Com'è stata giudicata la "Cathedra Petri" realizzata dal geniale artista nella basilica Vaticana

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S_Daniele
00giovedì 12 novembre 2009 18:37



Com'è stata giudicata la "Cathedra Petri" realizzata dal geniale artista nella basilica Vaticana

Quando la critica illuminista stroncava Bernini


Si conclude il 13 novembre nell'Aula del Sinodo in Vaticano il convegno internazionale "La basilica di San Pietro:  fortuna e immagine" curato da Vittorio Casale, Giovanni Morello e Sebastian Schütze. Pubblichiamo ampi stralci di una delle relazioni.

di Maria Antonia Nocco
Università di Roma Tre

Il carattere eccezionale della basilica Vaticana si manifesta particolarmente, al di là delle forme e delle dimensioni, attraverso le sue opere; tra esse vi è la Cattedra di San Pietro. L'atteggiamento e il modo di porsi nei confronti della singolare opera, del suo autore e di riflesso verso il momento storico teatro della sua origine, è il modus operandi adottato per la sua riscoperta o fortuna critica attraverso i secoli. Nelle testimonianze di retori, dignitari ecclesiastici, nobildonne, coinnesseurship e studiosi si registrano non solo simpatie, interessi e idiosincrasie ma altresì curiosità e stravaganze; dal gesuita Filippo Bonanni al conte Leopoldo Cicognara, da Filippo Baldinucci a Francesco Cancellieri, da Francesco Milizia a lady Sydney Morgan fino a giungere a Jacob Burckardt.

Nella commissione di teologi nominati dal Pontefice per verificare l'autenticità della sedia petrina figura anche Francesco Maria Febei che, in realtà, mostra di ignorare il monumento che pur tante preoccupazioni aveva suscitato nell'animo di Alessandro vii, il quale già dalle prime fasi di lavorazione, aveva espresso il desiderio di voler l'opera in bronzo e realizzata quanto prima, quod quanto cintius (sic) fiat ornamentum aeneum magnificentissimum come registrava l'economo della Fabbrica di San Pietro.
Dal disinteresse della corte pontificia al sarcasmo pungente che si registra tra i diplomatici di stanza o di passaggio a Roma; dall'analisi dei carteggi ufficiali conservati negli Archivi di Stato di Venezia, Torino, Firenze e Genova, pubblicati da Giacomo Gorrini, possiamo trarre il giudizio dei delegati presso la Santa Sede, più attenti a condannare gli sprechi economici del papato che non ad apprezzare i valori estetici delle opere realizzate.

Lontano da ogni apprezzamento anche il pensiero del teorico Francesco Milizia che, nel 1781, illustrando la Cattedra avrebbe - più di ogni altra cosa - considerato determinante il contributo di Andrea Sacchi; secondo l'episodio narrato da Lione Pascoli il pittore avrebbe suggerito a Bernini il rifacimento delle statue dei Dottori, risultati inadeguati dopo la prima prova in situ. Il critico settecentesco colora l'episodio di toni cabarettistici, per usare una locuzione dei nostri tempi; descrive Bernini come un pover'uomo che si reca a casa di Sacchi e lo implora di accompagnarlo a San Pietro per giudicare l'opera:  il pittore, "che era burbero non voleva prendersi questo incomodo; ma alle pressanti ed umili preghiere del Bernini finalmente condiscese, e così com'era per casa, in pianelle e in berrettino montò in carrozza".

Rivolgendo un accorato appello alla memoria del pittore della Divina Sapienza, Milizia avrebbe sentenziato:  "Omonimo mio, e non potevi dirgli che quelle erano statue di ballerine anziché di Papi?". È evidente che Milizia intendeva riferirsi al movimento ondeggiante e apparentemente instabile dei quattro Dottori della Chiesa. Le sue considerazioni rimandano a un contesto più ampio:  l'atteggiamento culturale e mentale che il XVIii secolo, con i "puristi dello stile" ostenterà nei confronti di Bernini, Borromini, Pietro da Cortona e tutto l'universo barocco in generale. Nonostante la dicotomia esistente tra arte barocca e Settecento razionalista o, se vogliamo, tra illuminismo "miliziano" e artificio berniniano, bisogna riconoscere che Milizia sia nella prima parte che a conclusione delle Memorie mostra di considerare, tutto sommato, favorevolmente l'opera. L'atteggiamento critico che si delinea tra le pagine di Milizia raggiungerà i toni di una vera e propria invettiva nel 1813, allorché il conte Leopoldo Cicognara pubblicava una monumentale Storia della scultura.

Per conoscere la sua presa di posizione sarebbe sufficiente soffermarsi sui sottotitoli di alcuni capitoli - in questo caso sul primo - che ci riportano immediatamente alla nostra ricerca:  "Osservazioni sulle cause principali della decadenza delle arti". Senza citare il destinatario egli inveisce contro gli scultori nel "voler trattare nei marmi i soggetti convenienti al pennello, e comporre, e panneggiare le figure nello stesso modo che appartiene di farlo al pittore". È certamente una accusa, anche se in modo indiretto, al pittoricismo plastico dell'arte berniniana e, per riflesso, anche alla Cattedra.
Nelle pagine successive del volume si accanirà proprio sull'opera berniniana considerando che ispira pessimo gusto, e che tanto nuoce alla maestà di quel santuario; per poi notare, in seguito, che è una delle opere meglio pensate "pel concetto, e peggio condotte pel gusto e l'esecuzione".

Al di là dell'evidente accusa vi è un elemento fondamentale in tale dichiarazione:  è probabilmente la prima volta, nella storia critica sulla Cattedra, che si considera molto importante il concetto che soggiace alla sua realizzazione. Di fatto, analizzando il testo di Cicognara si deduce come egli stesso ne travisi il senso immaginando il trono, come lo definisce, non realizzato per l'apostolo ma per situarvi il libro degli Evangeli. Solo in questo modo, secondo lo storico, sarebbe plausibile l'azione di non palese affaticamento dei quattro Dottori nel sostenere la Cattedra; una spiegazione che, ancora una volta, ci conferma la moltitudine di illazioni, interpretazioni e supposizioni errate che si sono susseguite nei secoli nel tentativo di far luce sul significato intrinseco dell'opera:  Bernini sarebbe "barbarico" perché ha osato far trasportare dai quattro gloriosi santi un modesto pescatore.

"Giganti, colossi, statue di ballerine, parti di un gigante in delirio" e ancora mostruosi "idoli neri e neri fantasmi" sono stati definiti, di volta in volta, i bronzei Dottori presi di mira anche da Cicognara che critica "le pieghe, che ingombrano così sconciamente quei colossi, crude, taglienti e senza alcuna sorta di naturalezza". Cicognara e i neoclassicisti in genere contro l'invasione di arabeschi, di volute, di colonne arzigogolate - di quello stile barocco che tanto smaniava alla ricerca di originalità e capriccio - proponevano l'aurea semplicità, il dolce riposo dei classicisti. Ma come abbiamo già accennato a proposito della crociata neoclassica di Milizia in chiave illuministica, osserviamo come si è sviluppato l'atteggiamento negativo del XVIii e in parte del xix secolo nei riguardi della Cattedra, di Bernini e, per estensione, del Barocco tout court. Ecco infatti gli eruditi archeologi settecenteschi che lanciano le loro scomuniche contro "i capitelli bisbetici, i cornicioni bastardi, infranti, a onde, a salti acutangolissimi, le colonne torse, panzute, ravvolte, ingarbugliate", contro "le volute, curve e cartocci dello stile il più grottesco che mai fosse impiegato dal momento che le arti deviarono dal buon sentiero" come tuonerà Cicognara in un altro dei suoi sermoni, sottolineando come più di ogni cosa, sia la forma della Cattedra che più offende l'occhio. Le opere di Bernini, Borromini e Pietro da Cortona vengono bollate come "peste del gusto".

Il fanatismo polemico dello storico settecentesco nascondeva, in realtà, altri obiettivi:  la sua intransigenza verso l'arte barocca era neppure tanto velatamente un j'accuse verso la politica pontificia simbolo di quell'ancien régime che il Settecento illuminista e lo storico, fautore di quelle istanze politico-sociali, tentavano di smantellare.
Ritornando alla Cattedra abbiamo visto come le critiche che Milizia muove verso la stessa non siano scevre da ingerenze politiche oltre che da fattori di gusto estetico. Ciò manifesta la stretta relazione che intercorre tra l'opera berniniana e la società, la cultura, la morale del XVIi secolo, e che pertanto un atteggiamento contrario a queste categorie diventa, di riflesso, condanna verso la Cattedra medesima. Senza dimenticare il programma iconografico sotteso:  quell'insieme di pensiero religioso, dogmatismo e politica papale che legano a sé la Cattedra attraverso un sottile e indissolubile cordone ombelicale.

I teorici neoclassici avevano in gran parte interpretato l'arte barocca come manifestazione anticlassica:  la colpa più grave che i nostalgici vagheggiatori settecenteschi del kalòs kài agathòs hanno imputato agli artisti barocchi e a Bernini in particolare, "sfrenatissimo corruttore dell'arte".
Summa di tutte le critiche e condanne antiberniniane è un manoscritto anonimo, rinvenuto da Stanislao Fraschetti e pubblicato da Giovanni Previtali, che potrebbe prefigurare o riassumere, secondo quest'ultimo, l'ostilità di Bellori se - invece di trascurare Bernini nelle Vite - avesse espresso esplicitamente il suo pensiero polemico. L'anonimo accusatore oltre a paragonare la statua di Costantino a una scimmia e il suo cavallo, troppo grande rispetto al cavaliere, a un cammello, non usa mezzi termini per definire l'altra opera vaticana di Gian Lorenzo "di quella cattedra scaricata, come peso insopportabile, su le spalle di que' Greci facchini, e per due ligaccie appoggiata su le dita di due Latini".
 
Dalla sua introduzione nell'involucro berniniano a oggi la Cattedra, custodia bronzea o falsa reliquia, ha attirato da sempre curiosità e ammirazione ma nelle testimonianze relative alle fonti antiche si è riscontrata l'assenza di figure femminili. Tra i resoconti moderni un'interessante rarità è data dalla presenza di lady Sydney Morgan,  nobildonna e intellettuale di origine irlandese  vissuta  a  cavallo tra XVIii e xix secolo.
Scrittrice di romanzi, di poesie e di una biografia su Salvator Rosa, la Morgan durante uno dei suoi soggiorni a Roma ebbe la fortuna di assistere alla festa della Cattedra di San Pietro nella Basilica Vaticana. Era il 18 gennaio 1820 e qualche anno più tardi, dalla descrizione che ne fa la nobildonna nel suo diario di viaggio, si diffonde una avvincente vicenda che coinvolge ecclesiastici e archeologi internazionali. La scrittrice sostiene che nel trono "sostenuto da quattro figure gigantesche" è custodita "la vera e rozza cattedra di legno, ossia la cattedra di Maometto, donata alla chiesa dai Crociati".

Dal feuilleton fantastico e romantico della nobildonna ottocentesca si passa al tono censorio e agli attacchi di Jacob Burckhardt che, con Il cicerone, fa ripiombare in pieno clima neoclassico. Lo storico svizzero aveva cominciato col rimproverare a Bernini l'atteggiamento "volgare" - e al tempo stesso "eroico" - delle figure maschili nonché la "grassezza molle" di quelle giovanili, combinata alla "disgraziata abitudine" della levigatura bollata come ripugnante.
"È questa l'opera più rozza del maestro:  esclusivamente decorazione ed improvvisazione. Avrebbe dovuto avere almeno la prudenza di non provocare il confronto (così spontaneo a causa della vicinanza) col monumento funebre di Urbano viii, con un lavoro suo di un periodo anteriore e tanto più serio di questo".



(©L'Osservatore Romano - 13 novembre 2009)
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