La confutazione è lunga e non la inserirò tutta...perciò dal collegamento potrete scaricare il testo interamente e meditarlo con tutta calma....e leggendolo vi accorgerete che già Agostino, e dunque l'insegnamento della Chiesa, parlavano già della "Sola Grazia e della Sola Fede"....furono i Protestanti a mischiare invece le eresie pelagiane e di Simpliciano, adattandole ad una "nuova dottrina"......scompaginandola.....
interessante è quest'altra parte.......
CAPITOLO TERZO
LA PREDESTINAZIONE E' UN GRANDE MISTERO
Ho toccato due questioni previe ma importanti e imprescindibili: se non si tengono presenti, ho detto, non ci si può inoltrare senza rischio nello studio del difficile argomento della predestinazione. Ma da sole non bastano. Occorre tener presente un altro insegnamento agostiniano ripetuto con tanta insistenza dall'inizio alla fine: la predestinazione è un grande mistero.
Di fronte ad esso, come di fronte ad ogni mistero della fede, l'uomo deve inchinarsi ed adorare in attesa che ci si sveli nella luce di Dio. Agostino lo fece e insegnò a farlo; ma non senza notare che esso, anche qui in terra, è illuminato da una grande verità, la quale, se non toglie il velo del mistero, conforta nella speranza lo spirito umano, la verità della giustizia divina presso cui non c'è, non può esserci iniquità: numquid iniquitas apud Deum? Absit! 1
1. Questione semantica
La parola praedestinatio deriva ad Agostino dalla Scrittura, in concreto da S. Paolo, il quale la usa cinque volte e sempre per indicare i piani di Dio o nei riguardi di Cristo 2, o nei riguardi della salvezza degli uomini 3. Il significato che Agostino dà a questa parola e la ragione teologica per cui v'insiste li ho detti sopra 4. Qui voglio dire che, tutto rivolto com'è alla Scrittura e alla sorte beata degli eletti, Agostino non ha trovato e non ha coniato un termine per indicare quelli che non raggiungono la salvezza. Più tardi, a proposito di questi, si parlerà di reprobatio e di reprobi 5, allo scopo di lasciare la parola praedestinatio solo per i primi e rendere così più comprensibile il discorso.
Non avendo dunque che una sola parola, gli capita qualche volta di usarla per gli uni e per gli altri, creando in questo modo, senza volerlo, un'occasione di fraintendimenti. Nella Città di Dio usa, per esempio, l'espressione di " predestinati alla vita " e di " predestinati alla morte " 6, ed anche quest'altra: " predestinati al fuoco eterno " 7.
Ma si sa quale profonda, dico meglio, quale essenziale differenza corra tra il primo caso e il secondo. Il primo è il piano della misericordia divina che dona la grazia, il secondo, supposta la prescienza della colpa (che Dio non opera ma permette), è quello della giustizia che infligge la pena. Basta ricordare le distinzioni esposte nel capitolo precedente, delle quali ho ricordato or ora l'importanza. Del resto i termini del mistero, che Agostino espone quasi ogni volta che tocca l'argomento della grazia, sono noti: a chi si perde viene inflitta la pena dovuta, a chi si salva viene elargito il premio gratuito, di modo che " l'uno non può lamentarsi di non meritare la pena, l'altro non può gloriarsi di meritare la grazia " 8. Non si può dunque confondere l'espressione, del resto rarissima, con il suo contenuto. Ascrivere il vescovo d'Ippona tra i sostenitori della " doppia " predestinazione, come hanno fatto i predestinaziani di tutti i tempi o, calunniando, i pelagiani e i semipelagiani, altro non è che tradirne il pensiero.
Appare già dalle pagine precedenti, apparirà più chiaro in quelle che seguono. Intanto giova fermarsi un poco sull'ammonizione, che percorre tutti i suoi scritti, del profondo mistero di fronte al quale ci si trova quando si parla di predestinazione.
2. Questione di fondo: la predestinazione è un profondo mistero
L'insistenza sulla predestinazione-mistero comincia molto presto, comincia fin da quando affrontò per la prima volta la questione di proposito: all'inizio dell'episcopato, nella risposta a Simpliciano. Terminando la spiegazione della pericope Rom 9,10-29, dopo aver osservato che l'elezione divina è occulta e non trova motivo alcuno nei meriti umani come appare chiaro nella conversione di Paolo, continua: " E tuttavia che cosa diremo? C'è forse iniquità presso Dio che esige da chi vuole e dona a chi vuole? Egli in nessun modo esige ciò che non è dovuto, in nessun modo dona ciò che non è suo ". Ripete la grande domanda di Paolo con la sua risposta: C'è forse iniquità presso Dio? Non sia mai!, e continua: " Perché allora a questi in un modo e all'altro in un altro? ". Risponde di nuovo col testo paolino: O uomo, tu chi sei? 9, e conclude: " Se non rendi il debito (dovuto per il peccato), hai di che congratularti; se lo rendi, non hai di che lamentarti " 10.
Ho riportato per lungo questo testo perché il primo (del 387): dopo ce ne sono tanti e tanti altri con lo stesso contenuto se non con le stesse parole. Passando dall'inizio dell'episcopato all'inizio della controversia pelagiana, leggiamo nel Castigo e perdono del peccato (del 412): " Perché mai tale grazia arrivi a questo e non arrivi a quello può essere occulta la causa, non può essere ingiusta. Infatti c'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente. Ma prima si deve piegare il collo alle testimonianze delle sante Scritture perché si arrivi poi a capire per mezzo della fede. Né infatti è detto senza ragione: Il tuo giudizio come il grande abisso. Quasi fosse spaventato dalla profondità di tanto abisso, l'Apostolo esclama: O profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio! " 11.
In un'opera altrettanto importante scritta poco dopo - Spirito e lettera - ripete la stessa convinzione con l'esortazione finale di cercare, per una risposta diversa, persone più dotte e l'ammonimento a non imbattersi in persone presuntuose, esortazione e ammonimento che dimostrano la profondità della convinzione. " Se poi qualcuno vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità delle ricchezze! e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più " 12.
Quando la controversia pelagiana degenerò, non certo per colpa di Agostino, in polemica egli non cessò di richiamare i suoi interlocutori al senso del mistero 13; quando, poi, proprio sulla dottrina della predestinazione si levò la protesta da parte dei monaci provenzali, fece altrettanto 14. La risposta è sempre la stessa: si tratta di un mistero imperscrutabile; come sono le stesse citazioni bibliche: una che richiama la mente umana, con un grido di stupore, all'abisso della sapienza divina - O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! 15 -, l'altra che, a conforto della povera ragione umana vacillante di fronte a tanto mistero, ricorda la consolante certezza che in Dio non c'è iniquità 16. Vedremo fra poco il significato e la forza di questa certezza.
Intanto perché appaia che questo insistente ricorso al senso del mistero non era un espediente polemico, ma piuttosto l'espressione di un'ansia pastorale, aggiungerò che esso si ritrova anche nei discorsi al popolo; e si ritrova con la stessa insistenza e con maggiore discorsività. Invita fra l'altro gli uditori ad ammirare insieme a lui e ad esclamare: O profondità..., e li sfida a scrutare l'inscrutabile, che è lo stesso che fare le cose impossibili, corrompere le incorruttibili, vedere le invisibili 17. A chi non fosse disposto a rimanere in un atteggiamento d'umiltà di fronte al mistero dice apertamente: " Tu ragiona, quanto a me lasciami ammirare; tu discuti, io non farò che credere. Vedo la profondità, non ne raggiungo il fondo " 18. Anzi, è proprio parlando di questo argomento che enuncia questo grande principio sul senso del mistero: Melior est fidelis ignorantia quam temeraria scientia 19.
3. Mistero, non fato, non parzialità, non fortuna
Dell'accusa di fatalismo che i pelagiani facevano ad Agostino a proposito della dottrina sulla gratuità della grazia che egli sosteneva, ho parlato, per accenni, sopra 20. Qui debbo aggiungere che a questa prima ne facevano seguire una seconda: l'acceptio personarum da parte di Dio. Il vescovo d'Ippona non poteva dunque limitarsi ad affermare che la predestinazione fondata, com'egli la difendeva, sul dono gratuito della salvezza era un profondo mistero, ma doveva rispondere alle difficoltà avversarie, dimostrando che non si trattava di fato ma di sapienza divina, non di parzialità ma di libera distribuzione dei doni di Dio, non di fortuna ma di Provvidenza.
Riguardo al fatalismo ricorda l'accusa dei pelagiani: " Veniamo accusati di essere assertori del fato perché diciamo che la grazia di Dio non ci viene data secondo i nostri meriti " 21. I pelagiani infatti avevano coniato un dilemma tra merito e fato allo scopo di combattere la dottrina agostiniana della concessione gratuita della grazia; o merito o fato, dicevano; e volevano dire: o la grazia divina viene concessa secondo il merito dell'uomo, acquisito con la sua libera volontà, o la sua distribuzione è senza ragione e ubbidisce alla forza del fato 22.
Il nostro dottore che, specialmente nella polemica, ricorre volentieri all'argomento ad hominem, risponde così: se il dilemma fosse vero, anche loro - i pelagiani - sarebbero fatalisti in quanto, ammettendo la necessità del battesimo per i bambini perché entrino nel regno dei cieli 23, dovevano concludere che quelli che lo ricevono e vi entrano, lo ricevono e vi entrano per pura fatalità, come pure per una fatalità altri morivano senza battesimo e non vi entravano 24. Affrontando poi l'argomento di fondo, ricorda che si può parlare di fatalismo a proposito di coloro che fanno dipendere la sorte degli uomini, il bene e il male, dalla posizione degli astri - fatalismo astrologico 25 - ma non quando si tratta di Dio, il quale non è causa del peccato ma attribuisce la pena per il peccato o concede la grazia del perdono " secondo l'eterno ed imperscrutabile disegno della sua severità e della sua bontà. Non si tratta dunque di fato, ma di grazia. Le parole dell'Apostolo sono chiare: Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi ma è dono di Dio 26. Se poi voi chiamate fato ciò che l'Apostolo chiama grazia, conclude Agostino, voi siete in colpa, non noi " 27.
" Come pure, continua, non si può parlare di acceptio personarum presso Dio perché non si tratta di giustizia ma di grazia ". La Scrittura esclude in Dio l'acceptio personarum 28, e giustamente, perché non c'è in lui ingiustizia: nec acceptio personarum dicenda est, quando iniquitas nulla est. In altre parole, quando non si viola il diritto di alcuno, come nel caso dei lavoratori della vigna che ebbero ognuno il suo, anche se agli ultimi fu dato quanto ai primi 29, Agostino ne conclude: " non c'è parzialità tra due debitori ugualualmente rei, se ad uno viene condonato e all'altro viene richiesto ciò che da ambedue è dovuto " 30.
Pensando inoltre alla possibilità che qualcuno potesse rifugiarsi nella spiegazione, che poi non spiega nulla, del caso fortuito, sul quale aveva discusso e scritto a proposito della grandezza dell'Impero romano che non fu " fortuita né fatale ", ma opera della divina Provvidenza 31, pensando, dico, che qualcuno potesse rifugiarsi in questa spiegazione nei riguardi del battesimo dei bambini, la scarta insieme alle altre due, scarta pure la quarta, quella dei meriti, che era propria dei pelagiani, e, richiamando di nuovo la misteriosità dei disegni di Dio giusto e buono, conclude con questo periodo fortemente sintetico: " Se dunque non si può parlare di fato perché non sono le stelle a decretarlo, né di fortuna perché non sono i casi fortuiti ad operarlo, né sono le diversità di persone o di meriti a compierlo, che cosa resta per i battezzati se non la grazia di Dio e per i non battezzati se non la giustizia di Dio... ? " 32.
Infine, per addurre un testo tratto da quella lettera della quale si è detto molto cominciando, ecco che cosa scrive al presbitero Sisto: " E poiché tutta questa massa è giustamente dannata 33, Dio rende il disonore meritato in virtù della giustizia e concede l'onore immeritato in virtù della grazia, non già di un privilegio dovuto al merito o per l'ineluttabilità del fato né per un cieco capriccio di fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della sapienza e della scienza di Dio, che l'Apostolo non riesce a scandagliare, ma ne rimane stupito ed esclama: O profondità...! " 34.