È morto lo storico gesuita Pierre Blet per sessant'anni al servizio della Santa Sede

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S_Daniele
00martedì 1 dicembre 2009 06:05



È morto lo storico gesuita Pierre Blet per sessant'anni al servizio della Santa Sede

Intellettualmente nel cuore del cattolicesimo


di Andrea Riccardi

"Leggete padre Blet" - rispose Giovanni Paolo II ai giornalisti che lo interrogavano su Pio XII e la sua politica durante la seconda guerra mondiale. Papa Wojtyla veniva dalla Chiesa polacca, che non solo aveva sofferto durante l'occupazione tedesca, ma aveva vissuto problemi di comunicazione con Roma, anzi era stata investita dalla propaganda nazista che ritraeva Papa Pacelli lontano dai polacchi. Giovanni Paolo II conosceva la drammaticità e la complessità dei problemi della Chiesa durante l'ultima guerra mondiale e per questo aveva detto:  "Leggete padre Blet". Infatti Pierre Blet era tutt'altro che uno scrittore di corte, qualcuno per cui la storia coincideva con l'interesse della sua istituzione, come è stato troppo a lungo pensato. È stato uno storico attento alla complessità, un ricercatore che non prescindeva mai da una scrupolosa inchiesta negli archivi. Si è spento a più di novant'anni, ma non ha perso mai la passione per il dibattito storico. Recentemente, in un'ultima intervista sui "silenzi" di Pio XII, rispondeva a chi gli chiedeva che cosa si troverà negli archivi vaticani al momento della loro apertura:  "Troveranno che non abbiamo nascosto niente".

Pierre Blet era stato uno dei quattro storici gesuiti, chiamati da Paolo VI, a pubblicare i documenti vaticani sulla seconda guerra mondiale, a seguito delle polemiche sui "silenzi" di Pio XII all'inizio degli anni Sessanta. Papa Montini aveva preso una decisione coraggiosa, che avrebbe portato alla stampa di dodici ponderosi volumi contenenti i documenti della Santa Sede tra il 1939 e il 1945. Sono una fonte essenziale per chi vuole ricostruire non solo la storia della Chiesa in quel periodo, ma anche per chi vuol fare la storia della guerra in tutti i suoi risvolti diplomatici, sociali, religiosi. L'obiezione fatta all'opera dei quattro gesuiti (conclusa con la stampa dell'ultimo volume nel 1981) è che non può sostituire il contatto diretto con la documentazione. È vero che la ricerca in archivio è altra cosa rispetto all'utilizzo delle fonti a stampa; ma si può star certi che i gesuiti hanno fatto un lavoro scrupoloso e onesto, anche quando qualche documento da pubblicare non era del tutto favorevole all'esaltazione del lavoro della Santa Sede.

La scelta di far conoscere la documentazione della Santa Sede fu un atto di coraggio e di fiducia nella storia da parte di Papa Montini, se si pensa che i primi volumi videro la luce a meno di dieci anni dalla morte di Pio XII. Paolo VI, stretto collaboratore di papa Pacelli durante la guerra, era convinto, anche per esperienza diretta, che la Santa Sede avesse fatto la scelta più giusta in quei frangenti. Qualche volta l'utilizzazione dei documenti pubblicati dai gesuiti avrebbe giovato alla ricerca storica, spesso diffidente verso questa fonte. Del resto basta scorrere i dodici volumi sulla Santa Sede e la guerra mondiale, per accorgersi - anche solo per il ponderoso apparato critico - della serietà e del rigore del lavoro fatto dai quattro storici gesuiti.

Padre Blet è stato uno storico della Santa Sede, nel senso che si è collocato intellettualmente nel cuore della Chiesa cattolica. Ha prestato tanti servizi alla Chiesa:  è stato consultato su numerosi problemi, ha insegnato non solo nella Pontificia Università Gregoriana, ma ha anche formato i giovani ecclesiastici che si preparavano al servizio internazionale della Santa Sede. Era un uomo che conosceva bene la storia e il presente del governo centrale della Chiesa, erudito e saggio. Aveva il senso alto del servizio alla Chiesa, maturato in tanti anni di impegno umile e fattivo. La sua convinta appartenenza alla Santa Sede non significa che fosse uno storico di parte o un apologeta incapace di vedere la realtà. Rifiutava però un approccio sensazionalistico e scandalistico alla storia di un'istituzione di cui conosceva la complessità, le fragilità e le grandezze.

La sua vita era estremamente ritirata, a differenza del suo confratello Robert Graham, amante più di lui di dibattiti e incontri. Una volta incontrai Blet in una commissione di tesi all'università di Nanterre in Francia, dove entrambi eravamo invitati dall'amico, lo storico Philippe Levillain. Il gesuita mi disse:  "Sono un uomo discreto".

Lo era. Aveva cominciato a parlare, rilasciando interviste, soltanto quando si era sentito la responsabilità di essere l'ultimo testimone di quella grande ricerca sugli archivi di Pio XII. Era così uscito dal suo abituale riserbo. Lo ha fatto sino alla fine con un'ultima intervista, perché convinto che il dibattito pubblico non rendesse giustizia alla verità della storia di Papa Pacelli e della Chiesa durante la seconda guerra mondiale. Su questa vicenda aveva pubblicato un volume in cui richiamava all'esigenza di stare ai fatti e ai documenti, ma anche di considerare il contesto internazionale in cui la Santa Sede venne a operare dal 1939.

Uomo con un alto senso della Chiesa, padre Blet non era uno storico di parte, proprio perché veniva da una scuola che l'aveva educato a stare ai documenti e ai fatti. Non era nato come storico dell'età contemporanea, ma veniva da una tradizione di ricerca sul lungo periodo, specie sull'età moderna. Aveva pubblicato vari studi sulla vicenda del clero francese tra Seicento e Settecento, durante il regno di Luigi xiv, servendosi della documentazione delle assemblee del clero e di altro prezioso materiale. Da questa esperienza traeva un rigore nella ricerca e nell'uso degli archivi. Era anche un esperto della diplomazia pontificia, di cui aveva tracciato un ampio panorama dalle origini sino all'inizio dell'Ottocento. Studioso dell'età moderna e delle relazioni internazionali, aduso a complesse ricerche archivistiche, padre Blet affrontò gli anni di Pio XII con la convinzione, maturata nelle lunghe frequentazioni delle carte della Santa Sede, che la Chiesa non avesse nulla da temere dalla storia. È la convinzione di una scuola di storici ecclesiastici che, dall'apertura degli archivi vaticani con Leone XIII, unisce rigore scientifico alla passione per la Chiesa. Questa tradizione perde, con la morte di padre Blet, un insigne esponente.


(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
S_Daniele
00martedì 1 dicembre 2009 06:06

Non c'è Chiesa senza Roma


di Philippe Levillain

Padre Blet aveva un nome:  Pierre. Veniva utilizzato raramente. Si diceva semplicemente padre Blet. Eppure era tutto lì, nella tessitura onomastica del membro della Compagnia di Gesù, nella quale era entrato nel 1937, dedicandosi al servizio di Pietro. È questa obbedienza ai voti dell'ordine da lui scelto che lo avrebbe portato ad accettare di partecipare in modo rilevante all'edizione degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, voluta da Paolo VI dopo le insinuazioni spettacolari del Vicario di Rolf Hochhut nel 1964, che stigmatizzavano Pio XII per la sua complicità nello sterminio del popolo ebreaico, la Shoah.
Nato il 18 novembre 1918, padre Blet nel 1950 venne chiamato come professore di storia moderna presso la Facoltà di storia ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana. Visse intensamente gli anni di Pio XII. Insegnò storia diplomatica presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica dal 1965 al 1995 e formò molti grandi diplomatici della Santa Sede in seno a una istituzione un tempo detta l'Accademia dei nobili ecclesiastici. La matrice del suo pensiero in termini di Chiesa si colloca nella tesi sostenuta nel 1959:  Le Clergé de France et la monarchie. Étude sur les assemblées Générales du clergé de 1615 à 1666. Padre Blet aveva visto giusto:  non c'è Chiesa senza Roma. La monarchia aveva bisogno di consulenze. In modo spontaneo padre Blet formava un collegamento tra la diplomazia, la Santa Sede e il temperamento francese.
La sua grande opera, pubblicata nel 1962, su Girolamo Ragazzoni, vescovo di Bergamo, testimoniava questa straordinaria capacità dello sguardo di Roma su un mondo lacerato. La visione di Giovanni XXIII vi aveva contribuito. Come Papa, nonostante la brevità del pontificato.
La ricca opera di Padre Blet, il cui ultimo libro Richelieu et l'Église Bruxelles, André Versaille éditeur, 2007) ha riscosso un grande successo in Francia, non basta a dare conto della sua sorprendente personalità. Uomo pio, modesto, sempre accogliente, sempre sorpreso dall'interesse che gli veniva mostrato, padre Blet viveva alla Gregoriana la pienezza della vita al quarto piano dal lungo corridoio dove accompagnava gli ospiti con la massima cortesia. Parlava di cose importanti e, soprattutto, verso la fine della sua vita si preoccupava che venisse compresa quale  fosse la forma di santità di Pio XII, Papa disperato, Papa sacrificato alla ragione di Stato:  quella dello stato del cristianesimo, che forse sarebbe morto. Affrontava gli eventi con serenità, era fiducioso. È così che ha accettato con calma l'ordine storico delle sue convinzioni.


(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
S_Daniele
00martedì 1 dicembre 2009 06:06

Esperto non solo di Pio XII


Noto universalmente per i suoi studi su Pio XII e la seconda guerra mondiale padre Pierre Blet oltre all'opera monumentale in dodici volumi Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale redatta in collaborazione con Robert Graham, Angelo Martini, Burkhart Schneider (Città del Vaticano, Libreria editrice Vaticana, 1965-1982) è autore del volume Pie XII et la Seconde guerre mondiale d'après les archives du Vatican (Paris, Perrin, 1997).
Ma il gesuita Blet era anzitutto un modernista. Ecco alcuni titoli della sua bibliografia:  Le Clergé de France et la monarchie. Étude sur les assemblées Générales du clergé de 1615 à 1666, (Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1959); Girolamo Ragazzoni évêque de Bergame nonce en France. Correspondance de sa nonciature 1583-1586, (Paris-Rome, De Boccard - Université Grégorienne, 1962); Correspondace du nonce en France Ranuccio Scotti 1639-1641, (Paris-Rome, De Boccard - Université Grégorienne, 1965); Les Assemblées du clergé et Louis XIV de 1670 à 1693 (Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1972); Histoire de la représentation diplomatique du Saint-Siège des origines à l'aube du XIX siècle (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 1982 e 1990); Le Clergé de France, Louis XIV et le Saint-Siège de 1695 à 1715, (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 1989); Le Clergé du Grand Siècle en ses assemblées, (Paris, Cerf, 1995)
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(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
S_Daniele
00martedì 1 dicembre 2009 06:24

E il Re Sole tramontò davanti a Papa Pacelli


di Raffaele Alessandrini

"Padre Blet in ospedale? L'ho trovato lucidissimo, pieno di vita nonostante le sue serie condizioni di salute. Era davvero molto divertito dal cancan mediatico suscitato dalle sue dichiarazioni su Pio XII e sulla Humani generis unitas, di cui, giorno dopo giorno, era aggiornato dal confratello Peter Gumpel, il postulatore della causa di canonizzazione di Pio XII". Così Filippo Rizzi, il collega di "Avvenire" al quale lo storico gesuita aveva rilasciato pochi giorni fa la sua ultima intervista, racconta al nostro giornale le sue impressioni e i suoi ricordi a caldo sulla notizia, appena giunta, della morte dell'ultimo dei quattro studiosi della Compagnia di Gesù che per incarico di Paolo VI curarono la pubblicazione dei dodici volumi degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965-1982). Dopo la morte dei padri Burkhart Schneider (1976) e Angelo Martini (1981) i superstiti dell'impresa erano stati Robert Graham - che, sul finire del 1981, aveva con fierezza potuto scrivere a un vecchio amico giornalista:  "Missione compiuta. Due morti" - e proprio lui, Pierre Blet. Padre Graham sarebbe morto nel 1997, dopo quindici intensi anni di studi e approfondimenti. Sulla breccia sarebbe rimasto solo padre Blet. Proprio lui che era il meno contemporaneista dei quattro storici. Agli inizi, come raccontava, aveva accettato l'incarico per obbedienza. I suoi interessi specifici riguardavano soprattutto la Francia del Seicento, del Re Sole e di Richelieu, come dimostra ampiamente la sua bibliografia. Eppure il gesuita francese si sarebbe grandemente appassionato della figura di Pio XII. Un Papa il cui atteggiamento accorto, di riservato e operoso "silenzio" - ricordava Blet in questi ultimi giorni - avrebbe avuto un significativo riconoscimento anche da Martin Gilbert, il biografo di Winston Churchill. Per Gilbert infatti proprio l'atteggiamento di Pio XII fu decisivo per la salvezza di un grande numero di ebrei dallo sterminio. Padre Blet, come ricorda ancora Rizzi, dopo essersi tanto dedicato agli anni della guerra, sperava di poter scrivere una sintesi del pontificato di Papa Pacelli. Studiando le sue encicliche era certo di vedere in lui l'autentico precursore del concilio Vaticano II.


(©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
S_Daniele
00giovedì 3 dicembre 2009 05:12
Morto il gesuita Blet: svelò la verità su Pacelli, il nazismo e gli ebrei

DA ROMA FILIPPO RIZZI

Si è spento domenica mattina a Roma, all’ospedale Santo Spirito, per un attacco di cuore (dopo aver raggiunto il fatidico traguardo dei 91 anni), il gesuita francese Pierre Blet, l’ultimo testimone del quartetto ignaziano di storici (Angelo Martini, Burkhart Schneider e Robert Graham) che realizzò i dodici volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale . Una pubblicazione voluta da Paolo VI, attraverso la documentazione dell’Archivio segreto Vaticano (1939-1945), che permise di sfatare la leggenda nera attorno a Papa Pacelli e mettere nella giusta luce storica il pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Oggi alle 10 si svolgeranno i funerali nella cappella della curia della Compagnia di Gesù, in Borgo Santo Spirito 4.
Rimasto lucido fino all’ultimo, solo pochi giorni fa (il 12 novembre scorso), aveva concesso al nostro quotidiano la sua ultima intervista. Fu quella un’occasione quasi provvidenziale per padre Blet , per difendere la memoria del suo confratello, il gesuita californiano Robert Graham, dalle insinuazioni avanzate prima da La Stampa e poi da Panorama di essere, oltre a un rigoroso storico, un agente segreto del Vaticano e dell’Occidente, capace addirittura di fare del controspionaggio nei confronti del Kgb.
Nei giorni successivi all’intervista padre Blet aveva trovato le forze, dalla sua stanza nell’infermeria della curia generale della Compagnia di Gesù, anche per replicare alle domande di Ignazio Ingrao di Panorama , attraverso una testimonianza da me raccolta, su chi veramente nell’équipe degli storici gesuiti scoprì per primo la bozza dell’enciclica nascosta di Pio XI, l’Humani generis unitas.
«Era divertito da questo 'can can' mediatico», racconta padre Giuseppe Bellucci, il portavoce della Compagnia di Gesù. Ma padre Blet , originario della Normandia, formatosi alla Sorbona e al servizio della Santa Sede da più di 60 anni, era conosciuto soprattutto per i suoi studi sul modernismo, come ad esempio Girolamo Ragazzoni evêque de Bergame, nonce en France. Correspondance de sa nonciature (1583-1586), o altri lavori storici come la sua ultima fatica Richelieu et l’Eglise ( Via Romana, Versailles 2007, pp. 346, euro 25) . «Ha avuto il tempo di scrivere il suo ultimo libro e fare la sua ultima intervista – sorride il postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, il gesuita Peter Gumpel –. Mi mancherà moltissimo anche perché la sua conoscenza di questo Papa era per me di grande aiuto nelle mie ricerche». Campeggia ancora appeso nella sua stanza a Roma l’attestato di Benedetto XVI per i suoi 90 anni di vita. «Mi piacerebbe scrivere un libro su Pio XII – aveva raccontato l’anziano padre – che abbracci tutto il suo magistero e dimostrando che egli fu il precursore del Vaticano II».
Un sogno, quello di padre Blet , purtroppo non avverato, ma forse ad accogliere l’anziano gesuita in cielo ci sarà ora in prima fila quel Pastor angelicus su cui aveva così tanto nobilmente scritto.

© Copyright Avvenire, 1° dicembre 2009

INTERVISTA a padre Belt

Pio XII e Hitler, lettere fantasma

Filippo Rizzi

Dalla sua stanza, nell’infermeria della Curia della Compagnia di Gesù a Roma circondata di libri sul suo papa Pio XII, ogni giorno padre Pierre Blet, classe 1918, pur costretto a vivere da un anno su una carrozzina, segue con la lucidità di sempre, grazie all’uso del computer, le vicende del mondo e in particolare la causa di beatificazione del Pontefice che più ha studiato a fondo: Eugenio Pacelli.
Non nasconde la sua amarezza e sorpresa, soppesata da un certo distacco ignaziano, per la ricostruzione – stile giallo modello André Gide – fatta recentemente da La Stampa e poi da Panorama sul suo confratello, il gesuita californiano Robert Graham (1912-1997), trasformato da rigoroso storico a spia capace di smascherare il controspionaggio del Kgb per conto dell’Occidente e del Vaticano. A questo proposito ricorda, lui ultimo testimone vivente, i 17 anni trascorsi assieme agli storici gesuiti Graham, Angelo Martini e Burkhart Schneider nell’Archivio Segreto vaticano e spesi per ristabilire la verità sul pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Una ricerca – quella condotta in squadra dall’équipe dei 4 storici gesuiti – voluta da Paolo VI, che portò alla pubblicazione in 12 volumi suddivisa in 12mila pagine degli Actes et documents du Sainte Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale.
Ma è proprio sull’affaire Graham che l’anziano gesuita francese, autore tra l’altro di un fortunato libro tradotto in 10 lingue edito in Italia dalla San Paolo, Pio XII e la seconda guerra mondiale negli archivi vaticani, si sente di offrire la sua verità a questa tesi dai tratti surreali: «Fa sorridere pensare che il povero padre Graham fosse un agente segreto capace di fare addirittura del controspionaggio al Kgb – racconta un po’ divertito padre Blet –. A lui piaceva millantare questa idea molto suggestiva di storico ma anche di investigatore.

Lui amava le spy stories, ci scherzava e ci ricamava sopra. Ma il suo lavoro fu solo quello dello storico. La ricostruzione fatta da Panorama non corrisponde alla realtà e dà l’idea di un giallo alla Dan Brown».

Ignazio Ingrao su «Panorama» ha rivelato che fu padre Graham a scoprire quasi per caso la bozza dell’enciclica scritta dal gesuita americano John La Farge su commissione di Pio XI, l’«Humani Generis unitas» che avrebbe condannato ogni forma di razzismo.

«Si tratta di una notizia non vera, perché la prima bozza di questo testo fu scoperta negli Stati Uniti alla morte del gesuita La Farge e successivamente ne emerse una copia nell’Archivio segreto vaticano; non fu certo il padre Graham a scoprirla».

Gli articoli parlano di misteriose casse, ora conservate nell’archivio della Curia della Compagnia di Gesù e appartenute a padre Robert Graham. Secondo lei che cosa contengono?

«Penso che, una volta visionati e ordinati, si scoprirà che quei bauli non hanno alcunché di esplosivo ma contengono solo i diari di Graham, le sue impressioni su una vita trascorsa a Roma. Concordo con quanto ha scritto recentemente su <+corsivo>La Stampa<+tondo> padre Federico Lombardi: quei fogli non contengono affatto la chiave dei segreti della Guerra fredda e dell’attentato a Giovanni Paolo II».

Come nacque l’idea di una pubblicazione come gli «Actes et documents du Sainte Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale» che potesse spiegare i «silenzi» di Pio XII?

«A suggerire l’idea di un’équipe di storici a Paolo VI fu monsignor Pio Laghi. Rammento che chi ci aiutò a trovare la prima pista di documenti fu l’ultimo segretario particolare di Papa Pacelli, il gesuita Robert Leiber. Grazie a lui trovammo una miniera di documenti, lettere di Pacelli – un centinaio – ai vescovi tedeschi. Quella scoperta ci permise di conoscere l’azione diplomatica segreta di Pacelli nel salvataggio di molti ebrei, ma anche la sua prudenza per evitare le persecuzioni ai fedeli cattolici».

Quando verrà aperto l’Archivio segreto vaticano attinente al periodo dal 1939 al 1945, che cosa potranno scoprire gli storici di nuovo?

«Troveranno quello che abbiamo già pubblicato nei nostri 12 volumi e scopriranno che non abbiamo nascosto niente. Mi sembra difficile che si potrà contraddire quanto è ampiamente mostrato nei documenti già pubblicati».

Ancora oggi una delle accuse ricorrenti a Pio XII è quella di non aver fatto abbastanza per i profughi ebrei.

«Si tratta di una calunnia confutata anche dai volumi 8, 9 e 10 della nostra pubblicazione. A ciò aggiungo una cosa, di cui non si parla mai: nei Paesi occupati indirettamente dai nazisti, come la Slovacchia e l’Ungheria, fu grazie all’intervento diretto del Papa che si riuscì a fermare la deportazione di molti ebrei. Pio XII interveniva solitamente dove la sua azione poteva dare dei frutti reali. Inoltre padre Leiber mi ha confermato che il Pontefice aveva utilizzato la sua fortuna personale proprio per soccorrere gli ebrei perseguitati dal nazismo».

Nel mondo giornalistico circolano ipotesi suggestive come quella di un messaggio di Papa Pacelli ad Hitler…

«Conosco la fonte di questa notizia, apparsa qualche anno fa su Le Monde. Come ho già scritto su La Civiltà Cattolica, se non abbiamo pubblicato la corrispondenza tra Pio XII e Hitler è perché essa non esiste. Inoltre se quella corrispondenza fosse esistita, le lettere del Papa sarebbero conservate negli archivi tedeschi e ve ne sarebbe traccia in quelli del Ministero degli Esteri del Reich e viceversa le lettere di Hitler sarebbero finite in Vaticano».

Il prossimo 20 novembre lei compirà 91 anni. Quali sono i suoi sogni e aspettative da storico?

«Penso che sia giusto beatificare Pio XII. Oggi sono affiorate nuove verità su questa figura e ringraziando Dio anche molti ebrei americani sono a favore della beatificazione. Il mio sogno? Poter scrivere un libro su Pio XII che racconti tutto il suo pontificato e mostri che fu il vero precursore del Vaticano II».

© Copyright Avvenire, 12 novembre 2009
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