Apocrifi del Terzo Millennio - di Francesco Lambiasi

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(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:10
Prefazione

In un'epoca, come quella in cui viviamo, in cui pochissimi leg-
gono gli evangelisti e molti leggono gli apocrifi (e i rovinosi sur-
rogati), forse l'unico modo per far leggere il Vangelo è proporlo
come se fosse esso stesso... un apocrifo. Deve aver maliziosa-
mente pensato in questo modo il vescovo Francesco quando ha
scelto di raccogliere alcuni suoi scritti in questo volume che ha
argutamente intitolato Apocrifi del Terzo millennio.
In realtà, questi "Apocrifi" non sono altro che testi di catechesi
che propongono con uno stile diretto, a volte drammatizzato,
in altre occasioni utilizzando una narrazione più distesa, pagine
del Nuovo Testamento, cercando attraverso una robusta am-
bientazione storica di porgere, con semplicità, al lettore i fatti
e i contenuti del Vangelo. In questa maniera il lettore diventa
quasi protagonista, o comunque testimone di ciò che viene rac-
contato.
Lo stile di catechesi popolare adottato per questi "Apocrifi", af-
fonda le sue radici nel dramma sacro medioevale, ma qui mon-
signor Lambiasi lo gestisce con libertà adottando diversi generi
letterari, moderni e antichi, dalla lettera alla testimonianza, dal-
l'intervista al testamento.
Il risultato è un libretto godibile, vario e appassionante, che si
legge tutto d'un fiato ma al contempo si rivela prezioso per la
riflessione e la preghiera.
Giovanni Tonelli
direttore il Ponte
(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:14
Salto l'introduzione, faccio bene faccio male, boh!...però faccio prima
La Peccatrice

II racconto di Luca
Amore, perdono e lacrime

Cronaca nera?

«Vi prego. Di me, se possibile, vorrei non si parlasse. In si-
lenzio, a cuore stretto, sono entrata in quella sala, in silenzio ne
sono uscita, più viva di quel ragazzo resuscitato giorni fa sulla
strada di Naim. Perché mi guardate? Non saprete nulla di me:
da quel giorno un velo mi copre il volto. Siete curiosi di vedere
come vive una peccatrice alla quale sono stati perdonati i suoi
peccati? Come ciascuno di voi. Anche a voi più di una volta
sono stati rimessi i peccati, eppure vivete come se questo mira-
colo non fosse mai avvenuto». A parlare così è la peccatrice ano-
nima secondo... non Luca, ma lo scrittore Ferruccio Parazzoli.
Ed ecco come un altro scrittore, Stefano Jacomuzzi, fa parlare
Gesù: «C'è del trambusto sulla porta e una donna si precipita
nella stanza. Tutti si sono alzati in piedi e ritirati contro i muri,
come per l'arrivo di una serpe. I servitori stanno per strapparla
via. La donna gira attorno gli occhi accesi, incerta, poi mi viene
accanto e si getta ai miei piedi. Piange. Piange. Un pianto senza
grido, senza rumore. Una silenziosa inarrestabile fonte di pian-
to. Le prendo il viso tra le mani e lo alzo verso di me...».
Ma ora affidiamoci alla guida di Luca per ripercorrere le scene.
Il racconto di Luca | 13
(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:46
Un gesto scandaloso e sconveniente

Gesù è adagiato a mensa, come avveniva nei banchetti un po'
solenni, quando si mangiava, sdraiati sui divani. Ed ecco arriva
una donna, ben nota come peccatrice: la conoscono tutti, forse
per aver peccato con lei. E là, con l'intenzione, probabilmente,
di spargergli il profumo sul capo, come si usava fare da alcune
parti in atto di onore. La sorpresa e lo sconcerto dei presenti e
soprattutto la santità di Gesù spingono la donna a baciargli i
piedi; e però, prima ancora di arrivare a questo gesto di venera-
zione e di profonda riconoscenza, la "peccatrice" scoppia in un
pianto a dirotto. Allora cerca di riparare il danno con un altro
gesto, del tutto sorprendente: si scioglie i capelli in pubblico - e
la cosa secondo alcuni rabbini era talmente scandalosa da valere
come motivo sufficiente per il divorzio - e si mette ad ungere
di profumo i piedi del Maestro, anziché il suo capo. Ma ciò che
sul piano formale era un di meno - e anzi era del tutto sconve-
niente - sul piano relazionale è un di più: è segno di un amore
che infrange ogni tabù e supera ogni convenienza.
(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:47
Un uomo "piccolo piccolo"

Alla reazione schifata e arcigna del fariseo, Gesù risponde
raccontando la parabola dei due debitori. La lezione è chiara. Il
fariseo nell'ospitare Gesù è stato del tutto corretto, ma... sol-
tanto corretto. Gesù non gli rimprovera omissioni di ospitalità;
di fatto la lavanda dei piedi, il bacio di saluto e l'unzione del
capo erano tutti gesti non dovuti. L'ospite fariseo non ha fatto
nulla di particolare, questo è certo, mentre la peccatrice graziata
è andata al di là del dovuto, e questo nella maniera, eccessiva e
folle, dell'amore. Con questo confronto si dimostra al fariseo e
a tutti i lettori del vangelo, che il grande amore non è quello di
Simone, che si è "limitato" ad ospitare Gesù. La ragione è sem-
plice: a differenza della donna, il fariseo era soltanto un "picco-
lo" debitore, bisognoso perciò soltanto di un piccolo condono.
In confronto: alla donna furono perdonati i suoi molti peccati e
perciò divenne una grande amante. Invece di continuare a "tac-
ciarla" come peccatrice, dovremmo rallegrarci per il perdono
concessole e per l'amore che ne è risultato e dovremmo com-
portarci come lei.

(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:49
Amore e perdono: andata e ritorno

Gesù, a differenza del fariseo, ha messo la questione sul piano
dell'amore. Chiede: tra i due debitori, chi amerà di più il credi-
tore? E nel commento sottolinea che il gesto della peccatrice è
un gesto d'amore. Bisogna però riconoscere che la conclusione
di questa breve parabola che tira Gesù, secondo Luca, è "asim-
metrica" rispetto alle premesse: nella prima parte (v. 42) l'amore
è presentato come la conseguenza del perdono (colui al quale si
condona di più, ama di più); nella seconda parte, invece (v. 47),
è il perdono la conseguenza dell'amore {le sono perdonati i suoi
molti peccati perché ha molto amato). La domanda che viene da
farsi è la seguente: è il perdono il motivo dell'amore o l'amore
il motivo del perdono? In realtà perdono e amore sono in co-
stante tensione di reciprocità e interazione: il perdono di Dio
non può non trasformarsi nell'amore riconoscente dell'uomo
e l'amore dell'uomo, facendosi umile confessione di peccato,
si reduplica nella riconoscenza per il perdono. È un altro caso
di quella circolarltà che si verifica nelle cose di Dio e si osserva
spesso nel vangelo.
(Zacuff)
00martedì 8 dicembre 2009 20:58
Ritorniamo ora a casa nostra...

Lasciamo ora la casa di Simone e rientriamo a casa nostra.
Cosa dice alla nostra famiglia questo vangelo del perdono?
Innanzitutto ci parla di Gesù. In questo brano Gesù si ri-
flette tutto intero, come in uno specchio: il suo nome signi-
fica "Dio-salva'. Ecco chi è Gesù: è in persona Dio-con-noi e
per-noi. E’ il volto umano di questo Dio il cui nome non è un
sostantivo o un nome proprio, ma un verbo: esserci. Così si è
rivelato a Mosè: lO-SONO, cioè: «Ìo-ci-sono-per-voi sempre,
anche quando voi mi tradite e vi allontanate da me: io_sono
come quel padre che non vede l’ora di poter raccogliere il figlio
in_casa; io sono come questo mio Figlio, Gesù, che_ho mandato
non per guarire i sani, ma per i malati, e che è diverso anche da
Giovanni Battista, Giovanni mi ha presentato come un giudice severo e implacabile; questo Figlio invece mi rivela come
sono.veramerite: Amore-che-perdona, anche quando lo mettete
in croce...».
Questa pagina ci parla anche di noi. Per quanto in famiglia ci
si voglia bene, accade - e certe volte spesso - di ferirsi a vicenda
magari per piccoli screzi. Si può rispondere con la ritorsione,
secondo una logica di equivalenza, che sembra la più... logica,
perché è a prima vista sotto il segno della giustizia e della razio-
nalità. Quella della sovrabbondanza invece sembra appartenere
all'ambito del superfluo e del sentimento. Bisogna riconoscere
che la logica del perdono è, oltre tutto, quella più intelligente:
il perdono nasce quando uno ama abbastanza da distinguere
tra l'azione negativa di una persona e la persona stessa. L'intel-
ligenza del perdono fa credito che, nel futuro, possa venir fuori
qualcosa di meglio di quello che l'altro ha prodotto in negativo.
Si può credere infatti nel futuro dell'altro e più ancora nel futu-
Ro di Dio: sarà il futuro riconciliato, in cui ci ritroveremo in un
riconoscimento reciproco di identità.
Ma c'è bisogno di dire queste cose a dei genitori che amano i
loro figli e si amano veramente tra di loro? Anziché aggiungere
altre riflessioni, forse è meglio ridare la parola alla peccatrice-
perdonata del vangelo secondo... Parazzoli: «Quando mi sono
buttata ai suoi piedi, egli solo ha capito la differenza tra me e
voi: che io non potevo vivere senza il suo perdono, voi, invece,
vivete benissimo».

(continua)

(Zacuff)
00mercoledì 9 dicembre 2009 13:38
Maria di Magdala

Due spiccioli, cioè la vita
La storia della povera vedova

La confessione di Maria

Mi chiamo Maria di Magdala. Sì, proprio quella Maria dalla
quale Lui aveva scacciato sette demoni, una formula, questa dei
"sette demoni", che a voi piace tradurre nell'immagine di una
donna bellissima e seducente, della quale si continua a chiac-
chierare e a favoleggiare. Ma di me vorrei che si ricordassejma
cosa sola: quel mattino del primo giorno della settimanajiopo
il 14 di nisan, Lui - che io piangevo sconsolata da tré giorni
accanto al sepolcro - lo riconobbi da come pronunciò il mio
nome: "Maria!", e gli caddi ai piedi: "Rabbonì", esclamai, e fui
felice come non lo ero mai stata, come non lo sarei pjuLstata.
Ora, ad anni di distanza, ho deciso di scrivere anch'io un
vangelo, dopo che ci ha già provato Marco e Luca. Ma il mio
non vedrà mai la luce e non sarà mai pubblicato in-rotoli di
papiro e in codici di pergamena. Lo sto scrivendo per me, per
me soltanto. Testardaggine di dQnna^_dirgtejyoi. No, lo sto scri-
vendo per protesta, ria guarirlo ha ripreso a circolare nelle no-
stre comunità cristiane una frase che viene messa in bocca a
Lui, ma che Lui non ha mai pronunciato. La frase si trova in
un racconto apocrifo, inventato di sana pianta: «Simon Pietro
disse: "Che Maria Maddalena esca dal nostro gruppo, perché le
donne non sono degne della vita. Gesù soggiunse: "Io la farò
maschio perché sia spirito vivente, come voi maschi; ogni don-
na che diventerà maschio ^ entrerà nel regno diDio". Le cose
stanno esattamente al contrario: è vero che Simon Pietro come
del resto gli altri discepoli, avessero più di qualche pregiudizio
maschilista, ma Lui, anche in questo, è stato rivoluzionario e
anticonformista: non solo ha detto che noi donne siamo figlie
di Dio come gli uomini, ma ha anche detto che gli ultimi sa-
ranno i primi, e che le peccatrici precederanno i sedicenti giusti
nel regno dei cieli.
Lo dimostra con una evidenza da far male agli occhi la con-
fessione che ho ricavato da quella povera vedova e che qui ri-
porto integralmente.
(Zacuff)
00mercoledì 9 dicembre 2009 13:46
La confessione della vedova

Erano i giorni immediatamente precedenti la Pasqua. Quel
giorno Lui si trovava nel tempio di Gerusalemme, e precisa-
mente in una sala o corridoio del cortile riservato alle donne,
dove erano collocate tredici grandi ceste per raccogliere le offer-
tè. Secondo la consuetudine gli offerenti dovevano dichiarare
al sacerdote di turno l'entità e lo scopo dell'offerta. E così il
gesto diventava pubblico e si prestava alla vanità. In quell'ora
nel cortile delle donne c'erano molti ricchi che facevano laute
oblazioni, di cui il sacerdote ripeteva a bocca rotonda e ad alta
voce l'ammontare, suscitando l'ammirazione dei presenti e degli
stessi discepoli di Lui. C'ero anch'io, una povera donna, vedova,
va che avevo fatto scivolare nella cesta delle offerte due minuscoli spiccioli, due monetine tra le più piccole io circolazione.
Solo Gesù mi ha scorto, e subito ha richiamato l'attenzione dei discepoli, rimasti imbambolati a godersi lo spettacolo di quel-
l'indegna, oscena gara al rialzo tra i molti ricchi presenti.
Sinceramente io non avevo inteso fare un'offerta. Il mio era
piuttosto un gesto di resa incondizionata: privandomi di quelle
monetine, intendevo dire a Dio: adesso a me ci dovrai pensare
tu! Di quei due soldini avrei potuto benissimo tenermene uno, ma a me non piace fare a metà con Dio. Così mi privai di tutto, a costo di fare la fame e di non avere neanche il pane per quel giorno.
(Zacuff)
00mercoledì 9 dicembre 2009 13:58
La dichiarazione di Gesù

Lui aveva scosso i Dodici con la formula più solenne e au-
torevole del suo magistero, una formula abitualmente riservata
per introdurre gli insegnamenti più importanti. In verità vi
dico". Fu come se volesse trapiantare i propri occhi nei discepo-
li- essi erano rimasti a bocca aperta a vedere "quanto offrivano
i ricchi; Lui invece - ha scritto bene l'evangelista Marco – “ os-
servava come la folla gettava monete nel tesoro . Il come .per
Lui, pesava più del "quanto". Il valore dell’offerta modestissima
della vedova - sfuggita alla sguardo superficiale dei discepoli -
consisteva secondo il Maestro nel fatto che la poveretta aveva in
realtà dato tutto: < tutta la (sua) vita. Inoltre quella donna aveva fatto la sua offerta
in tutta umiltà, senza alcuna ostentazione, senza la più pallida
illusione di un impossibile utile personale.
Il Maestro voleva dire: il metro di giudizio non è la_guan-
tità ma la totalità; la_generosità non è questione_di tasca, ma
di_cuore. Amare Dio con tutto il cuore" significa dare tutto,
senza attenderci nulla in cambio, senza illuderci di pareggiare il
nostro conto con Dio o, peggio, di essere in credito con lui.
Ma purtroppo ne Marco ne Luca, che riferiscono l'episodio,
riportano le parole che jLMaestro aggiunse a commento, e che
sono le seguenti: < .tutto».
E se posso aggiungere un commento al commento, vi dico
io, Maria di Magdala: "Voi spesso dite che amare significa do-
nare, ed è giusto, ma di fatto che cosa donate? Non è forse vero
che quando date del denaro, in rrealtà voi date del superfluo? e
quindi dare del tempo, è sempre un po' di quello che vi avan-
.za? e quando date qualche vostro talento, è dopo averlo utilizza-
to per i vostri scopi personali o di famiglia o di gruppo? Lui ha
ragione, quando dice: C’è più gioia nel dare che nel ricevere». E
< nesima potenza nella vita eterna. E ancora: "chi avrà rinunciato
a padre, madre, figli, fratelli, sorelle, case e campi, avrà il centuplo
di tutto questo già in questa vita, e nel futuro la vita eterna». E
infine - come dirà Madre Teresa di Calcutta, ricordando cinque
parole del Maestro con le cinque dita della sua mano: «Lo avete
fatto a me».
Ma ricordate: Non si è dato nulla finchè non si è dato tutto.
I cieli e la terra passeranno, ma queste parole non passeranno.
A presto, piccolo grande Maestro, arrivederci quanto prima nel tuo regno.
Maria di Magdala, anche a nome della povera vedova, ti ringrazia e ti saluta: Shalòm!
(continua)

(Zacuff)
00giovedì 10 dicembre 2009 12:43
Simon Pietro

II mio rinnegamento
Un biglietto per il discepolo Marco

Pietro a Marco, suo diletto figlio nel Signore, pace e ogni
vera gioia!
Carissimo,
domani, al canto del gallo, mi metteranno in croce. Questa
è l'ultima sera della mia vita: a tanti anni di distanza non posso
non riandare con la mente e con il cuore alla notte più terribile
dalla mia nascita, quando Lo rinnegai per tré volte. Ricordo
come fosse oggi: gli altri erano fuggiti tutti. Solo io avevo segui-
to il drappello vociante degli uomini armati fin dentro il cortile
della casa di Caifa. Ero scombussolato di dentro, fuori era buio,
faceva freddo, ma era soprattutto nel cuore che mi era calata la
notte più nera e più fredda da quando ero al mondo. Lo seguivo
"da lontano", ma come potevo illudermi che Lo si potesse se-
guire "da lontano"? Credevo di riuscire a non farmi riconoscere,
ma il chiarore del fuoco mi tradì, e prima una serva, poi un'al-
tra, poi quelli che bivaccano nel cortile mi hanno riconosciuto.
E non ci ho capito più niente. E devo essermi messo anche a
giurare e a spergiurare. E l'ho rinnegato...
Ma proprio in quel momento un gallo si mette a cantare.
E la porta della casa di Caifa si apre, e Lui viene spinto fuori,
le mani legate, il volto gonfio di botte. E mentre lo spintonano
e il gallo - lo avrei strozzato!- continua a cantare, Lui si volta
e mi guarda, mi guarda. Sento che dentro mi si spalanca una
voragine di amarezza: come ho fatto? Quello sguardo mi brucia
il cuore, perché è lo stesso sguardo di qualche ora fa, quando di
ho giurato fedeltà fino alla morte. Io l'ho rinnegato, ma Lui mi
amava, ora mi perdona, dunque mi ama ancora. Esco fuori, e
piango, come non ho mai pianto in vita mia.
Ho pianto per tré giorni e tré notti, fino a quella sera di Pa-
squa, quando Lui è venuto nel cenacolo, e mi ha guardato e mi
ha perdonato. Da allora non ho pianto più. Ma stasera la ferita
ha ripreso a sanguinare E ho ricominciato a piangere ma di
gioia, perché domani, al canto del gallo, sarò giudicato degno
di morire, come Lui, in croce, sul colle Vaticano.
Ma tu, Marco, figlio mio, quando apriranno i cancelli dei
giardini di Nerone e mi vedrai ormai morto, crocifisso a testa in
giù, perdona i miei carnefici, perché sarò stato io a chiedere loro
di non farmi l'onore di morire come il Maestro. E ad ogni alba
quando sentirai cantare un gallo, ti prego: non ti ricordi, quel
canto, solo il mio peccato, ma soprattutto il Suo perdono.
Che il nostro unico e dolce Signore ci dia pace. Arnvederci
nel suo regno!

(continua)
(Zacuff)
00giovedì 10 dicembre 2009 15:02
Claudia Procula

Le tré parole di Jehoshua, il Nazareno
Dal diario della moglie di Pilato

Gerusalemme. Sta per finire una giornata terribile, la più
disgraziata da quando ho dovuto sposare questo omuncolo di
Ponzio Filato; il giorno più sciagurato da quando quella vestale-
sgualdrina di mia madre mi ha messo al mondo; le ventiquattro
ore più maledette di tutta la storia, da quando il figlio di Rea
Silvia, la "lupa"... insomma dei 783 anni, ab Urbe condita^
La cosa s'era messa storta già da ieri sera, quando Noemi di
Gerico - che prima della conversione al partito del Nazareno,
era la regina delle cortigiane per gli ufficiali della nostra coorte
- mi ha fatto avere tra le mani un messaggio cifrato, che però
solo stamattina ho capito che mi parlava di quel Jehoshua che
poi avrei capito essere lo stesso Nazareno che ho sognato sta-
notte e che questo vigliacco smidollato del mio signor marito
ha mandato alla forca e che è morto tré ore fa... Sto andando di
nuovo in confusione: ho bisogno di ritrovare il filo. Andiamo
con ordine.
Dunque, ieri sera il biglietto di Noemi. Poi - o proprio per
quello? - stanotte ho avuto un gran daffare con il Nazareno: due
occhi dolcissimi che mi leggevano dentro ma non mi spoglia-^
vano vogliosi, come gli occhi da predatore di Erode; due mani
ruvide che non mi volevano catturare, ma solo benedire: si dice
cosi? E poi Lui veniva dentro il pretorio, e dietro Lo seguiva la
canea assatanata di quei sacerdoti del tempio (ruffiani!) con il
muso da upi e la lingua da vipere che tentavano di mordergli il
cuore; e il governatore di Roma con la testa da ciuco e un verso
lagnoso da coniglio spaventato, mi chiedeva un catino d'acqua
per fare delle strane abluzioni. E proprio quando l'acqua del
canno diventava sangue e stava per schizzarmi addosso
Mi sono svegliata in un bagno di sudore, al grido di quelle
urla inferocite; a morte! E sono corsa mezzo vestita e mi sono
appostata dietro la tenda spessa che separa il tribunale dalla sala
da pranzo, e ho sbirciato quell'uomo legato come un agnello
condotto al macello, e non volevo credere ai miei occhi- era
proprio lu.,Jehoshua il Nazareno, il protagonista del mio incu-
bo notturno. Non parlava. Ho sentito solo Filato che pronun-
ciava a fatica, come avesse la lingua gonfia; «La verità... ma che
cose la venta?». E poi con il suo risolino da imbecille, sua ec-
cellenza il signor prefetto gli vomitava addosso: «Dunque tu sa-
resti rè?». Lavrei strangolare! Ma bravo, il mio Filato - sciacallo
per i comghe coniglio per gli sciacalli, lui, circondato da tutti
quei gorilla ciociari, armati fino ai denti - proprio bravo ad
approfittarsi di quel poveretto, lui - il procuratore della Giudea
- schifoso tentacolo di quel lurido polipo di nome Tiberio, che
impera a Roma e succhia il mondo.
Come andata a finire la storia? Il Nazareno ha smesso di ran-
tolare su una croce oggi, all'ora nona. All'ora decima Longino si
e precipitato a fare rapporto al governatore, e piangeva, piange-
va, come se avesse crocifisso il «Figlio di Dio». All'ora undecima
e venuto Nicodemo a chiedere di poter seppellire il cadavere e
mi ha portato un altro biglietto da parte di Noemi, scritto però
da una certa Miriam di Magdala. Me lo sto ancora rigirando tra
le mani: era uno straccetto di papiro, quando me l'ha passato
Nicodemo, bagnato non so bene se dal suo sudore o dal pianto
di quella certa Miriam, comunque con diverse parole illeggibili.
Riesco a decifrare a fatica: «Prima di spirare, ha perdonato tutti,
esecutori e mandanti, anche il governatore e la sposa». Dunque
Lui ha pensato anche a me... E poi tré parolette smozzicate:
«Terz- g.. no ris... gerà».
Per Giove pluvio! non vorrà mica dire che dopodomani...
(continua)


(Zacuff)
00giovedì 10 dicembre 2009 15:46
Errata corrige:
1 - E' proprio quando l'acqua del canno... = E' proprio quando l'acqua del catino...

2 - Che cos'è la venta?... = Che cos'è la verità?...
(Zacuff)
00venerdì 11 dicembre 2009 13:34
Marco Rufo Longino

L'ultimo sguardo del Crocifisso
Lettera alla moglie Giulia Prisca


Ricevi un saluto carissimo da me, tuo sposo, mia adorata
Priscilla.
Non meravigliarti se questa mia ti giunge insieme ad un altra,
scritta una settimana fa, ma il nostro corriere da Cesarea
Marittima ci ha informato che la nave diretta a Roma è ancora
bloccata nel porto, a causa dei venti contrari, e ormai, per farla
salpare, si attende la luna nuova, fra dieci giorni.
Approfitto perciò per scriverti in fretta, da Gerusalemme,
perché sta per finire il giorno più amaro di tutta la mia carriera,
anche se il cuore mi dice che potrebbe essere il primo di una
nuova vita, forse addirittura l'inizio di una storia nuova per
l'intera ecumene dell'Urbe e dell'Orbe.
È un anno che mi trovo di stanza qui, nella Giudea, a
comandare la coorte Augusta, e in ognuna delle sei lettere
precedenti ti ho raccontato che razza di gente sono questi -
stavo per scrivere, come d'abitudine, cani - di Ebrei. Essi ci
disprezzano cordialmente, noi conquistatori, e ci affibbiano il
sinonimo con cui vengono volgarmente chiamati i suini, perché
- dicono - noi Romani abbiamo la forza bruta della spada; loro
hanno la forza mite e indomita della fede. La specialità della
religione ebraica - che fino ad oggi anch'io consideravo strana,
eppure per tanti versi intrigante - è che mentre l'Urbe sarebbe
disposta ad offrire una nicchia anche al loro dio nel nostro
grandioso Pantheon, loro invece non tollerano alcunaltra
divinità nell'unico tempio, ricostruito da Erode, che, lo vedessi!
è davvero splendido, ed è enorme quasi quanto il colle Vaticano,
ma ne fuori ne dentro vi trovi da nessuna parte un'effigie dipinta
o scolpita del loro unico "Signore", come lo chiamano.
Ma oggi - per il loro calendario, 13 di nisan di questo anno
783 a.U.c. - mi è toccato di giustiziare un certo Jehoshua, un
oscuro predicatore della Galilea, insieme ad altri rivoltosi, ma
lui - l'ho scoperto solo alla fine - non era mai insorto in armi
contro di noi. Pensa, mia dolcissima Priscilla, che la folla di
Gerusalemme, prezzolata dai loro capi, ha chiesto al nostro
procuratore Ponzio Filato di liberare un sicario ferocissimo, in
cambio di questo poveraccio, un vero uomo di pace, salito a
celebrare la festa di Pasqua qui a Gerusalemme, con seguaci
disarmati e umili predicatori di fraternità. Filato, dopo qualche
esitazione, l'ha condannato alla croce e, mentre salivamo verso
il luogo del supplizio - un monticene pelato come un teschio,
e, anche per questo, chiamato colle del Cranio - con lui che
portava il palo trasversale della croce, scortato da un picchetto
di quattro soldati, abbiamo incontrato un gruppo di bambini
che stavano giocando felici, e l'ho sentito dire con un filo di
voce: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Un aguzzino stava per fargli schioccare l'ennesimo colpo di
frusta sulla schiena, ma l'ho fulminato con un mio sguardo di
diniego: l'ordine del procuratore ci impediva di far soccombere
il reo prima di arrivare sul Golgota. Abbiamo ripreso la strada a
fatica, ma intanto sentivo salire dentro di me un senso di pietà
per questo Jehoshua che intuivo innocente e vedevo sfinito per
i quaranta colpi di flagello, oltre a pugni e calci della nostra
soldataglia più incarognita.
A un certo punto della Via Crucis - è l’unica strada di questa
capitale, con nome latino, per ricordare a tutti, soprattutto
ai ribelli, che solo alla morte più crudele può portare 1 aqui a
imperiale di Roma - sono sceso da cavallo, calamitato dalle
sue ultime parole che a brandelli gli vedevo uscire dalle labbra
insanguinate e rigonfie. Mentre barcollava, con gli occhi persi
nell'infinito, lo sentivo mormorare frasi affannate del ^ tipo:
"Beati i poveri" "gli oppressi", "i miti", "i misericordiosi , gli
affamati di pace",
Ma il momento in cui mi sono dovuto fare più violenza e
stato quando si è trattato di dare l'ordine della crocifissione, la
più barbara di tutte le esecuzioni che finora mi siano toccate
in sorte Mentre gli altri due crocifissi urlavano come ossessi e
bestemmiavano il nome impronunciabile della loro misteriosa
divinità, lui ha gridato: «Dio - ma mi sembra debba aver detto
Abbà, che in dialetto significa Papa - perdonali tutti ». Poi sono
passate tré interminabili ore, lunghe un'eternità. Non ce 1 ho
fatta più a vederlo morire così, come un agnello sgozzato, e mi
sono incollato con le spalle all'altro lato del suo palo, mentre
quei suoi rantoli sempre più affannosi mi rintronavano nelle
caverne dell'anima.
Le ultime parole le ha dedicate alla mamma - una donna con
due occhi di ciclo, che sembrava figlia di suo figlio -e, con la
testa piegata verso l'unico discepolo fedele, le ha detto: Prendilo
per figlio". Poi deve aver bisbigliato qualche parola buona a uno
dei due briganti crocifissi affianco. Allora ho intuito che era
giunta la sua ora; mi sono fatto coraggio e mi sono messo di
fronte a lui e - ti giuro - mentre la pena mi torceva il cuore,
stavo per decidere di schiodarlo dalla croce, quando l'ho sentito
gridare come un bambino, rivolto al ciclo, con una voce ripiena
di tutte le vibrazioni della tenerezza, Abbà.
Poi mi ha guardato ed è spirato.
Non mi era mai capitato un fatto così. Capisci, mia fedele
Priscilla, questo Crocifisso mi ha dedicato il suo ultimo sguardo,
e mi è sembrato volesse dirmi: "Muoio anche per tè", mentre
le sue ultime gocce di sangue me le sentivo fluire a stilla a stilla
nel mio sangue spento. A quel punto sono crollato in ginocchio
e ho pianto a dirotto, io che non ho pianto neanche quand'è
morta mia madre - la donna che ho più amato prima di tè,
quando a dodici anni ne rimasi orfano - ho pianto come un
bambino ferito, cui tocchi di assistere impotente alla morte del
fratello più grande che gli ha salvato la vita.
Poi mi si è fatto notte, di sopra e di dentro. I miei uomini
dicono che sia svenuto e che, mentre mi riportavano sul cavallo
qui nella caserma della Torre Antonia, farfugliavo parole
sconnesse come: «Jehoshua... giusto... figlio di Dio».
Adesso che mi sono riavuto, mi sono deciso a scriverti subito:
con chi se non con tè, metà dell'anima mia, posso condividere
la certezza che mi sento scoppiare in cuore? «Quest'uomo deve
essere per forza un figlio di Dio!».
Ragiona: un criminale o un pazzo non può morire così.
Neanche l'ottimo Socrate è morto così. Ma allora Dio non può
Essere il nostro Giove, ottuso come un bue, fanatico come un
Pavone, cinico e crudele più di uno sciacallo. Né può essere un figlio di Dio quel mostruoso sanguisuga di Tiberio Cesare,
per il quale tu, io, i nostri bambini, tutti gli umani addizionati
insieme, schiavi e liberi, insomma il mondo universo, messo
sulla statera, pesa quanto un minuscolo acino d’uva, buono
solo da spremere e da succhiare…
(continua)





(Zacuff)
00sabato 12 dicembre 2009 10:39
Marco
Un evangelista... al microfono
Intervista ali' "inventore" del vangelo

S. Marco è un evangelista tutto da scoprire. Se lo incontrassi,
gli porrei queste domande e sono sicuro che mi risponderebbe
così...

Ma è proprio vero che l'hai inventato tu il "vangelo"?

«Sì e no. Devo premettere che io Gesù l'ho incontrato a...
casa mia, a Gerusalemme. Mi spiego: io ero troppo piccolo per
far parte dei suoi primi discepoli; perciò non ho ricordi perso-
nali e diretti della sua storia. Però mia madre Maria, rimasta
vedova, accoglieva in casa i primi cristiani nelle loro riunio-
ni settimanali. Ricordo benissimo, anche se sono passati tanti
danni: ogni volta che "i fratelli" si radunavano cominciavano
a raccontarsi la loro vita. Erano papa e mamme che non sa-
pevano come dare da mangiare ai figli; alcuni erano schiavi e
non ce la facevano più a sopportare le angherie dei padroni;
altri erano stati maestri della Legge o sacerdoti del tempio e si
domandavano come combinare la grande tradizione di Israele
con il messaggio di Gesù di Nazareth. C'erano anche dei gio-
vani fidanzati che volevano coronare il loro sogno secondo la
nuova legge dell'amore; altri giovani avevano avuto fratelli o
genitori trascinati in tribunale o buttati in prigione per dare
testimonianza alla fede cristiana. Ecco: in quegli incontri - che
spesso si svolgevano di notte - io non facevo fatica a rimanere
sveglio. Perché rimanevo letteralmente shoccato da quel modo
di parlarsi: la comunità domandava e gli apostoli rispondevano
Ma la cosa che più mi impressionava è che il "capo", Pietro non
rispondeva con delle prediche o con lunghe citazioni tratte dai
rotolo delle sante Scritture. No, rispondeva sempre raccontan-
do quello che Gesù aveva detto, o fatto; afferrava la domanda di
vita e la poneva m contatto con la grande storia del Signore E
ogni volta si nproduceva l'incanto: mentre Pietro raccontava a
un certo punto era come se il Maestro entrasse, a casa nostra,' a
pone chiuse e proprio lui in persona ci parlasse di sé, del Padre
della vita, e ci comunicasse ancora una volta il suo Spirito »
Marco si blocca qui perché ha un groppo alla gola; per evitare
1 imbarazzo, riprendo a intervistarlo).

E così hai incominciato a scrivere i racconti sul Maestro...

«No, andiamo per ordine. Non mi sono messo subito a scri-
veremo sentito però sempre più prepotente la voglia di andare
anchio m giro a predicare. Ho incontrato Barnaba che mi ha
presentato a Paolo e ho sperimentato l'avventura della missio-
ne. hra una vita allo sbando: da un momento all'altro poteva
capitare di dover dare la vita per il Maestro, ma la cosa non mi
terrorizzava, anzi la consideravo lo sbocco naturale della mia
vocazione, 1 onore più grande che mi potesse (e mi possa) ca-
pitare. Ma poi m Panfilia, si verificò un incidente proprio con
l'apostolo che più mi affascinava: il grande Paolo. Ma qui con-
sentitemi di rimandarvi a quanto vi racconterà Luca nel (pro^
babile) secondo volume della sua splendida storia, Atti degli
Apostoli» (Marco si blocca di nuovo: si vede che il ricordo del
contrasto con Paolo gli brucia ancora dentro; preferisco passare
ad un'altra domanda).

Ma quando andavate a predicare avevate qualche "base" scritta
o no?

«All'inizio no, soprattutto quando accompagnavamo gli apo-
stoli o i primi discepoli di Gesù. Noi eravamo molto attenti alle
loro parole, specie quando riportavano le parole del Maestro o
i fatti della sua vita. L'attenzione raggiungeva il massimo ogni
volta che il racconto arrivava all'evento centrale: la morte e la
risurrezione del Signore. Poi, mano a mano che passavano gli
anni e l'evangelizzazione si diffondeva a raggiera e si moltipli-^
cavano i missionari, cominciarono a circolare tra di noi degli
appunti scritti, più o meno estesi: erano libretti che riportavano
delle collezioni della grande storia; che so? alcuni contenevano
detti di Gesù; altri invece erano serie di miracoli o di episodi
sparsi; e poco a poco cominciava a circolare il racconto scritto
degli ultimi "tré giorni" del Maestro».

Veniamo al dunque: quando ti è venuta l'idea di scrivere il tuo
volume su Gesù?

«La prima idea mi è venuta qui a Roma; quando è arrivato
Pietro e abbiamo iniziato la "grande missione" nella capitale
dell impero Per farvi capire la situazione della città in questo
anno 821 a.U.c(=69 p.C.n.), vi offro alcuni dati: su un milio-
ne di abitanti, 200 mila - quasi tutti schiavi - vivono alimentati
dai padroni o direttamente dallo stato; di ebrei se ne contano
circa 40 mila e noi cristiani siamo ormai oltre 5 mila Qui la
tede era già arrivata almeno fin dagli anni 40, e la nostra è una
comunità fiorente, come risulta anche dalla lettera-fiume che
1 apostolo Paolo ha indirizzato alla nostra Chiesa: per me quello
e il più bei documento sulla fede cristiana finora pubblicato
Ma ancora mancava qualcosa: un racconto unitario e completo
della stona di Gesù. Allora ho fatto quello che mi pare abbia in-
tenzione di fare anche l'amico e fratello Luca: raccogliere i vari
testi finora apparsi anche se lacunosi e frammentar;, rifonderli
m uno schema lineare e provare a dire la nostra fede non però
m forma di lettera, ma appunto di racconto. Per questo mi sono
ispirato allo schema che segue sempre il nostro capo, Pietro, che
parte dal battesimo di Gesù al Giordano e poi va avanti fino al
terzo giorno ».

Ma se tu dovessi stringere in due parole qual e il tuo messaggio,
cosa ci diresti?

«Mi sono proposto di far emergere in filigrana dal racconto
un ritratto di Gesù. Per me i tratti fondamentali del suo volto
sono due: Gesù è il Messia (Cristo) e il Figlio di Dio. Per que-
sto nella prima parte del libretto cerco di far vedere che lui si è
percepito e si e accreditato come il Cristo, e questo "blocco" si
conclude con la professione di fede di Pietro (8,27-30) Nella
seconda parte cerco di far vedere in che senso Gesù era (è!) il
Cristo; non come se l'aspettava Pietro e gli altri discepoli: come
un vincitore. No, Gesù è stato un Messia sconfitto: è morto in
croce. Ma proprio ai piedi della croce un romano... "de Roma"
(!) lo ha riconosciuto come il vero Figlio di Dio (15,39). Ecco
allora chi è Gesù: è il volto umano di Dio così come si ma-
nifesta quando cade il velo del tempio: appunto nell'ora della
morte in croce. Ma Gesù è anche il volto divino dell'uomo: il
cristiano non è tanto uno che ha imparato tante cose su di lui
o che sa fare grandi discorsi teologici; no è uno che cammi-
na dietro Gesù, proprio come hanno fatto i primi discepoli,
fino al calvario. Se non si cammina dietro di lui non si arriva
al Golgotha; ma se arrivati lì non lo si riconosce come il vero
Figlio di Dio, allora si potrà anche essere laureati in teologia,
ma non si è ancora veramente cristiani».

(continua)






(Zacuff)
00sabato 12 dicembre 2009 16:56
Matteo

"Ci disse: Andate, io sono con voi"
Lettera a rabbi Gamaliele


Matteo, discepolo di Gesù Messia e Signore, a Rabbi
Gamaliele, servo di Dio, chiamato a far parte del nuovo Israele,
shalom.
Non finisco di benedire l'Altissimo, nostro unico e comune
Signore, per avere scelto e benedetto dall'eternità il nostro po-
polo tra tutte le nazioni della terra e per il giuramento fatto ad
Abramo, nostro padre nella fede. Egli ha inviato il suo benea-
mato Figlio, Gesù di Nazaret, per estendere la santa alleanza a
tutti i popoli che sono sotto il cielo. In lui, crocifisso per i nostri peccati e risorto per la salvezza del mondo, l'Onnipotente ci ha rivelato il suo cuore di padre-abbà, che ama tutti i suoi figli e
non vuole che nessuno di loro perisca.
Ho appena finito di leggere il racconto, scritto dal nostro
fratello Luca, di quando, ormai tanti anni fa, all'inizio della
diffusione del santo evangelo, in una drammatica riunione del
sinedrio, tu, nobile Maestro, intervenisti a favore della libertà
di azione di noi cristiani con quelle parole ispirate dal cielo: «Se
questa nuova dottrina è di origine umana, verrà distrutta; ma se
essa viene da Dio, non riuscirete a distruggerla».
Da allora sono accadute tante cose: il tuo discepolo predilet-
to, Saulo di Tarso, nostro accanito persecutore, è stato illumi-
nato sulla via di Damasco e si è convcrtito al nostro messaggio;
Gerusalemme, la città santa, è stata distrutta dai pagani; il van-
gelo di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, conti-
nua ad essere proclamato, fino ai confini della terra. Questo è
segno, o mio grande Rabbàn, che la tua saggia risposta al sine-
drio si è avverata: l'azione cristiana non si è spenta, e dunque
non può che venire dal Signore. La sua santa promessa non è
venuta meno: tutti i popoli della terra saranno evangelizzati, e
Israele sarà salvato.
È proprio per rendere testimonianza a questa stupenda sto-
ria di salvezza che ho deciso di scrivere anch'io un racconto
delle origini dell'evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio, attra-
verso questo rotolo che mi fa piacere dedicarti con tutta la ve-
nerazione e l'affetto che meriti, nella speranza che ancora una
volta ti lascerai illuminare dallo Spirito dell'Altissimo: così po-
trai definitivamente approdare alla consolante certezza che il
Signore Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma a portarla a
compimento.
Di questo mio scritto, mi permetto di invitarti a cominciare
la lettura dalla fine. Nelle ultime righe ho cercato di riassumere
il cuore dell'evangelo, per fare scoprire a quanti lo leggeranno
chi è per noi Gesù il Galileo e chi è la Chiesa, da lui fondata.
Sono le ultime parole di Cristo risorto a noi, suoi primi disce-
poli. Non è un addio...
Come puoi vedere, Gesù convoca i suoi seguaci in Gallica,
su di un alto monte. Il racconto mi pare trasparente: la Chiesa
è un popolo in marcia; ormai il centro geografico della salvezza
non è più Gerusalemme, ma la "Galilea dei pagani". Il nuo-
vo Israele è il popolo dei seguaci di Gesù Cristo. La Chiesa,
fin dal suo primo apparire, è "Chiesa per il mondo". Non è
un gruppo "selvaggio": è una comunità animata dallo Spirito
Santo e guidata dagli Apostoli, chiamata ad essere la "città col-
locata sul monte". Nel mio racconto, come potrai vedere, il-
lustre Maestro, il monte riveste un limpido valore simbolico:
come Mosè sul Sinai aveva ricevuto e trasmesso a Israele la santa
Legge di Dio, così il nostro Signore Gesù, che aveva già dato sul
monte la nuova legge dell'amore, appare ora per l'ultima volta
come il nuovo Mosè che dovrà guidare l'umanità salvata verso
la Patria dei cieli.
Sul monte Gesù si rivela quale Figlio dell'uomo intravisto
dal profeta Daniele, come quel misterioso personaggio, che
sulle nubi del cielo riceve il potere riservato a Dio, il giudizio
supremo e universale: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in
terra».
"ANDATE!": Gesù invia in missione. Anche sotto questo
aspetto puoi vedere, o mio Grande, che il cristianesimo non va
contro l'ebraismo, va oltre. Voi, nostri fratelli maggiori, conce-
pite la missione nel mondo come testimonianza: sono gli altri, i
non credenti, che, attratti dalla vostra condotta, vengono a voi.
Noi concepiamo la testimonianza come missione: siamo noi a
dover andare incontro agli altri. Resta che la prima missione
è una condotta di vita coerente e attraente; ma non possiamo
aspettare che il mondo venga a cercarci; siamo mandati a pro-
clamare il vangelo a tutti, a cominciare dai più lontani.
Ogni giorno - anche oggi! - il Maestro Gesù non ci dice di
andare ad "insegnare", ma a "fare discepoli": non andiamo in
giro ad aprire scuole e accademie, ma a fondare comunità di
vita. Si diventa cristiani non per l'apprendimento di una dot-
trina, ma per l'abbraccio di una sequela. Il verbo del discepolo
non è imparare, ma seguire, andare dietro il Signore, che conti-
nua a camminare sulle strade del mondo.
Infine Gesù promette: "IO-SONO-CON-VOI". Sono cer-
to che tu, scriba sapienrissimo, sentirai in questa promessa l'eco
della rivelazione del Nome ineffabile dell'Altissimo: IO-SONO
(YHWH). Gesù è veramente l'Emmanuele, il Dio-CON-NOI.
Questa è la garanzia ultima per tutto il tempo della missione.
Con la risurrezione-ascensione Gesù non si è reso latitante ne
irreperibile: Egli rimane con noi fino all'ultimo giorno della
storia. Ecco la Chiesa: non è un "che"; è un chi. E Gesù - con
noi - per il mondo. Se manca uno di questi tré elementi, non
si ha la Chiesa: Gesù da solo non fa la Chiesa, come non la
facciamo noi senza di Lui. Ma se noi con Lui non ci apriamo al
mondo, noi non siamo la sua Chiesa.
Eccoti, amatissimo rabbi Gamaliele, il mio libro appena ter-
minato. Tè ne invio copia per comunicarti la buona notizia del-
la salvezza. Sono sicuro che leggendo questo vangelo ti renderai
conto che il cristianesimo non uccide la fede dei padri, ma la
risuscita, perché la purifica e la eleva oltre se stessa. Il Signore
Gesù - lo vedrai - non è venuto per distruggere, ma per salvare.
E se - come spero - ti convincerai che diventando cristiano non
ti è chiesto di rinnegare la fede di Israele, ma ti è dato di viverla
in pienezza, allora ti saluto, ora, nella pace di Abramo, nella
speranza di abbracciarti quanto prima nella pace di Cristo.
(continua)





(Zacuff)
00domenica 13 dicembre 2009 13:19
Luca

La gioia di Dio
Intervista immaginaria al più "storico" degli evangelisti.

"Natività" di un Gherardo delle Notti. Eccoci immersi in
un mistero meraviglioso, caldo come la luce che fa cantare la
tela, impenetrabile per la penembra che riempie tutto il qua-
dro; pace che proviene da profondità intcriori; abbandono di
Dio tra le braccia dell'umanità. Ecco il vangelo di Luca. Già lo
conosciamo; e se ora provassimo a intervistarlo?

Luca, sei l'unico evangelista che ha scritto due volumi di "storia
del cristianesimo" - il vangelo e gli Atti degli apostoli: perché?

Sono anche l'unico evangelista che ha premesso alla sua ope-
ra una "prefazione" con dedica: «All'Ill.mo Sig. Teofilo, per-
ché si renda conto di quanto sia solida la catechesi ricevuta».
Comunque - visto che da noi ancora non si usava il sistema
da voi adottato di ricorrere a titoli, titoletti e corsivi vari per
far capire la struttura e le cose più importanti di uno scritto
- mi sono servito di un piccolo marchingegno. Dopo i primi
due capitoli del vangelo, faccio iniziare anch'io, come Marco e
Matteo, la storia di Gesù con la predicazione di Giovanni e rias-
sumo tutto il messaggio del Battista con la citazione di Isaia 40:
«Una voce grida nel deserto: Preparate la strada del Signore...»,
ma, a differenza dei miei "colleghi", la prolungo fino al versetto
6: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». Ecco, questa è la tesi
di fondo della mia opera in due volumi: Gesù ha portato la sal-
vezza a tutti gli uomini. E lo ha fatto prima, direttamente - vedi
il volume n. 1, il Vangelo - poi attraverso il suo Spirito - vedi il
volume n. 2, gli Atti, che si concludono con le ultime parole di
Paolo: «Sappiate che questa salvezza Dio ora la offre ai pagani,
ed essi l'accoglieranno».

Ma perché chiudi il libro degli Atti degli apostoli senza raccon-
tare il martirio di Pietro e Paolo?

«Sì, questa storia del... racconto senza finale non me l'avete
ancora perdonata. La colpa però non è la mia: è di quel benedet-
to titolo "Atti degli apostoli", che io non mi sono mai sognato di
mettere al mio secondo libro, da me intitolato semplicemente:
Volume n. 2. In effetti il mio obiettivo non era tanto quello di
raccontare la storia di Pietro e Paolo, quanto piuttosto la storia
della predicazione del regno di Dio che è cominciata lungo il
Giordano con il Battista, ha conosciuto la sua fase centrale con
Gesù, ed è proseguita fino ad arrivare lungo le rive del Tevere, a
Roma, capitale del mondo pagano. Così si è compiuta la profezia
di Gesù, che ho riportato come suo testamento prima di salire
in ciclo, quando ha detto agli apostoli: "Sarete miei testimoni in
Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria,
fino agli estremi confini della terra" (Atti 1,8). Questo appunto
volevo dimostrare al carissimo Sig. Teofilo: la corsa della parola
di Gesù, - benedetto sia il suo santo Nome! - una parola che,
portata dal vento dello Spirito e dalla voce dei missionari, una
volta arrivata a Roma, non si è certo fermata ma ha continuato
a correre, anche ai vostri giorni... Insomma Roma non è stata
l'ultima tappa, eppure è stata la tappa decisiva. Dunque in fon-
do è vero che il mio II libro è senza finale...».

Però anche tu, come Matteo, hai dedicato i due primi capitoli
del tuo vangelo all'infanzia di Gesù: perché?

«Anche in questo, vi ho anticipato. Mi spiego: spesso voi
iniziate i vostri film in "Rash back". Penso al film Monsieur
Vincente che inizia con la sequenza di un prete che cammina
per le strade fangose di un quartiere poverissimo di Parigi, e
subito dopo si vede la scena di un piccolissimo bambino ap-
pena nato, e si intuisce subito che si tratta della stessa persona.
Fin dall'inizio dunque il registra presenta la conclusione per far
capire che tutta la vita di quel bambino va vista alla luce della
scelta dei poveri. Cosi ho fatto io: ho acceso fin dall'inizio il
riflettore della pasqua e ho fatto vedere, da una parte che non si
capisce la morte di Gesù se non la si collega con la sua nascita,
e dall'altra, che il racconto del natale, se non lo si vuole ridurre
ad una serie di quadretti folkloristici, deve essere letto alla luce
della morte-risurrezione».

Allora possiamo scoprire in questo prologo i temi che più ti stan-
no a cuore?

«Certo. Prendiamo il tema della gioia. È un tema che dilaga
nel mio vangelo. Tutti cantano: Zaccaria perché gli è nato final-
mente un bambino e Maria perché Dio ha fatto in lei cose stra-
bilianti; Giovanni Battista ed Elisabetta perché la Vergine viene
a visitarli; gli angeli in cielo e i peccatori sulla terra; gli apostoli
perche sono perseguitati e i poveri perché vengono esauditi;
Zaccheo che, come Francesco d'Assisi, pazzo di gioia distribui-
sce i suoi beni e i pagani che ascoltano l'appello alla salvezza;
Gesù che si rallegra della gioia dei suoi discepoli e Dio, questo
i adre tenenssimo di figli scapestrati, la cui gioia irradia tutto il
vangelo. Perché questa gioia è anzitutto la gioia di Dio».

Insomma chi è Gesù per tè?

«E il Signore! Io sono l'unico evangelista a chiamare così
Gesù bambino, quindi prima della sua risurrezione. Voi non
vi rendete conto: è una affermazione inaudita. Il "Signore" per
la Bibbia è JHWH, il Totalmente-Altro, il Tre-volte-Santo,
Hnhnito, 1 Onnipotente, l'Eterno. Ecco: il Totalmente-Altro è
divenuto il Totalmente-Vicino, bambino tra le braccia di una
giovane donna! Questa e tutte le altre frasi del mio I volume ri-
suonavano come una bestemmia alle orecchie dei Giudei, come
una enormità meravigliosa a quelle dei cristiani. Ve ne richiamo
alcune. Gli apostoli si accostano al Signore; Maria è seduta ai
piedi del Signore; Zaccheo, in piedi, dice al Signore...; veden-
do a Nam una madre condurre al cimitero suo figlio "il Signore
si mosse a compassione" e, al mattino di pasqua, le donne "non
trovarono il corpo del Signore"! Gesù, dal tempo della sua vita
terrena, è il Signore di gloria che la Chiesa adora!».

E anche la Chiesa l'hai inquadrata in flash-back?

«Ma sì... Guardate Maria: povera e libera, umile e forte, ver-
gine e madre. Non vi fa pensare alla Chiesa? Del resto, basta
confrontare i due "inizi" dei miei due volumi. All'inizio del van-
gelo descrivo un angelo che annuncia a Maria ciò che avverrà e
poi Maria canta le "grandi opere" di Dio (Magnificat); all'inizio
degli Atti Gesù fa da messaggero agli apostoli e annuncia la
venuta dello Spirito Santo: a pentecoste poi Pietro e gli apostoli
fanno come Maria da Elisabetta, annunciano "le grandi ope-
re di Dio". Ma questo parallelismo Maria-Chiesa l'ho voluto
proporre anche in dettaglio. Ad esempio, in Le 1,34 l'angelo
dice a Maria: "Lo Spirito santo scenderà su di tè e la potenza
dell'Altissimo ti avvolgerà come una nube". E in At 1,8 Gesù
dice agli apostoli: "Riceverete la potenza dello Spirito Santo che
scenderà su di voi". Occhio al messaggio!».

Ci puoi dire qualcosa sull'attualità della tua opera?

«Questo non tocca proprio a me dirlo. Potete voi riscontrare
se i miei due volumi sono ancora attuali. Se proprio volete, po-
tete leggere quello che ne scrive la vostra Bibbia-TOB (LDC)
a pg. 2317: "Luca appare come l'interprete del vangelo forse
più accessibile degli altri all'uomo occidentale contemporaneo.
E più vicino a noi per la sua mentalità e cultura greca, per la
sua chiarezza e cura di spiegare, per la sua arte e sensibilità.
Soprattutto Luca può aiutare il lettore moderno ad accostare il
mistero di Gesù: egli presenta il Figlio di Dio come il Salvatore
di tutti gli uomini, con un’attenzione particolare per i piccoli,
i peccatori e i pagani, come il Maestro di vita con tutte le sue
esigenze, ma anche con tutta la sua bontà accogliente”.
(continua)









(Zacuff)
00domenica 13 dicembre 2009 14:36
Paolo

La grammatica del missionario
La terza lettera a Timoteo

Carissimo fratello Timoteo,
da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo
Millennio. Come non ricordare la solenne e commovente "presa
di possesso"? L'unica pecca che stava per guastare la festa fu pro-
prio quella bruttissima espressione - "presa di possesso" - che il
cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale
da conservare nell'archivio diocesano e in quello parrocchiale.
Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare - per
dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto
un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambito feudo.
Intervenni io, un po' a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente
in festa che tu, la parrocchia, non l'avresti mai e poi mai vista
come un "tuo" possesso, ma solo come un dono immeritato
e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un autocitazione,
presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: noi non
intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i col-
laboratori della vostra gioia.
Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti: «Che bella parroc-
chia! E c'è anche la luna!». Da allora non ti ho più visto ne
sentito, ma dato che siamo al primo... "trigesimo" di quel felice
inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché
vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in
giorno.
Sì, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un
po' raro tra noi pastori, ma non è improbabile e niente affat-
to impossibile. Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. Stai
sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità
pastorale. Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamen-
te irrinunciabile - "sine qua non", si diceva ai miei tempi - per-
ché il miracolo si avveri. Sarai un parroco felice nella misura in
cui sarai un vero missionario. Non si scappa: o missionari o...
dimissionari.
E una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni
giorno. Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal let-
to, beato tè se dirai: «Grazie, Signore, per avermi creato, fatto
cristiano, e grazie per avermi fatto questi piedi belli per il van-
gelo». Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del
bagno: «Non sono un professionista del sacro, ne un insegnante
della fede: sono un annunciatore del vangelo». Quando ero a
Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nella casa di
Aquila e Priscilla: Non sono stato mandato qui a battezzare, ma
ad evangelizzare.
Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho inse-
gnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore
in seminario? E una grammatica costruita su un quadrilatero di
certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della
tua splendida chiesetta romanica:
- La parola di Dio è come l'acqua e la neve, se cade...
- La Parola non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è
dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto...
- "Come agnelli tra i lupi" non è per farci sbranare, ma per
far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umana-
mente...
- A noi tocca il compito di annunciare. È il Signore che ve-
glia sulla sua parola perché si realizzi....
Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che que-
sto spirito missionario non venga aggredito da virus micidiali,
quali l'IO-latria del prete che pensa: «Come me non c'è nes-
suno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a
me!». Perciò niente cose alla "W il parroco!". Un altro virus che
fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre,
competere, confliggere e alla fine... l'eterno riposo! Ma non
c'è da scherzare neanche con la depressio clericalis (si chiama
così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio
scritto sulla maglietta in quei "nostri" che vanno in giro con
l'aria fritta di chi sembra dire: "fateme 'na flebo". Ti ripeto: devi
essere severo. E se lo sarai con tè, potrai vigilare anche sullo
spirito missionario dei "vicini". Per esempio i gruppi - dal coro
a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall'AC ai
carismatici - non devono essere luoghi di potere o gradini per
emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il
servizio al vangelo. Allora la tua - la vostra - parrocchia non
sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora,
un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete
a far circolare la parola di Dio per le strade, in modo che la
gente la incontri.
E con gli altri? Quelli che si servono della parrocchia per
continuare abitudini e consuetudini sociali; quelli che la igno-
rano: cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? Allora rin-
grazia Dio tutte le volte che capitano a messa. Tutte le volte che
ti portano i figli al catechismo. Tutte le volte che ti chiedono i
sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto.
Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte
le volte! Non è una disgrazia: è un dono di Dio che vengano,
quando saresti tu che dovresti andare a cercarli.
Accogliendoli cosi come sono, non farai finta che abbiano le
tue motivazioni. Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non
imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni,
non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. Ti
comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di
capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua,
proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro
dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.
Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti po-
tranno servire per misurare il tuo spirito missionario.
1. Non maledire i tempi correnti: è arrivato al capolinea il cri-
stianesimo dell'abitudine e sta rinascendo il cristianesimo
per scelta, per innamoramento.
2. Non anteporre nulla all'annuncio di Gesù Cristo, morto e
risorto. Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni inte-
resse e riportalo li, al centro di tutta la fede.
3. Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergo-
gnarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e
da tutto!
4. Il vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo
mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambi-
ni: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.
5. Non amareggiarti per l'indifferenza dei "lontani" e non in-
vocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa festa
anche per uno solo di loro che si converte.
6. Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si
mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da
ripetere meccanicamente, è da reinterpretare nella mentali-
tà e nella lingua della gente: vedi s. Paolo. Scusami: guarda
me...
7. Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non
club di perfetti.
8. Non credere di comunicare il vangelo da solo! Almeno in
2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di
parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.
9. Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili,
ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.
10. Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu
non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di
gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

Ti auguro di credere sempre nella presenza forte e dolce del-
lo Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che
è in tè per l'imposizione delle mie mani.
Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima
Lettera: Custodisci con cura tutto quanto ti è stato affidato.
Evita le chiacchiere contrarie alla fede. E ti raccomando pure
quanto ti scrissi nella seconda Lettera: Ti scongiuro davanti a

Dio e a Cristo Gesù: annuncia la parola, insisti in ogni oc-
casione opportuna e inopportuna, rimprovera, raccomanda e
incoraggia con tutta la tua pazienza.
La grazia sia con tè e con tutti i fedeli della tua comunità,
anche con quelli che ancora non sei riuscito ad incontrare!
(continua)






(Zacuff)
00domenica 13 dicembre 2009 14:57
Maria

Il Testamento
Da un papiro della "Figlia del suo Figlio

Il mio cuore è pronto per tè, per tè, mio Dio. Questa notte
morirò per la terza ed ultima volta. Figlio mio, Jeshu benedetto,
è giunta la mia ora. Ho custodito questo tuo fratello Giovanni
che mi hai dato. Ora io vengo a tè, ma tu conservalo nel tuo
amore. Non prego solo per lui, ma anche per tutti coloro che
per la sua parola crederanno in tè e diventeranno altri figli miei
e altrettanti fratelli tuoi.
Ora, prima di venire incontro a tè, lasciami ripercorre con
il cuore le grandi cose che ha fatto in me il tuo santo Spirito,
in particolare vorrei contemplare le due grandi pasque da
lui operate nella mia vita, che mi hanno portato a questa
ultima, ormai imminente, e sarà la pasqua più stupefacente,
ovviamente dopo la tua e grazie alla tua - davvero insuperabile
- di Gerusalemme.
La prima vera pasqua della mia vita fu quel giorno a Nazaret,
anzi quella notte del plenilunio del mese di nisan - ed era
proprio la notte del mio quindicesimo compleanno - quando
il tuo Spirito venne su di me e mi avvolse con la sua ombra.
Che colpo! Mentre dormivo, una tromba d'aria sembrò volesse
squassare la piccola casa in paglia e fango di Gioacchino ed
Anna. Fui buttata giù dal pagliericcio. Mi rialzai per chiudere la
finestra, ma quel turbine di vento era irresistibile. Poi la voce di
Gabriele - forte come il tuono del fulmine che schianta i cedri
del Libano, dolce come la serenata di Giuseppe al chiaro di luna,
di qualche ora prima - quella voce angelica ma così umana mi
rovesciò addosso parole cariche di una felicità da schiantarmi.
Povera me! mi sentii correre un brivido lungo la schiena nel
sentire quella promessa che dava le vertigini - "Lo Spirito Santo
scenderà su di tè" - e mi stavo appena riprendendo dal panico
che un altro colpo di vento, ancora più gagliardo, mi si avvitò ai
fianchi e mi penetrò nelle viscere del cuore in tumulto. Poi sentii
il soffio di Dio scendere dolcemente nel grembo e depositarvi
come il piccolo seme di un bellissimo fiore. Quel fiore eri tu,
mio Jeshu, il più bello tra i nati di donna, e il vento era il tuo
Spirito, che scompigliava i miei propositi di santità, come parole
scritte sulla sabbia. In quel momento cessava di esistere la povera
Myriam di Nazaret con il suo piccolo progetto di perfezione e
risorgeva la vergine Madre "figlia del suo Figlio".
Trent'anni dopo circa, ci fu la seconda morte, quel 14 di
nisan all'ora nona, quando tu, dolce Jeshu, lanciasti un ultimo
grido straziante al tuo Padre-Abbà e mi rivolgesti quello sguardo
di agnello sgozzato per il sacrificio, che ancora trapassa come
una spada il mio povero cuore di madre. Tu moristi, e io svenni.
Dicono che prima di seppellirti, ti abbia tenuto adagiato sulle
mie ginocchia, ma io non ricordo più niente di quelle ore fino
al mattino del primo giorno della settimana. All'alba di quel
giorno risuscitai anch'io con tè, e mi ritrovai con questo nuovo
figlio, Giovanni, che tu mi avevi affidato e che da allora non è
mai diventato una tua copia pallida, sbiadita, ma è stato sempre
la tua trasparente, palpabile presenza. Cinquanta giorni dopo
il tuo Spirito mi ha inondato nuovamente della sua luce e mi
ha incendiato il cuore con il fuoco del suo amore. Ma non
ero più sola come quella notte a Nazaret. Era la Pentecoste: ci
trovavamo riuniti con i Dodici a Gerusalemme, in preghiera,
nella sala grande dove tu avevi spezzato il pane e condiviso
con i tuoi discepoli la coppa di vino rosso, la sera in cui stavi
per essere tradito. «Quando il giorno di Pentecoste stava per
giungere al culmine, venne all'improvviso dal cielo un rombo,
come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa.
Apparvero lingue di fuoco, e fummo tutti ripieni di Spirito
Santo...». Fuoco, immagine stupenda, per dire il mistero del
tuo Spirito: fuoco che purifica e riscalda, amore che distingue
ma non separa, unifica ma non massifica. Fu un baleno: da un
gruppo di uomini atterriti, passato attraverso quel battesimo
di fuoco, nasceva la tua Chiesa. E io sentivo che il mio cuore si
dilatava per comprendere non solo Giovanni ma anche Pietro
e Giacomo e Tommaso e tutti gli altri, fino ad abbracciare
una moltitudine sterminata di uomini, di ogni nazione, razza,
popolo e lingua. E io vidi quella moltitudine immensa, che
nessuno poteva contare: un solo Spirito, un solo coro, e tutti
cantavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio,
seduto sul trono, e all'Agnello!».
Mio Signore e mio Dio, è giunta l'ora di passare da questo
mondo a tè. Anche quest'anno la tua Pasqua coincide con il 14
di nisan, giorno del mio 60° compleanno. Ora lascia che la tua
serva vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi han
visto la tua salvezza, preparata da tè davanti a tutti i popoli.
Quando avrò finito di scrivere questo papiro, piegherò
il rotolo nella fodera del mantello nuovo che ho cucito per
Giovanni. Aspetterò che si metta in viaggio alla volta dell'isola
di Patmos, poi andrò a dormire. No, non mi troverai con la
lampada accesa, perché sono tanto stanca, e non riuscirei a
stare in piedi per vegliare e pregare. E poi, me lo hai promesso
tu, prima di salire al cielo, quel giorno sul monte degli Ulivi.
Ricordi? Mi dicesti che saresti tornato a prendermi con tè per
sempre e avresti fatto come tu chiedevi a me di fare da piccolo,
quando dopo il bacio della buona notte, all'indomani volevi
che fossi io a svegliarti. Sempre io e nessun altro, neanche quel
povero Giuseppe, che ti amava più che se fossi stato figlio suo.
Ora si invertiranno le parti...
Lo sento: tu verrai domani all'alba per la mia terza ed ultima
Pasqua. Vieni, Signore Gesù! Maranà, thà! Cantami le dolci
parole del Cantico: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!».
Ormai solo tu hai il diritto di svegliarmi...

F I N E


P.S.
Francesco Lambiasi è l'attuale Vescovo di Rimini



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