A proposito di cremazione

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S_Daniele
00sabato 14 novembre 2009 14:23

Dal Blog di Padre Giovanni Scalese:

A proposito di cremazione

I Vescovi italiani, nell’Assemblea generale conclusasi ieri ad Assisi, hanno approvato la bozza del nuovo Rito delle esequie (se ne veda la notizia riportata da ZENIT). In tale nuovo Rito è prevista anche la possibilità di esequie anche a coloro che scelgono la cremazione.

Non si tratta di una novità: la Chiesa aveva già da tempo ammesso la cremazione, a condizione che non fosse dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana. Il fatto è che, finora, tale concessione sembrava solo una possibilità ipotetica, riservata a qualche tipo un po’ eccentrico. Ora invece sta diventando una prassi sempre piú diffusa. Ecco le cifre riportate da ZENIT: «In vent’anni si è passati dalle 3.600 cremazioni del 1987 alle quasi 60.000 del 2007».

È ovvio che la Chiesa non può rimanere indifferente di fronte ai fenomeni di massa come questo; è ovvio che deve in qualche modo intervenire, dando delle direttive e fissando dei paletti. In questo caso, la Chiesa italiana si era già pronunciata due anni fa con il sussidio pastorale Proclamiamo la tua risurrezione; ora interviene di nuovo con il Rito delle esequie. I Vescovi pongono dei limiti precisi: le ceneri non possono essere disperse e non possono essere conservate «in luoghi diversi dal cimitero». Mi pare il minimo, per potersi dire ancora cristiani.

Eppure, nonostante queste precise indicazioni, confesso che le nuove norme mi lasciano alquanto perplesso. Perché? Perché segnano una rottura con una ininterrotta tradizione. Non dimentichiamo che il Cristianesimo è nato in un tempo in cui l’incenerimento era prassi comune; eppure i cristiani scelsero l’inumazione, perché tale uso esprimeva meglio la loro fede nella risurrezione. Avrebbero potuto anche loro fare qualche “contorsione” teologica; ma non la fecero, perché il seppellimento del corpo era un segno che parlava da sé. I segni — lo sappiamo — sono di solito molto piú eloquenti di tanti giri di parole.

Ecco dove sta il problema: la nuova linea adottata dalla Chiesa, pur essendo teoricamente corretta, rischia di favorire il processo di secolarizzazione e “ripaganizzazione” della società. Accettare la cremazione, pur con tutte le precisazioni e i distinguo, trasmette un messaggio ben chiaro: non esiste risurrezione; dalla natura veniamo e alla natura torniamo.

Ma allora, che fare di fronte alla diffusione della cremazione anche fra i cattolici? So bene che si tratta di un fenomeno incontrollabile. Quando ero nelle Filippine mi sono reso conto che ormai tale pratica è diffusa anche fra il clero. Un giorno, al termine della Messa, rimasi interdetto, quando una signora, con un fagottino sotto braccio, mi chiese di benedire le ceneri del marito. Ma non credo che sia saggio limitarsi semplicemente a prendere atto della situazione; in qualche caso bisogna reagire, come fecero i primi cristiani. “Bisogna evangelizzare”, si dice. Certo, ma non si evangelizza solo con le parole; spesso un segno, un gesto, una pratica sono molto piú efficaci di tante prediche. Certa timidezza pastorale non paga; qualche volta, forse, dovremmo avere il coraggio di prendere posizioni nette e controcorrente anche di fronte a questioni apparentemente secondarie.

Continua:

Ancora sulla cremazione

Un lettore spagnolo, Martín, mi ha scritto a proposito del post di ieri sulla cremazione:


«Carissimo Padre, grazie per il Suo articolo, sono d’accordo al cento per cento. Qualche commento:

1) Mi sembra che questo atteggiamento è contrario allo spirito del Codice di diritto canonico, che dispone: “Enixe commendat Ecclesia, ut pia consuetudo defunctorum corpora sepeliendi servetur (= la Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti)” (can. 1176 §3). Cioè, non si tratta di una cosa neutra; noi abbiamo una consuetudine che esprime la nostra fede.

2) Che fede è la nostra se non è operosa, se non si manifesta, se si accontenta di seguire quello che tutti fanno o, peggio ancora, quello che il business consiglia, di che fede si tratta? Mi sa che Lei ha ragione, questo è un passo nel processo di neopaganizzazione.

3) Racconto brevemente, quello che so della realtà del mondo ispanico. A Santiago del Cile, la stessa arcidiocesi si è associata con un gruppo di imprenditori per iniziare l’affare delle cremazioni. Dopo la cremazione “cattolica” le ceneri sono messe in una apposita struttura costruita nel cortile delle parrocchie. Ci sono decine di rappresentanti che percorrono le parrocchie e le case offrendo questo “servizio”. Secondo la
informazione che ho, lo scopo di questa operazione è... guadagnare soldi, tutto qui. Mi domando: e quello che dice il Codice di diritto canonico che la Chiesa “raccomanda vivamente”, dov’è? Come può la Chiesa “raccomandare vivamente” la sepoltura dei corpi se la stessa diocesi promuove la cremazione porta a porta? Secondo me questo è una vergogna. Mi viene da piangere quando penso alla fede nella risurrezione dei primi cristiani che hanno fatto chilometri e chilometri di gallerie per custodire i corpi dei morti. Sarebbe stato molto piú facile fare la cremazione come i pagani».


Martín tocca un altro punto, che avevo tralasciato nel mio post, ma di cui ero già a conoscenza. Come dicevo ieri, nelle Filippine la pratica della cremazione è diventata comune fra i cattolici. E anche lí si è già trasformata in un business. Non so se siano coinvolte le diocesi, ma certamente lo sono molti parroci (che costruiscono colombari nelle loro chiese per poi venderne i loculi) e soprattutto laici, i quali magari costruiscono santuari, che in realtà sono vere e proprie “necropoli”.

Penso che, se non altro, i nostri Vescovi, fra i vari “paletti” fissati per rendere ammissibile fra i cristiani il fenomeno delle cremazione, avrebbero dovuto considerare anche l’aspetto commerciale: evitare che il tutto si trasformi in un grosso business, magari con la partecipazione diretta della Chiesa. È vero che ogni cosa ha un risvolto commerciale (basta pensare alle nostre agenzie di pompe funebri); ma, come giustamente fa notare Martín, non sembra molto coerente per la Chiesa fare soldi con una pratica quanto meno contraria alla tradizione cristiana.

Fonte


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