Dna compatibile tra evoluzionismo e religione

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S_Daniele
00mercoledì 25 novembre 2009 07:01
 

Un convegno internazionale a Firenze per chiarire alcuni equivoci storici

Dna compatibile tra evoluzionismo e religione


di Evandro Agazzi
Presidente della Académie internationale
de philosophie des sciences


Volge ormai al termine questo 2009 contrassegnato da due anniversari "rotondi" ed entrambi significativi per una ripresa delle discussioni sui rapporti fra scienza moderna e religione:  i 400 anni dalle prime scoperte astronomiche di Galileo (1609) e i 200 anni dalla nascita di Darwin (1809), che coincidono anche con i 150 anni dalla pubblicazione della sua opera fondamentale, L'origine delle specie (1859). A dire il vero, il 1609 non ha proprio nulla a che fare con il caso Galileo, i cui momenti storici salienti furono il primo processo del 1616 e il secondo (con condanna) del 1633, e le stesse prime osservazioni astronomiche del 1609 furono solo l'inizio di una serie che culminò l'anno dopo con la pubblicazione del Sidereus nuncius, opera nella quale si profila l'attacco alla cosmologia tolemaica. Ma anche considerando gli anniversari darwiniani non si può fare a meno di notare che, dietro la pletora di commemorazioni e manifestazioni che hanno contrassegnato un po' in tutto il mondo questo anno darwiniano, emerge la tendenza a far coincidere tout-court evoluzionismo e darwinismo, rafforzando la convinzione che nell'Ottocento quella di Darwin fu l'unica teoria dell'evoluzione scientificamente dignitosa e che, oggi, lo stesso si deve ripetere per il neo-darwinismo. C'è dunque più di una ragione per stupirsi che venga passato praticamente sotto silenzio il fatto che la prima teoria dell'evoluzione scientificamente argomentata e dignitosa sia stata esposta in forma ampia e sistematica dal francese Jean-Baptiste Lamarck proprio nel 1809 e che grazie alla presenza e alle discussioni che questa teoria incontrò in un arco di cinquant'anni, l'Origine delle specie di Darwin poté contare su un terreno ben preparato per il suo stesso incontestabile successo.

Perché allora questi accostamenti un po' forzati, questi silenzi, queste sottolineature? Non sembra difficile trovare una risposta:  il caso Galileo e il caso Darwin sono gli esempi paradigmatici (a dire il vero, gli unici due esempi) che vengono addotti da almeno un buon secolo a questa parte come prove storiche del contrasto insanabile che esiste fra scienza e religione. Chi sostiene questa tesi non si lascia impressionare dal fatto che lungo tutta la plurimillenaria storia dell'Occidente (ma anche fuori dall'ambito della civiltà occidentale) scienza e religione si sono sempre armonizzate (sotto qualunque forma venisse intesa la scienza). Infatti, applicando uno schema positivista altrettanto diffuso quanto semplicistico e storicamente privo di fondamento, si sostiene che ciò era vero in stadi primitivi e immaturi della storia umana, mentre, dopo l'avvento della modernità, si è capito che l'unica forma di conoscenza autentica è quella scientifica, la quale è in grado, anche grazie alle sue applicazioni tecnologiche, di risolvere tutti i problemi conoscitivi e pratici dell'uomo.

Questa vera e propria ideologia, comunemente denominata scientismo, non si accontenta di affermare una presunta superiorità delle scienze sopra ogni altra forma di sapere, ma aggiunge che il progresso dell'umanità, basato sullo sviluppo scientifico e tecnologico, esige una lotta senza quartiere contro quegli atteggiamenti mentali, quelle visioni della realtà e quelle forme di vita che sono diverse dalla tecnoscienza e, in modo particolare, contro la religione. Si produce in tal modo un fenomeno di per se stesso scontato:  l'ateismo, che è sempre esistito nella storia umana e ha utilizzato per sostenere la sue "ragioni" argomenti storicamente disponibili sul terreno del senso comune o di certe filosofie, ha ampiamente fatto ricorso alla scienza moderna, quando questa si è costituita, facilmente aiutato dal fatto che questa, per propria consapevole scelta metodologica, si limita a considerare gli aspetti materiali ed empiricamente accessibili della realtà.

Quella attuale è per l'appunto una situazione del tipo appena descritto. Nella nostra cultura secolarizzata il prestigio intellettuale e sociale della tecnoscienza è molto elevato e l'ateismo non è soltanto una convinzione personale di molti, ma anche una forma di militanza intellettuale e sociale ben organizzata, che in particolare utilizza la scienza come arma privilegiata di attacco contro la religione. D'altro canto sono esistiti e continuano a esistere anche atteggiamenti intellettuali e movimenti di segno opposto:  molti credenti hanno ritenuto di utilizzare la scienza come strumento apologetico, ossia come fonte di argomenti per dimostrare l'esistenza di Dio. Non c'è da stupirsi pertanto che, di fronte alla riproposta del caso Galileo e del caso Darwin si siano riaccese dispute che sembravano storicamente superate. Per questo l'Istituto Niels Stensen di Firenze, noto per un'attività culturale interdisciplinare che conduce da molti anni, ha organizzato nel 2009 due iniziative di alto livello:  il congresso internazionale di studio su "Il caso Galileo" a fine maggio (con la collaborazione di diciotto istituzioni accademiche italiane, vaticane e internazionali) e un convegno internazionale su "Evoluzionismo e religione" dal 18 al 21 novembre, con la collaborazione dell'Académie internationale de philosophie des sciences e dell'Académie internationale des sciences religieuses.

Del congresso galileiano la stampa si è già occupata. Quanto al convegno dedicato all'evoluzionismo, lo scopo è stato quello di fare innanzi tutto chiarezza, districando il nodo di equivoci che si annida nel fatto di considerare determinate interpretazioni delle teorie evoluzioniste (favorevoli o contrarie a una prospettiva religiosa) come conseguenza logica delle teorie medesime e, quindi, come imposte dalla scienza. Da tale falsa convinzione segue il tentativo di combattere come scientificamente invalide le tesi delle teorie dell'evoluzione che sono addotte come premessa della tesi filosofica o teologica avversaria.

Pertanto la prima parte del convegno ha cercato di fare il punto sullo stato delle teorie dell'evoluzione dal punto di vista strettamente scientifico, attraverso le relazioni di scienziati come il premio Nobel Werner Arber, il presidente dell'Accademia austriaca delle scienze e biochimico evoluzionista Peter Schuster, l'ex direttore di un Istituto di biologia del Cnrs di Parigi Jules Ricard, ed epistemologi esperti nella trattazione delle nozioni di caso, complessità, finalità (come Paul Weingartner e Jesus Zamora). Sono seguite diverse analisi di tipo epistemologico e filosofico, tese a mostrare i vari aspetti e risvolti del concetto di evoluzione e delle diverse teorie dell'evoluzione, considerate su un terreno strettamente scientifico. Nello stesso tempo si è presa coscienza del fatto che le diverse teorie sin dall'inizio hanno incominciato ad avere influssi e ripercussioni sul piano intellettuale, culturale e filosofico più generale.

Questa parte, ha costituito una sorta di ponte verso il polo religioso-teologico, che ha occupato la parte finale dei lavori, secondo una scansione in certo senso classica. Si è cercato di vedere come una lettura non letterale dei testi biblici vetero testamentari e neotestamentari possa contenere prospettive in senso lato evoluzioniste (Jean-Marie Van Cangh e Michel Gourgues) e per altro verso si è esaminata storicamente la posizione assunta dalle Chiese cristiane nei confronti dell'evoluzionismo, caratterizzata da aperture e cautele.

Il fatto che concetti fortemente connotati in senso religioso come quello di creazione e di disegno divino sul mondo siano stati in passato e ancor oggi utilizzati strumentalmente come categorie scientificamente valide da parte di alcuni movimenti fondamentalisti di ispirazione cristiana è stato chiarito come un equivoco da non favorire, in quanto le sedi appropriate in cui rivendicare la legittimità di concetti come quello di creazione e di disegno intelligente, anche riguardo al mondo naturale, sono il discorso metafisico e quello teologico, il che non esclude che un recupero corretto delle categorie di finalità e di strutture organizzate in vista di un fine intrinseco possa essere fecondo nelle scienze senza sottintesi di tipo soprannaturalistico.


(©L'Osservatore Romano - 25 novembre 2009)
S_Daniele
00giovedì 26 novembre 2009 06:58
Teologia ed evoluzionismo

Quando l'ominide si è accorto di esserci


Pubblichiamo alcuni stralci della prolusione tenuta il 25 novembre per l'apertura dell'anno accademico della Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna.

di Fiorenzo Facchini

La problematica sull'uomo riguarda non tanto l'epoca della comparsa delle prime forme umane, quanto la differenza tra animale e uomo. Si deve ammettere che il momento più alto della ominizzazione si è avuto quando l'ominide è stato arricchito dallo spirito che ne ha fatto un essere capace di pensare, di guardare a un altro ominide, pure elevato dallo spirito, come a un tu, quando l'ominide ha avuto coscienza di sé, si è accorto di esserci, quando ha incominciato ad agire liberamente, quando, potremmo anche aggiungere, ha percepito la presenza di Dio.

Un concetto che potrebbe essere tenuto presente è quello di emergenza. Ma l'emergenza dell'essere umano in forza dello spirito, trascende il piano biologico, non può paragonarsi ad altri eventi emergenti nell'ordine dei fattori naturali.

Del resto anche nel processo dell'animazione di ogni essere umano non riusciamo a rappresentarci come avvenga l'incontro della realtà fisica con quella spirituale nell'unico essere, che è la persona. L'anima infatti viene creata in modo immediato da Dio, senza passaggi intermedi, come più volte viene affermato nel magistero. L'anima in quanto tale non è un prodotto dell'ominide non umano e neppure dei cromosomi dei genitori. Secondo Karl Rahner si può parlare di autosuperamento o auto trascendimento attivo sia per la ominizzazione che per la generazione, nel senso che la causalità creata supera, in virtù della causalità divina, i limiti fissati alla sua essenza. La trascendentalità dell'azione divina fonda la capacità di realizzare l'autosuperamento. Si può pensare a un concorso della causalità divina e delle cause naturali, nel senso che l'azione divina, oltre a sostenere le cause seconde, le eleva a produrre un essere arricchito dello spirito (De Finance). Giustamente Giovanni Paolo II parla di un salto ontologico, perché con il pensiero e la coscienza ci si porta a un livello diverso della realtà puramente di ordine fisico, e proprio per questo non è rappresentabile o immaginabile con i nostri sensi.

Il problema dell'anima assume nuove connotazioni e problematiche alla luce delle neuroscienze. Un adeguato sviluppo del cervello è certamente necessario per le capacità intellettive dell'uomo. Ma per la mente non è questione solo di massa cerebrale, di connessioni, di reti neuronali alla cui attività si legano le diverse emozioni, il lavoro intellettuale, la memoria, gli stati di coscienza. Moderne tecniche consentono di studiare queste reazioni. Edelman parla di darwinismo neuronale, quasi che lo sviluppo dei circuiti neuronali del cervello sia il risultato della selezione. Viene esplorato il mistero della coscienza dell'uomo. Così facendo si riduce lo spazio del mistero o dell'ignoto, anche se personalmente penso non sarà mai tolto.

Su un certo fronte il naturalismo vorrebbe spiegare con la selezione naturale ogni comportamento umano, compreso quello morale e religioso; parallelamente su un altro fronte si vorrebbero giustificare con le neuroscienze i comportamenti intellettivi e le scelte della persona. In entrambi i casi si affaccia una visione riduzionistica dell'uomo, considerato in una identità puramente animale, o di ordine biologico per quanto elevata e cosciente possa essere, con tutte le conseguenze che si possono immaginare anche sul piano morale e sociale.

In stretta relazione con l'uomo sono alcune derivazioni del darwinismo che appaiono come derive e riguardano la società:  il darwinismo sociale e l'eugenetica. Il darwinismo sociale, come teorizzazione della lotta fra le classi sociali per il progresso della società, sostenuto da Huxley e Spencer, è stato smentito da Darwin stesso ed è storicamente superato. L'eugenetica non rappresenta una diretta derivazione del darwinismo, anche se trova qualche premessa in alcune affermazioni di Darwin nell'opera Le origini dell'uomo. Essa, come noto, è stata sostenuta da alcuni discepoli di Darwin (Galton e Huxley), e ha ispirato comportamenti criminali nell'epoca del nazismo. Ora va riemergendo in forme più o meno velate nelle posizioni di coloro che sostengono la eliminazione di patologie ereditarie nel periodo prenatale.

Ci si potrebbe infine chiedere che cosa ha rappresentato la teoria dell'evoluzione per la teologia e per la visione cristiana. Francisco Ayala afferma che Darwin ha completato la rivoluzione copernicana, "trasferendo in campo biologico il concetto di natura come sistema ordinato di materia in movimento che la ragione umana può spiegare senza ricorrere ad agenti soprannaturali". In questa concezione si toglie anche all'uomo la sua centralità. Lo stesso Ratzinger nel 1969 riconosceva che Darwin ha scatenato una rivoluzione dell'immagine del mondo non inferiore a quella prodotta dalle teorie di Copernico. La dimensione del tempo tocca l'uomo più di quella dello spazio.

Ayala parla di Darwin come di un dono alla scienza e alla religione. Un'affermazione che sa di provocazione, ma che vuole richiamare lo stimolo che la teoria evolutiva ha rappresentato anche sotto il profilo religioso. Più che il meccanismo evolutivo suggerito da Darwin e al di là delle posizioni materialiste che vari scienziati hanno assunto, è il fatto stesso della evoluzione che può assumere importanza in una visione aperta al trascendente.


(©L'Osservatore Romano - 26 novembre 2009)
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