Le radici ebraiche del Padre Nostro nella Scrittura

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 18:28
:) Le radici ebraiche del Padre Nostro nella Scrittura

Dietro ogni invocazione del Padre Nostro, sono riconoscibili espressioni di preghiere ebraiche o dell'Antico Testamento

Eccone alcune, di cui è possibile assaporare la ricchezza. Queste antiche formule ci invitano a scoprire ed a gustare un nuovo senso di parole divenute troppo comuni e il cui spessore infinito può venire soffocato dalla coltre dell'abitudine

Padre nostro

Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah... Perdonaci, Padre nostro...
(5a e 6a benedizione);

tu hai avuto pietà di noi, nostro Padre, nostro Re...
Padre nostro, Padre di misericordia, il Misericordioso, abbi pietà di noi!
(2a preghiera prima dello Shema "Ahavah rabbah").

Nel testo biblico, ai ripetuti inviti al pentimento Israele risponde: Tu sei il nostro Padre Abìnu attà.
  1. Is 63, 16: « . . . poiché tu sei nostro padre, anche se Abramo non ci conosceva e Israele ci ignorava, Tu, o Eterno sei nostro padre, nostro redentore, da sempre questo è il tuo nome . . . »
  2. Is 64, 7-8: «Non c’è alcuno che invochi il tuo nome, che si scuota per afferrarsi a te, perché tu ci hai nascosto la tua faccia e ci lasci consumare in balia delle nostre iniquità.
    Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro Padre, noi siamo l’argilla e tu colui che ci formi; noi tutti siamo opera delle tue mani».
Che sei nei cieli

Che le preghiere e le suppliche di tutto Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli (Qaddish)

Sia santificato il tuo Nome

Santificherò il mio Nome grande (Ez 36,23) - Santo e terribile è il suo Nome (Sal 110,9)
Santo sei tu e terribile è il tuo Nome (qedusha ha-Shem: lui solo è eccelso e santo: n.18)
(Semoneh-esre)

Tu sei Santo e il tuo Nome è santo, e i santi ogni giorno ti loderanno. Benedetto sei tu, Signore, il Dio Santo! Noi santificheremo il tuo Nome nel mondo, come lo si santifica nelle altezze celesti
(3a benedizione)

Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà
(Qaddish)


Venga il tuo Regno

Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d'Israele, ora e sempre
(Qaddish).

Dalla tua Dimora, Padre nostro, risplendi e regna su di noi, perché noi attendiamo che tu regni in Sion
(3a benedizione di Shabbat)

Allora il tuo regno si manifesterà ad ogni creatura (Assunzione di Mosè, 10,1)
Ristabilisci i nostri Giudici... e regna su di noi, Tu solo Signore, con amore e misericordia... Benedetto sei tu Signore, Re, che ami la giustizia e il diritto
(11a benedizione)


Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra

Dio è in cielo e tu sei sulla terra (Qo 5,1) - Avverrà quel che in cielo si vuole (1Mac 3,60)
Fa' la tua volontà, in cielo, in alto, e dona un coraggio tranquillo a coloro che ti temono sulla terra (R. Eliezer)
Tale possa essere la tua Volontà, Signore... guidare i nostri passi nella Torah e farci aderire ai tuoi comandamenti
(Preghiera del mattino)


Il nostro pane quotidiano donaci oggi

Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario (Pr 30,8)
Tu nutri ogni vivente per amore, per la tua grande misericordia risusciti i morti, sostieni coloro che cadono, guarisci i malati e liberi i prigionieri. Chi è come te, Maestro delle potenze?
(2a benedizione)

Benedici per noi questo pane, nostro Dio (Birkat ha-Shenim)
Dio sia benedetto ogni giorno, per il pane quotidiano che ci dona (R. Eliezer)
Benedici per noi, Signore Dio nostro, questo anno e tutti i suoi raccolti, per il bene. Saziaci della tua bontà.
(9a benedizione)


E perdona a noi i nostri debiti come noi abbiamo perdonato ai nostri debitori

Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati (Sir 28,2)
Perdonaci, Padre nostro, perché abbiamo peccato; facci grazie, nostro Re, perché abbiamo fallito, perché tu sei colui che rendi grazie e perdoni. Benedetto sei tu, Signore, che rendi grazia e moltiplichi il perdono
(6a benedizione)

Padre nostro, nostro re, perdona e rimetti tutte le nostre colpe, allontana e cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi (Abînu Mal-kènu)
Perdonaci, nostro padre, perché abbiamo peccato contro di te. Cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi, perché sei buono e perdoni (Selishah: n.21)
Perdona i nostri peccati come noi li perdoniamo a tutti coloro che ci hanno fatto soffrire
(Liturgia dello Yom Kippour)


Non ci indurre in tentazione

Non ci abbandonare nel potere del peccato, della trasgressione, dell'errore, della tentazione né della vergogna. Non lasciar prevalere in noi l'inclinazione al male
(Preghiera del mattino)


Liberaci dal male

Guarda la nostra miseria e guida la nostra lotta. Liberaci sena tardare per il tuo Nome, perché tu sei il Liberatore potente. Benedetto sei tu, Signore, Liberatore d'Israele
(7a benedizione)

Guarda la nostra afflizione e sostieni la nostra causa e liberaci per il tuo Nome (Ghe'ullah: n.22)
Salvaci dagli impudenti e dall'impudenza, dall'uomo malvagio, dal cattivo incontro, dalla forza cattiva, dal cattivo compagno, dal cattivo vicino, da Satana il corruttore, dal tuo giudizio rigoroso, da un cattivo avversario in tribunale. (Berakhoth)


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Ricordiamo altre due antiche preghiere nelle quali Dio è invocato come Padre d'Israele.. In queste preghiere della liturgia sinagogale e quindi comunitaria non individuale, Dio è chiamato "re" e "padre". Nostro Padre! Nostro re!

Per i nostri padri che hanno avuto fede in te e ai quali hai insegnato la legge della vita, abbi pietà di noi e insegnaci. Padre nostro! Padre di misericordia, il Misericordioso! Abbi pietà di noi!
(Preghiera Ahavah rabba, anteriore all'epoca di Cristo)


Nostro Padre! nostro Re!

Non abbiamo altro Re che te, nostro Padre, nostro Re, per te stesso, abbi pietà di noi
(Invocazione della litania per il Nuovo Anno, 1° secolo dell'era cristiana)



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Possiamo quindi constatare che, oltre che nell'Antico Testamento, tutti gli elementi del Padre nostro si ritrovano nelle preghiere ebraiche, alcune di poco posteriori all'epoca di Gesù. Preghiera ebraica divenuta anche cristiana, essa permette sia agli ebrei che ai cristiani di ritrovare le loro radici comuni.

È una preghiera così misteriosamente semplice, sublime, completa. È alla portata intellettuale di tutti, ma supera l'intelligenza di tutti, tanto che sono insondabili le sue abissali profondità. Abbraccia, nella sua concisione, l'universo: è preghiera dell'uomo che dà voce al creato, al cosmo.

Abbiamo visto come essa è intessuta di realtà bibliche (i"cieli"; il "regno"; la "volontà" di Dio; il "pane"; i "debiti"; la "tentazione"; il "male"…), ma ne esce, le supera. Non ci rivolgiamo a "Colui che è", all'"Onnipotente", all'"Altissimo", ma al "Padre", che è la fonte della vita, il Dio di tutti gli esseri viventi. Non è difficile rendersi conto che il "Padre nostro" può stare sulle labbra dei membri di ogni chiesa cristiana (è preghiera ecumenica); non solo: può essere recitato dai membri di qualsiasi religione; nulla in esso offende le "credenze" di qualsiasi fede religiosa. Eppure questo Dio non è astratto, impersonale…È Padre, ma è anche Uno, è "Colui che è", è l'"Altissimo", l' "Onnipotente". È Tutto.

Il testo del "Padre nostro" ci è giunto in greco: quindi, oltre e conoscerne le risonanze ebraiche ed aramaiche, che ci veicolano tutta la ricchezza e lo spessore della tradizione che ha nutrito la spiritualità di Gesù, bisogna ricorrere anche al greco per una sua giusta lettura.

L'osservazione più immediata in questa lettura è che le richieste del "Padre nostro" sono tutte all'imperativo ("Sia santificato"; "venga"; "sia fatta"; "dacci oggi"; "rimetti"; "non ci indurre"; "liberaci").

Dobbiamo osservare che la lingua greca usa oltre all''imperativo anche il modo "ottativo", che indica l'espressione di un desiderio; l'imperativo, invece indica un comando. Ebbene il testo greco del "Padre nostro" ha nelle forme verbali l'imperativo, non l'ottativo. Dunque chi ce ne ha tramandato il testo ha colto senz'altro in modo inequivocabile il pensiero di Cristo. La forma imperativa, dunque, viene da Cristo. Nel "Padre nostro" è Dio che prega in noi. Lo Spirito Santo grida in noi con gemiti inesprimibili "Abbà!"; "Padre!". È Dio che ci "comanda" che cosa dobbiamo chiedergli come figli; e i figli "pretendono" ciò che è loro necessario da chi li ha generati.

Il pane che ci viene fatto chiedere non è certamente il solo pane materiale, ma il pane "quotidiano", quello di cui abbiamo bisogno ogni giorno per vivere, il pane "sopra-sostanziale" (così traducevano i Padri della Chiesa), quello che nutre non solo il corpo, ma lo spirito, il pane "necessario", quello di cui Gesù ha detto "Chi mangia di questo pane vivrà in eterno"; è il pane che si identifica con Cristo stesso (Parola ed Eucaristia): "Io sono il Pane vivo disceso dal cielo".

______________
[Tra le fonti: Enzo Lodi, La Liturgia della Chiesa, Edizioni Dehoniane, Bologna]

http://www.nostreradici.it/Pater-radebr.htm



Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 18:28
Smile Un commento che vale la pena di meditare....


Il mistero del "pane nostro quotidiano"


ANALISI DEL 'PADRE NOSTRO'
Conferenza tenuta a Firenze nel 1977,
presso la Società Leonardo da Vinci,
in occasione della settimana ecumenica

(In MENORAH ~ sito ebraico ~)

L'autore desidera rimanere anonimo

In questa sala eminenti dotti cristiani hanno commentato i Salmi o altri scritti di ebrei. Sia lecito dunque a un ebreo commentare un brano del Nuovo Testamento. C'è un'altra ragione più specifica.
Gesù fu ebreo, nacque da una famiglia di ebrei, fu circonciso, visse sempre da buon ebreo, osservava il Sabato, mangiava kasher, solennizzava le feste (sebbene i Vangeli parlino della sola Pasqua), recitava lo Scema Israel (Marco XII, 29).

La sua vita terrena appartiene alla storia degli ebrei, ma dopo la morte egli diventò l'oggetto delle speculazioni teologiche dei cristiani di varie chiese: cattolici, marcioniti, gnostici, ariani, nestoriani, monofisiti, e poi luterani e calvinisti, seguaci di Bultmann e di Bonhoeffer, ecc.

Di tutta questa vita postuma stasera noi non ci occuperemo affatto. Lasciamo stare la teologia.

Io vi parlerò come storico, e non come teologo. Ho rispetto e simpatia per quei teologi i quali con le loro interpretazioni omiletiche dei testi sacri talvolta fanno acute osservazioni sulla vita d'oggi e porgono consigli eccellenti. Ma stasera mi occuperò esclusivamente di ricercare il significato originario del Paternostro, secondo la lingua, le situazioni e la mentalità di quei tempi.


Lo storico scrupoloso non deve lasciarsi sedurre dalle preoccupazioni apologetiche dei teologi, né dalla tentazione di deformare i fatti a scopo di edificazione.

Ho imparato da prima gli episodi della vita di Gesù dalle bellissime pitture dei nostri Musei: le pitture del Beato Angelico, di Gentile da Fabriano, del Perugino, di Raffaello, ecc. - incantevoli, poetiche, idilliache, con verdi giardini, colline come quelle di Firenze, con figure eleganti e sorridenti, con quell'atmosfera di pace.

Quando mi diedi a studiare i documenti dell'epoca mi accorsi che la realtà storica era diversa: il paesaggio brullo e stepposo, lacrime e sangue. Uno sfondo tragico paragonabile forse all'Algeria di qualche anno fa.
Da una parte un popolo oppresso, i Giudei che sognavano l'indipendenza. Insurrezioni e rivolte frequenti.

Dall'altra i Romani, gli sfruttatori, che non esitavano a crocifiggere a migliaia per volta gli uomini validi e a vendere le donne e i bambini ai mercanti di schiavi. Qualche volta crocifiggevano anche le donne e i bambini, come fece il buon Tito "delizia del genere umano".

C'erano insurrezioni di partigiani - i Romani li chiamavano banditi - e alcuni erano forse masnadieri, altri erano forse santi martiri. Oggi non ne conosciamo neppure i nomi.

C'erano quelli che predicavano la sottomissione - alcuni per interesse, i ricchi che non amano le rivoluzioni, i pubblicani appaltatori d'imposte che s'impegnavano a fornire una somma fissa al fisco romano e s'industriavano di estorcere quanto più potevano dalle sventurate popolazioni - ma altri in buona fede, sapendo che lo stato romano era invincibile e che ogni resistenza avrebbe provocato maggiori sventure.

C'erano anche i mistici che s'illudevano che Dio avrebbe liberato con un miracolo il popolo fedele.
In quest'atmosfera di oppressione e di sangue viveva Gesù. Questo è lo sfondo del Vangelo
. Le varie tendenze alle quali ho accennato si riflettono negli scritti dei vari redattori del Nuovo Testamento.
Veniamo dunque al Paternostro.


Di questa bellissima preghiera abbiamo quattro versioni: quella di Matteo VI 9-13, quella di Luca XI 2-4, quella della Didaché e quella di Marcione. Ma quella di Marcione è alterata per conformarla alla sua teologia. Quella della Didaché è quasi uguale a quella di Matteo. Tra le due rimanenti, la versione di Matteo mi sembra più primitiva che la versione di Luca, contrariamente a quanto pensano molti critici tedeschi. Ne daremo più avanti qualche prova.

Il Paternostro è tutto composto di formule ebraiche. E' esente da ogni accenno ai dogmi e alle formule caratteristiche del cristianesimo.
Questo mi pare un buon indizio della sua autenticità
. Leggendo i commenti dei Padri della Chiesa cristiana confrontandoli ai moderni teologi protestanti, si nota come spesso questi ultimi sono sconcertati da un linguaggio che non è il loro e che non capiscono.

Pater (padre).

E' antica e costante usanza ebraica di considerare Iddio come nostro Padre e gli Israeliti come Suoi figli.
Ve n'è una ventina d'esempi nell'Antico Testamento: Esodo IV, 22; Deuteronomio XIV, 1; XXXII,6, 18, 19, 20; Salmo LXXIII, 15; Isaia I, 2; XXX, 1; LXIII, 16; LXIV, 7; Geremia III, 4, 19; IV, 22; XXXI, 9, 20; Osea I, 10; Ezechiele XVI, 20, 21; Malachia I, 6; II, 10.
Citiamo il versetto del Deut. XIV, 1: "Voi siete i figli del Signore Iddio vostro", e quello di Geremia III, 19 "Mi chiamerete: Padre mio".


Vi sono altri esempi nei libri ebraici non canonici, ma riconosciuti ispirati dalla Chiesa: Ben Sira XXIII 1, 4; LI, 10; Sapienza II, 16; XIV, 3; Tobia XIII, 4; III Maccabei V, 7; VI, 8; Giubilei I, 24, 25, 28; Testamento di Giuda XXIV, 2; Testamento di Levi XVIII, 6; Hodayot IX, 35-36; Nei detti dei Tannaim, Akiba (Abot III, 18; Yoma 85; Taanit 25) e Jehuda ben Tema (Abot V, 23 ).
Vediamo che , invocando Dio come Padre, questi testi e Gesù di Nazaret, si conformarono all'esortazione di Geremia. E Dio è invocato come padre nelle preghiere quotidiane: nell'Amidà (benedizioni V e VI) nell'Ahabah, nel Col berue e in molte altre.
Nella preghiera mattutina è invocato più volte proprio con le parole Abinu shebashamaim "Padre nostro che sei nei cieli".


Hmwn "di noi" "nostro".

Chi sono questi "noi"? Nei passi della Bibbia citati di sopra, Dio è chiamato Padre degl'Israeliti.
Veramente, secondo la dottrina ebraica, Iddio si potrebbe chiamare Padre universale per due ragioni: I) perché è il Creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che v'è (Genesi I-II, Esodo XX, 11; XXXI, 17; II Re XIX, 15; Nehemia IX,6; Salmi CII, 25; CXV, 15; CXXI, 2; CXXIV, 8; CXXXIV, 3; CXLVIII, 6; IsaiaXLII, 5; XLV, 18; Geremia XXXII, ); II) perché veglia amorosamente non solo sugli ebrei, ma su tutti i popoli, sugli egiziani e sugli assiri (Isaia XIX, 25), sugli etiopi, sui filistei e sugli aramei (Amos IX, 7) e anche sugli animali (Giobbe, XXXVIII, 39 -41; Salmo CXLVII, 9) e ama tutte le sue creature (Salmo CXLV, 9, 16; Sapienza di Salomone XI, 24-26). Ma sebbene Iddio si possa considerare come il Padre di tutti gli uomini e di tutte le creature, esplicitamente non è chiamato se non Padre degli Israeliti.

Veniamo ai Greci. Per Omero Zeus è padre di uomini e di dei (Iliade V, 426). Certo è padre in senso fisico, ché dai suoi molteplici amori con dee, con ninfe e con donne mortali, Zeus ebbe numerosa prole. La formula di Omero è ripetuta da altri poeti. Ma Platone (Timeo) più filosoficamente chiama Dio "Fattore e Padre dell'universo". Filone, il filosofo ebreo un poco piò anziano di Gesù, adotta la formula di Platone (De opificio mundi 13, Legatio ad Gaium XVI, II9). Dunque Filone, prima di Gesù, rende esplicita la dottrina che nella Bibbia era implicita.
Pare probabile che Gesù usasse la parola "padre" nel senso nazionale dell'Antico Testamento. Il Vangelo di Matteo non dice neppure hmetere "nostro", ma dice proprio hmvn "di noi", "di noialtri", dunque "padre di noialtri ebrei".

L'autore del Terzo Vangelo e degli Atti, letterato elegante, spirito irenico, novellatore piacevole, ma non sempre storico scrupoloso, come negli Atti cerca di conciliare Pietro con Paolo, nascondendo le dispute che conosciamo dalle epistole, così nel suo Vangelo cerca di conciliarsi i Gentili, tanto più che era un Gentile egli stesso. Perciò cancella l'hmvn e scrive il semplice pater. Dio non è più padre dei soli Israeliti, è padre di tutti gli uomini. Il pensiero di Luca è chiarito dalla genealogia. Mentre Matteo I, 1-16 risale fino ad Abramo per dimostrare che è un vero Israelita; Luca III, 23-38 risale fino ad Adamo, per dimostrare che Gesù, in quanto figlio d'Adamo, è figlio di Dio.

Neanche Luca, però, assurge all'universalismo di Platone e di Filone.
Il Quarto Evangelista (Giovanni), che per noi naturalmente, storicamente parlando è definito un antisemita che probabilmente subì l'influenza degli gnostici o di Marcione, spesso tenta di confutare i Sinottici. Per lui gli Ebrei non sono i figli di Dio né d'Abramo. Sono i figli del Diavolo (Giovanni VIII, 39-44). Gesù non ha più genealogia. E' l'unigenito figlio di Dio (Giovanni I, 14, 18; III, 16-18). E il Paternostro è omesso da questo Vangelo.
Alcuni commentatori (G. Luzzi, J. Jeremias) pensano che nel Giudaismo Dio fosse Padre del popolo, ma non dei singoli individui. Ma non è così. Un profeta che non apparteneva al popolo ebraico per nascita , poiché era un proselita, scriveva: "Tu sei il Padre nostro, benché Abramo ci ignori e Israele non ci riconosca. Tu, o Eterno, sei il Padre nostro" (Isaia LXIII, 16). Geremia e Ben Sira adoperano l'espressione "Padre mio" col pronome di prima persona singolare. E il Salmo LXVIII, 5 dice che Dio è il Padre degli orfani.

continua........



Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 18:28
continua da sopra..........


O en toiV ouranoiV "che sei nei cieli".

Nel greco ordinario ouranos "cielo" è singolare. In ebraico shamaim e in aramaico shemaya sono plurali. Si tratta di una peculiarità linguistica senza riferimento a dottrine astronomiche. La sua presenza nel nostro testo greco dimostra che questo è tradotto da un originale semitico.
Secondo la dottrina ebraica, Iddio è in ogni luogo: "Egli riempie il cielo e la terra "(Geremia XXIII, 24).


"Se io salgo in cielo, Tu vi sei,
se scendo nello Sheol, eccoti là!
Se prendo le ali dell'alba
e dimoro nell'estremità del mare,
anche colà mi condurrà la tua mano
e la tua destra mi sosterrà." (Salmo CXXXIX, 8_10)
E così anche Deut. IV, 39; Giosué II, 11; II Re VIII, 27; Isaia LXVI, 1. Ma in altri versetti biblici si dice che Dio sta nei cieli (Deut. XXXIII, 26; I Re VIII, 30, 32, 49; Giobbe XXII, 12; Salmi II, 4; CIII, 19; CXIII, 5; CXV, 2-3, 16; CXXIII, 1; Eccles. V, 2; Daniele II, 28).
Abbiamo già osservato che la frase "Padre nostro che sei nei cieli" è usata dai dottori della Mishnà e più volte nelle preghiere ebraiche.


Agiasqhtw to onoma sou "sia santificato il tuo nome".

Il verbo agiazw non esiste nel greco classico né nei papiri pagani. Fu inventato dai Settanta per tradurre l'ebraico "qadash". Questa è una novella prova che ci troviamo di fronte a una traduzione, da spiegare con la fraseologia ebraica, incomprensibile a chi è stato educato in ambiente diverso. Infatti anche nel nostro Kaddish si dice "Itgaddal weitqaddash shemey rabba" (sia magnificato e santificato il suo gran nome). E nella preghiera mattutina del Sabato: "Shimchà Adonai Elohenu itqaddash" (il tuo nome, o Eterno Dio nostro, sia santificato).

Che significa "santificare il nome"? Per il Pichenot significherebbe astenersi dalla bestemmia, dai giuramenti falsi, ecc.. Ma così si restringerebbe troppo la portata della frase. Più giusto mi pare Sant'Agostino: "Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, facciamo sapere che desideriamo che il suo nome, il quale è sempre santo, sia considerato santo anche fra gli uomini, cioè non sia spregiato".

Nel linguaggio biblico "qadash" (santificare) è il contrario di "halal" (profanare). Dunque "santificare il nome" significa preservarlo dalle profanazioni. Il santo nome è profanato quando gli Ebrei commettono atti d'idolatria o altri gravi peccati (Levitico XVIII, 21; XIX? 12; XX, 3; XXI, 6; XXII, 32; Ezechiele XLIII, 7, 8; Amos II, 7) e quando il popolo il popolo ebraico è esiliato e la sua religione è insultata (Isaia LII, 5; Ezechiele XXXVI, 20-24; XXXIX, 7, 25; Malachia I, 11-12; Salmo CXI, 9).

Si può congetturare che Gesù pensasse a un fatto recente. Ponzio Pilato aveva offeso i sentimenti dei pii ebrei introducendo le insegne delle legioni nella Città Santa (Flavio Giuseppe, Antichità XVIII, iii, 1; Guerra II, ix, 3); Le insegne erano gli dèi delle legioni e i soldati offrivano loro sacrifizi (Flavio G., Guerra VI, vi, 1; Svetonio, Caligola XIV, Tacito, Annali I, 39; Tertulliano, Apologetico XVI, 162). Perciò la presenza delle insegne nella Città Santa era una profanazione del nome. I giudei supplicarono Pilato di farle togliere di lì, ma questi fece circondare i supplici dai soldati, minacciandoli di morte immediata. Allora essi si gettarono in terra, scoprendo il collo, pronti a lasciarsi tagliare la testa piuttosto che consentire all'atto profano. E Pilato allontanò le insegne.

Nell'uso ebraico più tardo la "santificazione del nome" era il martirio sofferto per restare fedeli alla Torà. Il Sifra (Emor XIII) dice: "Io vi ho tratti fuori dall'Egitto a patto che siate pronti a sacrificare la vita, qualora lo esiga l'onore del mio nome".

Elqetw h basileia sou "venga il tuo regno".

Questa frase allude al nucleo centrale della predicazione di Gesù. 2 Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (Marco I, 15). E' questo l'euangelion, la buona novella.
La parola italiana "regno" (come l'ebraico "malkut", il greco "basileia", il latino "regnum") può significare tanto un territorio governato da un re come il periodo durante il quale egli regna. Invece l'inglese e il francese distinguono "kingdom", "royaume" (il territorio) e "reign", "règne" (il periodo). Ma i traduttori inglesi e francesi della Bibbia dimostrano incoerenza e confusione nel rendere questa parola. Il "regno di Dio" nella Bibbia è sempre un periodo, mai un territorio. Gesù e altri Giudei del suo tempo aspettavano che Dio cominciasse a regnare, non già che continenti ed isole mutassero posto.

Il primo regno di Dio era stato al tempo dei Giudici. Gedeone rifiutò l'invito a farsi re, per non togliere il regno a DIo (Giudici VIII, 22-23). Quando gli anziani volevano ungere re Saul, Iddio li rimproverò, per mezzo del profeta Samuele, perché l'avvento di un re mortale avrebbe segnato il ripudio del Sovrano celeste (I Samuele VIII, 4-7; X,18-19; XII, 12).
Da questi passi si ricava: 1) che nell'opinione dei sacri autori la monarchia umana e la monarchia divina erano incompatibili; 2) che era tradizione che Iddio fosse il re d'Israele al tempo dei Giudici; 3) che il regno di Dio cessò con l'incoronazione di Saul.

Dopo Saul ci furono i re della dinastia davidica. Poi la Giudea fu soggetta ai re Babilonesi, ai re Persiani, ad Alessandro Magno, ai Lagidi, ai Seleucidi. Finalmente nel 167 i Giudei si ribellarono ai re stranieri. Ma non richiamarono al trono la famiglia davidica. Invece instaurarono il secondo regno di Dio. A questo periodo assegno i Salmi che proclamano "Adonai malakh" (l'Eterno ha cominciato a regnare) (Salmi XLVII, XCIII, XCVI, XCVII,IC). Il secondo regno di Dio durò un paio d'anni (dal 164 al 162). Seguì un ventennio sotto i re greci (162- 140). Poi un terzo regno di Dio dal 140 al 104. Poi i re Asmonei, il dominio romano, Erode, Archelao. Nel 7 dell'Era Volgare i Romani ridussero la Giudea a provincia, imposero tasse e mandarono Quirino a fare il censimento dei patrimonii. Agli Ebrei parve di esser ridotti in schiavitù. Tuttavia il Sommo Sacerdote Joazar li persuase a rassegnarsi e a dichiarare i loro patrimonii, a inchinarsi ai voleri di Cesare.

Ma qualcuno non si rassegnò e insorse. Giuda gaulonite, della città di Gamala, detto anche Giuda di Galilea istigò il popolo alla ribellione. Diceva che questa tassa non era altro che imposizione di schiavitù ed esortò i Giudei a proclamarsi indipendenti e a non riconoscere altro padrone che Dio. Chiamare padrone un uomo, fosse pure Augusto, era tradire Iddio. I suoi seguaci, piuttosto che accettare Augusto come sovrano, subirono in gran numero la tortura e il martirio. E condussero una lunga e sanguinosa guerriglia di partigiani (Flavio G., Ant. XVIII, 1, 6; Guerra II viii, 1).

Ma accanto a coloro che volevano instaurare il quarto regno di Dio con la violenza (Matteo XI viii,1) c'erano altri che l'aspettavano con tranquilla fiducia, come Giuseppe d'Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava il regno di Dio (Marco XV, 43). Non mi pare probabile che un consigliere, forse membro del Sinedrio, partecipasse attivamente alla guerriglia.

Anche per Gesù il regno di Dio era nel futuro. Lo dimostrò Johannes Weiss, rivoluzionando la teologia tedesca. Ma del resto risulta evidente dai Vangeli (Marco IX,1 = Luca IX, 27; Marco XIV, 25 = Matteo XXVI, 29 = Luca XXII, 16-18; Matteo VIII, 11; Matteo XXII, 41) e dallo stesso Paternostro.
Il Reimarus, il più antico e uno dei più intelligenti fra i critici del Nuovo Testamento, osserva che il succo della predicazione di Gesù è "Pentitevi, ché il regno di Dio è vicino". Poiché Gesù non spiega mai questa espressione, bisogna supporre che l'adoperasse nel significato usuale degli Ebrei del suo Tempo.
Possiamo noi sapere come si figuravano gli Ebrei di quella generazione il regno di Dio?

Cent'anni dopo il Reimarus, cent'anni fa, uno studioso italiano, Monsignor Ceriani, scopriva nella Biblioteca Ambrosiana di Milano uno scritto (l'Ascensione di Mosé) il quale fu composto proprio al tempo di Gesù. Questo scritto contiene una descrizione del regno di Dio.

Eccola:

E allora comparirà il Suo regno per tutto il Creato.
E allora l'Accusatore avrà fine,
e la tribolazione sarà tolta via con lui.
E saranno empite le mani dell'Angelo
che è stabilito nel sommo dei Cieli,
il quale subito li vendicherà dei loro nemici.
Ché il Celeste sorgerà dal trono del Suo regno
e uscirà dalla Sua santa dimora
con indignazione e ira pei Suoi figlioli.
E la terra tremerà: sarà scossa fino ai suoi confini,
e le montagne saranno abbassate e squassate
e le valli saranno alzate.
E il sole non farà luce
e le corna della luna saranno oscurate e rotte,
e tutta la luna si muterà in sangue,
e l'orbita delle stelle sarà sconvolta,
e il mare cadrà nell'abisso.
Le sorgenti dell'acque si seccheranno
e i fiumi inaridiranno.
Perché il Dio Altissimo, l'Eterno,
il Dio unico si leverà
e si manifesterà per punire le nazioni
e per distruggere i loro idoli.
Allora sarai felice tu, o Israele,
salirai sul collo e sull'ali dell'aquila
e i giorni del tuo dolore termineranno.
E Dio ti esalterà,
e ti solleverà fino al Cielo delle stelle
al luogo della Sua dimora.
Allora tu guarderai dall'alto
e vedrai i tuoi avversari sulla terra
e li riconoscerai e ti rallegrerai,
e renderai grazie e riconoscenza al Creatore.

Dunque per questo antico poeta il regno di Dio consisteva nella liberazione d'Israele, accompagnata da terremoto, oscuramento del sole, sanguinare della luna, ecc.. Naturalmente non è detto che tutti i Giudei se lo figurassero nell'identico modo, ma è degno di nota che anche nel Nuovo Testamento non manchino accenni alla sperata liberazione di Israele (Marco X, 42-43 = Luca XXII, 25-26; Luca I, 74; Atti I, 6) e a fenomeni simili a quelli suddescritti (Marco XIII, 24-27 e paralleli; Atti II, 18-21; Apocalisse VI, 12-17).

Anche la frase "Venga il tuo regno" ha analogie nelle preghiere ebraiche. Il Kaddish: "Veiamlikh malkhuté" (e regni il suo regno - e seguita: "durante la nostra vita, nei giorni nostri, durante la vita di tutta la famiglia d'Israele.") E l'Amidà (benedizione II): "Fa tornare i nostri Giudici come in antico e i nostri consiglieri come una volta e regna sopra di noi tosto, Tu solo con fedeltà, con misericordia, con rettitudine e con giustizia".
Nell' Antico Testamento il regno di Dio era limitato alla Palestina o esteso a tutta la terra? I versetti Giosuè III, 11; Salmo XCVII, 5 e Zaccaria XIV, 9 forse non sono chiarissimi, perché ha-arez potrebbe significare così "la terra" come "il paese". Ma nel Salmo XLVII, 8 (Dio regna sulle nazioni), nel LXXXII, 8 (tutti i popoli), nel XCVI, 13, nel XCVII, 1 (le grandi isole), nel XVIII, 9 (il mondo, i popoli), il regno è universale. Ed è universale nell'Assunzione di Mosé e nell'Alenu .

Marcione e probabilmente anche l'autore del terzo Vangelo, essendo fedeli sudditi dell'Impero romano, non potevano pregare per la venuta d'un regno diverso. Perciò alla frase sovversiva ne sostituirono una innocua: "Venga il tuo spirito santo su di noi e ci purifichi".

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 18:29
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Genhqhtw to qelhma sou, wV en ouranw kai epi ghV. "Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra".

Chi fa la volontà di Dio in cielo? Gli angeli. Lo dice il Salmo CIII, 20-21:
Benedite il Signore, o suoi angeli,
obbedienti al suono della sua parola.
Benedite il Signore, tutti voi, o eserciti suoi,
suoi ministri che fate la sua volontà.
E in terra? I giusti. perché "i giusti conoscono la volontà" (Proverbi X, 32). Il Salmo XL, 8:
Insegnami a fare la tua volontà,
perché tu sei il mio Dio.
E il Salmo CXLIII, 10:
Io mi compiaccio di fare la tua volontà, o mio Dio,
Sì la tua legge è nel mio cuore.


Anche alcune preghiere ebraiche contengono un parallelo fra il cielo e la terra. Il Kaddish: Colui che fa la pace nelle sue altezze, nella sua misericordia conceda la pace a noi e a tutto Israele. E Rabbi Eliezer (verso il 90 dell'E. V.) pregava: Fa' la tua volontà nell'alto dei cieli e dà pace sulla terra a coloro che ti temono (Berakot Tosefta 3, 7). E viene in mente il canto degli angeli "Gloria a Dio nelle altezze e pace in terra agli uomini dei quali Egli si compiaceva" (Luca II, 14).


ton arton hmwn ton epiousion doV hmin shmeron "Dacci oggi il nostro pane epiousion.

Questa parola è un "hàpax legòmenon" ed è di incerta interpretazione. Menzionerò le principali congetture.
Alcuni traducono "dacci oggi il nostro pane quotidiano". Bellissima interpretazione, conforme alla preghiera nei Proverbi XXX,8:
Non mi dare nè povertà nè ricchezza
Porgimi il pane che è la mia porzione.
Se non che epiousion non può significare "quotidiano". Quotidiano in greco si dice kathemerinos o ephemeros. Ambedue queste parole s'incontrano nel N. T. (Atti VI,1 e Giacomo II, 15). Perché l'Evangelista, avendo a disposizione due ottime parole usuali, ne avrebbe inventata una terza incomprensibile?

Altri interpreti traducono "per domani". E derivano epiousion da epiousa "il giorno seguente". Abbiamo dunque un'etimologia possibile. E anch'io preferisco il pane un po' raffermo, e la previdenza è raccomandata nella Bibbia (Proverbi VI, 6-8):
Va' alla formica, o pigro;
considera i suoi costumi e sii savio,
la quale... si provvede di pane nell'estate,
e raccoglie il cibo nella stagione delle messi.
Ma non sempre la previdenza fu lodata dagli Ebrei. Rabbi Eliezer (tempo di Domiziano) diceva: "Chiunque ha pane nel paniere e domanda: Che cosa mangerò domani? è un uomo di poca fede" (Sota 48). Pare che anche Gesù la pensasse come R.Eliezer: "Non pensate alla vita vostra, che mangerete e che berrete... Non vi preoccupate dunque per il domani" ( Matteo VI, 25-34) e additava ad esempio gli uccelli del cielo; anziché la formica, tanto ammirata dal poeta dei Proverbi e dal La Fontaine. Perciò è poco verosimile che Gesù consigliasse di chiedere il pane per il giorno dopo (come interpretano i Protestanti).

Altri interpreti derivano epiousion da epi (sopra) e ousia (sostanza) e traducono "soprassostanziale", cioé spirituale, metaforico.

Anche quest'immagine del pane spirituale è ebraica. Isaia LV, 1-2:
O voi tutti che avete sete, venite all'acqua.
E voi che non avete denaro, venite, comperate e mangiate.
Perché spendete denaro per cose che non sono pane?
E i vostri guadagni per cose che non saziano?
E nei Proverbi IX, 5 la Sapienza chiama:
Venite, mangiate del mio pane
E bevete del vino che vi ho mesciuto.
E Ben Sira XV, 1-3:
L'uomo che teme il Signore farà questo.
Colui che si attiene alla Torà l'otterrà.
Ella gli verrà incontro come una madre,
come una giovane sposa l'accoglierà.
Lo nutrirà col pane dell'intelligenza
e gli darà da bere l'acqua della dottrina.
In questi versi la Sapienza è probabilmente, per noi Ebrei, la Torà (cfr. Ben Sira XXIV, 22) e il cibo e le bevande sono i suoi frutti salutiferi.

Mi par poco verosimile che Gesù pregasse per ricevere la Torà, se di Lui dobbiamo pensare alla Somma Sapienza. Ma le difficoltà principali sono linguistiche. Esiste la parola "soprassostanziale" in aramaico? E supponendo che esistesse, sarebb'essa una definizione esatta della Torà, della Grazia o del soccorso divino chiesto dai primi discepoli? E sarebbe naturale questo termine filosofico in bocca a semplici pescatori di scarsa istruzione? Oltre a ciò, un composto di ousia sarebbe epousion anziché epiousion. Il prefisso epi elide sempre la finale in composizione con la parola che comincia per vocale, a meno che non sia impedito il digamma. Dunque nessuna delle supposte congetture pare accettabile. Non saprei più cosa proporre.

Forse un'emendazione del testo. Leggendo epi ousion "per l'esistenza, per la vita" il senso corrererebbe bene. Ousia nel senso di vita, esistenza è documentato in Platone, Sofista 232. (Naturalmente, alla fine, non resta, fino a prova contraria così come illustrata dallo storico Ebreo, il senso Cattolico: l'Eucarestia Cibo di vita eterna che non perisce e che dona l'eternità!)

Si osservi ancora che la presenza di questa parola rarissima così nel testo di Matteo come in quello di Luca dimostra che ambedue derivano da un'unica fonte greca e non sono traduzioni indipendenti dall'aramaico.

Kai afeV hmin ta ofeilhmata hmwn, wV kai nmeiV afhkamen toiV ofeiletaiV hmvn "Rimettici i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori".

Qui c'è qualche divergenza fra i Vangeli. Matteo ha la parola "debiti", Luca la parola "peccati". La remissione dei debiti ogni sette anni era prescritta dal Deuteronomio XV, 1-11. Ma poiché questa disposizione, adatta per i prestiti caritatevoli dell'età più antica, produceva gravi inconvenienti nelle operazioni commerciali di un popolo più evoluto, Hillel l'aveva abolita pochi anni prima del tempo di Gesù. E' probabile che la predicazione di Gesù e dei primi Cristiani avesse anche un contenuto sociale, che essi non vedessero benignamente i ricchi (Luca VI, 20-26; XVI, 19-31; XVIII, 22-25; Giacomo I, 9-11; II, 5-7; V, 1-6) e che praticassero la comunione dei beni (Atti II, 42-45; IV, 32-37). Ma non pare che rimettessero i debiti. Anzi pare che qualche volta fossero rapaci ed esosi nell'esigerli (Atti V, 1-6).

E poi, quali sono i debiti dell'uomo verso Dio? Non si può certo pregare Dio d'essere esentati dall'adempiere ai comandamenti né d'essere dispensati dai voti. Perciò par meglio intendere i peccati. E' stato osservato che la parola aramaica "hobayya" può valere "debito" e "peccato". Matteo ci dà la traduzione letterale, Luca interpreta e chiarifica per il lettore greco (si deve ricordare tuttavia che le due versioni del Paternostro derivano probabilmente da una fonte comune Q scritta in greco e non sono traduzioni indipendenti dall'aramaico). Vi sono altri passi dei Vangeli (Matteo XVIII, 23-35, Luca VII, 37-39) nei quali i debiti sono figura dei peccati.

Molti precetti dell'A. T. impongono di perdonare i torti ricevuti (Genesi XLV, 4-15; L, 15-21; Esodo XXIII, 4-5; Levitico XIX, 17-18, 34; I Samuele XXV, 28-34; Giobbe XXXI, 29: Salmo XVIII, 24-25; Proverbi XX, 72; XXIV, 29; XXV, 21-22).

Molte preghiere chiedono a Dio di perdonare i peccati degli uomini (Esodo X, 17; XXXII,32; XXXIV, 7-9; Numeri XIV, 19; I Re VIII, 30, 34, 50; Salmi XXV, 11, 18; XXXII, 5; LI, 2; LXXIX, 9; LXXXVI, 3-5; CXXX, Amos VII,2; Daniele IX, 19).

La connessione tra i due concetti s'incontra in Ben Sira XXVIII, 2:
Perdona il torto che ti ha fatto il vicino
E quando pregherai i peccati saranno perdonati.
Sifré sul Deuter. XIII, 18: "Ogni volta che avrai misericordia delle altre creature, dal cielo avranno misericordia di te".
Si può ricordare anche Luca VI, 36: "Siate misericordiosi, come ancora il Padre vostro è misericordioso".


Kai mh eisenegkhV hmaV eiV peirasmon, si suol tradurre "non c'indurre in tentazione".

Ma il Cristiano potrebbe domandare: E' Dio o il Diavolo colui che induce in tentazione? Infatti un antico Cristiano, il quale forse non aveva capito il Paternostro, protesta: "Che nessuno dica, quando è tentato: io sono tentato da Dio. Perché Dio non può essere tentato dal male, né può Egli tentare alcun uomo. Ma l'uomo è tentato quando è sedotto dalle sue voglie." (Epistola di Giacomo I, 13-14). Ma altri osserva che "tentazione" è traduzione inesatta di peirasmon. Il Tommaseo traduce: "Non ci recare in cimento".

E il Pernot: "non ci esporre alla prova". Infatti non credo che Gesù alludesse alle tentazioni del bambino che trova la scatola delle caramelle e dell'adulto che trova a portata di mano il denaro della ditta o la moglie del collega. Si tratta di cosa ben più tragica. In tempi di oppressione, di guerriglia, di congiura, coloro che speravano che il regno di Dio sostituisse il dominio romano, erano sempre in pericolo d'essere arrestati, torturati e costretti a rivelare i progetti, a denunciare i camerati, ecc.. Perciò era naturale il timore d'essere esposti alla prova.

Citerei il detto attribuito a Gesù da Origene (In Jerem. hom. lat. XX, 3): "Chi è vicino a me è vicino al fuoco. Chi è lontano da me, è lontano dal regno."
Marcione, la Vetus Latina, S. Cipriano e S. Agostino emendano e traducono: "Non permettere che siamo indotti in tentazione". E il padre Tonna - Barthet: "non ci lasciar soccombere alla tentazione". Ma così si discostano dal testo.

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Cattolico_Romano
00domenica 16 novembre 2008 18:29
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alla rusai hmas apo tou ponhrou "Liberaci dal male-maligno".

Gran discussione su questa parola ponhrou. E' maschile o neutro? E' il Maligno o il male? E' vero che il neutro degli aggettivi greci può avere valore di astratto, così che ambedue le traduzioni sono grammaticalmente possibili. Ma non tradurrei col nome astratto "male", il quale in italiano fa pensare a disturbi e malattie. Certo è che i discepoli non chiedevano d'essere esentati dalle malattie, destino inesorabile dell'uomo. In Genesi II, 9 il male è il peccato. Ma l'Ebreo non aspetta che Dio lo liberi dal peccato, il quale, secondo la dottrina ebraica, dipende dal libero arbitrio dell'uomo. Ma neanche tradurrei "il Maligno", cioè Satana. Satana ha poca importanza nella religione ebraica, che è rigorosamente monoteista. Non conosco preghiere ebraiche che chiedano di esser liberati da Satana, né che chiamino Satana "il Maligno". Mi par meglio tradurre letteralmente: "Liberaci dal malvagio". Infatti la frase è una citazione abbreviata del Salmo CXL: "Liberami, o Signore, dall'uomo malvagio, preservami dall'uomo violento".
S'intende che al tempo del Salmista, il malvagio era il soldato greco e il Giudeo apostata. Al tempo di Gesù il malvagio sarà stato il soldato romano e il Giudeo collaboratore. (Naturalmente l'indicazione cristiana tiene conto poi della Rivelazione).


A conferma di questa interpretazione si può citare Matteo V, 39: mh antisthnai tw ponhrw "Non resistere al malvagio".

Anche qui si tratta dell'uomo malvagio, non di Satana, né delle malattie.
Non v'è contraddizione fra Matteo V 39 e VI, 13. La Palestina era piena di malvagi. Resister loro era follia. Pregare Iddio che liberasse il paese era ovvio.
Anche questo versetto è soppresso da Luca per non dispiacere ai Romani.


Ammirate il bell'ordine del Paternostro; prima l'onore a Dio, secondo il suo regno in terra, terzo i bisogni dell'orante: il pane, il perdono, la pace. Un simile ordine, presso a poco, si trova in alcune preghiere ebraiche.
Alcuni manoscritti del V secolo aggiungono una dossologia
: "Perché tuo è il regno, la potenza e la gloria in eterno". Ma questa dossologia manca nei manoscritti del IV secolo e perciò i critici la ritengono apocrifa. Si legge tuttavia nella Didaché ed è in tutto conforme all'uso ebraico. Infatti è ispirata dalla preghiera di David in I Cronache XXIX, 11: "Tua, o Signore, è la grandezza; la forza e la gloria e la vittoria e la maestà... Tuo è il regno, o Signore, e Tu sei innalzato come capo sopra a tutti".

Dalla medesima preghiera sarà stata ispirata la dossologia dell'Alenu "Il regno è tuo" e il verso del Cantico delle Creature di S.Francesco: "Tue so' le laude, la gloria e l'onore". Ed è uso ebraico aggiungere "le 'olam va'ed" dopo le lodi a Dio.
Molti critici (Wettstein; Bultmann, Fleg, ecc.) hanno osservato che il Paternostro è composto in gran parte di formule ebraiche. Dice E. F. Scott che chi mira a fare opera eterna deve riattaccarsi al passato. Ma senza negare il valore permanente delle petizioni, bisogna anche riconoscere che sono strettamente connesse con la situazione politica e con le speranze del tempo di Gesù. Pretendereste di capire la Divina Commedia senza conoscere la lingua, la situazione politica, le controversie del tempo di Dante?

Osserva il Bultmann (Jesus Christ and Mythology 1958, pp. 13-14) "La prima comunità cristiana attendeva il regno di Dio nel medesimo senso che l'aveva atteso Gesù. Anch'essa aspettava che il regno di Dio venisse nel futuro immediato. La Cristianità ha sempre conservato la speranza che il regno di Dio venga in un futuro immediato, sebbene abbia aspettato in vano. La speranza di Gesù e della prima comunità cristiana non si avverò. Esiste ancora lo stesso mondo e la Storia continua. Il corso della Storia ha smentito la mitologia".

Con sommo rincrescimento debbo confessare che il Bultmann non ha tutti i torti. Prima che quella generazione fosse discesa tutta nella fossa, venne, non già il Figliol dell'Uomo sulle nuvole e gli angeli con le trombe (Matteo XXIV, 30-34; Marco XIII, 26-30; Luca XXI, 27-32), ma Tito, con le sue stragi e le sue distruzioni. Ma la Storia non finì allora e non è finita ancora. L'impero dei Cesari è caduto. Altri imperi sono sorti e scomparsi. La Palestina è per metà ebraica e indipendente. Questo almeno si è avverato.

Resta da imprimere i comandamenti della giustizia e della carità nei cuori degli uomini. Resta da lavorare per il regno di Dio inteso in modo più conforme alla nostra coscienza moderna. Per questo i Cristiani possono dire "Padre nostro che sei nei cieli" e gli Ebrei possono dire "Abinu shebashamaim." Diranno la stessa cosa. I Cristiani possono dire "Sia santificato il tuo nome" e gli Ebrei "Itkaddash shemeh rabba". E' la stessa cosa.

I Cristiani possono dire "Venga il tuo regno" e gli Ebrei "Yamlik malkuteh."
Diranno la stessa cosa.

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* FINE *

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