Caso Englaro: omicidio perpetrato per via legale

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Anam_cara
00venerdì 14 novembre 2008 01:00

Caso Englaro:
omicidio perpetrato per via legale


La società civile si oppone alla condanna a morte di Eluana


di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 13 novembre 2008 (ZENIT.org).-
 

Durissimi i commenti alla sentenza in merito al pronunciamento della Cassazione su Eluana Englaro, reso pubblico nel pomeriggio di questo giovedì, 13 novembre.
 

In un comunicato diffuso in serata, l'Associazione Medicina & Persona parla del "primo caso di omicidio legale in Italia".

"Non esistendo in Italia una legge sull'eutanasia - osserva -, quello di Eluana è un omicidio perpetrato per via legale, ottenuto cioè con l'autorizzazione dei giudici".
 

Le conseguenze di un atto di questo tipo sono gravissime.
 

"Da oggi nel nostro Paese si potrà uccidere - quando si vorrà - malati stabili, cronici, inguaribili:
 

pazienti in stato vegetativo,

pazienti in condizioni terminali,

anziani non più utili alla società,

insomma chiunque abbia ‘presumibilmente' chiesto di poter morire e in condizioni di non poter più cambiare idea o di chiedere aiuto, mediante la sospensione di acqua e cibo, magari dopo aver consultato un giudice".
 

Il comunicato della libera Associazione fra Operatori Sanitari solleva la domanda cruciale: "E' questa la società che volevamo, quella in cui vogliamo vivere?".
 

Secondo Medicina & Persona, i giudici hanno: "delegittimato la Costituzione Italiana"e "agito contro il Codice Civile e contro il Codice Penale".


L'Associazione fra Operatori Sanitari denuncia la logica sottesa, che è la stessa "adottata durante la Seconda Guerra Mondiale" in cui "si eliminano i più deboli e gli indifesi".

Il comunicato dell'Associazione sottolinea la gravità della sentenza perché "ormai certi giudici aggirano le leggi - anche quelle esistenti - e creano una nuova era, quella dell'etica del più forte sul più debole, con l'ausilio del diritto".
 

A denunciare la condanna a morte di Eluana anche Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), il quale ha dichiarato che "si è sentenziata la condanna a morte di una indifesa cittadina italiana.
 

Da oggi il diritto alla vita soggiacerà al potere della legge che sconfina nella sfera più inviolabile della persona umana".

"Che triste Italia appare dinanzi a noi - ha commentato il presidente nazionale del RnS -... Sempre più colpevolmente protesa ad inoculare una cultura della morte, incapace di affermare democraticamente il diritto alla vita".

"Mi chiedo: è davvero questo il sentire degli italiani?
 

Non può dirsi solidarietà sopprimere i deboli, né giustizia rimuovere le ragioni più profonde del vivere comune, proprio a partire dalla condivisione delle angosce e delle sofferenze che ci rendono davvero uomini degni di stare al mondo",

ha concluso.
 

http://www.zenit.org/article-16132?l=italian

Ireneo1991
00venerdì 14 novembre 2008 10:04
E' molto chiara la volontà delle cosiddette "istituzioni laiche" della nazione a far prevalere il proprio volere nonostante ben oltre il 50% della popolazione italiana si professi cristiana (non importa se cristiana cattolica, cristian evangelica, cristiana ortodossa o cristiana armena) !! La questione è stata interpretata ed affrontata - credo - come una sorta di sfida "dell'oscurantismo medioevale e della difesa di casta delle lobbies religiose " che andava assolutamente bloccata ed arginata. Due sentenze consecutive - a distanza di un anno - su una vicenda simile da parte di due settori distinti del sistema giudiziario italiano sono veramente troppe !! La vita umana è sacra e non la può toccare alcun essere umano sia che lo dica il Papa , sia che lo dica Alessio II  od il Reverendo Billy Graham !! Questo ridurre la vita umana ad un unico problema di "costi" , ovvero di "pro" e di "contro" da un punto di vista di bilanci delel ASL è una cosa che non sta nè in cielo , nè in terra. La cosa che fa più pena sono questi familiari di queste meravigliose vite umane "a perdere" ....; non capiscono affatto di essere strumentalizzati e manipolati per un motivo o l'altro da - quelle sì, davvero - lobbies politiche che difendono ideali ateo-agnostici ovvero ideali di morte . Sia i familiari di Davide Coscioni (con la sindrome laterale amiotrofica) coi Radicali   che il padre di Eluana Englaro non so esattamente con chi ....non si rendono conto di essere manipolati da lobbies politiche che hanno ben precisi interessi che vanno aldilà del valore dei propri affetti, aldilà della sacralità della vita umana del proprio caro o la propria cara che sta morendo . Non lo capiscono ! Non ci arrivano !! Spesso dicono cose assurde per confermare le proprie scelte scellerate ; cose del tipo :"Se Eluana fosse stata cosciente avrebbe rifiutato l'accanimento terapeutico! Lei era per la vita vissuta pienamente1 l'aveva detto tante volte che se le fosse capitato una cosa simile non avrebbe voluto esserete mantenuta in vita forzatamente ...."  -la qualcosa è semplicemente assurda !! A parte il fatto che non credo proprio che una ragaza di 20 anni possa mai esprimere intenzioni simili perchè a 20 anni si ama la vita più di ogni altra cosa ma, pure che le avesse dette davvero, vi sembra una cosa logica che un padre le prenda alla lettera , per oro colato , e poi le applichi pure ??" - E' una cosa che non sta nè in cielo , nè in terra !!

Ireneo
LawWestOfThePecos
00venerdì 14 novembre 2008 16:39
Un messaggio strano, questo di Ireneo che, se non sbaglio, in Famiglia Cattolica di MSN aveva ironizzato sul fatto che le associazioni cattoliche ( o anche semplici cattolici) depositavano simbolicamente delle bottigliette d'acqua davanti alla clinica dove era ricoverata quella povera ragazza per protestare contro la sua condanna a morte per fame e per sete.

Resta il fatto che la Chiesa Cattolica è stata l'unica a difendere gli ideali del Vangelo anche a costo di inimicarsi tutti gli altri. [SM=g7340]
LawWestOfThePecos
00venerdì 14 novembre 2008 16:48
Da AVVENIRE di Venerdì 14/11/2008
SCIENZA & VITA
«L’esecuzione sia pubblica con testimoni e video»
«Consapevoli che la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione in riferimento al caso di Eluana Englaro non possa non essere rispettata e applicata, ci permettiamo però, da liberi cittadini di uno Stato libero, di dissentire.
E chiediamo che alla lunga fine di Eluana, proprio perché si tratta di una vera e propria condanna a morte in età repubblicana, non solo assistano alcuni testimoni, ma possa essere registrata in video e messa a disposizione di quanti ne facciano richiesta. Come accade nei Paesi che prevedono la pena di morte per i propri cittadini. Così i nostri figli e i nostri nipoti potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete». Questa la reazione dell’Associazione Scienza & Vita alla sentenza che 'condanna a morte Eluana'. «La decisione della Suprema Corte - osserva Scienza & Vita - di fatto autorizza la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione che restano secondo noi, e anche per una larghissima parte dell’opinione pubblica italiana, semplici sostegni vitali e non terapie». «Da questa scelta consegue - si sottolinea ancora - un’interpretazione riduttiva della vita, quale non degna di essere vissuta. E soprattutto l’idea che la vita umana sia disponibile.
Ovvero, che ciascuno di noi possa esercitare addirittura un diritto di morire con il corrispettivo dovere di uccidere (perché qualcuno deve pure eseguire la sentenza). Diritto di morire che non è contemplato nella Costituzione e che sfida il criterio umanistico del favor vitae a cui essa si ispira».
enricorns
00venerdì 14 novembre 2008 19:26



Comunicato n° 28 del 13 Novembre 2008




SCIENZA & VITA: “ELUANA CONDANNATA A MORTE:
L’ESECUZIONE SIA PUBBLICA, CON TESTIMONI E VIDEO ”

“Consapevoli che la sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione in riferimento al caso di Eluana Englaro non possa non essere rispettata e applicata, ci permettiamo però, da liberi cittadini di uno Stato libero, di dissentire. E chiediamo che alla lunga fine di Eluana, proprio perché si tratta di una vera e propria condanna a morte in età repubblicana, non solo assistano alcuni testimoni, ma possa essere registrata in video e messa a disposizione di quanti ne facciano richiesta. Come accade nei Paesi che prevedono la pena di morte per i propri cittadini. Così i nostri figli e i nostri nipoti potranno scoprire come un cittadino italiano possa essere condannato da un giudice di uno Stato civile e democratico a morire di fame e di sete”. Questa la reazione dell’Associazione Scienza & Vita alla sentenza che “condanna a morte Eluana”.
“La decisione della Suprema Corte – osserva l’Associazione – di fatto autorizza la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione che restano secondo noi, e anche per una larghissima parte dell’opinione pubblica italiana, semplici sostegni vitali e non terapie”.
“Da questa scelta consegue – rimarca Scienza & Vita – un’interpretazione riduttiva della vita, quale non degna di essere vissuta. E soprattutto l’idea che la vita umana sia disponibile. Ovvero, che ciascuno di noi possa esercitare addirittura un diritto di morire con il corrispettivo dovere di uccidere (perché qualcuno deve pure eseguire la sentenza). Diritto di morire che non è contemplato nella Costituzione e che sfida il criterio umanistico del favor vitae a cui essa si ispira”.






Associazione Scienza&Vita
Lungotevere dei Vallati 10, 00186 Roma
tel.: 06.6819.2554 fax: 06.6819.5205
e-mail: segreteria@scienzaevita.org



enricorns
00venerdì 14 novembre 2008 19:27



Comunicato n° 29 del 14 Novembre 2008




SCIENZA & VITA FA APPELLO ALLE COSCIENZE DI TUTTI:
“NON COOPERATE ALL’UCCISIONE DI ELUANA”

“Ci appelliamo alle coscienze di tutti quelli che nelle prossime ore e nei prossimi giorni si avvicineranno a Eluana Englaro, perché non cooperino alla sua uccisione”. E’ l'appello che l’Associazione Scienza & Vita rivolge a tutti, “al papà Beppino come agli altri familiari, a tutti gli amici ma anche ai medici, ai rappresentanti delle istituzioni dello Stato e delle Regioni. Un invito pressante rivolto a quanti possa essere richiesto di cooperare, a vario titolo, a porre fine all’esistenza terrena di Eluana. Una giovane donna da anni in stato vegetativo persistente, non dunque una malata terminale, che versa in un gravissimo stato di disabilità che necessita solo di un’assistenza elementare nell’idratazione e nell’alimentazione”.
“Non è ancora troppo tardi per fermarsi – ammonisce Scienza & Vita –. Non c’è alcun obbligo di dare attuazione alla sentenza di condanna emanata dal giudice. E’ ancora possibile rispondere al comandamento dell’amore che ama la vita, qualunque vita, anche la più fragile e tormentata. E assecondare quella voce che da secoli viene dal profondo della coscienza di ogni uomo e di ogni donna e che risuona come un comando: non uccidere”.





Associazione Scienza&Vita
Lungotevere dei Vallati 10, 00186 Roma
tel.: 06.6819.2554 fax: 06.6819.5205
e-mail: segreteria@scienzaevita.org



enricorns
00domenica 16 novembre 2008 10:36
Ufficio Stampa COMUNICATO STAMPA Martinez (RnS), su caso Eluana: “Condannata a morte una indifesa cittadina italiana” Il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez, in merito al pronunciamento della Cassazione su Eluana Englaro, ha dichiarato: “Si è sentenziata la condanna a morte di una indifesa cittadina italiana. Da oggi il diritto alla vita soggiacerà al potere della legge che sconfina nella sfera più inviolabile della persona umana. Che triste Italia appare dinanzi a noi, sempre più colpevolmente protesa ad inoculare una cultura della morte, incapace di affermare democraticamente il diritto alla vita. Mi chiedo: è davvero questo il sentire degli italiani? Non può dirsi solidarietà sopprimere i deboli, né giustizia rimuovere le ragioni più profonde del vivere comune, proprio a partire dalla condivisione delle angosce e delle sofferenze che ci rendono davvero uomini degni di stare al mondo”. Roma, 13 novembre 2008
Cattolico_Romano
00lunedì 17 novembre 2008 11:50

Il Movimento per la Vita lancia iniziative per salvare Eluana


Appello per una decretazione d'urgenza per malati terminali e in stato vegetativo

di Antonio Gaspari

MONTECATINI, domenica, 16 novembre 2008 (ZENIT.org).- A conclusione del XXVIII Convegno nazionale dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV), svoltosi a Montecatini (Pt) dal 14 al 16 novembre, Carlo Casini ha lanciato una serie di iniziative per cercare di salvare la vita a Eluana Englaro.

Di fronte a oltre 550 delegati dei 300 CAV attivi in Italia, il Presidente del Movimento per la Vita Italiano ha ribadito la propria solidarietà e la propria vicinanza, anche fisica, alle suore Misericordine di Lecco che dopo aver assistito e curato con amore Eluana Englaro per tutti gli anni della sua malattia si trovano ora ad essere le uniche, tra coloro che sono più vicini alla ragazza, a lottare per la sua vita.

Sono le suore che in un ultimo disperato appello hanno saputo trovare le parole più semplici ed accorate per opporsi alla voglia di eutanasia che sembra aver contagiato giudici ed istituzioni: “Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva”.

“Speriamo che questo appello faccia finalmente breccia nei cuori e nelle coscienze di chi dovrebbe vegliare su di lei e che invece sta pianificando il modo migliore per farla morire di fame e di sete”, ha auspicato Casini.

Un appello è stato rivolto al Parlamento perché discuta ed approvi in tempi rapidi una buona legge sul fine vita che possa evitare alle altre migliaia di persone nelle condizioni di Eluana di essere minacciate da un’eutanasia che nessuno ha neppure il coraggio di chiamare col proprio nome.

Inoltre il Convegno dei CAV ha rivolto un estremo e disperato invito al Governo perché facendo ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza stabilisca, in attesa della legge, che i trattamenti di alimentazione ed idratazione dei malati terminali e dei malati in stato vegetativo persistente non possono per nessun motivo essere interrotti.

Il Movimento per la Vita ha anche scritto al Presidente della Repubblica per chiedergli di far valere la sua alta autorità morale affinché Eluana possa conservare la “grazia” di continuare a essere nutrita,  alimentata, curata e amata dalle Suore di Lecco.

Nel testo inviato al Presidente Napolitano, il MpV “si permette di sollecitarle un atto straordinario con cui esercitare la sua autorità morale: le chiede di fare quanto possibile perché Eluana Englaro possa conservare la ‘grazia’ di continuare a essere curata e amata dalle Suore Misericordine che attualmente la ospitano e che in questi anni l’hanno sempre accudita amorevolmente”.

“Il Movimento da parte sua – si legge ancora nel testo – è pronto ad offrire la massima collaborazione a che questo desiderio espresso con forza anche da tanta parte della Nazione venga realizzato”.

Parlando ai militanti del MpV, Casini ha spiegato che la battaglia in difesa della vita e della famiglia si sta facendo molto dura, per cui non basta opere ragionevoli, bisogna “imparare a pregare di più”, una “più intensa spiritualità”  affinché il cielo “ci aiuti e ascolti le nostre suppliche”.

A questo proposito il Presidente del Mpv ha annunciato l’intenzione di far nascere a Nazareth un Centro di Aiuto alla Vita condiviso tra ebrei, cattolici e musulmani.
<!--[if !supportLineBreakNewLine]-->
<!--[endif]-->

LawWestOfThePecos
00lunedì 17 novembre 2008 12:09
Dall' AVVENIRE di ieri

ETICA E GIUSTIZIA
In occasione del dibattito su Terri Schiavo, un medico esperto di denutrizione raccontò come la morte per sete di bambini africani lo avesse messo innanzi a situazioni cliniche al limite del sopportabile
Ecco come si muore di fame e di sete
In un rapporto medico Usa le sofferenze atroci di un malato privato di cibo e acqua

DI VIVIANA DALOISO
« T ogliere a una persona il sondino che la nutre è as­solutamente innocuo. È un buon modo di morire. Probabil­mente il modo migliore di morire, do­po l’aneurisma». Nel 2003 Michael Schiavo, il marito di Terri Schindler, ri­lasciò questa dichiarazione durante il noto talk show americano di Larry King, sostenendo che la moglie doves­se essere 'liberata' al più presto dallo stato vegetativo. Insomma, chiedendo che le fossero tolti cibo e acqua, come si è deciso per Eluana. Questa frase sembra essere rimbalzata nel tempo, e nello spazio, per arrivare oggi sulle pa­gine di quasi tutti i giornali nostrani, nei dibattiti televisivi e radiofonici, nei blog: morire di fame e di sete? Non fa male. È innocuo. E poi Eluana non se ne accorgerà nemmeno, «non è co­sciente ». Nel 1986, anni prima che la vicenda Schiavo e quella Englaro portassero le condizioni dei pazienti in stato vege­tativo alla ribalta della cronaca, negli Stati Uniti – e precisamente in Massa­chusetts – un pompiere di nome Paul Brophy fu 'condannato' a morire di fame e di sete dai giudici, in seguito al­le richieste insistenti dei suoi familia­ri. Aveva 45 anni, ed era in stato vege­tativo da tre. Moglie e figli sostennero che più volte, verbalmente, l’uomo a­vesse dichiarato di preferire la morte a una vita simile. Il caso fece molto scal­pore oltreoceano per due motivi: era la prima volta che un paziente america­no moriva in seguito alla decisione di un tribunale di interrompere alimen­tazione e idratazione artificiali; duran­te l’iter processuale un giudice della Corte Suprema del Massachusetts, Neil Lynch, dichiarandosi contrario alla de­cisione della maggioranza dei suoi col­leghi presentò una relazione – stilata da un gruppo di medici esperti – sulle conseguenze concrete della rimozio­ne del sondino naso-gastrico.
Il documento in questione descrive mi­nuziosamente la morte per fame e per sete, con particolari anche molto cru­di. E, si badi bene, non dice niente di originale o diverso rispetto a quello che si può trovare scritto in ogni manuale di medicina, alla voce 'disidratazione', per esempio. Cioè, che morire di sete – perché nel caso della rimozione di un sondino naso-gastrico il paziente muo­re principalmente proprio a causa del­la disidratazione – è atroce. A partire dalla durata dell’agonia: da cinque gior­ni per i soggetti più fragili fisicamente (anziani e bambini) al massimo di tre settimane. Un lasso di tempo intermi­nabile, in cui il corpo si consuma len­tamente a causa della secchezza dei tessuti, alla disidratazione delle pareti dello stomaco (che provoca spasmi) e delle vie respiratorie. In cui la pelle si ritira, gli occhi si incavano, la tempe­ratura corporea aumenta inesorabil­mente in seguito alla mancanza di su­dorazione. E in cui le mucose si inari­discono, il naso sanguina, le labbra e la lingua si spaccano, proprio come han­no dimostrato di sapere i giudici della Corte d’Appello di Milano, che nella sentenza che lo scorso luglio ha sanci­to il distacco del sondino di Eluana si sono 'raccomandati' che quelle mu­cose venissero bagnate, per evitare che la giovane donna soffra. O mostri
la sua sofferenza.
La lista degli 'orrori' del giudice Lyn­ch fece il giro d’America, sollevando non pochi dubbi sulla liceità della sen­tenza, che fino a quel momento era sta­ta presentata all’opinione pubblica co­me un atto di 'liberazione' del tutto innocuo. Lo stesso ospedale dove il pompiere era ricoverato, il New En­gland Sinai Hospital, si oppose a che una simile morte potesse avvenire al­l’interno della propria struttura, per giunta coadiuvata dal personale sani­tario. Il documento di Lynch fu poi i­nutilmente impugnato dai familiari di Terri Schiavo: di più, nel caso della gio­vane donna fu anche raccolta la testi­monianza di un medico, David Stevens, specializzato nel campo della disidra­tazione nell’infanzia e che aveva ma­turato un’esperienza di quindici anni in Africa, accanto ai bambini denutriti. Il medico raccontò come la morte per se­te lo avesse messo innanzi a situazio­ni cliniche al limite del sopportabile. L’unica differenza tra i suoi pazienti e quelli in stato vegetativo, come Brophy, Terri Schiavo ed Eluana: lo stato di co­scienza. Per cui i piccoli potevano la­mentarsi, comunicare a voce la propria sofferenza fisica. Non piangere, però, in quanto la disidratazione porta via an­che le lacrime. Nel 1986 Paul Brophy, in quelle condi­zioni disumane, rimase in vita otto giorni. A Terri Schiavo andò peggio: tre­dici interminabili giorni di denutrizio­ne la ridussero in uno stato fisico indi­cibilmente penoso, al punto che alla stessa madre – in seguito a un malore – fu impedito di vederla nelle ultime o­re. Eluana Englaro, come loro, non è at­taccata a una 'spina', non è tenuta in vita da macchinari o con medicinali. Apre e chiude gli occhi, di notte dor­me, la mattina si risveglia, il suo corpo ha lottato per la vita 16 anni, ha avuto persino la forza di superare, recente­mente, una grave emorragia. Ma certo, Eluana non parla. Non interagisce con gli altri. E non piange. Quanto tempo durerà la sua silenziosa agonia?
La relazione fu ordinata dal giudice Lynch nello stato americano del Massachusetts più di vent’anni fa per il caso del pompiere Paul Brophy Nel testo si spiega la durata dell’agonia (da 5 a 29 giorni) e le conseguenze per pelle, occhi, lingua, mucose, temperatura corporea Un quadro atroce

enricorns
00lunedì 17 novembre 2008 21:40
lunedì 17 novembre 2008 19.34 ELUANA, CARDINAL BAGNASCO: "NON SOSPENDERE IDRATAZIONE" "Sospendere idratazione e nutrizione significa sospendere le funzioni vitali di una persona, al di là della sua situazione fisica e di salute. Quindi queste funzioni non possono essere assolutamente considerate delle terapie, dei farmaci invasivi o straordinari". È quanto ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, ai microfoni della "Radio Vaticana" in merito alla vicenda di Eluana Englaro e alla sentenza della Corte di Cassazione che in via defintiva ha autorizzato l'interruzione di alimentazione e idratazione della giovane. Commentando poi i risultati di uno studio del ministero della Salute secondo il quale lo stato vegetativo non può mai dirsi del tutto irreversibile per quanto poche possano essere le possibilità di recupero. "Questo studio che non conoscevo - ha detto il cardinale - conferma l'assoluta cautela con cui dobbiamo affrontare questi temi della vita e della morte. Non soltanto per il valore intrinseco della vita anche quando è ferita e quindi richiede maggiore attenzione da parte della società, ma in qualunque altra situazione; soprattutto in questo momento il mistero della vita deve suscitare in tutta la società un riflessione molto più attenta e molto più umile".

da Avvenire
enricorns
00lunedì 17 novembre 2008 21:46
IL FRATELLO DI TERRI SCHIAVO «Il papà di Eluana parli con il mio: cambierà idea» C’ è un filo invisibile che collega in queste ore Lecco alla città di Saint Petersburg, in Florida. Lì, il 31 marzo del 2005, dopo 13 giorni senza idratazione e alimentazione artificiali, si è spenta Terri Schiavo, la donna in stato vegetativo che con la sua storia ha commosso l’America e il mondo, ponendo in maniera inequivocabile alle società civili il dilemma sui pazienti in stato vegetativo e sul loro diritto a vivere. E lì la notizia della decisione della Cassazione italiana pesa oggi, più che altrove. A Saint Petersburg vivono i genitori di Terri, Robert e Mary, che dopo la morte della figlia si sono chiusi in un doloroso silenzio. E poi il fratello Bobby e la sorella minore Suzanne, che hanno fondato la ' Terri Schindler Schiavo Foundation Center for Health Care Ethics', istituzione impegnata nella difesa delle persone malate e dei disabili dalla minaccia dell’eutanasia. Proprio dall’associazione è arrivato in queste ore un appello deciso, fatto circolare via internet e rimbalzato sui siti delle principali agenzie pro- life americane, che commenta la vicenda Englaro: « Quello che è toccata a mia sorella – spiega Bobby nella nota – è stata una delle morti più orribili e disumane. Nessuno dovrebbe essere mai più messo in quella situazione, in nessun posto al mondo, e nessun genitore dovrebbe assistere mai al proprio figlio in quelle condizioni » . E ancora, rivolgendosi al padre di Eluana, Beppino Englaro: « Se questo papà potesse prendersi del tempo, e venire qui, fare visita a mio padre, ai miei genitori, vedere coi suoi stessi occhi in quale agonia e tormento stanno vivendo ogni giorno della loro vita, dopo aver visto Terri morire a quel modo – continua il fratello della Schiavo – sono sicuro che cambierebbe idea » . Nel comunicato dell’associazione viene ricordato anche a Beppino Englaro che una madre e un padre « dovrebbero mettere la vita dei propri figli davanti a ogni altra cosa e amarli in maniera incondizionata indipendentemente da quello che sono in grado di fare e dalle loro condizioni di salute » . ( V. Dal.)
da Avvenire
enricorns
00martedì 18 novembre 2008 23:42
CI SONO IN GIRO AFFERMAZIONI TROPPO BANALI Che cosa vuol dire amare nel caso difficile di Eluana GIACOMO SAMEK LODOVICI N oi che siamo tremendamente addolorati per la fine atroce (una morte per fame e per sete) che aspetta Eluana siamo accusati di essere crudeli e sadici, mentre la scelta di farla morire viene da molti considerata un’espressione di amore. Non mettiamo in dubbio la buona fede di chi ragiona in questi termini; tuttavia, chiediamoci: che cosa significa amare? Ovviamente l’amore ha una molteplicità di espressioni, ma (lo suggerisce già Aristotele) amare qualcuno è un po’ come dirgli «è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista, gioisco perché tu sei». La prima forma di ogni amore consiste in una gioia perché chi amiamo vive, è un rendimento di grazie perché l’amato esiste. Precisiamo: amare non significa volere che l’altro esista come conseguenza del fatto che l’altro ci procura gioia, bensì vuol dire volere e insieme gioire per la sua esistenza. Far morire qualcuno, anche se a richiesta (tra l’altro presunta nel caso di Eluana), significa dire «non è bene che tu sia, non è meraviglioso che tu esista». Se qualcuno dice con anni di anticipo o grida (o sussurra) disperato nel presente: «io sono un peso per te» e/o «non vale la pena il mio vivere in questo stato», il vero amore risponde: «è bene che tu sia, è meraviglioso che tu esista anche se la tua condizione è dolorosa per te e/o gravosa per me». Chiedere di morire significa dire: «la mia esistenza non è (non sarà più) preziosa»; così far morire qualcuno (per esempio tramite l’azione con cui si toglie il sondino dell’alimentazione, oppure tramite l’omissione di chi non lo riattacca) equivale a dire a qualcuno: «è vero, tu non vali la pena, la tua esistenza in certe condizioni non è un bene che soverchi queste condizioni, non è prezioso che tu viva». In effetti, chi si occupa dei malati gravi sa che, quando chiedono di morire, quasi sempre lo fanno perché soffrono e perché si sentono soli. Ora, si noti bene, la sofferenza può essere quasi sempre molto lenita con le cure palliative. E la risposta alla solitudine non è far morire, bensì è l’affetto, è prendere per mano il malato, detergergli il sudore, guardarlo negli occhi anche se non risponde, stargli vicino: le invocazioni della morte esprimono la richiesta di non soffrire e una protesta contro la solitudine. Così, il desiderio di suicidarsi o la richiesta di eutanasia si manifestano, solitamente, quando una diagnosi infausta viene comunicata e molto spesso tramontano se il malato viene assistito e confortato. Le suore straordinarie che accudiscono Eluana hanno scritto: «L’amore e la dedizione per Eluana» è ciò per cui 'affermiamo la nostra disponibilità a continuare a servire – oggi e in futuro – Eluana. Se c’è chi la considera morta, lasci che Eluana rimanga con noi che la sentiamo viva. Non chiediamo nulla in cambio, se non il silenzio e la libertà di amare e donarci a chi è debole, piccolo e povero'. Sono crudeli e sadiche? Come si può mai considerare la loro dedizione a Eluana una forma di accanimento terapeutico? E come può essere amore far morire Eluana di fame di sete? Lasciare che il suo corpo si consumi lentamente a causa della secchezza dei tessuti, della disidratazione delle pareti dello stomaco (che provoca spasmi) e delle vie respiratorie, mentre la pelle si ritira, gli occhi si incavano, la temperatura corporea aumenta per mancanza di sudorazione, il naso sanguina, le labbra e la lingua si spaccano: questo è amore? È vero, sono previste delle misure per attenuare (ma solo in parte) questi effetti: ma ciò cambia la sostanza? da Avvenire
enricorns
00martedì 18 novembre 2008 23:52
ETICA E GIUSTIZIA

Il presidente emerito della Corte costituzionale: più che fondata l’opinione secondo cui la sentenza della Cassazione contrasta con il Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente
«La vita ha rilievo pubblico Dire il contrario è fuori dal nostro sistema giuridico» Aberrante se i giudici riscrivono le regole Baldassarre: distorsione della democrazia
DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO V ivere o morire non è un fatto che resta nella sfera privata, ma riveste sempre un’im­portanza pubblica. Anto­nio Baldassarre, presiden­te emerito della Corte Co­stituzionale e docente di diritto costituzionale alla Luiss, critica questa deriva aperta dalla recente sen­tenza della Corte di Cassa­zione sul caso Eluana. È – a suo giudizio – una affer­mazione pericolosa, oltre che fuori dal nostro siste­ma democratico. Professore, perché l’affer­mazione è fuori dal nostro sistema giuridico? Non è convincente e rove­scia tutta la posizione fi­nora tenuta in materia. Ab­biamo a che fare con dirit­ti indisponibili che hanno una tutela costituzionale e quindi pubblica. Proprio sulla base di questo fatto, quando nel 1975 si giudicò l’aborto, non si seguì la via della Corte Suprema ame­ricana che aveva detto e­sattamente una frase come questa nella nostra Cassa­zione. La Corte Costituzio­nale italiana ha detto il contrario e cioè che quan­do siamo all’inizio della vi­ta, e si deve supporre an­che alla fine della vita, si ha a che fare con un interesse pubblico alla difesa della dignità umana e delle dife­sa della vita umana. Se de­cidere se vivere o morire è un affare privato, anche il diritto della salute non a­vrebbe senso; mentre in­vece questo diritto è difesa dalla Costituzione sia co­me fatto privato che come fatto pubblico. Credo che questa affermazione non si accordi con la Costituzio­ne. Lei ha spesso ribadito che il giudice italiano può di fatto creare una norma, l’applica e ne è anche ga­rante. È corretto questo? Il Costituente ha previsto che colui che dovesse vol­gere i principi costituzio­nali in regole, cioè in nor­me circostanziate, fosse il legislatore. Per un motivo semplice: il legislatore può fare tutto questo, in quan­to risponde al popolo. Se il popolo non fosse d’accor­do può cambiare la mag­gioranza parlamentare che ha fatto quelle norme. Quindi il legislatore può di­ventare minoranza e assu­me una responsabilità. Insomma, paga. Pericolo che non corre il giudice... Se permettiamo al magi­strato di fare quello che ha fatto la Cassazione nella sentenza sul caso Englaro ( nella quale ha individua­to un diritto, ne ha stabili­to le circostanze, ne ha fis­sato i limiti e ne ha predi­sposto le modalità di eser­cizio) se fa tutto questo, stabilisce cioè la norma nel caso concreto che non tro­va nella legge, allora ab­biamo una autorità che non ha una responsabilità politica verso il popolo e, quindi, non ne subisce le conseguenze. Evidente­mente siamo davanti a un ' governo dei giudici' che non ha nulla a che fare con il nostro sistema democra­tico. Il procuratore di Messina, Alberto Di Pisa, non esclu­de che in teoria un pm po­trebbe perseguire penal­mente chi staccherà i son­dini che tengono in vita E­luana. Concorda con que­sta tesi? Queste cose le ha dette già l’avvocato che ha rappre­sentato Camera e Senato nel conflitto di attribuzio­ne che la Corte Costituzio­nale non ha voluto decide­re benché gli estremi del­l’ammissibilità ci fossero tutti. È un’opinione più che fondata. In un sistema che prevede l’omicidio del consenziente o l’istigazio­ne al suicidio, la Cassazio­ne introduce una regola che è totalmente disso­nante con queste norme, che pure sono in vigore. Non pensa che il cittadino sia quanto meno frastor­nato da queste decisioni così ambigue? È la sciagurata conseguen­za di una affermazione del­la Corte Costituzionale, presa dal sistema tedesco, che un giudice, cioè, può fare una interpretazione costituzionalmente orien­tata. Questa possibilità i giudici la interpretano, co­me ha fatto la Cassazione, in un modo che non ha pa­ri in nessun ordinamento occidentale, e cioè che il giudice può creare una re­gola nel caso concreto, par­tendo da un principio co­stituzionale. Questa è l’a­berrazione e stupisce che il mio collega Onida, quan­do sostiene la validità di tutto questo, non si accor­ga della distorsione provo­cata nel sistema democra­tico voluto nella nostra Co­stituzione.

enricorns
00mercoledì 19 novembre 2008 11:12
ETICA E GIUSTIZIA


 Claudio Taliento, vicepresidente dell’associazione 'Risveglio': «Adesso anche mia moglie è potenzialmente sopprimibile. Basta trovare un testimone che dica: lei non voleva vivere così»
 «Irreversibilità? Nessuna certezza»
 

 Roccella: stato vegetativo permanente?
  Impossibile affermarlo, una linea sottile divide le condizioni di questi malati
 


 Gli esperti del ministero del Welfare: risulta impossibile escludere a priori il recupero

 DA ROMA
LUCA LIVERANI
 S
tato vegetativo, coma, morte cerebrale. Termini usati disin­voltamente come sinonimi in un dibattito drammatico. Ma la con­fusione - o la disinvoltura - semanti­ca in questioni così delicate può con­dizionare pesantemente le opinioni e gli orientamenti. Il primo contri­buto del neonato 'Gruppo di lavoro sullo stato vegetativo e lo stato di mi­nima coscienza' voluto dal ministe­ro della Salute è quindi un glossario che cerca di fare chiarezza. Tra chi fa informazione, ma anche tra gli stes­si medici. Il sottosegretario Eugenia Roccella lo dice con chiarezza: «Già prima del caso Englaro le informa­zioni sugli stati vegetativi sono state estremamente confuse. Anche da parte di grandi medici, come il pro­fessor Umberto Veronesi, che non è uno specialista in questo settore e insi­ste sull’irreversibi­lità » . Roccella cita «un grande quotidia­no che ha definito E­luana sacco di pata­te » , altri parlano di questi pazienti come di « quasi morti: un po’ per ignoranza – dice il sottosegretario – un po’ per ideolo­gia ». Dal Glossario stilato dal Gruppo di lavoro, costituito da 14 stu­diosi del settore, e­merge con chiarezza una raccoman­dazione: «Oggi il concetto di stato ve­getativo permanente è da conside­rarsi superato e sono documentati casi, benché molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo e­sterno anche a lunghissima distan­za di tempo. È pertanto assurdo - si legge nel documento – poter parlare di certezza di irreversibilità». E an­cora: «Secondo le raccomandazioni dell’Internazionale Working Party di Londra del 1996, i termini persisten­te e permanente sono sconsigliati e si consiglia di sostituirli con l’indica­zione della durata della condizione (stato vegetativo da n° mesi/anni)». Il Gruppo di lavoro è affiancato da un Tavolo delle associazioni dei fa­miliari, presieduto da Fulvio De Ni­gris, direttore del centro studi ricer­ca sul coma, che produrrà un libro bianco per evidenziare le migliori
pratiche in Italia.
  Spiega Gianluigi Gigli, professore di neurologia a Udine e membro del Gruppo: «Spesso si fanno insalate di parole ed è frequentissimo rilevare espressioni tecnicamente del tutto improprie. 'Eluana in coma da sedi­ci anni': ma qualsiasi professionista sa che lo stato vegetativo non è il co­ma. O 'staccare la spina': in questi pazienti non c’è nessuna spina da staccare perché non sono collegati a nessuna macchina». Sull’irreversibi­lità dunque «possiamo parlare in ter­mini probabilistici – aggiunge Gigli – ma non assolutistici come fa la sen­tenza di Milano. La certezza dell’ir­reversibilità non ce l’ha nessuno».
  Il problema, aggiunge il neurologo, «è che sono malati poco studiati: de­ve emergere una attenzione diagno­stica su malati nella gran parte dei casi dati per persi. Servono fondi, tempo e umiltà scientifica » . I malati in stato vegetativo « alternano veglia e sonno, rispondono a stimoli del dolore, anche se probabil­mente non come noi » . Ma « quando è prevista la sedazione, vuol dire che c’è sof­ferenza, anche solo per il principio di precauzione. Terri Schiavo vi assicuro che piangeva».
  Claudio Taliento, vi­cepresidente dell’As­sociazione Risveglio, racconta della moglie in stato vegetativo da sei an­ni: «Iniziò a mostrare sul volto evi­dente sofferenza. Faticosamente ca­pimmo che aveva un ascesso. Una volta curata cambiò espressione » . Poi aggiunge: «Ora mia moglie po­tenzialmente è sopprimibile. Questa sentenza non è legata al singolo ca­so, basta trovare un testimone che dica che 'lei non avrebbe voluto vi­vere così' e posso sopprimerla». Per Antonio Carolei, ordinario di neuro­logia a L’Aquila membro del Grup­po, «è inaccettabile che una progno­si possa essere emessa da un giudi­ce. Ci dobbiamo sentire un Paese e­voluto perché faremo come in Flori­da con Terri Schiavo, dove due poli­ziotti impedivano che i familiari por­tassero una garza imbevuta per ba­gnarle le labbra», mentre veniva fat­ta morire per disidratazione?

Da Avvenire

enricorns
00mercoledì 19 novembre 2008 13:27

Storie (11 luglio 2008)
Jan: sveglio dopo 19 anni

di Luigi Ferraiuolo

Non sia mai detto che una persona in coma sia destinata solo alla morte. Basta ricordare, per chi ha memoria, il caso - assai cinematografico, tanto che rammenta il film Goodbye Lenin in cui una donna va in coma con il Muro di Berlino in piena efficienza e si risveglia dopo la sua caduta - ma molto istruttivo di Jan Grzebski: ferroviere polacco di 65 anni, risvegliatosi dal coma nel 2007 dopo 19 anni. Molti di più di quelli d'immobilità di Eluana Englaro, pur con le dovute differenze e analogie. Costretto all'immobilità dopo un incidente nel 1988 - in piena Polonia comunista del generale Jaruzelski - a Grzebski i medici avevano dato, al massimo, 2 o 3 anni di vita. Ma la moglie Geltrude aveva creduto nel suo risveglio. E ha avuto ragione. «Mia moglie Gertruda mi ha salvato, non lo dimenticherò mai» disse Grzebski, intervistato dalla tv polacca, a giugno dello scorso anno, poco dopo il risveglio. E per spiegare meglio la situazione, i medici del ferroviere chiarirono: «Per 19 anni la signora Grzebska ha svolto il lavoro di un team esperto di terapia intensiva, cambiando ogni ora la posizione del marito in coma per prevenire piaghe da decubito». La signora Geltrude dunque è stata capace di salvare il marito, contro ogni apparenza. Ma con Eluana forse questo non accadrà. A pochi giorni dal risveglio il ferroviere polacco, comunque, era riuscito a percepire gli epocali cambiamenti vissuti in 19 anni dalla vecchia Polonia: «Quando sono entrato in coma c'erano solo thè e aceto nei negozi, la carne era razionata e c'erano ovunque code per la benzina. Ora vedo la gente in strada con i cellulari e c'è così tanta merce nei negozi che mi gira la testa». E poi gli erano nati ben 11 nipotini.
http://www.avvenireonline.it/Vita/Eluana/Storie/20080711.htm
enricorns
00giovedì 20 novembre 2008 13:50
ETICA E GIUSTIZIA
 «Morirà per eutanasia Non della sua malattia»

 Cuccurullo: siamo di fronte a una pericolosa deriva


 DA MILANO
ENRICO NEGROTTI
 « E
luana non muore della patologia da cui è affetta, muore di fame e di se­te. Anzi viene fatta morire, quindi si tratta di eutanasia». Il professor Franco Cuccu­rullo, rettore dell’Università di Chieti e presi­dente del Consiglio superiore di sanità, è do­cente di Medicina interna e non condivide af­fatto – pur rispettandola – la serie di decisioni della magistratura che stanno portando Eluana a morire. «Parlando da medico, mi resta grande perplessità e rammarico – aggiunge –. Penso che si apra una deriva pericolosa per le persone in­capaci ».

 Professor Cuccurullo, lei ha dichiarato che l’a­dempimento delle sentenze della magistratu­ra nel caso di Eluana Englaro configurerebbe un caso di eutanasia. Perché?

 Si tratta di eutanasia perché la morte di Eluana sarebbe causata dalla sospensione di idratazio­ne e alimentazione, non dalla patologia di base dalla quale è affetta. Vede, io faccio due esem­pi: un paziente cui si interrompe un trattamen­to terapeutico o quello cui si toglie il sostegno alle funzioni vitali. Il primo caso è per esempio una persona affetta da una malattia tumorale al­lo stadio terminale. Io posso interrompere una chemioterapia che sottopone il paziente a ulte­riori sofferenze senza migliorarne le condizio­ni. In questo caso la morte che sopraggiunge è una conseguenza diretta della malattia da cui è affetto il paziente. Viceversa – è il secondo caso – se a un paziente io sospendo l’idratazione e l’a­limentazione non muore per la sua malattia, ma muore di sete e di fame. Non è la malattia che lo fa morire, il de­cesso
non è conse­guenza diretta della patologia che lo af­fligge. Muore per di­sidratazione.

 Ma qualcuno so­stiene che essendo atti medici sono a­naloghi. Non è vero?

 Torniamo al primo caso. Se sospendo un trattamento che­mioterapico a un paziente terminale di cancro che può dare solo disturbi, poi in presenza del­la
comparsa di dolori, cercherò di alleviare le sofferenze, userò farmaci antidolorifici. In altre parole, metterò in atto un trattamento palliati­vo che non risolve la patologia ma lenisce il sin­tomo. Ma se a quello stesso paziente, alleviato il dolore, tolgo l’acqua, subirà la sofferenza da disidratazione. E se per risolvere il sintomo do­lore, io somministravo un antidolorifico, per ri­solvere i disturbi da disidratazione, la soluzio­ne non è l’antidolorifico. Proviamo a immagi­nare una persona dispersa nel deserto, che vie­ne ritrovato disidratato: per lenirgli le sofferen­ze gli somministriamo antidolorifici? No, gli diamo acqua.

 Viene anche sostenuto che è ormai opportuno far riprendere il suo corso alla malattia, che è stata come bloccata dai medici quasi 17 anni fa. Non è così?

 Non è così. Eluana Englaro non morirebbe del­la sua malattia, che è in uno stato stabile. C’è u­na forte spinta vitale in quell’organismo: per fer­marla occorre sospendere idratazione e ali­mentazione. Cosa c’è di diverso dall’eutanasia, o dall’omicidio? Ruotiamo intorno a questi con­cetti, è difficile discriminare. Diverso era il caso di Piergiorgio Welby. La ventilazione meccani­ca era la terapia indispensabile alla sostenerlo nella sua malattia, che colpendo i muscoli ren­deva impossibile anche la respirazione. La so­spensione del funzionamento della macchina portava il paziente a morire della sua malattia.

 Qualcuno sostiene anche che Eluana non sof­frirebbe, perché la corteccia è totalmente com­promessa. Però nel decreto della Corte d’Ap­pello di Milano si prevede un accompagna­mento alla morte che fa uso di sedativi e an­tiepilettici. Che cosa significa?

 Siamo di fronte a grandi contraddizioni: pove­ra figlia, non è una vita che si spegne, ma che vie­ne spenta. Io non conosco le condizioni clini­che specifiche, e quindi non mi posso pronun­ciare oltre un certo limite. Posso dire che esi­stono test specifici per stabilire se un paziente avverte il dolore. In questo caso credo che la morte sopravvenga per una insufficienza rena­le legata alla disidratazione progressiva. E fino­ra questa non è la sua patologia. Ho grande per­plessità e rammarico di fronte a queste senten­ze: penso che si apra una deriva pericolosa per le persone incapaci.

 «Se a un malato di cancro che sta morendo tolgo la chemioterapia, offro comunque un trattamento palliativo, e non penso certo di smettere l’idratazione»

enricorns
00giovedì 20 novembre 2008 16:01
ELUANA, CORTE EUROPEA APRE FASCICOLO SU RICORSO ASSOCIAZIONI La Corte Europea di Strasburgo per i Diritti dell'Uomo ha aperto un fascicolo sul ricorso di 34 associazioni che si oppongono all'interruzione di alimentazione e idratazione per Eluana Englaro, consentita dalla Cassazione. La procedura è stata dunque incardinata e non respinta in partenza, come pure Strasburgo poteva fare. Mentre la Corte non ha accolto la richiesta delle associazioni per una procedura d'urgenza. "La Corte ha scelto di seguire la via ordinaria - spiega l'avvocato Rosaria Elefante, che segue l'azione promossa dalle associazioni - ma l'importante è che il ricorso ora è registrato dalla Corte, ha il numero 55185/08. Questa mattina abbiamo fatto richiesta per un'udienza nel più breve possibile, e inoltre chiederemo una comunicazione ufficiale della Corte al Governo italiano". Intanto, riferisce il legale, "stanno arrivando a Strasburgo numerosi altri ricorsi individuali, sovrapponibili al nostro, e ancora tanti ne arriveranno. Speriamo che Strasburgo si pronunci in tempi brevi, è in gioco il diritto e la dignità di tantissime persone disabili. Non si può decidere per loro". da Avvenire www.avvenire.it/Avvenire/Pages/articoloVetrina.aspx?IdArticolo=6326e6b0-0000-4ca6-b437-34c0...
enricorns
00sabato 22 novembre 2008 18:52
ETICA E GIUSTIZIA
 «Eluana, un decreto legge per non staccare il sondino»

 Capotosti: eviterebbe disparità di trattamento nel Paese


 DA ROMA
PINO CIOCIOLA
 E
siste uno strumento tecni­co- giuridico che può anco­ra impedire la morte di E­luana: « Mi chiedo se, per evitare che fra le strutture sanitarie sul territorio italiano si verifichino di­sparità geografiche di comporta­mento » e « in attesa di una legge » , il governo « non sia legittimato ad intervenire con un decreto legge, attraverso il quale dichiarare l’ob­bligo per tutte le strutture sanita­rie, pubbliche e private, di aste­nersi dal praticare il distacco di sondini per l’alimentazione arti­ficiale » . La domanda se la pone Piero Alberto Capotosti, presi­dente emerito della Corte Costi­tuzionale, giudice costituzionale dal 1996 e presidente della Con­sulta nel 2005.

 Presidente, ma un eventuale de­creto di questo genere, fin quan­do
dovrebbe valere?
 Fin quando non ci sia una legge che si basi su standard interna­zionalmente riconosciuti e capa­ci di definire gli stati irreversibili della vita.

 Basterebbe un decreto legge dav­vero
semplice?
 Fatto da non più di cinque o sei ri­ghe. Indispensabili per la straor­dinaria necessità e urgenza della situazione. Naturalmente il di­stacco del sondino per l’alimen­tazione dovrebb’essere vietato nei soli casi in cui s’immagini che sa­rebbe la causa diretta del deces­so
della persona.

 E le disparità geografiche di com­portamento?

 Mi risulta che alcune strutture sa­nitarie si siano rifiutate di stacca­re il sondino e che forse altre pos­sano essere invece disponibili.

 Si riferisce al rispetto di diritti fondamentali?

 Sì. Perché quando si tratta della tutela dei diritti fondamentali del­la persona malata, e che si trovi in stati come quello di Eluana En­glaro, all’incrocio fra la vita e la
morte, deve essere fortissima l’in­fluenza della scienza medica ai fi­ni del rispetto del diritto alla vita.

 Sarebbe a dire?

 La scienza medica deve indicare precisamente quali sono gli stati irreversibili. Al contrario in que­sta situazione, dove non c’è una valutazione medica praticata da organi interni ed internazionali in maniera certa, diventa di fon­damentale importanza che il ri­spetto di questi diritti fonda­mentali sia assicurato in tutto il
territorio nazionale e in condi­zioni di eguaglianza, come tra l’al­tro si può desumere da alcune pronunce della Corte Costituzio­nale.

 Cioè non deve essere possibile, poniamo per ipotesi, che in Friu­li ci sia qualcuno disponibile a staccare il sondino e in Lombar­dia
invece no.
 Questo mi parrebbe assoluta­mente irragionevole. L’assistenza sanitaria è materia di competen­za dello Stato e delle regioni, quindi tocca allo Stato dettare i principi fondamentali: non di­staccare il sondino lo è, perché c’è il valore della vita in ballo.

 E se anzichè in una struttura sa­nitaria si portasse Eluana, o una persona nelle sue condizioni, a morire in un’abitazione privata?

 Il cittadino può fare quel che vuo­le, salvo andare poi incontro alle

 doverose indagini della magistra­tura.

 A proposito: alcuni magistrati i­potizzano proprio che nel di­stacco del sondino che garanti­sce alimentazione e idratazione ci siano gli estremi dell’omidicio: lei che ne pensa?

 Qualora dovesse avvenire il di­stacco del sondino nasogastrico, si potrebbe dire che proprio que­sto gesto è la causa diretta del de­cesso della ragazza. Allora ho l’impressione che un magistrato
territorialmente competente pos­sa aprire l’indagine.

 Ipotizzando un omicidio di con­senziente?

 Vedo più l’ipotesi di omicidio vo­lontario, essendo dubbia nel ca­so di specie la manifestazione di un consenso della vittima.

 E i pronunciamenti della Cassa­zione, presidente?

 Le sue due sentenze potrebbero forse configurarsi come causa di non punibilità. Ma questo ri­guarderebbe la valutazioni del magistrato penale, che tuttavia, in linea di principio, certo non può essere bloccato nel suo ob­bligo di iniziare l’azione penale davanti a un evento che in astrat­to lascia prefigurare un reato.

 Torniamo alle sentenze della Cassazione: sembra che il diritto alla vita sia diventato fatto pri­vato e non riguardi più la collet­tività.
 
Lei che ne dice?
 Dalle sentenze emerge forse una concezione eccessivamente for­malistica del carattere privato o pubblico della questione che la Cassazione doveva risolvere. La valutazione sembrerebbe fatta in riferimento al carattere formal­mente privato della questione. Prescindendo da quello che è l’in­teressamento enorme della pub­blica opinione alla vicenda.

 Ci sono altri aspetti di quelle sen­tenze che possono lasciare per­plessi?

 Al di là dei profili umani dram­matici, questa vicenda da un pun­to di vista giuridico suscita per­plessità. Perché la scienza medi­ca non ha definito in maniera pre­cisa e pregnante il carattere irre­versibile dello stato vegetativo in cui si trova Eluana Englaro: non c’è una definizione tale che pos­sa far considerare risolta questa questione in un senso o nell’al­tro.

 E quindi?

 La ragazza si potrebbe dire, ap­punto, all’incrocio fra la vita e la morte: una fase in cui però tutti i diritti inviolabili della persona continuano a esistere.

 Dunque bisognerebbe aspetta­re?

 Basta il dubbio che non sia una situazione irreversibile per in­durre ad aspettare e vedere come la situazione evolve.

 Un’ultima cosa, presidente Ca­potosti: questa presunta volontà di Eluana che le venissero so­spese
le ' cure'?
 Qui sicuramente non c’è un atto di autodeterminazione. Si rico­struisce la sua presunta volontà di non subire alcuna forma di ac­canimento teraputico, ammesso e non concesso che il sondino per l’alimentazione sia tale. E una ri­costruzione fatta attraverso frasi, brani, conversazioni intervenute circa venti anni fa. In un contesto completamente diverso dall’at­tuale.

 Per l’ex presidente della Consulta l’esecutivo potrebbe essere legittimato a intervenire per impedire differenze fra le Regioni. Un atto che andrebbe reiterato fino a quando non ci sarà una legge sul fine vita

http://edicola.avvenire.it/ee/avvenire/default.php?pSetup=avvenire&curDate=20081122&goTo=A07
enricorns
00sabato 22 novembre 2008 19:01
Le associazioni: in Europa per tutelare i diritti
 ETICA E GIUSTIZIA


 DI
PAOLO VIANA
 « V
i vo la stessa situazione di Beppino Englaro ma ho fatto una scelta diversa. Sia chiaro che non lo giudico. Io giudico i giudici e dico che quella sentenza è una vergogna nazionale oltre che un pericolo per tutti coloro che vivono in stato vegetativo » . Anche quando parla del « nemico » , Claudio Taliento mantiene quel suo tono sereno. Merito della moglie Ada. La accudisce dal 23 giugno del 2003, data dell’emorragia cerebrale, e lei gli regala ogni giorno, ci dice, « lo spettacolo della vita » . Il « nemico » di Tagliento e di Risveglio, la onlus di cui è vicepresidente, è lo stesso di tutti coloro che hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per salvare Eluana. Questo nemico non è Beppino Englaro. Le 34 associazioni che hanno chiesto l’intervento dell’Europa se la prendono invece con chi
ha autorizzato « il tutore a far morire di fame e di sete una persona in stato vegetativo sulla base di una volontà espressa in età giovanile e sostenuta dalla testimonianza di un terzo » dice Taliento.
  L’amarezza di questo manager in pensione è quella di chi combatte un potere non solo invisibile, ma anche cieco e sordo.
  « Non ne faccio una questione di fede, ma di diritto - ci spiega - . Le sentenze dei giudici, dalla corte d’appello alla Cassazione parlano di un’irreversibilità di condizioni che non è scientificamente provata, per quanto dopo sedici anni la speranza, lo ammetto, possa affievolirsi. I giudici, inoltre, sostengono che in quella condizione non si
prova dolore ma migliaia di pagine di trattati scientifici dimostrano il contrario. E lo prova anche la nostra esperienza quotidiana » .
  Risveglio associa famiglie di disabili con gravissime cerebrolesioni acquisite dai più diversi orientamenti politici e religiosi e si può dire lo stesso della Federazione nazionale associazioni trauma cranico: « la Cassazione fa giurisprudenza, quella sentenza è un passo gravissimo verso uno Stato che autorizza a spegnere la vita altrui » commenta il presidente Paolo Fogar, anche lui promotore del ricorso. Ha aiutato il cognato a vivere dignitosamente per quindici anni, dopo un rovinoso incidente automobilistico; ora lotta
perché a chi si trova nelle condizioni di Eluana siano riconosciuti i diritti fondamentali alla vita e alle cure. « I livelli minimi di assistenza - spiega - non prevedono la loro patologia e i medici di famiglia fanno i salti mortali per assegnare una carrozzella » .
  La federazione custodisce storie di amore e di dolore, ma anche di disagio economico: « dai fisioterapisti alle ristrutturazioni edili necessarie per ospitare chi si trova in queste condizioni, le spese sono altissime - precisa Fogar - e le famiglie sono costrette a fare tutto da sole. Quando, poi, non si raggiunge il livello di invalidità di Eluana, la società abbandona il paziente ai postumi dell’incidente, che
possono condizionargli la vita se non sono affrontati con una riabilitazione tempestiva. In un simile contesto, uno Stato che opta per l’eliminazione di chi non riesce ad aiutare è una vergogna » .
  Di « barbarie » parla apertamente Tagliento, che racconta così il suo ' dialogo' con Ada: « lei strizza gli occhi, digrigna la bocca, irrigidisce i muscoli se ha un disagio o un dolore. Può sembrare terribile, invece è un
rapporto che si alimenta di amore e non è necessario credere in Dio per vivere questi momenti, difendere il diritto di chi li vive e combattere la sofferenza laddove si manifesta » . Lo conferma Paola Chiambretto, psicologa, segretaria di Vive, l’associazione che raggruppa specialisti e famigliari di persone in condizione di vita vegetativa. Anche in questo caso si tratta di un’associazione di associazioni, cui collaborano famiglie dai più diversi orientamenti culturali e religiosi. La Chiambretto si occupa di pazienti nelle condizioni di Eluana al Vitaresidence, una struttura specializzata del Comasco. « Siamo disponibili a ragionare di testamento biologico ­racconta - ma non a permettere che una persona sia lasciata morire di fame e di sete e questo a prescindere da qualsiasi visione religiosa. La persona in stato vegetativo è un disabile grave, non è un paziente in stato terminale, non è morente e non è attaccato a una macchina, sente il dolore ed esprime disagio o fastidio attraverso la mimica del volto o la contrazione degli arti. Nella mia attività professionale non ho conosciuto nessuno di loro che non riesca in nessun modo a far comprendere il proprio disagio ai famigliari, che possono decodificarne sospiri, colpi di tosse, lacrime... » Se, sottolinea, « non sono lasciati soli con il loro dramma » .

 I gruppi che hanno fatto ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo dell’Ue contestano le sentenze sul caso Englaro sotto il profilo giuridico
Le famiglie delle persone in stato vegetativo: i giudici parlano di un’irreversibilità non dimostrabile

enricorns
00martedì 20 gennaio 2009 22:00
estratto del codice deontologico e medico
Infermieristico:

Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:

(...)

  • AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado di farlo da solo.


    (...)


    .3. La responsabilità dell'infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona, nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell'individuo.

    (...)

    Articolo 2. Principi etici della professione

    2.1. Il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei principi etici della professione è condizione essenziale per l'assunzione della responsabilità delle cure infermieristiche.

    2.2. L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale dell'individuo e interesse della collettività e si impegna a tutelarlo con attività di prevenzione, cura e riabilitazione.

    2.3. L'infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto ad uguale considerazione e le assiste indipendentemente dall'età, dalla condizione sociale ed economica, dalle cause di malattia.

    2.4. L'infermiere agisce tenendo conto dei valori religiosi, ideologici ed etici, nonché della cultura, etnia e sesso dell'individuo.

    2.5. Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l'infermiere si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. In presenza di volontà profondamente in contrasto con i principi etici della professione e con la coscienza personale, si avvale del diritto all'obiezione di coscienza.

    (...)

    4.17. L'infermiere non partecipa a trattamenti finalizzati a provocare la morte dell'assistito, sia che la richiesta provenga dall'interessato, dai familiari o da altri.


    e medico


    Art. 3 - Doveri del medico -
    Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza discriminazioni di età, di sesso, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace come in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera.
    La salute è intesa nell'accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona .


    CAPO III - Doveri del medico verso i minori, gli anziani e i disabili

    Art. 29 - Assistenza -
    Il medico deve contribuire a proteggere il minore, l'anziano e il disabile, in particolare quando ritenga che l'ambiente, familiare o extrafamiliare, nel quale vivono, non sia sufficientemente sollecito alla cura della loro salute, ovvero sia sede di maltrattamenti, violenze o abusi sessuali, fatti salvi gli obblighi di referto o di denuncia all'autorità giudiziaria nei casi specificatamente previsti dalla legge.
    Il medico deve adoperarsi, in qualsiasi circostanza, perché il minore possa fruire di quanto necessario a un armonico sviluppo psico-fisico e affinché allo stesso, all'anziano e al disabile siano garantite qualità e dignità di vita, ponendo particolare attenzione alla tutela dei diritti degli assistiti non autosufficienti sul piano psichico e sociale, qualora vi sia incapacità manifesta di intendere e di volere, ancorché non legalmente dichiarata.
    Il medico, in caso di opposizione dei legali rappresentanti alla necessaria cura dei minori e degli incapaci, deve ricorrere alla competente autorità giudiziaria.

     

  • Cattolico_Romano
    00domenica 25 gennaio 2009 19:29

    Cardinale Caffarra: la vita umana non si può espropriare


    L'Arcivescovo di Bologna difende la vita di Eluana

    ROMA, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- In merito all’eventualità che una clinica o ospedale dell’Emilia Romagna sia disponibile a far morire di sete e di fame Eluana Englaro, il Cardinale Carlo Caffarra ha ribadito che in nessun luogo d’Italia è possibile praticare l’eutanasia.


    In un comunicato recapitato a ZENIT, l’Arcivescovo di Bologna ha precisato che “l’ipotizzato ricovero di Eluana Englaro in una struttura sanitaria della nostra Regione sarebbe non per la vita ma per la soppressione della vita”.

    Il porporato ha affermato che “come cristiano e come Vescovo, sicuro interprete anche dei miei confratelli dell’Emilia Romagna, debbo denunciare con ogni forza che il porre in essere una tale eventualità sarebbe un atto gravissimo in primo luogo contro Dio, Autore e Signore della vita”.  


    Secondo l’Arcivescovo si tratta di un atto gravissimo contro “ogni essere umano”, che vedrebbe così violata, “quella dignità della persona che invece permane sempre, in ogni circostanza, e sopravvive alle più crude offese della malattia: persino nella estrema fragilità e impotenza di una condizione deprivata della coscienza”.  


    “La vita umana innocente non è un bene che si possa espropriare”, ha sottolineato il Cardinale Caffarra aggiungendo che “come cittadino non posso non rilevare che anche la nostra Regione – come le altre – non può sciogliere nessuno dal dovere di ossequio sostanziale ai valori della nostra Carta Costituzionale, la quale né consente pratiche eutanasiche né ammette che si possa negare ad alcuno il sostegno vitale dell’alimentazione e dell’idratazione”.  


    Per il porporato, “quando avviene che una società trasforma in licenza di uccidere, o di uccidersi, una legittima libertà di scelta del trattamento terapeutico, è tempo che quella società faccia una seria riflessione sul suo destino”.

    In conclusione l’Arcivescovo di Bologna ha invitato i fedeli – specialmente in occasione della imminente celebrazione della “Giornata per la vita” – a “intensificare la preghiera perché sia alleviata la sofferenza ai familiari di Eluana e perché da tutti sia riconosciuto il valore fontale della vita, dono irrevocabile aperto a una prospettiva di immortalità”.


    Cattolico_Romano
    00domenica 25 gennaio 2009 19:30

    Eluana e Terry: due storie molto simili


    di Umberto Richiello*


    ROMA, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- I criteri adottati dal Giudice di legittimità, nella sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007, nel decidere la questione relativa alla autorizzazione alla interruzione del mantenimento in vita di Eluana Englaro ricordano molto da vicino i criteri adottati dai giudici dello Stato della Florida nella vicenda che ha visto come protagonista Maria Teresa Schindler, coniugata Schiavo (più nota come Terry Schiavo).

    I giudici statunitensi, nelle decisioni relative al caso di Terry Schiavo, avevano fatto ricorso ad un precedente giurisprudenziale (Guardianship of Estelle Browning / Stato della Florida) nel quale la persona in stato vegetativo permanente, prima di cadere in tale stato, aveva espressamente manifestato la propria volontà in un testamento biologico.


    Il caso di Terry si poneva come un caso nuovo, poiché la persona (asseritamente in stato vegetativo permanente) non aveva mai formulato né un testamento, né tanto meno un testamento biologico. I giudici statunitensi avevano deciso di autorizzare l’interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione in base alla sussistenza di due requisiti:


    1) l’accertamento dello stato vegetativo permanente;


    2) l’avere il paziente, prima di cadere nello stato vegetativo permanente, manifestato in modo implicito o esplicito la volontà di non esser sottoposto a trattamenti medico-chirurgici che avessero il solo scopo di prolungare la vita umana.


    Nel caso di Terry era stata riconosciuta la sussistenza dello stato vegetativo permanente, sebbene la donna rispondesse a sollecitazioni, mediante il movimento degli arti superiori e degli occhi; era stata riconosciuta altresì la sussistenza del requisito della volontà, sulla base di prove testimoniali, e ciò sebbene la donna non avesse mai manifestato una simile volontà.


    Riconosciuta la sussistenza dei due requisiti, i giudici statunitensi avevano autorizzato la interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione.


    Gli stessi criteri sono stati adottati dai giudici italiani, nella citata sentenza della Corte di cassazione, sebbene non esista nel nostro ordinamento una norma che espressamente consenta l’autorizzazione alla interruzione di un trattamento di alimentazione e idratazione; men che mai esiste una norma che consenta ciò in seguito alla istanza di un soggetto diverso da quello che è sottoposto al trattamento.


    La Suprema Corte muove i propri passi dalla interpretazione del diritto alla salute, previsto dall’art.32 della Costituzione italiana, da intendersi come diritto alla scelta di cura: il Giudice di legittimità ritiene che l’alimentazione e la idratazione siano da considerare come trattamento medico-chirurgico di cura.


    Tale assunto non appare condivisibile, in quanto il trattamento di alimentazione e idratazione ha caratteristiche, fini ed effetti diversi rispetto alla attività medico-chirurgica di cura: l’alimentazione e l’idratazione, spesso definiti erroneamente artificiali, costituiscono un fatto fisiologico alla vita umana, e in ciò non hanno carattere di provvisorietà o di incertezza scientifica, ovvero effetti potenzialmente dannosi alla salute.


    E’ dunque fuori luogo la qualificazione del trattamento di alimentazione ed idratazione come attività medico-chirurgica di cura. E’ conseguentemente erroneo ritenere che il nostro ordinamento riconosca un diritto a rifiutare la alimentazione e la idratazione.


    Il secondo aspetto di particolare interesse attiene alla legittimazione di un terzo (rappresentante del soggetto incapace) ad adire gli organi giurisdizionali al fine di ottenere l’autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione ed idratazione del rappresentato.


    I principi generali del nostro ordinamento in tema di tutela delle persone incapaci, così come le norme di dettaglio affermano inequivocabilmente che il rappresentante debba agire solo ed esclusivamente nell’interesse del rappresentato: se il bene-vita è il valore che trova nel nostro ordinamento il massimo grado di tutela, non è dato comprendere a che titolo il rappresentante possa esser legittimato a richiedere un provvedimento autorizzatorio finalizzato al venir meno della vita umana.


    Sul punto il ragionamento della Corte di Cassazione appare contraddittorio e lacunoso: contraddittorio perché la Suprema Corte prima afferma che l’attività del rappresentante “deve essere orientata alla tutela del diritto alla vita”, e successivamente precisa, che “in casi estremi si può giungere ad una interruzione delle cure”; lacunoso perchè si lascia un ampio margine discrezionale nella qualificazione del concetto di “caso estremo”.


    Sul punto della legittimazione del terzo- legale rappresentante, la Corte di Cassazione ritiene che “in casi estremi” il miglior interesse per il rappresentato possa essere la autorizzazione alla interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione, sempre che si tenga conto della volontà implicitamente o espressamente manifestata dal rappresentato stesso. Per arrivare a conoscere la volontà del rappresentato si devono prendere in considerazione “la personalità, lo stile di vita ed i convincimenti espressi dalla persona”.


    Una simile impostazione da un lato mina le fondamenta del sistema di protezione delle persone incapaci, attribuendo tra l’altro margini non definiti nella individuazione dei “casi estremi”; d’altro canto si giunge a legittimare una artificiosa ricostruzione della volontà del rappresentato, senza tener conto del principio sancito dalla Costituzione Italiana della suprema dignità di ogni vita umana.

    --------

    *Avvocato del foro di Roma

    Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
    Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:17.
    Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com