere basi del nostro sistema - e di costruire sulla roccia dell'etica piuttosto che sulla sabbia del determinismo.In quarto luogo, il Papa ci chiama a una realtà economica che deve rispettare la vita di ogni persona - anche della più piccol a e indifesa. Questo è notevole e opportuno, come il fatto che abbia sottolineato il ruolo necessario che deve avere la religione nella sfera pubblica.

    Quinto aspetto, questa Enciclica è sia un documento Cattolico che un documento cattolico. Considerarla solo da un punto di vista nazionale sarebbe fuorviante tanto quanto considerarla a livello politico. Si prenda ad esempio l'appello del Papa a una giusta "ridistribuzione". Dubito che qualcuno possa indicare un Paese che non ridistribuisce la ricchezza dei suoi cittadini in qualche modo. Il Papa si chiede se, indipendentemente dal Paese, questo sia fatto in modo corretto. Quanti di noi vivono in Paesi economicamente forti, con uno standard di vita che va ben al di là di ciò che buona parte del mondo può immaginare, devono fermarsi a riflettere su questo. Abbiamo sicuramente la responsabilità di aiutare il nostro prossimo. Possiamo e dovremmo fare di più.Ma non siamo i soli. E' giusto che un "Presidente" di un Paese di un angolo povero del mondo depositi miliardi di dollari su un conto bancario svizzero mentre il suo popolo vive con un dollaro al giorno? E' giusto che un popolo muoia di fame mentre un'oligarchia diventa sempre più ricca? Tutti hanno il diritto al cibo e ai servizi di base.

    Un cristiano deve essere una persona per gli altri. In realtà non solo i cristiani, ma tutte le persone sono chiamate a vivere in questo modo.Per troppo tempo, troppe persone si sono comportate in modo da essere fedeli solo a se stesse. Abbiamo visto tutti i risultati di un comportamento di questo tipo, e sappiamo che è un modello povero - a livello etico ed economico.

    Ora la gente cerca una bussola morale, e sa che Papa Benedetto XVI ne ha una. Ma se una bussola può indicare la via, spetta a noi seguirla.


    * * *


    *Carl Anderson è il cavaliere supremo d ei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller

    [Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]
    Cattolico_Romano
    00giovedì 9 luglio 2009 18:44
    Entusiasmo per l'Enciclica "Caritas in veritate"

    di Antonio Gaspari

    CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- E' stata pubblicata e diffusa da poco più di 24 ore, ma c'è già entusiasmo intorno all'Enciclica sociale Caritas in Veritate.

    In un comunicato recapitato a ZENIT, l'Associazione Scienza & Vita ha espresso il proprio apprezzamento, soprattutto nella parte in cui si sostiene che "la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell'uomo".

    Seco ndo l'associazione, la considerazione che "l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica" contenuta nell'Enciclica richiama tutti all'attenzione sulla centralità della persona nella riflessione bioetica e sulle ineludibili ricadute in ambito sociale ed economico. I presidenti Bruno Dallapiccola e Lucio Romano hanno sottolineato che "la difesa della vita umana, la condanna dell'assolutismo della tecnica, la deriva eugenetica e della mens eutanasica, il rischio della negazione della dignità umana, così come il ribadire la centralità di ogni persona e lo sviluppo umano integrale, rappresentano le parole chiave su cui si fonda il nostro agire".

    Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli (Associazione cattolica lavoratori italiani), ha affermato che la "civilizzazione dell'economia" e il "lavoro decente", ma anche l'immigrazione e il rapporto "fondamentale" tra carità e verità, che "pone le fondamenta per un impegno sociale chiamato a cambiare il mondo", sono gli aspetti principali dell'Enciclica del Papa."Non si può vivere la carità, sembra spiegarci Benedetto XVI, senza impegnarsi per il cambiamento della società - ha aggiunto -. E' l'amore per la verità che porta chi opera la carità a impegnarsi 'politicamente' per lo sviluppo umano".

    "L'Enciclica - ha sottolineato Olivero - pone elementi innovativi riguardo alla visione dell'economia".

    L'invito alla "civilizzazione dell'economia" porta a superare la logica mercato-Stato, creando nuove forme di democrazia, partecipazione, redistribuzione e socialità nell'attività economica. Un principio che "non solo scardina la tradizionale visione dell'economia capitalistica, ma allarga anche le responsabilità della societ&ag rave; civile".

    In merito all'immigrazione, il presidente delle Acli ha concluso che "il Papa ribadisce qui alcuni principi fondamentali per affrontare il tema dell'immigrazione: i lavoratori stranieri non sono una minaccia ma una risorsa per l'economia, senza per questo poter essere ridotti a 'mera forza lavoro'. L'immigrazione è un fenomeno epocale da gestire con lungimiranza e nella consapevolezza che esiste una sola famiglia umana".

    Il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez, ha salutato con gratitudine e profondo interesse la nuova Enciclica del Papa, precisando che "ripropone una sfida ineludibile: il valore trascendente dell'uomo, non mercificabile, né mai soggiacente all'imperio del mercato, delle tecnologie e della scienza che sembrano avere preso il posto delle ideologie disumanizzanti del Novecento. In tale direzione l'Enciclica ripropone il valore sociale delle religioni; segnatamen te del ruolo del cristianesimo come ‘religione dell'umano'".

    Secondo Martinez, l'Enciclica "esorta a passare dall'assolutismo della tecnica e del positivismo all'assolutismo dell'amore, di un amore vero, reale, integrale, che non esclude Dio, ma che include ed esalta la verità di Dio sull'uomo".

    Il presidente nazionale del RnS condivide l'invito dell'Enciclica: "Non sarà vera globalizzazione se la persona umana non sarà accolta, difesa, promossa nella globalità del suo essere, a partire dalla famiglia e proseguendo con un rinnovato impegno educativo alla solidarietà e alla sussidiarietà". Per Martinez "non ci saranno sviluppo plenario e bene comune e universale senza l'elevazione spirituale dell'uomo, senza ‘un'etica delle virtù' che rinnovi la cifra del sentire e dell'agire umano. Istituzioni, strutture sociali, culture hanno bisogno di un nuovo ethòs, che s egni una profonda stagione di conversione e di rinnovamento degli stili di vita sociali".

    "È tempo - ha concluso il presidente del RnS - di un profondo rinnovamento spirituale! ‘La Chiesa e il mondo hanno bisogno di rinnovamento', gridava il Pontefice ai giovani radunati a Sydney lo scorso anno. Ora Benedetto XVI ci dà le ragioni di questo impegno al quale tutti e ciascuno siamo chiamati".Per Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, la Caritas in veritate ribadisce in maniera magistrale che "non c'è vero sviluppo senza il rispetto del diritto alla vita".

    A suo avviso, il pensiero di Madre Teresa secondo cui "i bambini a cui viene impedito di nascere sono i più poveri tra i poveri" trova nella nuova Enciclica una sistemazione culturale definitiva".

    Casini ha precisato che "il collegamento tra la questione della vita nascente e morente con la questione de i diritti umani e della solidarietà anche a livello internazionale mostra la natura centrale, fondativa del diritto alla vita rispetto all'architettura complessiva degli Stati e delle relazioni internazionali".Per questo motivo, ha osservato, "il Movimento per la Vita ringrazia Benedetto XVI per la profondità del suo insegnamento"
    Cattolico_Romano
    00giovedì 9 luglio 2009 18:45
    Un esperto propone il Nobel per l'Economia al Papa

    La sua Enciclica "Caritas in veritate" denuncia il crollo della natalità


    ROMA, mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- In un'intervista pubblicata dal "Corriere della Sera" questo mercoledì, l'economista Ettore Gotti Tedeschi, esponente dei maggiori gruppi bancari mondiali, ha proposto di conferire a Papa Benedetto XVI il Nobel per l'Economia.

    Secondo Gotti Tedeschi, il merito del Pontefice è stato quello di scrivere chiaramente nell'Enciclica Caritas in Veritate che la crisi economica è figlia del crollo della natalità.

    Nell'intervista, il banchiere, che è anche commentatore de "L'Osservatore Romano", ha spiegato che "l'insufficiente crescita economica è dovuta al crollo della natalità nei Paesi sviluppati (anche se i n modo differenziato tra Stati Uniti ed Europa)".Il crollo delle nascite ha portato alla crescita dei costi fissi, come le tasse, e alla diminuzione del risparmio e degli asset finanziari, ma - ha affermato Gotti Tedeschi - "molti analisti hanno preferito non approfondire l'origine ‘originale' della crisi" perché "toccare il tema della natalità è un tabù, c'è una forma di negazionismo".

    "E' un tema connotato ‘morale' - ha precisato il banchiere -, perciò non scientifico, quasi stupido, per fanatici religiosi".In questo contesto, Gotti Tedeschi ha sottolineato che il Papa "è stato l'unico a mettere in relazione crisi e crollo della natalità", e proprio per questo "merita il Nobel per l'Economia".
    Cattolico_Romano
    00venerdì 10 luglio 2009 14:56
    Benedetto XVI invita a ripensare al concetto di felicità

    di Tommaso Cozzi*

    ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    L'enciclica "
    Caritas in Veritate" può apparire come un ammonimento nei confronti di soggetti ed istituzioni preposti alla gestione della "cosa comune": governi, istituzioni finanziarie, organismi internazionali, ecc... Tali aspetti sono stati trattati da Benedetto XVI con il chiaro scopo di affrontare, tra gli altri, il tema del bene comune. Tuttavia vi sono aspetti rilevanti che riguardano l'uomo nella sua essenza ed individualità, nella sua umanità più diretta ed immediata. Tali aspetti riguardano il concetto di "felicità".

    Il mondo tecnicizzato del nostro tempo tende a far coincidere il concetto di felicità con il raggiungimento del benessere materiale attraverso la disponibilità  e l'acquisizione di beni, risorse, utilità  e servizi, e a confondere la felicità  individuale e privata con il benessere collettivo. Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità  si è sempre più trasformato nell'imperativo edonistico del "dover essere felice" ad ogni costo. Quanto questa idea di felicità  sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità  che sembrano caratterizzare l'identità  dell'uomo moderno. Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il crescente progresso economico ed il benessere individuale, l'aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società  occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita.

    Appare pertanto coerente quanto evidenziato nel Cap. 6 della "Caritas in Veritate" (Lo sviluppo dei popoli e la tecnica) con il contenuto del Cap. 7, par. 2 (La parabola del buon samaritano) del "Gesù di Nazaret" di Benedetto XVI laddove si legge: "L'attualità della parabola è ovvia. Se l'applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell'Africa - e non solo dell'Africa - ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché (...) abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236). "Si, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l'uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell'abbondanza di beni materiali".

    Parallelamente al par. 68 dell'enciclica si legge "Il tema dello sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello dello sviluppo di ogni singolo uomo. La persona umana per sua natura è dinamicamente protesa al proprio sviluppo" . E ancora, al n. 70 "Lo sviluppo tecnologico può indurre l'idea dell'autosufficienza della tecnica stessa quando l'uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire".

    In sostanza Benedetto XVI si interroga e ci interroga sul senso ultimo dell'agire umano, con spec ifico riferimento all'utilizzo di tutti quegli strumenti, di tutti quei mezzi predisposti non solo allo sviluppo economico, ma, attraverso esso ed in conseguenza di esso, allo sviluppo dell'uomo e cioè alla sua intima felicità.Qual è il ruolo giocato dalle imprese nell'utilizzo delle tecnologie, intese non solo in senso "meccanico", ma anche in senso manageriale (la "tecnic" di gestione delle imprese e degli uomini)?

    La moderna economia d'impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L'economia, infatti, è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passat o anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

    Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscen ze di base (tecniche e metodi dei "saperi"), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità.

    Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all'esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell'umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini af follano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione.

    Cosa fare in concreto traendo spunto dalla "Caritas in Veritate"?

    Già la Centesimus Annus indicava delle vie, peraltro condivise da quanti propongono una visione umanizzante dei processi economici (cfr A. Sen): fissare obiettivi che siano simultaneamente di valore economico e di valore antropologico, ma che siano, soprattutto, concretamente realizzabili. In altri termini gli obiettivi, affinché siano veri e carismatici (cioè significativi nel fine ultimo e "donanti", più che "facenti"), dovranno essere, nel futuro più prossimo ed immediato, pianificati in termini di risultato economico e di significato umano e che non siano irraggiungibili. Si propone, insomma, una sorta di "contratto implicito nell'umanità e per l'umanità".

    * Il prof. Tommaso Cozzi è docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l'Università di Bari.
    Cattolico_Romano
    00venerdì 10 luglio 2009 14:59
    Senza difesa della vita non c'è sviluppo

    Il direttore dell'Istituto Acton commenta l'Enciclica "Caritas in Veritate"


    di Antonio Gaspari

    ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).-

    Innumerevoli i commenti all'Enciclica "
    Caritas in Veritate", diffusa dalla Santa Sede martedì 7 luglio. Tra questi, molto interessante è quello di Kishore Jayabalan, direttore dell'Istituto Acton, la sede romana dell'Acton Institute, intervistato da ZENIT.

    Qual è il suo parere complessivo sull'Enciclica "Caritas in Veritate"?

    Jayabalan: La mia prima reazione è stata pensare che è un documento lungo e non facile da leggere e riassumere velocemente. Ma appena ho cominciato a leggere e rileggere ne ho apprezzato la g rande portata e il significato.

    La base etica e morale per l'economia di mercato è molto spesso trascurata. Anche i suoi sostenitori tendono a presentare argomenti utilitaristici a favore del mercato, mentre gli avversari tendono a biasimare il libero scambio di beni e servizi per tutti i tipi di fenomeni culturali che hanno poco a che fare con l'economia stessa. Quando le cose vanno bene e tutti guadagnano soldi nessuno vuole sentir parlare di avidità e materialismo, ma una volta che la bolla scoppia ognuno sembra diventare un moralista e un profeta con un sorprendente senno di poi. Questo è quello che Benedetto ha definito "moralismo a buon mercato".

    In realtà il Papa ci ricorda la necessità di rendere più etica e virtuosa la nostra vita quotidiana. Quindi, in questa Enciclica, Benedetto XVI realizza che non ha alcun senso esprimere solo condanne, e sceglie invece di sfidare le persone a impegnarsi spiritualme nte e intellettualmente, con una "fede veramente adulta". I frutti di questa Enciclica si vedranno nel momento in cui gli esperti nei settori della finanza e dell'economia comprenderanno e cercheranno di applicare questo nuovo modo di pensare e di agire.

    Quali sono i punti che lei ha più apprezzato? E quali quelli innovativi?

    Jayabalan: In un recente passato ho lavorato su questioni ambientali presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e per questo ho molto apprezzato la sezione dell'Enciclica che parla di ecologia, soprattutto nella parte in cui si criticano gli abusi come l'idolatria pagana della natura. In molti modi, le questioni ambientali sono al centro del dibattito antropologico perché ci impongono di pensare e di distinguere tra il Creatore e il suo ordine della creazione. L'invito dell'Enciclica a un'ecologia umana che difenda la vita, in particolare quella dei concepiti, la giustizia sociale e anche lo svi luppo a livello internazionale è stato molto apprezzato.

    Da quanto ho letto, uno degli aspetti più innovativi dell'Enciclica è costituito dai punti n. 3, 11 e 20, in cui il Pontefice parla di "respiro umano universale". E' la prima volta che un tale concetto viene utilizzato per descrivere come la verità salva la carità dal fideismo, in altre parole si chiarisce come la verità ci liberi da una visione deterministica della fede, che negherebbe la libertà umana. Nel punto 11 il contesto è quello della vita eterna, che ci chiede di riconoscere "beni superiori", al di là di quelli dell'accumulo della ricchezza. Nel punto 20 vengono presentati i vari aspetti relativi allo sviluppo umano integrale, che danno "la respirazione e la direzione nello spazio" per le nostre attività sociali. Pensare in termini di "respiro umano universale" è un argomento che si contrappo ne alla visione di una pianificazione e di un controllo centralizzato, il che è un innovativo modo di comprendere gli aspetti spirituali della ragione umana e della libertà.

    Come sono state le reazioni negli Stati Uniti?

    Jayabalan: Negli Stati Uniti i commenti all'Enciclica sono stati vari. Gli oppositori all'economia di mercato hanno visto l'Enciclica come un attacco contro il capitalismo, una visione in cui il capitalismo viene visto al di fuori del regno della legge, della politica e della morale. Una concezione ideologica che non descrive la realtà del settore bancario e finanziario di oggi. Altri, come il New York Times, hanno descritto l'Enciclica di Benedetto XVI come un appello a un "nuovo ordine economico mondiale" non solo in un senso etico o morale, ma anche strutturale. Altri ancora stanno cercando di capire come l'Enciclica potrebbe influire sui comportamenti quotidiani per le operazioni di business e della finanza. Considerando che la Caritas in Veritate ha solo tre giorni di vita, è ovviamente troppo presto per saperlo.

    Conosce le reazioni all'Enciclica in India ?

    Jayabalan: No, perché non sono stato in India nel corso degli ultimi due giorni, ma posso immaginare che Paesi come l'India e la Cina, che hanno sperimentato un'incredibile crescita economica negli ultimi 20 anni, si troveranno d'accordo con l'Enciclica soprattutto nei passaggi in cui si denunciano i costi umani delle politiche utilitaristiche. Credo che ci sia anche un po' di risentimento e di fastidio nei confronti degli oppositori del capitalismo, proprio nel momento in cui questi Paesi stanno per compiere un salto per diventare Nazioni sviluppate.Le parole del Papa sulla sacralità di ogni vita umana, soprattutto nella sua prima fase e indipendentemente dal sesso, nel contesto delle politiche di sviluppo, dovrebbero essere benvenute in Pae si come l'India e la Cina che sono stati spesso oggetto di severissime politiche di controllo della popolazione. Purtroppo molti sostenitori delle politiche di riduzione delle nascite fondano le loro tesi sul concetto di "sviluppo sostenibile" e rappresentano le ONG e le istituzioni internazionali finanziate dalle Nazioni sviluppate. Nell'Enciclica il Papa spiega che la libertà religiosa è un contributo per lo sviluppo e per il bene comune. In questo modo si cerca di far capire quanto sia sbagliato impedire alla Chiesa cattolica la predicazione della sua missione. Ancora di recente, infatti, la Chiesa cristiana è stata oggetto di attacchi e persecuzioni.

    L'Enciclica indica il crollo demografico e la riduzione delle nascite come la causa centrale della crisi economica. Qual è il suo parere in proposito?

    Jayabalan: La mentalità per il controllo demografico e il conseguente crollo delle nascite è un fenomeno ch e tocca tutto il mondo. Ho già ricordato le politiche anti-natalità in Cina e in India, ma per quanto ne so non vi è una Nazione al mondo che abbia una percentuale di fertilità in crescita. In alcuni Paesi europei come l'Italia e la Spagna, la percentuale è così bassa che la popolazione originaria è in via di riduzione. Si tratta naturalmente di politiche deleterie che generano cattive conseguenze economiche e sociali, come per esempio gravi tensioni sui sistemi pensionistici e sui mercati immobiliari.
     
    A questo proposito c'è uno studio di David P. Goldman, pubblicato sulla rivista First Things ("Demographics and Depression", maggio 2009,
    http://www.firstthings.com/article/2009/05/demographics--depression-1243457089) in cui si spiega come il crollo demografico generi e contribuisca alle crisi economiche e alla depressione. I sistemi sociali entrano in crisi soprattutto quando ci sono troppi anziani la cui capacità produttiva è ovviamente ridotta. L'editorialista canadese della rivista, Mark Steyn, ha precisato che quando le popolazioni perdono il primordiale istinto alla riproduzione si perde anche la volontà di difendere se stessi, di creare ricchezza e, in generale, di migliorare la società. Papa Benedetto XVI non usa lo stesso linguaggio nella sua nuova Enciclica, ma sembra essere d'accordo con l'analisi generale.
    Cattolico_Romano
    00domenica 12 luglio 2009 16:48
    Caritas in veritate

    Anche Machiavelli sarebbe d'accordo con il Papa


    di Ettore Gotti Tedeschi

    Una enciclica sociale è senza tempo perché affronta, in periodi diversi e condizioni che cambiano, un problema sempre prioritario:  l'esigenza di dare un senso alle azioni umane. Esigenza che si soddisfa cercando e trovando la verità. Per questo motivo, la Caritas in veritate nei suoi principi è senza tempo:  potrebbe essere stata scritta un secolo fa, così come potrebbe esserlo fra cento anni. Ma un testo papale di questo genere intende ovviamente anche rispondere ai problemi dei tempi in cui nasce.

    Quando nel marzo 1891 Leone xiii pubblicò la Rerum novarum, molti vollero interpretarla in chiave anticapitalistica per le considerazioni che conteneva sugli eccessi della concentrazione del potere economico. Ma proprio nello stesso periodo, nel luglio 1890, il Governo statunitense aveva promulgato lo Sherman Act per regolare i monopoli che impedivano al mercato di funzionare. Era una curiosa coincidenza tra valutazione economica e giudizio morale che lascia intendere come le leggi dell'economia non possano prescindere da una naturale conformità con i principi etici.

    Allo stesso modo si può interpretare la Caritas in veritate. Consapevole delle origini dell'attuale situazione economica, Benedetto XVI propone la sua analisi e mette in guardia sulla pericolosità di una crescita egoistica, consumistica e insostenibile. La stessa crescita fittizia che ha portato in questi anni a distruggere ricchezza e indebolire l'uomo. Curiosamente, come era avvenuto alla fine del xix secolo, anche questa volta è dagli Stati Uniti che è venuta un'indiretta adesione all'insegnamento del Pontefice. Il presidente Obama - riproponendo la complementarità tra valutazione economica e morale - ha infatti affermato che gli americani devono smetterla di vivere al di sopra delle proprie possibilità.

    Ma quanto durerà l'attenzione alle raccomandazioni contenute nella Caritas in veritate? Il suo richiamo verrà dimenticato appena terminata l'emergenza? Il testo è stato pubblicato in un momento di grave recessione economica originata da una forte crisi dei valori morali. Tutti sono ora molto attenti e si dichiarano d'accordo con il suo messaggio. Ma ci vuole altro per consentire allo spirito dell'enciclica di radicarsi. È necessario comprendere cosa significhi in pratica applicare l'etica all'economia. È forse inutile sperare in un cambiamento delle persone a motivo di un ciclo economico negativo. Molti di quelli che oggi riconoscono l'importanza dell'etica in economia, appena ieri dileggiavano lo stesso richiamo, sottolineando l'esclusiva importanza di produrre profitto. E ignorando che l'aspetto etico riguarda soprattutto come e perché il profitto viene generato.

    Le proposte della Caritas in veritate potranno quindi essere accettate e trovare realizzazione anche nei periodi successivi alla crisi attuale se si riconoscerà che esse corrispondono a un concreto interesse generale e individuale. Ci si deve cioè convincere che l'etica in economia produce risultati migliori. E ciò non è affatto impossibile se si regola la competizione sleale. Non è difficile dimostrare che l'etica applicata produce maggiore ricchezza, che è persino un vantaggio competitivo, che realizza risultati più sostenibili nel tempo. Il comportamento etico implica costi minori - si pensi solo a quelli di controllo - e permette di creare valore crescente grazie alla trasparenza e alla fiducia che a loro volta producono più certezze e meno rischi.

    Qualcuno diffonde ancora l'idea che la civilizzazione dell'economia - l'applicazione cioè di principi etici alle attività economiche - significhi minore produzione di ricchezza, rallentamento del processo economico, meno vantaggi competitivi e una scarsa attenzione alla misurazione dei risultati in base al profitto. In realtà è vero il contrario.

    È la mancanza di etica a produrre rischi di distruzione di ricchezza, e la storia della crisi attuale non dovrebbe lasciare dubbi in proposito. È lo spreco di risorse a generare perdite per la comunità. È lo sviluppo truccato a innescare diseconomie e ingiustizie. È l'asservimento del cittadino agli esclusivi bisogni dello Stato a dare vita alla debolezza e alla conseguente sfiducia verso le istituzioni.

    L'insegnamento della Caritas in veritate - a partire dalla fondamentale introduzione - può quindi trovare una concretissima e utilissima applicazione. Perché, come Niccolò Machiavelli dichiara nei Discorsi (III, I), "è solenne principio che per riformare una società in decadenza è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l'azione". Anche lui sarebbe d'accordo con il Papa.


    (©L'Osservatore Romano - 12 luglio 2009)
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