Dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

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S_Daniele
00domenica 17 gennaio 2010 07:34


Dal 18 al 25 gennaio la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Una testimonianza comune di fronte al mondo


di Eleuterio F. Fortino

I temi che di anno in anno vengono proposti per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani e i relativi sussidi sono il frutto di un processo di preparazione abbastanza lungo in collaborazione ecumenica a diversi livelli. Nel 1972 era stata fatta un'inchiesta da parte dell'allora Segretariato per l'Unità dei Cristiani e della Commissione fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese sulla pratica della preghiera per l'unità nel mondo. Da parte cattolica si erano consultate le commissioni ecumeniche delle conferenze episcopali nazionali e dei sinodi delle Chiese orientali cattoliche, e, da parte del Consiglio ecumenico, le Chiese aderenti nonché i consigli nazionali di Chiese. In base alle risposte ricevute si erano studiati i modi più adatti per promuovere meglio la divulgazione della preghiera per l'unità. Si era allora deciso - e quella decisione è tuttora in vigore - che per dare concretezza ai testi si sarebbe chiesto ogni anno a un gruppo ecumenico locale la proposta di un tema e di una bozza per i sussidi. Quindi un gruppo internazionale con rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio ecumenico delle Chiese avrebbe rielaborato il progetto conferendogli le caratteristiche necessarie per una divulgazione internazionale e interconfessionale. Il testo finale si sarebbe inviato alle Chiese locali, chiedendo a esse i necessari adattamenti in relazione alle varie situazioni e alle diverse tradizioni liturgiche.

Il tema per quest'anno è stato proposto da un gruppo ecumenico scozzese. La scelta è stata motivata dal fatto che ricorre il centenario della Conferenza missionaria tenutasi a Edimburgo nel 1910. In quella conferenza delle Società missionarie protestanti si era posto il problema della divisione dei cristiani nel contesto della missione. Come annunciare con efficacia che Cristo ci ha riconciliati se i cristiani si presentano divisi alle frontiere della Chiesa? A motivo di questo interrogativo, anche se non vi erano presenti né le Chiese ortodosse né la Chiesa cattolica, quella conferenza viene considerata nel contesto dell'avvio della moderna ricerca della piena comunione tra i cristiani. Solo due anni prima, nel 1908, il padre Paul Wattson aveva proposto l'ottavario della preghiera per l'unità dei cristiani. In sintonia con l'interrogativo della Conferenza di Edimburgo, il decreto del concilio Vaticano ii sull'ecumenismo ha affermato che la "divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (Unitatis redintegratio, 1). 

Questa convinzione ha spinto il gruppo ecumenico della Scozia a proporre la testimonianza comune del kérygma cristiano come tema per la preghiera per l'unità nel 2010. La testimonianza è annuncio vissuto.
Come testo biblico di base viene proposto l'intero capitolo 24 del Vangelo di san Luca, in cui vengono riportati gli episodi delle apparizioni di Cristo risorto, ai discepoli di Emmaus (1-35), a tutti i discepoli insieme (36-48) e l'ascensione di Gesù ai cieli (50-53). Il versetto centrale che dà il tema alla Settimana è:  "Di tutte queste cose mi siete testimoni" (Luca, 24, 48). Gesù richiede la testimonianza a tutti i discepoli che si trovano insieme.

Nell'episodio narrato, i discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore risorto, tornarono a Gerusalemme e trovarono gli undici riuniti con i loro compagni. I quali dissero:  "Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone" (Luca, 24, 33-34). Essi pure raccontarono come lo avevano incontrato e riconosciuto. Mentre parlavano di queste cose Gesù apparve a loro tutti insieme. I discepoli furono sbigottiti (èmphoboi) e pieni di esitante gioia (apistoùnton apò charàs). Gesù, per provare la sua presenza fisica, mangiò del pesce. Quindi fece loro un'anamnesi di quanto aveva predetto loro nel passato, quando era ancora con loro, quando diceva loro che bisognava che s'adempisse tutto quello che era stato scritto di lui. "Allora aprì le loro menti perché comprendessero le Scritture" (Luca, 24, 46). A questo scopo ricordò alcuni elementi essenziali di quanto doveva accadere e che costituirà in seguito, dopo gli eventi, il nucleo centrale dell'annuncio cristiano. In forma solenne e in una formulazione già molto elaborata Gesù menzionò l'evento della morte e della risurrezione e la proclamazione del perdono. Gesù disse loro:  "Così sta scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risuscitato dai morti il terzo giorno e che in suo nome sarebbe predicata la penitenza e la remissione dei peccati a tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme" (Luca, 24, 46-47).

Questi sono gli eventi dei quali renderanno testimonianza i discepoli in primo luogo e i credenti in Cristo poi in ogni tempo e in ogni luogo, tra tutte le genti (èis pànta tà èthne).
Al mandato dato ai discepoli di essere testimoni, "martiri di queste cose" (màrtyres toùton), testimoni con la parola e con la vita, alcuni fino all'effusione del sangue, si assicura anche la promessa di una potente assistenza dall'alto, l'assistenza della grazia:  "Ed ecco che io mando sopra di voi quello che il Padre mio ha promesso" (Luca, 24, 49). Egli illuminerà, fortificherà, darà consistenza alla parola che così diviene testimonianza di vita.

I discepoli di Emmaus a Gerusalemme "trovarono gli undici riuniti con i loro compagni" (Luca, 24, 33). E a essi così riuniti dà l'incarico di rendergli testimonianza "tra tutte le genti" (Luca, 24, 48). È nell'unità che vengono inviati a proclamare quanto hanno visto e sentito.

Il gruppo ecumenico della Scozia ha pensato di rinnovare ai cristiani d'oggi lo stesso invito. La situazione attuale è indebolita dalla divisione, ma anche in questa circostanza i cristiani sono chiamati a rendere oggi quella testimonianza comune che è loro possibile. Essa si fonda su quella fede comune non intaccata dalla divisione e sul desiderio di superare le divergenze ancora esistenti. Il concilio Vaticano ii ci ha ricordato i vincoli che permangono nonostante la divisione, in modo diversificato, tra le varie Chiese e comunità ecclesiali, e costituiscono la comunione parziale che ancora lega i cristiani. La costituzione dogmatica sulla Chiesa dichiara che con gli altri cristiani "la Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta" (Lumen gentium, 14). Tra le "ragioni" che congiungono i cristiani la costituzione indica innanzitutto la Sacra Scrittura come norma di fede, la fede in Dio Padre onnipotente e in Cristo, Figlio di Dio e Salvatore, il comune battesimo e altri sacramenti. La costituzione rileva:  "Molti fra loro hanno anche l'episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla Vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali, anzi una certa vera unione nello Spirito Santo" (ibidem).

Le relazioni fraterne e il dialogo teologico bilaterale hanno ampliato questa base di comunione, pur permanendo importanti divergenze. Così tra la Chiesa cattolica e gli altri cristiani v'è una vera comunione di fede, sebbene parziale. In questo contesto, è possibile una fondata testimonianza comune? Nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi Paolo vi (1975) aveva risposto lucidamente auspicando che "si collabori con maggiore impegno con i fratelli cristiani, basandoci sul fondamento del battesimo e sul patrimonio di fede che ci è comune, per rendere sin d'ora, nella stessa opera di evangelizzazione, una più larga testimonianza comune a Cristo di fronte al mondo" (n. 77). Si tratta di un argomento e di un'azione delicata, ma corrisponde al più autentico spirito ecumenico. Del resto già esplicitamente il concilio Vaticano ii aveva chiesto che lo spirito ecumenico sia favorito tra i neofiti. Il decreto Ad gentes aveva chiesto, in relazione all'evangelizzazione, la collaborazione fraterna con gli altri cristiani "esclusa ogni forma di indifferentismo e di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, attraverso una comune - per quanto possibile - professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti" (n. 15). Tale cooperazione può realizzarsi "tanto nel campo tecnico e sociale quanto in quello religioso e culturale" (ibidem).

In realtà nel centenario della Conferenza missionaria d'Edimburgo il tema della preghiera per l'unità ripropone così l'orientamento stesso della preghiera di Gesù per i suoi discepoli. Per essi chiede al Padre "che siano uno, affinché il mondo creda" (Giovanni, 17, 21). L'unità dei cristiani è aperta alla missione.
Il tema della Settimana viene proposto - proclamando l'intero capitolo 24 di Luca - nello schema di celebrazione liturgica, per coloro che usano fare un atto di culto comune di carattere più esteso e partecipato, per esempio tra tutte le Chiese e comunità ecclesiali presenti sul luogo, in una parrocchia, in una città, in una diocesi.

Il tema sarà proposto inoltre suddiviso in varie parti per ciascuno degli otto giorni.
Il sussidio pone la domanda:  come migliorare la testimonianza dei cristiani nel nostro tempo? E suggerisce una modalità per ciascun giorno:  lodando l'unico Dio che dà il dono della vita e della resurrezione (primo giorno); comprendendo come poter condividere la nostra storia di fede con gli altri (secondo giorno); riconoscendo che Dio opera continuamente nelle nostre vite (terzo giorno); rendendo grazie per la fede che abbiamo ricevuto (quarto giorno); proclamando la vittoria di Cristo su ogni sofferenza (quinto giorno); cercando di essere sempre più fedeli alla Parola di Dio (sesto giorno); crescendo nella fede, nella speranza, nell'amore (settimo giorno); offrendo ospitalità e sapendo riceverla a nostra volta (ottavo giorno).

Il sussidio esplicita la domanda:  la nostra testimonianza al Vangelo di Cristo non sarebbe forse più fedele se riuscissimo, in ciascuno di questi otto aspetti, a darla insieme?
I vari giorni trattano i diversi aspetti coinvolti nella tematica del testo biblico di base. La Settimana così potrà trasformarsi in una lectio divina di approfondimento della Parola di Dio e di preghiera per la ricomposizione dell'unità dei cristiani.


(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2010)
S_Daniele
00domenica 17 gennaio 2010 07:35
A colloquio con monsignor Juan Usma Gómez, capo ufficio del dicastero vaticano

Conoscenza e dialogo per costruire l'unità di tutti i cristiani


di Gianluca Biccini

Esperto conoscitore del movimento pentecostale, da pochi mesi monsignor Juan Usma Gómez è il nuovo capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Colombiano, dell'arcidiocesi di Medellín, lavora da quindici anni al dicastero ecumenico. In quest'intervista al nostro giornale, alla vigilia della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, parla del "cambiamento" in atto negli ultimi tempi nelle relazioni tra cattolici e pentecostali, che - avverte - "forse non trovano eco sufficiente nei mass media".

Da zero a seicento milioni di fedeli in appena un secolo. Il pentecostalismo costituisce una sfida enorme per la Chiesa cattolica.

Innanzitutto puntualizziamo che in questa cifra rientrano anche i cento milioni del Rinnovamento nello Spirito Santo e delle comunità carismatiche, che appartengono a pieno titolo alla Chiesa cattolica. Resta comunque il fatto che si tratta non solo di una crescita numerica, ma anche di una diffusione, di una presenza in quasi tutte le Chiese e comunità ecclesiali. È una realtà trasversale e la seconda entità cristiana nel mondo.

E come sono i rapporti con la Chiesa cattolica?

Dopo i dissidi degli anni passati siamo ora in una nuova fase, soprattutto nel Continente latinoamericano, dove la sfida si avverte in modo maggiore. È stato infatti nel maggio 2007 ad Aparecida che per la prima volta, tra gli osservatori alla quinta Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, è stato invitato un cristiano pentecostale:  il teologo cileno Juan Sepúlveda, della Iglesia Misión Pentecostal. Una scelta favorita anche dall'impegno ecumenico di Benedetto XVI, che durante la messa per l'assunzione del ministero petrino indicò come priorità del suo Pontificato l'unità dei cristiani, ricorrendo all'immagine evangelica della "rete" del pescatore che purtroppo "ora si è strappata". Lo hanno confermato gli stessi evangelici latinoamericani, il settantacinque per cento dei quali sono pentecostali. Proprio ad Aparecida nel loro intervento comune, lo stesso Sepúlveda, la presbiteriana cubana Ofelia Ortega, il battista colombiano Harold Segura, il metodista argentino Néstor Míguez e il luterano brasiliano Walter Altmann hanno affermato di sentirsi chiamati in causa dall'invito di Papa Ratzinger a fondare nella lettura e nella conoscenza della Parola di Dio il nuovo risveglio missionario di cui hanno bisogno l'America Latina e i Caraibi.

Un'attenzione, quella di Benedetto XVI, confermata anche dalla sua recente nomina a capo ufficio del dicastero per l'unità dei cristiani?

Lo spirito di apertura e al contempo di fermezza del Pontefice è stato molto esplicito già durante la visita in Brasile. Il Papa ha ricordato ad Aparecida che per realizzare la vocazione ecumenica in mezzo al crescente pluralismo religioso e in un ambiente non sempre favorevole, per i cattolici "vale sempre il principio dell'amore fraterno e della ricerca di comprensione e di avvicinamento reciproci; ma anche la difesa della fede del nostro popolo".

Ma chi sono i pentecostali?

Con questo termine ci si riferisce a tutte quelle realtà che sostengono di aver avuto la stessa esperienza spirituale della piccola comunità afroamericana di Azusa Street a Los Angeles nel 1906:  una "effusione dello Spirito Santo" analoga a quella descritta negli Atti degli Apostoli. Simili eventi si verificarono in seguito anche nel Kansas, nel Galles, in Svezia e in Cile. All'inizio si trattò di un movimento di rinnovamento del protestantesimo che cercando un ritorno alle comunità delle origini, dette vita a vere e proprie denominazioni nel senso protestante del termine:  i cosiddetti pentecostali classici (1912). Con il passare degli anni, l'esperienza pentecostale fa irruzione all'interno delle diverse tradizioni cristiane senza condurre a divisioni; si parla dunque di pentecostali denominazionali o carismatici, dal 1950. In tempi recenti, sono sorti gruppi che non hanno legami con i pentecostali classici, né appartengono a una specifica tradizione ecclesiale; questi sono descritti come pentecostali non denominazionali, dal 1980. Tra queste diverse "correnti" vi è una situazione di influenza reciproca e, a volte, di interazione.

Facciamo esempi concreti per conoscerli meglio?

Tra i classici ci sono le assemblee di Dio e la Chiesa quadrangolare. I secondi sono presenti in tutte le Chiese cristiane. Tra i non denominazionali, o neopentecostali, case di preghiera e congregazioni nascono ogni giorno ovunque. In Europa il fenomeno è più evidente nei Paesi scandinavi, in Inghilterra e in Germania. Dal punto di vista numerico i gruppi più consistenti sono in America Latina, ma da quello proporzionale, cioè in base all'incidenza percentuale sul totale, allora le statistiche indicano soprattutto l'Asia. Queste realtà fioriscono in società cristiane e si presentano come il "momento dopo", cioè successivo alla prima evangelizzazione, che di solito viene portata dalle Chiese tradizionali.

Con delle eccezioni...

Certo. In alcune zone dello Zimbabwe, per esempio, i missionari pentecostali sono giunti in villaggi sperduti prima degli altri, prima di noi cattolici.

Quali sfide ci attendono?

Alla presenza sempre più consistente di questi gruppi non corrisponde una conoscenza adeguata da parte dei cattolici. Per qualche tempo, il problema è stato sottovalutato dicendo che si trattava di minoranze non significative. Poi si è passati a un confronto aperto, a volte aspro, fatto di mancanza di rispetto, accuse di proselitismo, persecuzioni. C'è dunque un lungo cammino da percorrere, poiché ancora oggi sembrano prevalere animosità e competizione, specie nel campo missionario. Non abbiamo superato le accuse reciproche. I sentimenti anticattolici e antievangelici sono all'ordine del giorno e i presupposti per le relazioni fraterne si dimostrano deboli dal punto di vista della mutua percezione, che continua a essere influenzata dai pregiudizi e dalla non conoscenza. Basti pensare che ancora oggi i pentecostali vengono indiscriminatamente considerati una setta.

Ma la situazione non presenta solo punti negativi?

Lentamente stiamo assistendo a un avvicinamento reciproco a vari livelli. La convivenza quotidiana ha fatto sì che si stabilissero relazioni di vicinanza e di fraternità che attenuano le differenze confessionali:  il condividere la stessa spiritualità pentecostale ha fatto in modo che si realizzassero sempre più frequenti atti di preghiera comune fra pentecostali e carismatici cattolici; situazioni sociali e catastrofi naturali hanno imposto di collaborare; studi secondari e universitari in centri cattolici hanno mitigato gli atteggiamenti negativi; e la partecipazione sempre più massiccia di teologi a simposi ecumenici internazionali ha portato a iniziative simili anche a livello nazionale e regionale.

Del resto in una società sempre più secolarizzata l'unione fa la forza.

Non tutto è stato frutto di costrizioni o conseguenza di effetti esterni. Ci sono stati gesti consapevoli di alto livello, che hanno mirato a migliorare lo stato delle cose. Bisogna riflettere anche su ciò che il rapporto con i pentecostali sta cambiando nella nostra identità cattolica. Compito urgente per coloro che si dedicano alla pastorale e per tutti i battezzati è riscoprire i nostri tesori.

Come entrare in dialogo?

Ci troviamo a un crocevia. Le cause sono diverse. Nella coscienza e nella percezione di molti cattolici il mandato missionario sembra entrare in collisione con quello dell'unità. Sembra quasi che i missionari escludano la vocazione ecumenica e che quanti si dedicano a promuovere l'unità rinuncino ad annunciare il Vangelo o lo presentino senza tener conto della propria tradizione. Ciò riguarda anche i nostri interlocutori poiché molti hanno lasciato la Chiesa cattolica e la maggior parte di essi nutre riserve e diffidenza verso di essa. Non meno complessi sono i sentimenti di alcuni cattolici che, consapevoli della ricchezza della loro fede, rifiutano per principio un confronto sincero, considerandolo inutile. Alla base di tali atteggiamenti ci sono complessi di superiorità o d'inferiorità, che difficilmente si conciliano con il clima di dialogo del Vaticano ii. D'altra parte, le motivazioni per un'apertura sono a loro volta discutibili poiché, accanto a un indebolimento progressivo delle frontiere confessionali, negli ultimi anni nelle società sta riscuotendo un consenso sempre maggiore l'opinione secondo la quale la religione si deve limitare alla sfera del privato e del benessere individuale. Di conseguenza si tende a pensare che la questione religiosa in generale e la divisione dei cristiani in particolare si possano risolvere per dissoluzione, rivestendole di "egualitarismo":  "tutte le religioni sono uguali", "ognuno crede in ciò che vuole", "ognuno può prendere da ogni tradizione quello che gli conviene o di cui ha bisogno".

Quali sono gli aspetti principali del modello proposto da loro?

La fede personale, la conversione individuale esplicita, l'esperienza vissuta, lo zelo apostolico, il fortissimo senso di appartenenza alla congregazione. Più che un sistema dottrinale, i pentecostali offrono un'esperienza spirituale. A tutto questo si deve anche aggiungere una grande adattabilità che permette loro di adottare diverse forme a seconda della cultura in cui si muovono.

Quali sono gli ostacoli nel rapporto con i cattolici?

I pentecostali vedono la loro esperienza come l'unica prodotta direttamente da Dio. Perciò, non sono disposti a riconoscere ad altri la stessa importanza. Secondo loro, la pienezza si raggiunge con il Battesimo nello Spirito. Quindi la differenziazione tra cristiani e pentecostali dipende dal possedere o meno lo Spirito in modo pieno, cioè secondo quanto viene descritto, con le stesse manifestazioni e modalità di Pentecoste, nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. Il pentecostale è un nuovo soggetto religioso che sta plasmando una nuova cultura religiosa, anche se un pentecostale tipico normalmente non ne parla in modo esplicito, ma preferisce sottolineare il successo della sua opera missionaria che si traduce in "nuovi modelli di comportamento" dettati dai canoni biblici che, a loro volta, influenzano l'ordine sociale.
Problematico può essere considerato anche un altro fenomeno riguardante l'impatto che il pentecostalismo ha sulla realtà con la quale viene a contatto. Conosciamo comunità evangeliche e protestanti che, pur conservando il loro nome, mantengono ben poco della tradizione ecclesiale originaria dopo aver adottato la forma pentecostale; e altre che si sono divise in due o più fazioni opposte, una fedele alla tradizione d'origine, l'altra che predilige lo stile pentecostale, il quale "diluisce" spesso la tradizione precedente. Anche se non si può scordare l'altra faccia della medaglia, ovvero un influsso da parte delle diverse tradizioni delle Chiese storiche sul pentecostalismo.

Cosa possono insegnarci i pentecostali?

Tra gli aspetti positivi dei cambiamenti intervenuti nel mondo cristiano dalla comparsa del pentecostalismo ci sono il ruolo centrale dello Spirito Santo, il fatto che la conversione personale a Gesù sia richiesta in modo esplicito e continuativo durante tutta la vita, l'enfasi posta sulla preghiera e sul suo potere, la riscoperta dei carismi e dei doni spirituali come realtà operanti nell'esistenza di ogni credente. Essi possono aiutarci a rafforzare la nostra identità.

E dal punto di vista escatologico?

Un pentecostale vive nell'imminenza della seconda venuta del Signore, giudice giusto, e per questo motivo cerca di condurre tutti a Cristo, poiché tutti saranno giudicati colpevoli dell'incredulità dei propri vicini al momento del giudizio. Anche i cattolici professano di credere nella seconda venuta, ma talvolta smarriscono il senso dell'imminenza e la consapevolezza della loro responsabilità per la mancanza di fede di quanti li circondano:  ritengono la missione responsabilità di pochi.

Questo ha a che fare con la missione dell'evangelizzazione?

Un pentecostale deve essere membro attivo della sua congregazione. Mentre una parte dei cattolici vive in modo anonimo tale appartenenza. Questa può essere una provocazione salutare, perché ci spinge a domandarci:  può esistere una Chiesa cattolica dove la buona novella non è proclamata ogni giorno? È possibile nascondere Gesù e impedire di ascoltare la sua voce? Si tratta di un problema metodologico o abbiamo due Vangeli diversi, due Cristi diversi?

Come prosegue il cammino di riavvicinamento?

Il dialogo internazionale cattolico pentecostale, iniziato nel 1972 e giunto alla sua quinta fase, ha finora concentrato le discussioni intorno al divenire cristiano e lo ha fatto servendosi delle testimonianze bibliche e patristiche. Il rapporto On becoming a christian:  insights from Scripture and the Patristic writings. With some contemporary reflections, che illustra le relazioni sulla quinta fase del dialogo tra alcune chiese pentecostali classiche e leader della Chiesa cattolica dal 1998 al 2006, è una novità assoluta perché per la prima volta cattolici e pentecostali hanno studiato insieme i Padri della Chiesa, citandoli ampiamente nel documento.

E con i non denominazionali?

Accogliendo una loro richiesta e dopo un processo di preparazione di vari anni, il dicastero per l'unità dei cristiani ha tenuto delle conversazioni preliminari con un gruppo di leader nell'aprile 2008.

Dunque si può essere ottimisti per il futuro?

Le critiche rivolte ai cattolici non sono un'esclusiva dei pentecostali. Altri evangelici hanno una percezione simile nei nostri confronti. Ecco perché da un lato bisogna intervenire sulle ragioni che sono alla base del cambiamento di affiliazione tra i cattolici e dall'altro essere pronti a condividere con gli altri cristiani le nostre convinzioni ed esperienze di fede, la nostra tradizione, la nostra spiritualità e la diversità devozionale. Solo così possiamo parlare veramente di conoscenza reciproca, di dialogo, di collaborazione e di preghiera comune.


(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2010)
S_Daniele
00giovedì 21 gennaio 2010 19:20
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Settimana di preghiera per l'unità. Il dialogo con gli ortodossi: intervista con padre Milan Zust

L’importanza di testimoniare la fede è al centro del quarto giorno di riflessione nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Un appuntamento, giunto ormai alla 82.ma edizione, quest’anno ispirato proprio ad una frase del Vangelo di Luca: "Di questo voi siete testimoni". Sul dialogo col mondo ortodosso, Philippa Hitchen ha intervistato padre Milan Zust del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani:


R. – Anche gli ortodossi pregano per l’unità della Chiesa in ogni loro preghiera liturgica. Inoltre, gli ortodossi sono spesso presenti alle celebrazioni programmate nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e a volte sono loro stessi che le organizzano. In alcune parti della Romania, per esempio, gli eventi sono organizzati insieme alle altre confessioni e la stessa cosa accade anche in alcuni Paesi del Medio Oriente. Comunque bisogna tenere conto del fatto che la situazione nelle Chiese ortodosse è molto diversa da quella delle Chiese e comunità occidentali.

D. – In che consiste questa diversità?

R. - In genere, non possono partecipare attivamente alle preghiere ma possono essere presenti. Spesso la nostra gente si meraviglia per questo ma bisogna ricordare che anche nella Chiesa cattolica non era permesso pregare con i membri di altre confessioni prima del Concilio Vaticano II, che poi ha promosso la preghiera comune. Gli ortodossi, invece, non hanno ancora avuto un evento come lo è stato per noi il Concilio e per questo possiamo essere riconoscenti per gli sforzi che già si stanno compiendo.

D. – Un anno fa, l’elezione a Mosca del Patriarca Kirill ha suscitato la speranza di un’apertura verso le altre Chiese da parte della Chiesa ortodossa russa. Ci sono stati dei cambiamenti nei rapporti?

R. – I rapporti con la Chiesa ortodossa russa continuano a migliorare, grazie all’impegno di tutte e due le parti, soprattutto grazie agli incontri a diversi livelli che si stanno moltiplicando sia in Russia sia in Occidente. Purtroppo, rimangono ancora tesi i rapporti in Ucraina, dove la situazione ecclesiale è molto più complessa. Ma anche là si notano i progressi e si spera che le difficoltà possano essere superate con il tempo.

D. – E’ prevista, nei prossimi mesi, una visita del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I a Mosca. Quanto può influire sui rapporti con la Chiesa cattolica, una migliore intesa e il superamento di problemi tra le varie Chiese ortodosse?

R. – Questo migliore rapporto tra Patriarcato Ecumenico e Patriarcato di Mosca ci rallegra; vediamo sempre di più segni positivi e si spera che alcuni conflitti ancora esistenti possano essere superati. Senza dubbio questo contribuisce anche ai rapporti tra la Chiesa cattolica e gli ortodossi. Un esempio concreto è che i rappresentanti del Patriarcato di Mosca sono tornati al dialogo teologico della Chiesa ortodossa nel suo insieme con la Chiesa cattolica, dopo le difficoltà a Ravenna nel 2007, quando lasciarono il tavolo del dialogo a causa di un conflitto con Costantinopoli.

D. – Fra poco ci sarà l’elezione del nuovo Patriarca ortodosso della Chiesa serba che prenderà il posto del defunto Patriarca Pavle. Quali sono i rapporti della Chiesa cattolica con questa Chiesa?

R. – La Chiesa cattolica ha buoni rapporti con la Chiesa ortodossa serba. E’ vero che a livello locale, soprattutto in Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, esistono ancora tensioni per le ferite provocate da conflitti nazionali sia nella storia lontana che recente. Ma con l’aiuto di Dio e il reciproco impegno si cerca di superare ciò che ancora è di ostacolo e pian piano si sta riacquistando la fiducia reciproca. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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S_Daniele
00sabato 23 gennaio 2010 06:39


Il primate anglicano Rowan Williams: l'unità dei cristiani nasce da una visione pienamente universale della Chiesa

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2010 è giunta al suo quinto giorno di celebrazioni, sul tema tratto dal Vangelo di Luca “Di questo voi siete testimoni”. Quello dell’unità - afferma il primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams - è un obiettivo da perseguire con una "visione universale" di fede ma anche “senza ansia”, così come testimoniarono nell’ultimo secolo molte personalità di varie confessioni cristiane. Le considerazioni del primate anglicano sono state raccolte dalla collega della nostra redazione inglese, Philippa Hitchen:

R. – Celebrations, I think, are rather muted because there is …

Il clima delle celebrazioni è un po’ sottotono perché ci si è resi conto che le speranze di 100 anni fa erano poco realistiche: alcuni avevano mirato molto in alto, con grandi aspettative, sottovalutando – a mio avviso – il livello della complessità teologica da affrontare per raggiungere una più profonda unità. Allo stesso tempo, è importante sapere che ci sono persone che hanno questa visione coraggiosa: “sì, si può fare - affermavano - e non dobbiamo lasciarci intimorire dalle difficoltà”. Ci sono state persone che pensavano in questo modo, che avevano una visione autenticamente universale della Chiesa: credo che questo "modello" sia quello più interessante. La tentazione oggi è pensare che l’unità sia troppo difficile da raggiungere e che dobbiamo accontentarci di espressioni locali di cristianità che facciano del loro meglio nel loro piccolo contesto: è paradossale arrivare a questa conclusione proprio nell’epoca della società globale e senza frontiere. Noi non vogliamo rassegnarci ad un’espressione locale di cristianità, ma vogliamo ricordare che esiste una visione universale, sì, "cattolica", a cui mirare.

D. – In questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, lei parlerà nella cattedrale di Westminster, a Londra, in onore di Mary Ward, una religiosa cattolica britannica, vissuta tra il 1500 e il 1600, fondatrice di una Congregazione legata alla spiritualità di Sant'Ignazio di Loyola…

R. – It must be a matter of personal friendships with…

E’ soprattutto dovuto all’amicizia personale con alcune persone di questa Congregazione, ma anche per rimarcare il fatto che in un’epoca in cui tanta gente si limitava ad una semplice difesa della Chiesa, c’era chi voleva una vita cristiana radicalmente nuova, seria e disciplinata, caratterizzata dalla visione gesuita, e al tempo stesso, estremamente flessibile, come appunto i gesuiti volevano essere, in particolare nel campo educativo. Così, in un’epoca di pressione e di crisi, con mille ragioni per avere paura, ecco una visuale di chi non è condizionato dall’ansia: credo che sia un messaggio positivo sul quale riflettere. E devo dire che l’opera svolta dalla Compagnia di Gesù per incoraggiare il dialogo, in particolare negli ultimi 30 anni, è stata straordinaria. Penso alle riflessioni di padre Arrupe ad Hiroshima, quando fu sganciata la bomba atomica. Queste riflessioni creano in te un punto di riferimento, vedi che si tratta di riflessioni "cristiane", non specificamente della Compagnia di Gesù o della Chiesa cattolica, ma di riflessioni che chiunque può fare proprie ed imparare da esse.

© Copyright Radio Vaticana
S_Daniele
00lunedì 25 gennaio 2010 20:34
Intervista al vescovo Brian Farrell

Per l'unità di due miliardi di cristiani


di Marta Lago

Due miliardi di cristiani. Ognuno con la sua parte di responsabilità nella costruzione dell'unità. Un'unità voluta da Cristo, nel quale tutti credono. Ecumenismo è una parola che s'identifica con difficoltà e sforzi, ma anche con la speranza della preghiera fiduciosa alla quale da un secolo ogni anno è dedicata una Settimana. Appuntamento ineludibile di preghiera condivisa e di conversione, perché l'unità è un dono di Dio che deve trovare cuori ben disposti. E perché da essa dipende l'impulso missionario. Un lavoro instancabile che, nella Chiesa cattolica, è promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, come spiega il suo segretario, il vescovo Brian Farrell, in questa intervista.

Qual è stata l'efficacia - se si può parlare in questi termini - della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani nel corso della sua storia?

La Settimana è da oltre un secolo un susseguirsi di sforzi; due anni fa abbiamo celebrato il centenario della Settimana di preghiera, che fu ideata da padre Paul Wattson, cofondatore della "Society of the Atonement" - anglicani che passarono al cattolicesimo. Con il sostegno di Leone xiii, l'ottavario assunse un ruolo importante nella Chiesa cattolica. Successivamente, con altri gruppi protestanti che già seguivano un'iniziativa simile per proprio conto, si decise che tale Settimana fosse preparata ogni anno in collaborazione con questo dicastero, in rappresentanza della Chiesa cattolica, e della Commissione fede e costituzione del Consiglio mondiale delle Chiese. Si pianifica annualmente in un Paese. Quest'anno è stata scelta la Scozia, dove cristiani di diverse Chiese hanno partecipato alla preparazione del suo testo base. Qui si celebrò la famosa Conferenza missionaria del 1910 nella quale più di 1.200 delegati di organizzazioni protestanti missionarie si chiesero:  come possiamo essere più efficaci nella missione visto che siamo divisi e per questo diamo scandalo come cristiani? Nacque un movimento spirituale-teologico di riflessione sul problema della divisione fra cristiani che portò, nel 1948, alla fondazione del Consiglio mondiale delle Chiese. Né ortodossi né cattolici erano presenti nel 1910 a Edimburgo. Attraverso il concilio Vaticano ii, la Chiesa cattolica entrò formalmente in questo movimento ecumenico. Oltre al suddetto centenario, quest'anno celebreremo i cinquant'anni di questo Consiglio pontificio incaricato di promuovere l'unità dei cristiani.

Come vi state preparando a queste "nozze d'oro"?

Pensiamo di celebrare il cinquantenario a novembre, in coincidenza con la nostra plenaria, per rendere grazie a Dio per quanto si è ottenuto - che è moltissimo - in questi cinque decenni nella Chiesa cattolica per far avvicinare il giorno della piena unità dei cristiani. Prevediamo inoltre un evento accademico per ricordare i motivi che diedero origini a questo "Segretariato" - così si chiamava allora - istituito da Giovanni xxiii alla vigilia del concilio Ecumenico Vaticano ii e che da allora ha avuto come guida i cardinali presidenti Bea, Willebrands, Cassidy e ora Kasper. Cinquant'anni dopo, andiamo avanti con un enorme lavoro consistente in dialoghi, contatti, delegazioni, visite reciproche e studi, per cercare di passare dalla comunione incompleta fra cristiani alla comunione completa che vuole il Signore.

È realistico affermare oggi che il cammino ecumenico può contare su più speranze che ostacoli?

Ritengo che abbiamo una consapevolezza più profonda della preghiera del Signore quando nell'ultima cena chiede al Padre che "tutti siano una cosa sola perché il mondo creda". Noi cristiani siamo oggi maggiormente convinti che la missione sia essenzialmente legata alla testimonianza dell'unità. Allo stesso modo, siamo più consapevoli del fatto che il mandato ricevuto dalla Chiesa di predicare il Vangelo a tutte le nazioni sarà sempre vittima di questa divisione, poiché non parliamo con una sola voce. Finché ciò accadrà, la missione sarà indebolita.

Quest'anno il nucleo della Settimana è stato la testimonianza. Ma, prima d'essere testimoni, è necessaria un'esperienza d'incontro con Cristo. Non crede che bisognerebbe sottolineare maggiormente questo aspetto?

Di fatto, la Settimana è "di preghiera e di conversione". Conversione a Cristo. I discepoli, in cammino verso Emmaus, avevano bisogno dell'esperienza di Cristo risorto. E ciò li trasformò in messaggeri, in testimoni. Certamente anche oggi abbiamo un enorme bisogno, noi cattolici e tutti i cristiani, di un rinnovamento della nostra fede, di un'esperienza viva della presenza di Cristo risorto, dell'opera dello Spirito Santo che anima la missione.

In alcuni ambiti si potrebbe percepire la promozione dell'unità dei cristiani come un mero obiettivo per unire le forze.

L'unità dei cristiani non si basa su accordi o strategie, né sarà il frutto del conseguimento di un'intesa teologica migliore. L'unità dei cristiani è unità in Cristo, e quindi un dono della grazia. È la partecipazione ai doni che Cristo dà, attraverso il battesimo, a tutti i cristiani.

Come può un semplice fedele cattolico assumersi la propria responsabilità ecumenica?

In primo luogo partecipando alla grande preghiera per l'unità dei cristiani, soprattutto nella Settimana a essa dedicata. Ma dovrebbe anche riflettere sul suo atteggiamento verso gli altri:  se è aperto, se desidera conoscerli, se negli incontri viene riconosciuto, per il suo esempio, come un vero cristiano.

Quali  sono  i  rischi  del  cammino  ecumenico?

Il più grande è la rassegnazione. Il cammino ecumenico è lungo e complesso. Ed è facile che la prospettiva di una meta non ancora raggiunta susciti una certa frustrazione. Specialmente nella Chiesa cattolica, le speranze ecumeniche  attorno  al  concilio  Vaticano ii erano molto vive. Ora, a distanza di cinquant'anni, sappiamo che resta molto da fare, sia teologicamente sia nella purificazione interiore degli atteggiamenti. Sono necessarie pazienza e forza spirituale per perseverare.

Quali altre ripercussioni ha la Settimana "di preghiera e di conversione" per l'unità dei cristiani?

Si concretizza come incontro. La Settimana offre l'opportunità di molti momenti di preghiera e di riflessione, di lettura comune della Bibbia fra cristiani di diverse confessioni, e questo è sempre positivo. Reca frutti al di là di quanto si percepisce nell'immediato.

Settimana che si conclude con i secondi Vespri della solennità della conversione dell'Apostolo delle genti, che il Papa presiede nella basilica di San Paolo fuori le Mura.

Senza dimenticare che questa Settimana si celebra in tutte le diocesi del mondo. Lo stesso fa la diocesi di Roma. E la presenza del suo vescovo è già una grande tradizione nella conclusione della Settimana.

Alla celebrazione normalmente partecipano anche le altre comunità cristiane di Roma.

Sì, quest'anno è prevista la partecipazione del metropolita Gennadios di Venezia, rappresentante ortodosso del Patriarcato ecumenico, e di molti sacerdoti e studenti ortodossi; da parte anglicana, il rappresentante dell'arcivescovo di Canterbury, che è il direttore del centro anglicano di Roma, il canonico Richardson; il pastore luterano Milkau; il rappresentante della Chiesa apostolica armena, l'archimandrita Aren Shahinian e molti altri.

Celebrazione per la diocesi di Roma, ma con una portata universale. Piena di gesti che trasmettono a volte più delle parole.

A iniziare dalla partecipazione stessa di questi rappresentanti cristiani. La preghiera conclusiva di ogni salmo viene letta dal metropolita Gennadios, dal canonico Richardson e da Benedetto XVI; le letture da altri rappresentanti cristiani e le intercessioni da cattolici, ortodossi e altri membri delle comunità cristiane.

Possiamo definire San Paolo fuori le Mura come l'epicentro dell'ecumenismo?

Sì. Anche perché Giovanni Paolo ii approvò un nuovo statuto per la basilica nel quale definì chiaramente il suo carattere ecumenico. È un luogo fondamentale perché accoglie la tomba del grande apostolo e teologo dell'unità del Corpo mistico di Cristo e quindi di una figura che attrae tutti i cristiani.

Qual è la testimonianza comune che possono dare due miliardi di cristiani?

Viviamo in una società sempre più secolarizzata:  ci si dimentica della presenza di Dio. Noi cristiani possiamo contare sui fondamenti della nostra fede comune, sulla stessa dottrina trinitaria, cristologica. Dobbiamo quindi rendere testimonianza della nostra fede in Dio e possiamo inoltre collaborare alla promozione di moltissimi valori evangelici, come la dignità della persona, i diritti umani e il rispetto per la famiglia. Certamente oggi dobbiamo affrontare nuove questioni etiche sulle quali i cristiani divergono; su questo punto dobbiamo continuare a dialogare e a ricercare il significato più profondo del messaggio evangelico per superare queste nuove divergenze.

Qual è l'orizzonte attuale del lavoro del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani?

Si orienta sempre a creare nuovi rapporti con tutti i cristiani, Chiese e comunità. È un'opera di dialogo, di contatto, d'incontro personale che si realizza in numerosissimi forum internazionali. Una parte importantissima del lavoro del dicastero consiste nell'organizzazione e nel proseguimento dei dialoghi teologici. In questo momento sono in corso quindici dialoghi formali con diverse Chiese o Comunioni mondiali. Bisogna sottolineare che la promozione dell'unità dei cristiani passa attraverso l'animazione ecumenica all'interno della stessa Chiesa cattolica, poiché esiste il rischio di dimenticare che non possiamo vivere nell'autosufficienza. La Chiesa cattolica ha una responsabilità particolare, non solo perché è la più numerosa, ma anche perché al centro del suo ministero e della testimonianza del Successore di Pietro c'è la ricerca dell'unità.

E Benedetto XVI ha fatto dell'ecumenismo uno dei punti forti del suo pontificato.

Certamente. Come tutti i Papi dal concilio Vaticano ii. Benedetto XVI ha un interesse particolare perché già quando era giovane sacerdote, partecipava formalmente ai dialoghi, in Germania con i luterani, a livello internazionale con gli ortodossi. Conosce la materia a fondo e quindi collabora personalmente alla promozione di tali dialoghi.

Può suggerire una parola di incoraggiamento per l'itinerario ecumenico?

Non c'è motivo di dubitare del cammino che stiamo seguendo. In cinquant'anni le cose sono radicalmente migliorate. Dalla carenza di contatti con gli altri cristiani e l'inesistente partecipazione alle grandi riunioni ecumeniche siamo passati attualmente a una forte presenza della Chiesa cattolica in tutti gli incontri. Abbiamo percorso già un lungo tratto del cammino. Ancor meno ci sono motivi per pensare che lo Spirito Santo smetterà di infondere nella Chiesa la luce e la forza per raggiungere poco a poco nuove mete in questo lungo tragitto.

Torniamo al punto di partenza di questa Settimana, Edimburgo.

A giugno vi si celebrerà il centenario di questa celebre Conferenza missionaria. È importante sottolineare, perché forse pochi lo sanno, che da vari anni la Chiesa cattolica, in diverse parti del mondo, attraverso facoltà teologiche, seminari o università, sta partecipando a un grande processo di studio sul rapporto fra ecumenismo e missione. L'appuntamento di giugno a Edimburgo sarà prima di tutto un'occasione per avvicinare tutti questi studi e offrire un contributo efficace alla coscienza missionaria di tutti i cristiani. A Edimburgo ci saranno momenti di studio e altri di celebrazione liturgica e vi giungeranno delegati di tutto il mondo in rappresentanza delle Chiese e delle comunità cristiane. Noi cattolici vi parteciperemo con una delegazione composta da dodici membri, di vari Paesi e della stessa Chiesa in Scozia. Vi parteciperanno anche esponenti del suddetto processo di studio per presentare i frutti di tale sforzo. E speriamo che i cattolici saranno in molti a interessarsi a tutto ciò.


(©L'Osservatore Romano - 25-26 gennaio 2010)
S_Daniele
00domenica 31 gennaio 2010 06:05
Un bilancio delle iniziative tenutesi
nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

Il mosaico dell'ecumenismo in Italia


di Riccardo Burigana
Direttore del Centro per l'ecumenismo in Italia

Aprendo, lunedì 25 gennaio, il consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale presidente, Angelo Bagnasco, nella sua prolusione ha parlato dell'unità della Chiesa, con un esplicito riferimento al centesimo anniversario della Conferenza missionaria di Edimburgo "che non poco avrebbe contribuito a diffondere l'ansia per l'unità quale aspirazione indispensabile a rendere credibile nel mondo d'oggi l'annuncio evangelico". Proprio il richiamo alla Conferenza di Edimburgo ha costituito uno degli elementi essenziali della celebrazione in Italia della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (18-25 gennaio). Non si è trattato semplicemente di ricordare un evento che ha segnato in modo profondo il movimento ecumenico del XX secolo, quanto piuttosto di promuovere una riflessione sul significato del rapporto tra missione e unità per aprire nuovi orizzonti alla comune testimonianza dei cristiani nel mondo.

In molti incontri, a vario livello, dal convegno di Padova del 16 gennaio alla conferenza pubblica a Piacenza il 21 gennaio, la memoria della Conferenza di Edimburgo è stata presente, ma sarebbe anche fortemente riduttivo valutare le ricchezze della celebrazione della Settimana solo alla luce di questo elemento, che pure ha assunto un rilievo del tutto particolare anche in rapporto alla scelta, operata concordemente dal Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani e dal Consiglio ecumenico delle Chiese, d'affidare alle Chiese e alle comunità cristiane della Scozia la redazione del sussidio per la Settimana di preghiera.

In Italia, ancora una volta, la Settimana è stato il momento nel quale le molteplici anime del dialogo ecumenico si sono confrontate offrendo un quadro assai articolato, nel quale forte rimane la spinta alla ricerca di forme con le quali superare lo scandalo della divisione e promuovere l'accoglienza d'uomini e donne alla ricerca di un rifugio. Un primo elemento che emerge dall'analisi delle iniziative locali è un vasto desiderio di conoscere sempre meglio la pluralità delle tradizioni cristiane attualmente presenti in Italia; certamente esso non costituisce un elemento di novità, poiché si tratta di un desiderio che sta dentro la storia del movimento ecumenico, ma che ha assunto nuove forme proprio in questi ultimi anni, quando, anche in Italia, si è assistito all'emergere di nuove comunità cristiane, frutto in gran parte dell'immigrazione, e all'allargarsi dei soggetti coinvolti nel dialogo ecumenico. Per questo, ad Ancona, a Firenze, a Venezia e a Vicenza - solo per citare quattro tra i molti casi - sono stati promossi incontri "di preghiera e di amicizia"; talvolta questi incontri sono stati ospitati da comunità del mondo pentecostale, aprendo così nuove prospettive al dialogo ecumenico. Infatti, pur trattandosi ancora di un fenomeno minoritario e circoscritto geograficamente, sono stati coinvolti uomini e donne che fino a qualche anno fa facevano fatica anche solo a riconoscersi reciprocamente fratelli e sorelle in Cristo.

Sempre sul piano della ricerca di forme per favorire la conoscenza si pone l'esperienza dello "scambio di ambone"; si tratta di una prassi ecumenica, in alcuni luoghi consolidata, come nel caso dell'arcidiocesi di Torino, che da anni ne fa l'elemento centrale della Settimana con il coinvolgimento di decine di comunità, mentre in altri contesti è stata sperimentata solo di recente. Proprio intorno alla Sacra Scrittura, con la lettura ecumenica della Parola di Dio, si è voluto testimoniare la profondità del cammino dei cristiani sulla strada dell'unità visibile della Chiesa, pur non tacendo le difficoltà ancora esistenti. Proprio per questo si sono moltiplicati, da Bari a Bolzano, da Bergamo a Brindisi, le liturgie nelle quali il vescovo diocesano e i rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane locali hanno pregato insieme riaffermando la centralità dell'impegno ecumenico per una comune testimonianza cristiana.

In molti casi si è trattato di preghiere ecumeniche che si collocano all'interno di un percorso, ormai pluridecennale, di dialogo e d'amicizia tra cristiani, che ha però assunto un significato nuovo per il mutare delle presenze cristiane in Italia e per la costante opera di Benedetto XVI in favore dell'unità della Chiesa. Infatti, diffuso è stato il richiamo alla salvaguardia del creato e alla pace, così come è stata riaffermata, in vari contesti, la denuncia delle povertà materiali e spirituali del mondo che i cristiani non possono accettare proprio per non tradire la missione che dal Signore è stata affidata all'unica Chiesa. Di fronte, per esempio, al dramma del terremoto di Haiti, in alcuni casi, s'è deciso di promuovere una raccolta ecumenica a favore della popolazione dell'isola caraibica proprio per testimoniare l'unità nella carità.

Non è mancata, inoltre, un'attenzione particolare ai giovani, come soggetti privilegiati da coinvolgere nel futuro del cammino ecumenico; per questo a Frosinone, come anche altrove, s'è tenuto un incontro ecumenico espressamente dedicato alle nuove generazioni.
Questa pluralità d'esperienze, tra le quali non va dimenticata quella dei gemellaggi ecumenici - portati avanti soprattutto dalle diocesi di Fano, Pesaro e Urbino - non deve però far perdere di vista la dimensione spirituale della Settimana di preghiera; infatti, nella fedeltà allo spirito della Settimana e in una sempre più profonda riscoperta del suo significato principale, si collocano i tanti momenti di preghiera con i quali s'è voluto riaffermare la centralità della preghiera nel dialogo ecumenico, con una partecipazione che è difficile da quantificare, dal momento che essa ha assunto forme talvolta puramente parrocchiali.

In questo quadro, tanto ricco e articolato, si colloca la presentazione, a Napoli, il 24 gennaio, durante una celebrazione ecumenica della Parola di Dio, del Consiglio di Chiese cristiane della Campania. Il Consiglio è il risultato di un lungo dialogo, che si è venuto sviluppando in Campania nel corso degli anni, con un progressivo coinvolgimento di soggetti ecclesiali diversi fino ad approdare alla realizzazione di un organismo unico in Italia. Infatti, esistono consigli di Chiese locali - Milano, La Spezia, Modena, Parma, Reggio Calabria, Venezia e Verona - oltre che una serie di gruppi che si collocano sullo stesso piano - come a Cagliari - ma mai era stato costituito un Consiglio di Chiese a livello regionale, nonostante le sollecitazioni in tal senso del Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme dell'ecumenismo (1993). Il Consiglio, nato da una proposta del gruppo ecumenico di Salerno, fatta propria dal vescovo di Cerreto Sannita - Telese -Sant'Agata dei Goti, Michele De Rosa, presidente della commissione regionale per l'ecumenismo e il dialogo, e sostenuta dall'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, desidera "testimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo, coltivare nelle Chiese una mentalità ecumenica, favorire la corretta e reciproca conoscenza delle Chiese, studiare e sostenere insieme attività ecumeniche, diffondere l'informazione sulle attività del movimento ecumenico, cercare risposte comuni ai problemi religiosi che interpellano la fede cristiana, proporre orientamenti e iniziative di pastorale ecumenica, discutere e chiarire eventuali incomprensioni tra le Chiese, prestare attenzione alla correttezza dell'informazione sulle Chiese nei mezzi di comunicazione sociale". Del Consiglio fanno parte la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Bucarest, la Comunione anglicana, la Chiesa apostolica italiana, la Chiesa evangelica italiana, la Chiesa evangelica luterana, la Chiesa evangelica metodista, la Chiesa evangelica valdese, le Chiese battiste aderenti all'Unione cristiana evangelica battista d'Italia e la Comunione Chiese libere.

Infine, sempre nella prospettiva di comprendere le ricchezze del dialogo ecumenico in Italia, appare particolarmente rilevante la ripresa della celebrazione della Giornata per l'approfondimento della conoscenza del popolo ebraico. Tale Giornata, istituita dalla Cei nel 1989, è stata pensata, fin dalla sua collocazione il 17 gennaio, come una sorta d'introduzione alla Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani per riaffermare la necessità di fondare il dialogo ecumenico anche da una comune riflessione sul popolo ebraico, secondo il concetto presente già nei lavori del concilio Vaticano ii. Dopo che l'anno scorso, per vari motivi, si era di fatto sospesa la celebrazione, pur senza far venir meno la profonda amicizia tra ebrei e cristiani in Italia, quest'anno sono state almeno trentasette le diocesi nelle quali, pur con forme e tempi assai diversi tra di loro, si è tornati a celebrare questa Giornata in uno spirito veramente ecumenico, dal momento che c'è stato un coinvolgimento di tutti i cristiani nella organizzazione e nella partecipazione. Fondamentale è stato il sussidio, che porta la firma del vescovo di Terni - Narni - Amelia, Vincenzo Paglia, a nome dell'episcopato italiano, e del rabbino Giuseppe Laras, sulla quarta delle Dieci Parole o Decalogo - "Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo" - sulle quali cristiani ed ebrei hanno deciso di riflettere per riscoprire il comune patrimonio delle Scritture. Indubbiamente il "successo" della Giornata è dipeso anche dalla visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica e al Tempio maggiore di Roma, domenica 17 gennaio. Come ha commentato il cardinale Bagnasco questa visita testimonia che "il dialogo è davvero la via irreversibile per superare incomprensioni e pregiudizi". Dialogo, che s'alimenta nel Decalogo "il grande codice etico per tutta l'umanità" che cristiani ed ebrei sono chiamati a vivere e a testimoniare così da "contribuire a cementare un irrinunciabile clima di rispetto e di amicizia che, vincendo ogni traccia di odio, sconfigga i focolai talora riaffioranti di antisemitismo come pure di xenofobia".



(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2010)
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