Caritas in veritate.........

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enricorns
00martedì 28 luglio 2009 20:02
28 Luglio 2009
Newsletter di Scienza & Vita n° 27

CARITAS IN VERITATE 1 / Lo sguardo del filosofo


NUOVA CONSAPEVOLEZZA: L’UOMO
PUO’ VALERE DI PIU’, ESSERE DI PIU’

di Paola Ricci Sindoni*


E’ sul terreno della valorizzazione dell’uomo e delle sue potenzialità antropologiche che la Caritas in veritate è convinta di avere una “parola da dire”, una parola di sua competenza che sa e che deve comunicare, e che consegna a quanti hanno il compito di concordarla con le altre parole. Una parola che non intende essere consolatoria, astratta o disarticolata, all’interno della complessa grammatica della vita sociale globalizzata, né presume di proporsi come scudo difensivo che faccia da gendarme alle dinamiche sociali e politiche, quanto piuttosto di esibire la sua marcatura teologica, il suo essere cioè discorso di Dio sull’uomo, così che l’operare umano rispecchi il punto di vista di Dio.



L’ultima parte dell’Enciclica rispecchia lo sfondo necessario di tutte le analisi che Benedetto XVI compie nei confronti delle complesse articolazioni economico-finanziarie del nostro tempo, collegate alle dinamiche più propriamente sociali e a quelle più specificatamente connesse all’etica della vita. Bisogna perciò immergersi di più in questa corrente sotterranea che l’attraversa, dove la parola sull’uomo si innerva sulla convinzione che ogni uomo può crescere in umanità, “valere di più, essere di più”, autenticando quel bisogno di verità antropologica, che sta oltre la neutra fenomenologia dell’umano ed oltre la definizione tecnico-normativa della tavola dei diritti sociali.
L’attenzione del Pontefice, insomma, quando interviene sulla centralità dell’uomo e del suo bisogno di essere di più, è soprattutto rivolta a valorizzare il rapporto trascendente della persona con Dio, senza cui diventa per lui improponibile ogni configurazione dell’umano. Questo, diciamo così, apriori metafisico, è l’indubitabile segno del carattere teologico della Caritas in veritate, che comunque non si ferma all’approfondimento della relazione “verticale”, ma si orienta decisamente a rintracciare quel di più nelle complesse trame delle dinamiche economico-sociali.
Questo nesso va colto e ben compreso, per evitare – come è capitato – che i commenti all’enciclica si fermino o sul primo polo, convinto che il documento papale sia una riflessione che rimane valida solo all’interno della comunità dei credenti, o sul secondo, che riduce l’enciclica ad una lettura etico-sociale delle problematiche attuali.
L’aver colto la struttura relazionale dell’uomo, nel rispetto costante della vita, soprattutto in riferimento alle grandi tematiche bioetiche di inizio e fine esistenza, è già una preziosa indicazione di come l’enciclica garantisca un canale di incontro tra la scienza, l’antropologia, le scienze sociali, senza cadere nella demonizzazione della tecnica, quanto vedendo quest’ultima come strumento necessario – se ben utilizzato – per garantire il progresso individuale e sociale.
Ogni esperienza umana, sia scientifica, politica o culturale, non può che essere ricondotta a questa “verità” sull’uomo; se si dimentica questo orizzonte – sembra dire Caritas in veritate – ogni ricerca sfuma nel delirio d’onnipotenza e può malamente condurre al nichilismo.
L’autentica “dignità” dell’uomo – lo ripete spesso l’enciclica ( cfr. nn.74-75) – non può essere guadagnata dagli obiettivi della scienza o dai traguardi della cultura, né da qualsiasi altro progetto sociale o politico ( come drammaticamente hanno insegnato le ideologie del Novecento), ma indicata dalla “Ragione creatrice” che ha voluto l’uomo per pura volontà di Bene e che continua ad orientarlo nella scelta di questo medesimo Bene.
La “questione antropologica” che guida l’enciclica non si riduce perciò ad un diktat etico, avulso dal desiderio umano, ma si sostanzia della ricerca costante di ciò che è “degno” di ciascun uomo, che è di più e che viene prima ogni presunto valore scientifico o sociale.
Questo sguardo sereno e pacato sul mondo e su coloro che lo abitano è di sicuro il messaggio più confortante di questo dono del Papa.

*Ordinario filosofia morale, Università di Messina, vice presidente Scienza & Vita

enricorns
00martedì 28 luglio 2009 20:16
28 Luglio 2009
Newsletter di Scienza & Vita n° 27

CARITAS IN VERITATE 2 / Lo sguardo del giurista


LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA
INTERPELLA LA DEMOCRAZIA

di Luciano Eusebi*


L’enciclica Caritas in veritate colloca la bioetica entro l’ambito, che le è proprio, della premura complessiva manifestata dalla Chiesa per la questione antropologica, ovvero – in altra ottica – per un’affermazione autentica del concetto di democrazia. Non vi può essere, in questo senso, un interesse per i problemi bioetici scisso da quello per la giustizia sociale, economica, internazionale. Come non vi può essere un interesse per i poveri che prescinda da quello per la vita umana in ogni sua condizione.



Simile punto di vista corrisponde, del resto, alla stessa acquisizione più profonda dei sistemi giuridici moderni, che hanno sottratto il riconoscimento dei diritti fondamentali al giudizio sulle capacità o sulle qualità riscontrabili in un dato individuo nell’una o nell’altra fase della sua vita e lo hanno ricondotto, piuttosto, al mero sussistere di quest’ultima. Da ciò dipende l’eguaglianza degli esseri umani, vale a dire la configurabilità di rapporti intersoggettivi effettivamente ispirati alla nozione di democrazia: la quale, prima di ogni ulteriore caratteristica, richiede che ognuno nella società, anche il più debole, conti.
Quel che è proprio dell’umano si esprime attraverso il corpo. La realtà umana, nei suoi profili biologici e meta-biologici, è infatti unitaria. Da quando e fino a quando va svolgendosi una vita appartenente alla specie umana è in gioco, pertanto, la presenza dell’umano e della sua dignità. Si potrà trattare di una vita segnata dalla malattia, dall’indigenza o, perfino, dalla colpa: ma essa resterà sempre tale da identificare un «tu», cioè un portatore di esigenze relazionali proprie della comunità umana. Così che, ove il comportamento verso un individuo umano manchi di corrispondere alle suddette esigenze, non ne deriva solo una deprivazione per il medesimo, ma anche una non realizzazione esistenziale per chi avrebbe potuto agire umanamente e non l’ha fatto.
Già a una mera considerazione empirica, peraltro, l’essere umano non si produce «da se stesso» (n. 74). Ciascuno si ritrova in vita: in una vita che procede per forza propria. In nessun momento dà impulso alla sua vita, ma può solo salvaguardarla. L’esistenza ha, intrinsecamente, la natura di un dono, che si perpetua, senza origine umana, rendendo non conforme a umanità l’idea di un dominio tecnico sulle caratteristiche esistenziali di un altro individuo, e il cui momento generativo è posto, non a caso, nell’ambito di una relazione personale orientata all’amore.
Ma vi è un altro aspetto da non trascurare: «in ogni conoscenza e in ogni atto d’amore – così afferma Benedetto XVI – l’anima dell’uomo sperimenta un di più che assomiglia molto a un dono ricevuto» e che «non si spiega con la semplice materia» (n. 77). Ciò rimanda all’esperienza etica, ovvero alla capacità di riconoscere, oltre alle leggi immodificabili della natura, anche «una legge naturale» capace di offrire criteri all’esercizio della capacità tipica degli esseri umani di perseguire mete sempre nuove: così che l’uomo trova la sua grandezza nell’attitudine a cogliere il bene (n. 75). Ciò, tuttavia, rimanda altresì alla dimensione spirituale, cioè alla coscienza di una soggettività non identificabile con la materia, tale per cui si deve ammettere che «lo sviluppo dell’uomo e dei popoli dipende anche dalla soluzione di problemi di carattere spirituale» (n. 76). In radice, si tratta, secondo l’enciclica, di scongiurare la chiusura alla trascendenza, posto che «la razionalità del fare tecnico centrato su se stesso si dimostra, però, irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore»: quel senso e quel valore che trovano la loro fonte nella «Ragione creatrice» divina, così da risultarne ribadita l’alleanza di fede e ragione per rispondere ai problemi che assillano l’umanità (n. 74).
Nel quadro delineato l’enciclica indica come filo conduttore dei maggiori rischi per il futuro in materia bioetica, quanto alla tutela della dignità umana, il diffondersi di una «concezione materiale e meccanicistica della vita»: concezione che apre al «dominio» su di essa sia attraverso la pratica da tempo diffusa dell’aborto, sia attraverso la prospettiva, già in nuce, di una «sistematica pianificazione eugenetica delle nascite» e il radicarsi di una vera e propria «mens eutanasica» (n. 75); profili cui si affianca la riflessione, in parte nuova, sui rischi del riduzionismo psicologico e neurologico (n. 76).
Si tratta di richiami che assumono il grave significato di un monito profetico, non già in nome della tutela di esigenze puramente religiose, ma come espressione di quel medesimo ruolo che la Chiesa assume quando alza la sua voce sui temi tradizionali della dottrina sociale, a salvaguardia esclusiva, nei confronti di tutti gli interessi in gioco, della dignità dei più deboli. «Stupisce – osserva con amarezza Benedetto XVI – la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano» (n. 75).

*Ordinario di diritto penale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, consigliere Scienza & Vita
°Teofilo°
00martedì 4 agosto 2009 23:19
"Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità."

Il papa nella sua ultima enciclica, proprio al primo paragrafo su cui mi sono per ora fermato a riflettere, esprime questo pensiero che a noi risulta di grande incoraggiamento e di conferma per il tentativo che stiamo facendo, non solo su internet ovviamente, ma anche quando incontriamo le persone della vita reale. Quante volte ci capita di dover chiarire dubbi o rispondere a domande pressanti, in una parola a dare ragione della nostra speranza (1Pt 3,15)!
Ora il papa ci assicura che questa è una forma esigente e insostituibile di carità. E la carità, come sappiamo, è il comando principale che il Signore ci ha lasciato. Dunque non solo l'aiuto materiale va offerto ai nostri fratelli, ma anche quello spirituale che consiste nel far pervenire alla verità che libera.
(cf Gv 8,32)
Gabbianella1.
00mercoledì 5 agosto 2009 08:33
Con l'aiuto dello Spirito Santo....
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