Agostino è la Predestinazione

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Cattolico_Romano
00giovedì 6 novembre 2008 10:19
.....Anche in questo caso è doveroso citare s.Agostino poichè Stefano alias StudiosoDellaBibbia si serve di lui, cioè estrapola a suo tempo i discorsi di Agostino contro Pelagio, per dimostrare che anche il Padre della Chiesa la "pensava come Lutero"......
Bè...sottolineamo un aspetto......Lutero ERA AGOSTINIANO, non dimentichiamolo, il che vuol dire che è assai probabile che Lutero conoscesse gli scritti di Agostino....il problema è che Lutero li interpretò non per approfondire, ma per cercare qualche tesi FAVOREVOLE alle SUE dottrine.....
Ancora oggi ci sono Evangelici che usano i dialoghi di Agostino contro Pelagio dimostrando che il vescovo della Chiesa sosteneva le loro tesi....
E allora...leggiamolo veramente questo povero s.Agostino tirato come un elastico......
Un grazie di cuore al sito www.augustinus.it
Un invito sempre fresco: NON estrapolate pezzi dai testi senza i collegamenti INTERI.......
 

PARTE TERZA

PREDESTINAZIONE

La dottrina della predestinazione dipende totalmente dalle due verità esposte sopra: efficacia e gratuità della grazia. Ammesso che Dio ha sempre in serbo la grazia per condurre infallibilmente gli uomini alla salvezza e che questa grazia è un dono ineffabilmente gratuito, si potrebbe tacere affatto della predestinazione che non è altro, nei piani di Dio, come dice Agostino nella celebre definizione, che " la prescienza e la preparazione dei benefici di Dio " 1, quei benefici appunto efficaci e gratuiti che conducono l'uomo alla salvezza o più semplicemente, come dice ancora: " la disposizione [da parte di Dio] delle sue opere future: proprio questo, nient'altro, vuol dire predestinare " 2.
Ma questa dottrina ha suscitato troppe controversie nel passato - si ricordi la violenta reazione dei semipelagiani e le distorte interpretazioni dei predestinaziani - e troppe ne suscita anche nel presente 
3 per poter tacerne completamente. Ne esporrò pertanto le linee fondamentali, perché sia possibile darne un giudizio che rispetti le leggi della critica, che sono poi le leggi dell'esatta informazione, la quale esclude l'avventatezza e la superficialità, due mali non sempre assenti negli scritti di studiosi anche, per altre ragioni, benemeriti.
Comincerò dunque da una precisazione doverosa per esporne, poi, alcune premesse necessarie, indicarne il senso e i termini del mistero, le grandi verità a cui è legato, le relazioni con la vita pastorale della Chiesa. Importa, soprattutto, quest'ultimo aspetto sul quale il lettore non mancherà di fissare l'attenzione.
CAPITOLO PRIMO

PRECISAZIONE DOVEROSA

La precisazione consiste nell'avvertire il lettore che la dottrina non occupa nel complesso dell'insegnamento agostiniano sulla grazia il posto che molto spesso gli viene attribuito. Questo non è né primario né principale. Non sta infatti tra le verità fondamentali che la Chiesa cattolica, secondo Agostino, difendeva contro i pelagiani.

1. Le tre verità fondamentali

Tra queste verità fondamentali che il dottore della grazia riassume esplicitamente per ben quattro volte, la predestinazione non c'è. Né si sa bene perché ce l'abbiano messa gli studiosi, o forse si sa: la storia delle discussioni teologiche può insegnarci qualcosa. Ma per ora restiamo ad Agostino.
Scrive verso il 420, rispondendo alle due lettere dei pelagiani: " Or dunque i pelagiani con queste e simili testimonianze o voci della verità sono incalzati perché non neghino il peccato originale, perché non dicano che la grazia di Dio con la quale siamo giustificati non é data gratuitamente ma secondo i nostri meriti, perché non dicano che in un uomo mortale, per quanto santo e ben operante, si può trovare tanta giustizia da non essergli necessaria la remismissione dei peccati anche dopo il lavacro della rigenerazione fino a quando non cessi di vivere questa vita. Ma quando sono incalzati a non dire questi tre spropositi... " 
4.
Poco dopo, nella stessa opera, ripete in un altro contesto le stesse idee quasi con le stesse parole. Son sempre le tre grandi verità che i cattolici difendevano contro i pelagiani. Questi esaltavano la loro dottrina con le lodi della creazione, delle nozze, della legge, del libero arbitrio, dei santi. Agostino replica che tutto questo va bene; ma essi, purtroppo, lo fanno per ingannare gli ineruditi e gli incauti su quanto negano della dottrina cattolica. Negano infatti le tre grandi verità che la Chiesa difende contro di loro: il peccato originale, la gratuità della grazia, che non viene concessa secondo i meriti, la necessità che ogni uomo, anche giustificato, chieda perdono dei propri peccati 
5.


In un'altra opera di più grande respiro, nel Contra Iulianum, scritto l'anno appresso, riassume nella negazione di queste tre verità la ragione della condanna dei pelagiani. " I giudici che vi hanno condannato - scrive - sapevano che voi insegnate che i bambini nascendo non contraggono nulla di male che debba essere purificato rinascendo. Sapevano che voi insegnate che la grazia di Dio viene data secondo i nostri meriti... Sapevano che voi insegnate che l'uomo in questa vita possa non avere alcun peccato... " 6.
Ma è particolarmente significativo che in una delle ultime opere, nel De praedestinatione sanctorum - si sa che il De dono perseverantiae non era che un secondo libro di quest'opera - riassumendo le grandi verità che la Chiesa difendeva contro i pelagiani, nomina le tre ricordate sopra, e non nomina la predestinazione, della quale pur stava parlando e che aveva messo a titolo della sua opera. Data l'importanza del testo, eccolo per intero:

" Tre sono i punti, come sapete, che con ogni energia la Chiesa cattolica difende contro di loro. Il primo è che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, perché anche tutti i meriti dei giusti sono doni di Dio e per grazia di Dio sono conferiti; il secondo è che, per quanto grande sia la sua giustizia, nessuno può vivere in questo corpo corruttibile senza qualche forma di peccato; infine il terzo è che ogni individuo nasce colpevole del peccato del primo uomo e stretto nel vincolo della condanna, a meno che la colpa che si contrae con la generazione non sia eliminata dalla rigenerazione " 7.

Il testo non ha bisogno di commenti. Questo è certo: tra le verità che costituivano oggetto dell'energica difesa contro i pelagiani, non c'è la predestinazione, segno evidente che non era considerata tra le principali. In realtà non lo era, e non lo è. Serviva soltanto, nella convinzione di Agostino, come roccaforte per difendere la gratuità della grazia che era, ed è, una delle tre verità principali. Lo dice e lo ripete. " Che cosa è stato infatti che in questo nostro lavoro ci ha costretto a difendere con maggior completezza e chiarezza i passi della Scrittura nei quali si ribadisce la predestinazione, se non il fatto che i pelagiani dicono che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti? " 8. E conclude: " Bisogna predicare la predestinazione, affinché la vera grazia di Dio, cioè quella che non viene data secondo i nostri meriti, possa essere difesa con una trincea inespugnabile " 9. La stessa conclusione è ripetuta altrove 10.
.

La verità dunque che stava a cuore ad Agostino e che difendeva con tutta l'energia dello spirito, convinto di difendere con essa l'insegnamento della Scrittura e della Chiesa e il fondamento stesso e la forma propria della pietà cristiana, non era la predestinazione ma un'altra, anche se connessa con essa; era la gratuità assoluta della grazia. Chi credesse di poter sostenere questa verità fondamentale, che cioè la fede, la giustificazione, la perseveranza finale, e perciò la vita eterna, sono un dono di Dio; sostenerla, dico, senza ricorrere alla predestinazione, lo faccia pure: troverebbe consenziente il vescovo d'Ippona. Ma chi dovesse confessare di non riuscire a farlo, non critichi almeno chi prima di lui ha avuto la stessa convinzione. Non c'è bisogno dunque di " deagostinizzare " - come qualcuno si compiace di dire - la dottrina della predestinazione, ma solo, se si potesse usare questo barbaro termine, di " depredestinazionizzare " la dottrina agostiniana della grazia, dando alla predestinazione il posto che le compete, che non è principale, e che nulla aggiunge alla gratuità della grazia quando non sia il considerarla nei piani di Dio. Dio infatti non può non avere la prescienza e la predisposizione dei suoi doni. Quello che importa dunque è riconoscere questi doni, che era l'unica cosa che Agostino voleva. Il resto viene da sé.

2. Agostinismo?

Quelli poi che in questa materia commettono un errore più grave sono coloro che fanno della predestinazione l'elemento discriminante per definire l'agostinismo. Tra questi il Rottmanner, che ha fatto scuola, benché a torto. Scrive il menzionato autore in un lungo studio pubblicato alla fine del secolo scorso, ripubblicato all'inizio di questo e tradotto in francese nel '49, uno studio che ha il titolo promettente e significativo di Agostinismo 11 e che è ricco di citazioni - è sempre facile, si sa, raccogliere testi dalle numerose opere agostiniane -, ma è anche ricco di errori nel principio da cui parte, nel metodo che segue e nel contenuto che espone 12; scrive, dico, il menzionato autore, che egli intende per agostinismo " la dottrina della predestinazione incondizionata e della volontà salvifica particolare che S. Agostino ha perfezionato di preferenza nell'ultimo periodo della sua vita ", cioè dal 418 in poi 13.

Ora questa definizione dell'agostinismo, anche se fosse vera nel suo contenuto, e non lo è, sarebbe falsa nel suo principio. E' sempre difficile, è vero, ridurre il vasto pensiero agostiniano a una tesi dominante e qualificante, soprattutto se non si ha cura di distinguere tra agostinismo filosofico, teologico, mistico e magari politico, come qualcuno ha cominciato a dire in questi ultimi tempi; ma anche limitandosi al solo agostinismo teologico e in questo alla sola dottrina della grazia, significa falsare totalmente la prospettiva teologica agostiniana riducendo questa dottrina alla predestinazione, e, per di più, alla predestinazione come si suppone che Agostino l'abbia proposta dal 418 in poi, che non è davvero quella che questo autore suppone.
Il vescovo d'Ippona nella dottrina della grazia è il grande teologo delle tre verità ricordate sopra e, in connessione con esse, della redenzione (natura, necessità, oggettività, universalità), della giustificazione (interiorità, progressività, gratuità), della grazia adiuvante (significato, necessità e, come si è visto sopra, gratuità ed efficacia), delle relazioni tra la natura e la grazia, ed ancora, dell'umiltà, della carità, della preghiera, ecc. 
14. Ora tutto questo, che pur rappresenta il più grande progresso dommatico che la teologia abbia mai fatto, resta nell'ombra; prende invece rilievo, come tesi dominante e qualificante, solo la predestinazione e con le restrizioni di tempo indicate. E' difficile capire come si possa fraintendere più apertamente il dottore della grazia.


Qui non si vogliono scusare eventuali limiti di Agostino teologo ricordandone le benemerenze; si vuole dire soltanto che non è lecito, forse sarebbe doveroso aggiungere non è scientificamente onesto, ridurre un vasto e profondo pensiero, qual è certamente quello agostiniano sulla grazia, a una tesi non certo principale, che viene eretta poi a nota qualificante di tutto il panorama dottrinale.
L'agostinismo teologico, anche se si voglia ridurlo all'antropologia soprannaturale - ed è arbitrario, perché si dimentica che il centro del pensiero teologico agostiniano sta nella cristologia -, ha ben altre tesi fondamentali e qualificanti come la dottrina della redenzione e della necessità della grazia, o, per restare alle esplicite indicazioni di Agostino stesso, le tre grandi verità di cui si è parlato. Ad esse, non alla predestinazione di cui il nostro dottore non cessa di ricordare la misteriosità, ad esse, dico, si deve rivolgere chi vuol parlare in questo argomento - e non è consigliabile - di agostinismo.

Cattolico_Romano
00giovedì 6 novembre 2008 10:19
La confutazione è lunga e non la inserirò tutta...perciò dal collegamento potrete scaricare il testo interamente e meditarlo con tutta calma....e leggendolo vi accorgerete che già Agostino, e dunque l'insegnamento della Chiesa, parlavano già della "Sola Grazia e della Sola Fede"....furono i Protestanti a mischiare invece le eresie pelagiane e di Simpliciano, adattandole ad una "nuova dottrina"......scompaginandola.....
Dallo stesso collegamento:
interessante è quest'altra parte.......
 

CAPITOLO TERZO

LA PREDESTINAZIONE E' UN GRANDE MISTERO

Ho toccato due questioni previe ma importanti e imprescindibili: se non si tengono presenti, ho detto, non ci si può inoltrare senza rischio nello studio del difficile argomento della predestinazione. Ma da sole non bastano. Occorre tener presente un altro insegnamento agostiniano ripetuto con tanta insistenza dall'inizio alla fine: la predestinazione è un grande mistero.

Di fronte ad esso, come di fronte ad ogni mistero della fede, l'uomo deve inchinarsi ed adorare in attesa che ci si sveli nella luce di Dio. Agostino lo fece e insegnò a farlo; ma non senza notare che esso, anche qui in terra, è illuminato da una grande verità, la quale, se non toglie il velo del mistero, conforta nella speranza lo spirito umano, la verità della giustizia divina presso cui non c'è, non può esserci iniquità: numquid iniquitas apud Deum? Absit1

1. Questione semantica

La parola praedestinatio deriva ad Agostino dalla Scrittura, in concreto da S. Paolo, il quale la usa cinque volte e sempre per indicare i piani di Dio o nei riguardi di Cristo 2, o nei riguardi della salvezza degli uomini 3. Il significato che Agostino dà a questa parola e la ragione teologica per cui v'insiste li ho detti sopra 4. Qui voglio dire che, tutto rivolto com'è alla Scrittura e alla sorte beata degli eletti, Agostino non ha trovato e non ha coniato un termine per indicare quelli che non raggiungono la salvezza. Più tardi, a proposito di questi, si parlerà di reprobatio e di reprobi 5, allo scopo di lasciare la parola praedestinatio solo per i primi e rendere così più comprensibile il discorso.
Non avendo dunque che una sola parola, gli capita qualche volta di usarla per gli uni e per gli altri, creando in questo modo, senza volerlo, un'occasione di fraintendimenti. Nella Città di Dio usa, per esempio, l'espressione di " predestinati alla vita " e di " predestinati alla morte " 
6, ed anche quest'altra: " predestinati al fuoco eterno " 7.

Ma si sa quale profonda, dico meglio, quale essenziale differenza corra tra il primo caso e il secondo. Il primo è il piano della misericordia divina che dona la grazia, il secondo, supposta la prescienza della colpa (che Dio non opera ma permette), è quello della giustizia che infligge la pena. Basta ricordare le distinzioni esposte nel capitolo precedente, delle quali ho ricordato or ora l'importanza. Del resto i termini del mistero, che Agostino espone quasi ogni volta che tocca l'argomento della grazia, sono noti: a chi si perde viene inflitta la pena dovuta, a chi si salva viene elargito il premio gratuito, di modo che " l'uno non può lamentarsi di non meritare la pena, l'altro non può gloriarsi di meritare la grazia 8. Non si può dunque confondere l'espressione, del resto rarissima, con il suo contenuto. Ascrivere il vescovo d'Ippona tra i sostenitori della " doppia " predestinazione, come hanno fatto i predestinaziani di tutti i tempi o, calunniando, i pelagiani e i semipelagiani, altro non è che tradirne il pensiero.

Appare già dalle pagine precedenti, apparirà più chiaro in quelle che seguono. Intanto giova fermarsi un poco sull'ammonizione, che percorre tutti i suoi scritti, del profondo mistero di fronte al quale ci si trova quando si parla di predestinazione.

2. Questione di fondo: la predestinazione è un profondo mistero

L'insistenza sulla predestinazione-mistero comincia molto presto, comincia fin da quando affrontò per la prima volta la questione di proposito: all'inizio dell'episcopato, nella risposta a Simpliciano. Terminando la spiegazione della pericope Rom 9,10-29, dopo aver osservato che l'elezione divina è occulta e non trova motivo alcuno nei meriti umani come appare chiaro nella conversione di Paolo, continua: " E tuttavia che cosa diremo? C'è forse iniquità presso Dio che esige da chi vuole e dona a chi vuole? Egli in nessun modo esige ciò che non è dovuto, in nessun modo dona ciò che non è suo ". Ripete la grande domanda di Paolo con la sua risposta: C'è forse iniquità presso Dio? Non sia mai!, e continua: " Perché allora a questi in un modo e all'altro in un altro? ". Risponde di nuovo col testo paolino: O uomo, tu chi sei9, e conclude: " Se non rendi il debito (dovuto per il peccato), hai di che congratularti; se lo rendi, non hai di che lamentarti " 10.
Ho riportato per lungo questo testo perché il primo (del 387): dopo ce ne sono tanti e tanti altri con lo stesso contenuto se non con le stesse parole. Passando dall'inizio dell'episcopato all'inizio della controversia pelagiana, leggiamo nel Castigo e perdono del peccato (del 412): " Perché mai tale grazia arrivi a questo e non arrivi a quello può essere occulta la causa, non può essere ingiusta. Infatti c'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente. Ma prima si deve piegare il collo alle testimonianze delle sante Scritture perché si arrivi poi a capire per mezzo della fede. Né infatti è detto senza ragione: Il tuo giudizio come il grande abisso. Quasi fosse spaventato dalla profondità di tanto abisso, l'Apostolo esclama: O profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio! " 
11.
In un'opera altrettanto importante scritta poco dopo - Spirito e lettera - ripete la stessa convinzione con l'esortazione finale di cercare, per una risposta diversa, persone più dotte e l'ammonimento a non imbattersi in persone presuntuose, esortazione e ammonimento che dimostrano la profondità della convinzione. " Se poi qualcuno vuole costringerci a scrutare il profondo arcano per cui con uno l'azione suasiva riesce ad essere persuasiva e con un altro no, due sole verità mi si presentano adesso con le quali mi piace rispondere: O profondità delle ricchezze! e: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? Se questa risposta a qualcuno dispiace, cerchi persone che ne sappiano di più, ma stia ben attento a non incappare in persone che solo presumano di saperne di più 
12.
Quando la controversia pelagiana degenerò, non certo per colpa di Agostino, in polemica egli non cessò di richiamare i suoi interlocutori al senso del mistero 
13; quando, poi, proprio sulla dottrina della predestinazione si levò la protesta da parte dei monaci provenzali, fece altrettanto 14. La risposta è sempre la stessa: si tratta di un mistero imperscrutabile; come sono le stesse citazioni bibliche: una che richiama la mente umana, con un grido di stupore, all'abisso della sapienza divina - O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio15 -, l'altra che, a conforto della povera ragione umana vacillante di fronte a tanto mistero, ricorda la consolante certezza che in Dio non c'è iniquità 16. Vedremo fra poco il significato e la forza di questa certezza.

Intanto perché appaia che questo insistente ricorso al senso del mistero non era un espediente polemico, ma piuttosto l'espressione di un'ansia pastorale, aggiungerò che esso si ritrova anche nei discorsi al popolo; e si ritrova con la stessa insistenza e con maggiore discorsività. Invita fra l'altro gli uditori ad ammirare insieme a lui e ad esclamare: O profondità..., e li sfida a scrutare l'inscrutabile, che è lo stesso che fare le cose impossibili, corrompere le incorruttibili, vedere le invisibili 17. A chi non fosse disposto a rimanere in un atteggiamento d'umiltà di fronte al mistero dice apertamente: " Tu ragiona, quanto a me lasciami ammirare; tu discuti, io non farò che credere. Vedo la profondità, non ne raggiungo il fondo 18. Anzi, è proprio parlando di questo argomento che enuncia questo grande principio sul senso del mistero: Melior est fidelis ignorantia quam temeraria scientia 19.

3. Mistero, non fato, non parzialità, non fortuna

Dell'accusa di fatalismo che i pelagiani facevano ad Agostino a proposito della dottrina sulla gratuità della grazia che egli sosteneva, ho parlato, per accenni, sopra 20. Qui debbo aggiungere che a questa prima ne facevano seguire una seconda: l'acceptio personarum da parte di Dio. Il vescovo d'Ippona non poteva dunque limitarsi ad affermare che la predestinazione fondata, com'egli la difendeva, sul dono gratuito della salvezza era un profondo mistero, ma doveva rispondere alle difficoltà avversarie, dimostrando che non si trattava di fato ma di sapienza divina, non di parzialità ma di libera distribuzione dei doni di Dio, non di fortuna ma di Provvidenza.
Riguardo al fatalismo ricorda l'accusa dei pelagiani: " Veniamo accusati di essere assertori del fato perché diciamo che la grazia di Dio non ci viene data secondo i nostri meriti " 
21. I pelagiani infatti avevano coniato un dilemma tra merito e fato allo scopo di combattere la dottrina agostiniana della concessione gratuita della grazia; o merito o fato, dicevano; e volevano dire: o la grazia divina viene concessa secondo il merito dell'uomo, acquisito con la sua libera volontà, o la sua distribuzione è senza ragione e ubbidisce alla forza del fato 22.
Il nostro dottore che, specialmente nella polemica, ricorre volentieri all'argomento ad hominem, risponde così: se il dilemma fosse vero, anche loro - i pelagiani - sarebbero fatalisti in quanto, ammettendo la necessità del battesimo per i bambini perché entrino nel regno dei cieli 
23, dovevano concludere che quelli che lo ricevono e vi entrano, lo ricevono e vi entrano per pura fatalità, come pure per una fatalità altri morivano senza battesimo e non vi entravano 24. Affrontando poi l'argomento di fondo, ricorda che si può parlare di fatalismo a proposito di coloro che fanno dipendere la sorte degli uomini, il bene e il male, dalla posizione degli astri - fatalismo astrologico 25 - ma non quando si tratta di Dio, il quale non è causa del peccato ma attribuisce la pena per il peccato o concede la grazia del perdono " secondo l'eterno ed imperscrutabile disegno della sua severità e della sua bontà. Non si tratta dunque di fato, ma di grazia. Le parole dell'Apostolo sono chiare: Per grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi ma è dono di Dio 26. Se poi voi chiamate fato ciò che l'Apostolo chiama grazia, conclude Agostino, voi siete in colpa, non noi " 27.
" Come pure, continua, non si può parlare di acceptio personarum presso Dio perché non si tratta di giustizia ma di grazia ". La Scrittura esclude in Dio l'acceptio personarum 
28, e giustamente, perché non c'è in lui ingiustizia: nec acceptio personarum dicenda est, quando iniquitas nulla est. In altre parole, quando non si viola il diritto di alcuno, come nel caso dei lavoratori della vigna che ebbero ognuno il suo, anche se agli ultimi fu dato quanto ai primi 29, Agostino ne conclude: " non c'è parzialità tra due debitori ugualualmente rei, se ad uno viene condonato e all'altro viene richiesto ciò che da ambedue è dovuto " 30.
Pensando inoltre alla possibilità che qualcuno potesse rifugiarsi nella spiegazione, che poi non spiega nulla, del caso fortuito, sul quale aveva discusso e scritto a proposito della grandezza dell'Impero romano che non fu " fortuita né fatale ", ma opera della divina Provvidenza 
31, pensando, dico, che qualcuno potesse rifugiarsi in questa spiegazione nei riguardi del battesimo dei bambini, la scarta insieme alle altre due, scarta pure la quarta, quella dei meriti, che era propria dei pelagiani, e, richiamando di nuovo la misteriosità dei disegni di Dio giusto e buono, conclude con questo periodo fortemente sintetico: " Se dunque non si può parlare di fato perché non sono le stelle a decretarlo, né di fortuna perché non sono i casi fortuiti ad operarlo, né sono le diversità di persone o di meriti a compierlo, che cosa resta per i battezzati se non la grazia di Dio e per i non battezzati se non la giustizia di Dio... ? " 32.

Infine, per addurre un testo tratto da quella lettera della quale si è detto molto cominciando, ecco che cosa scrive al presbitero Sisto: " E poiché tutta questa massa è giustamente dannata 33, Dio rende il disonore meritato in virtù della giustizia e concede l'onore immeritato in virtù della grazia, non già di un privilegio dovuto al merito o per l'ineluttabilità del fato né per un cieco capriccio di fortuna, ma solo a causa dell'abissale ricchezza della sapienza e della scienza di Dio, che l'Apostolo non riesce a scandagliare, ma ne rimane stupito ed esclama: O profondità...! " 34.

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