Avvenire: il nuovo direttore è Marco Tarquinio

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S_Daniele
00martedì 24 novembre 2009 21:11
LA NOMINA

Avvenire: il nuovo direttore è Marco Tarquinio


Marco Tarquinio, da 82 giorni responsabile ad interim di Avvenire, è il nuovo direttore del quotidiano della Cei. A deciderlo, questa mattina, il consiglio di amministrazione di Avvenire Nei (Nuova editoriale italiana), presieduto dal vescovodi Albano, Marcello Semeraro.
Nato il 16 marzo 1958 in Umbria, ha studiato tra Assisi e Perugia, ed è stato capo scout nell'Agesci. Sposato, con due figlie, è giornalista professionista dal 1988. Ha cominciato la sua carriera a La Voce, settimanale cattolico umbro. Tra l'82 e l' 83 ha partecipato alla commissione ristretta che su incarico della Conferenza episcopale umbra e in particolare dell'allora vescovo di Gubbio, monsignor Ennio Antonelli, "ripensò" quella storica testata, e tra il 1983 e il 1984 ha fatto parte del nucleo redazionale chiamato a realizzarla e rilanciarla.
Ha lavorato poi al Corriere dell'Umbria di Perugia, quindi il trasferimento a Roma nell'88, alla redazione de La Gazzetta. Nel 1990 entra al Tempo dove rimane fino al 1994 salendo vari "gradini" della carriera, fino a diventare capo della redazione politica ed editorialista. In quell'anno Dino Boffo gli propone di passare ad Avvenire, di cui ha guidato a lungo la redazione romana prima di essere nominato, nel 2007, vicedirettore. Dal 3 settembre ha assunto la direzione ad interim del giornale.

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LA NOMINA

Il comunicato del Cda di Avvenire

Il Cda di Avvenire Nuova Editoriale Italiana S.p.A.,riunitosi oggi sotto la presidenza di S.E. Mons Marcello Semeraro, ha nominato MarcoTarquinio nuovo direttore responsabile di Avvenire.
Marco Tarquinio, 51 anni, in Avvenire dal 1994, è stato caporedattore centrale della redazione romana del quotidiano, poi dal 2007 vicedirettore a Milano a fianco di Tiziano Resca, infine dal 3 settembre 2009 vicedirettore responsabile.
Affidando la direzione a Marco Tarquinio, l’editore – dopo approfondita riflessione – ha inteso valorizzare in primo luogo la grande esperienza professionale che il giornale ha maturato in questi ultimi anni, divenendo un punto di riferimento del mondo cattolico ed un autorevole interlocutore della società e della cultura del nostro Paese.
Marco Tarquinio ha confermato con intelligenza e passione la linea editoriale di Avvenire, quotidiano che offre da sempre un’originale lettura della realtà prima ancora della sua interpretazione, ispirandosi al primato della verità e noncurante di logiche omologanti che a volte piegano l’informazione del nostro Paese.
Così a distanza di più di 40 anni trova conferma l’intuizione di Paolo VI che fu l’ideatore e il tenace sostenitore di un quotidiano nazionale, sin dal principio «fatto da cattolici, ma non solo per i cattolici».
«A nome mio e di tutto il Cda di Avvenire, desidero esprimere a Marco Tarquinio i migliori auguri per il nuovo incarico. Siamo certi – dichiara il Presidente Mons. Semeraro – che con la sua esperienza professionale, la finezza delle sue analisi, lo stile diretto e incisivo contribuirà ad imprimere un nuovo slancio ad Avvenire».

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S_Daniele
00mercoledì 25 novembre 2009 11:55
L’impegno di questo giornale

Per continuare ad ascoltare la foresta che cresce


Marco Tarquinio

Si dice che «fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce». E questo è un tempo di alberi che si abbattono fragorosamente e di una foresta, che in Italia e nel mondo, germoglia più inavvertita che mai. Il vento della grande crisi ha spazzato per lunghi mesi le nostre società, ha provocato sconquassi e creato squarci, anche utili, nella selva di "felici" certezze del dopo-Muro.
Abbiamo avuto la prova che le libertà politiche ed economiche sono essenziali, ma non sono necessariamente sorelle (ce lo ripete ogni giorno il poco che riusciamo a percepire della Cina e il tanto che constatiamo della sua potenza produttiva). E, soprattutto, ci è stata data, nel modo più ruvido, la conferma che quelle libertà non bastano mai a se stesse e non producono automaticamente equità e tranquillità sociale, autentica liberazione.
Ci siamo anche resi conto che, per dare corso e stabilità a una degna «ripresa», alla comunità delle nazioni, e alle nostre comunità di vita e di lavoro, servono una morale completa e forte ma anche regole minute e stringenti. Abbiamo pagato, infatti, il prezzo della irresponsabilità finanziaria e della miopia politica (provando crudamente nel giorno per giorno il peso delle ingordigie, delle diseguaglianze e dell’ingiustizia) e, pian piano, stiamo cominciando a capire che s’impone la riscoperta di un senso alto dell’agire sociale e civile, di un sentimento della vita calibrato sul riconoscimento della dignità di ogni singola persona e ispirato alla verità profonda dell’umano. Verifichiamo, insomma, l’urgenza di un nuovo e consapevole umanesimo, di un rinascimento possibile e necessario.
E vediamo che sempre più uomini e donne, credenti e no, testimoniano come su questa via siano decisivi il coraggio della speranza cristiana e, comunque, l’onestà intellettuale di vivere e operare etsi Deus daretur.
Misurandoci con Dio, e facendoci dare misura. È l’insegnamento che Papa Benedetto XVI offre al mondo, in dialogo con ogni intelligenza e ogni buona volontà.
E a moltissimi questo è ormai chiaro, anche se non a tutti.
Tanti di noi, cittadini del terzo millennio, continuano in effetti a ritenere che «tutto sia relativo», e che tutto possa sempre e liberamente cominciare e ricominciare sine regula nei laboratori della politica e dell’economia come in quelli della scienza e della tecnologia.
Probabilmente – lo intuiamo, continuando ad augurarci il contrario – costoro hanno bisogno di sperimentare tempi supplementari di avventura, di scontro e di crisi, e sono in attesa di nuove prove, di nuovi sconquassi.
Noi no. E io, oggi, nel momento in cui comincio ufficialmente il mio lavoro di direttore del quotidiano italiano di ispirazione cattolica, vorrei confermare ai nostri lettori che noi giornalisti di Avvenire continueremo – per mestiere e per convinzione – a tenere gli occhi bene aperti su ciò che davvero conta. Con una bussola di valori solida e una mappa ben disegnata. Forti della vicinanza con la «Chiesa di popolo» che, come ci ha ricordato il cardinale Angelo Bagnasco, è l’Italia ed è per l’Italia. Aperti, per scelta programmatica, al dialogo franco e sereno con tutti.
Ovviamente, sappiamo di non essere i soli e di non essere soli. Ma, per la parte che ci riguarda, dallo straordinario punto di osservazione e d’informazione che in questi anni, in coerenza con la sua ragione fondativa, il nostro giornale è diventato, ci sforzeremo di onorare giorno dopo giorno un dovere liberamente e motivatamente accettato: occuparci dei "mali" dell’Italia e del mondo, ma contemporaneamente, con tutta la possibile passione, preoccuparci di dar conto del "bene" che c’è, che accade in ogni dove, che costruisce un altro futuro.
Nelle periferie interetniche delle città che abitiamo e nel cuore antico e smarrito della nostra Europa, nelle missioni d’Africa e d’Asia e sulle terre strappate alle mafie, nelle Americhe del primo presidente Usa nero e di strani e inaspettati etnonazionalismi e dentro e intorno alle fabbriche che drammaticamente chiudono (e a quelle che – grazie a Dio – riaprono), nelle terre insanguinate dalle guerre, dalle intolleranze e dai pogrom anti-cristiani e là dove, invece, la libertà religiosa è vera e la pace si dimostra. Continueremo a chinarci con rispetto su ogni albero che cade, e ad ascoltare con passione la foresta che cresce.
Potremo farlo perché abbiamo un editore che ci dà responsabilità e forza, perché questa è una redazione di giornalisti veri e perché abbiamo lettori liberi ed esigenti. Io sono stato uno di loro. Leggevo questo giornale da ragazzo.
Era uno di quelli, tre o quattro (lo so, sono stato fortunato ad avere i genitori che ho avuto) che ogni giorno entravano a casa nostra, nella mia terra d’Umbria. Da uomo fatto, da professionista cresciuto altrove, sono arrivato ad Avvenire con quell’antica curiosità di lettore. E Avvenire non mi ha deluso. Mai. Proprio come Dino Boffo che in questa redazione, al primo colloquio, da grande direttore e da persona limpida qual è, mi convinse a lavorare. Continuerò a farlo.

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