Epifania, una festa per due Arcivescovi

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
enricorns
00martedì 5 gennaio 2010 22:57
Martini e Montini
Epifania, una festa per due Arcivescovi
in cammino dentro la città
Il 6 gennaio del 1955 e del 1980 i due futuri Pastori di Milano, mons. Montini e padre Martini, venivano consacrati a Roma. Accomunati dalla stessa passione missionaria, hanno guidato
la Chiesa ambrosiana pur in tempi difficili
06.01.2010
di Giuseppe GRAMPA


Questa festa dell’Epifania 2010 raccoglie insieme due ricorrenze: trent’anni fa, proprio nel giorno dell’Epifania, papa Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro a Roma ordinava vescovo padre Carlo Maria Martini da Lui designato nuovo arcivescovo di Milano. E in una Epifania grigia e piovosa di 55 anni fa Giovanni Battista Montini entrava in diocesi come arcivescovo scelto dal papa Pio XII. Una fotografia ritrae il nuovo arcivescovo inginocchiato sull’asfalto lucido di pioggia nel gesto di baciare il primo lembo della diocesi ambrosiana. Ordinando vescovo padre Martini il Papa commentando la pagina dei Magi diceva del vescovo come uomo della strada: «Voi ricevete questo sacramento per trovarvi sulla strada di tanti uomini ai quali vi manda il Signore per intraprendere insieme con loro questa strada, camminando, come i Magi, dietro la stella…». E tutti ricordiamo come l’arcivescovo Martini prese alla lettera queste parole del Papa, entrando in Milano a piedi, compiendo un cammino verso il Domo. Non era difficile per lui seguire l’invito del Papa. Grande camminatore in montagna, anche in questi ultimi anni, pur segnati dalla malattia, non ha tralasciato settimanali camminate… Ma soprattutto questi due vescovi hanno realizzato la vocazione di “vescovo, uomo della strada”, camminando dentro la città, dentro la società affidata alle loro cure. Nei brevi anni del suo episcopato Montini entrò dentro la multiforme realtà milanese che era per lui emblema della civiltà moderna con la quale la chiesa non poteva non aprire un dialogo. Lo annunciò come suo programma proprio in quella Epifania del 1955 nel Discorso in Duomo. E lo realizzò in modo del tutto particolare con la grande Missione che volle nel 1957. In quella occasione Montini non si risparmiò e portò dappertutto, nella vasta diocesi, l’appello ad accogliere il messaggio della paternità di Dio, grande tema della missione. In particolare Montini volle portare nei luoghi di lavoro l’annuncio della Missione. Così l’arcivescovo camminava dentro la complessità di una società che sembrava sempre più lontana da Dio eppure, Egli ne era persuaso, portava in sé il bisogno di Dio. Un breve episcopato quello iniziato nell’Epifania di 55 anni fa, ma che troverà poi a Roma, sulla sede di Pietro una straordinaria dilatazione. Sarà proprio Montini il primo Papa, dopo molti secoli, a farsi camminatore per il mondo, inaugurando quei viaggi apostolici che sono oggi una preziosa caratteristica del ministero di Pietro. Nei 22 anni della sua presenza in mezzo a noi, l’arcivescovo Martini ha davvero camminato con noi dentro la complessità di una città, di una società come quella milanese che non ha solo percorso visitandola fin negli angoli più lontani e sperduti. Ma soprattutto, nel solco di Montini, ha continuato la difficile decifrazione di questa realtà. Discernimento: una parola cara a Martini e che dice l’attenzione che si curva nell’ascolto, nel riconoscimento di tutto il bene che pur germina nei solchi di questa società. Non è questo il momento per ripercorrere 22 anni di cammino dentro la nostra realtà diocesana: basti ricordare quasi come cifra sintetica la Cattedra dei non credenti. L’esercizio paziente dell’ascolto dell’altro, delle ragioni del non-credente che è in ognuno di noi. Camminare vuol dire mettere un passo dopo l’altro, pazientemente, sapendo così apprezzare anche il più piccolo frammento di bene, ovunque lo si trovi. E’ bello in questa Epifania ricordare questi due Pastori che hanno camminato con noi. Anche dello Spirito che Gesù ha promesso ai suoi discepoli si dice che è un gran camminatore: infatti “farà strada con noi fino alla verità tutta intera”. Nel ricordo dell’arcivescovo Montini, di venerata memoria, ringraziamo Dio per quanto ci ha donato attraverso questi suoi amici e ministri: auguriamo al cardinale Martini di poter ancora a luogo non solo camminare nei nostri sentieri boscosi ma soprattutto di continuare con la parola e gli scritti a fare strada con noi.
enricorns
00martedì 5 gennaio 2010 23:00
Martini e Montini
Epifania, una festa per due Arcivescovi
in cammino dentro la città
Il 6 gennaio del 1955 e del 1980 i due futuri Pastori di Milano, mons. Montini e padre Martini, venivano consacrati a Roma. Accomunati dalla stessa passione missionaria, hanno guidato
la Chiesa ambrosiana pur in tempi difficili
06.01.2010
di Giuseppe GRAMPA


Questa festa dell’Epifania 2010 raccoglie insieme due ricorrenze: trent’anni fa, proprio nel giorno dell’Epifania, papa Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro a Roma ordinava vescovo padre Carlo Maria Martini da Lui designato nuovo arcivescovo di Milano. E in una Epifania grigia e piovosa di 55 anni fa Giovanni Battista Montini entrava in diocesi come arcivescovo scelto dal papa Pio XII. Una fotografia ritrae il nuovo arcivescovo inginocchiato sull’asfalto lucido di pioggia nel gesto di baciare il primo lembo della diocesi ambrosiana. Ordinando vescovo padre Martini il Papa commentando la pagina dei Magi diceva del vescovo come uomo della strada: «Voi ricevete questo sacramento per trovarvi sulla strada di tanti uomini ai quali vi manda il Signore per intraprendere insieme con loro questa strada, camminando, come i Magi, dietro la stella…». E tutti ricordiamo come l’arcivescovo Martini prese alla lettera queste parole del Papa, entrando in Milano a piedi, compiendo un cammino verso il Domo. Non era difficile per lui seguire l’invito del Papa. Grande camminatore in montagna, anche in questi ultimi anni, pur segnati dalla malattia, non ha tralasciato settimanali camminate… Ma soprattutto questi due vescovi hanno realizzato la vocazione di “vescovo, uomo della strada”, camminando dentro la città, dentro la società affidata alle loro cure. Nei brevi anni del suo episcopato Montini entrò dentro la multiforme realtà milanese che era per lui emblema della civiltà moderna con la quale la chiesa non poteva non aprire un dialogo. Lo annunciò come suo programma proprio in quella Epifania del 1955 nel Discorso in Duomo. E lo realizzò in modo del tutto particolare con la grande Missione che volle nel 1957. In quella occasione Montini non si risparmiò e portò dappertutto, nella vasta diocesi, l’appello ad accogliere il messaggio della paternità di Dio, grande tema della missione. In particolare Montini volle portare nei luoghi di lavoro l’annuncio della Missione. Così l’arcivescovo camminava dentro la complessità di una società che sembrava sempre più lontana da Dio eppure, Egli ne era persuaso, portava in sé il bisogno di Dio. Un breve episcopato quello iniziato nell’Epifania di 55 anni fa, ma che troverà poi a Roma, sulla sede di Pietro una straordinaria dilatazione. Sarà proprio Montini il primo Papa, dopo molti secoli, a farsi camminatore per il mondo, inaugurando quei viaggi apostolici che sono oggi una preziosa caratteristica del ministero di Pietro. Nei 22 anni della sua presenza in mezzo a noi, l’arcivescovo Martini ha davvero camminato con noi dentro la complessità di una città, di una società come quella milanese che non ha solo percorso visitandola fin negli angoli più lontani e sperduti. Ma soprattutto, nel solco di Montini, ha continuato la difficile decifrazione di questa realtà. Discernimento: una parola cara a Martini e che dice l’attenzione che si curva nell’ascolto, nel riconoscimento di tutto il bene che pur germina nei solchi di questa società. Non è questo il momento per ripercorrere 22 anni di cammino dentro la nostra realtà diocesana: basti ricordare quasi come cifra sintetica la Cattedra dei non credenti. L’esercizio paziente dell’ascolto dell’altro, delle ragioni del non-credente che è in ognuno di noi. Camminare vuol dire mettere un passo dopo l’altro, pazientemente, sapendo così apprezzare anche il più piccolo frammento di bene, ovunque lo si trovi. E’ bello in questa Epifania ricordare questi due Pastori che hanno camminato con noi. Anche dello Spirito che Gesù ha promesso ai suoi discepoli si dice che è un gran camminatore: infatti “farà strada con noi fino alla verità tutta intera”. Nel ricordo dell’arcivescovo Montini, di venerata memoria, ringraziamo Dio per quanto ci ha donato attraverso questi suoi amici e ministri: auguriamo al cardinale Martini di poter ancora a luogo non solo camminare nei nostri sentieri boscosi ma soprattutto di continuare con la parola e gli scritti a fare strada con noi.
enricorns
00martedì 5 gennaio 2010 23:01
Epifania 1955
Quando l'arcivescovo Montini
partì da Roma per Milano
Mons. Antonio Maria Travia, già suo segretario in Segreteria di Stato, poi Arcivescovo di Termini Imerese ed Elemosiniere
di Sua Santità, deceduto nel 2006, in un articolo apparso
sulla rivista “Diocesi di Milano” (n. 3/1985), racconta gli ultimi
giorni romani di mons. Montini e il suo ingresso a Milano 
06.01.2010
di Antonio Maria TRAVIA


Quando mons. Montini, Pro Segretario di Stato di Sua Santità, fu nominato Arcivescovo di Milano ero suo segretario già da circa otto anni. è del tutto superfluo dire che nessuna confidenza né alcun indizio previo di tale avvenimento ricevetti da lui, tuttavia alcuni suoi atteggiamenti mi fecero sospettare che qualche novità si maturava, come un breve ritiro di pochi giorni presso le Suore Ospedaliere del S. Cuore di Gesù a Nettuno che egli decise di fare nel settembre del ’54 e, al ritorno, quel contegno ancor più accentuato di calma che tradiva un particolare dominio di sé che egli soleva assumere in momenti di particolare gravità, nonché l’insistere nel formulare programmi di lavoro la cui attuazione richiedeva tempi lunghi.
Ricordo questi dettagli per confermare quanto è da tutti noto, come cioè egli avesse la massima cura di nascondere i suoi sentimenti e le sue emozioni soprattutto per quanto si riferiva alla sua persona.
E allora come fare a descrivere i sentimenti di mons. Montini nel viaggio che lo portò – o lo strappò – dal Vaticano a Milano, il 4 gennaio 1955, in un momento cioè in cui essi dovevano essere particolarmente intensi e le sue autodifese particolarmente attive? Per supporli basta inquadrarli in due episodi molto significativi. Pochi giorni dopo la nomina il suo caro Piazza, che dagli anni della Fuci egli amava come un figliuolo e da cui fu tanto amato finché lo precedette di qualche anno nella tomba, lo sorprese in lacrime nel buio di una stanza del suo appartamento in Vaticano.
Poche ore prima di fare il suo ingresso a Milano un altro suo caro amico, pure del tempo della Fuci, particolarmente del momento più doloroso di esso, Orlandi, irruppe – si può proprio dire così – nel suo rifugio di Rho: egli rivedendolo dopo tanti anni e abbracciandolo fortemente scoppiò in lacrime.

Una giornata rigida e piovosa

Il viaggio da Roma a Milano però apparentemente fu un viaggio del tutto normale. Normale però non era stato l’inizio. Quella mattina, l’ultima del suo lungo soggiorno romano impegnato tutto nel continuo fedele e amoroso servizio al Papa ma anche quella che segnava l’inizio della sua nuova vita tutta pastorale, mons. Montini aveva voluto celebrare alle 6.30 con gesto molto espressivo dei suoi sentimenti, la S. Messa nella Basilica Vaticana all’altare di S. Pio X. Subito dopo un piccolo corteo di macchine usciva dall’Arco delle Campane e attraversava P.za S. Pietro diretto alla stazione Termini. Lo sguardo di mons. Montini si rivolse e si fissò alle finestre dell’appartamento del Papa, già illuminato, e poi a quelle vicinissime della Segreteria di Stato e a quelle ormai chiuse di quello che per tanti anni era stato il suo appartamento. La giornata era rigida e piovosa. In una saletta della stazione Termini lo accoglievano i Cardinali Giuseppe Pizzardo, che tanti anni prima lo aveva accolto giovane sacerdote in Segreteria di Stato, e Celso Costantini, il Nunzio Apostolico mons. Fietta, i monsignori Samoré, Dell’Acqua, Confalonieri, Venini, Rotta, il Principe Carlo Pacelli, il Principe Aspreno Colonna, il Sindaco di Roma ed altri. Una cordiale e commossa stretta di mano a rutti e poi al binario dello “Scandinavian Express” che partiva per Milano alle 8.40. Una folla di amici, particolarmente i suoi ex fucini allora già noti professionisti e uomini di rilievo nella politica e nella cultura, alcuni con tutta la famiglia, non pochi diplomatici e tanti altri stavano ad attenderlo, nonostante il freddo intenso. Al suo giungere scoppiarono in un fragoroso applauso che incuriosì molto la folla dei viaggiatori. A fatica e col cortese aiuto del Dirigente della stazione Termini e del capo treno, pur stringendo quante mani poté e rivolgendo a molti espressioni affettuose e grate, riuscì a salire sul treno, dal cui finestrino continuò ancora a salutare e benedire. Finalmente il treno partì. Egli si ritirò subito nello scompartimento di 1ª classe a lui riservato, in compagnia soltanto del suo nuovo segretario, don Pasquale Macchi che già da circa un mese lo aveva raggiunto a Roma: sarebbe stato questi il suo vero segretario, con lui convivente; io, come gli altri colleghi che mi avevano preceduto in Segreteria di Stato, ero stato solo segretario di ufficio. Non lo aveva scelto lui. Pochi giorni dopo la sua nomina ad Arcivescovo di Milano aveva scritto una lettera a mons. Giovanni Colombo, allora Rettore del Seminario di Venegono, pregandolo di scegliergli lui un sacerdote del clero milanese che potesse essergli vicino come segretario, rimettendosi completamente al suo giudizio nella scelta. Espresse solo il desiderio che la persona scelta conoscesse bene la lingua francese. Il mio compito era già terminato con la consacrazione episcopale che mi ero adoperato di preparare con ogni cura, e col provvedere all’imballaggio della sua personale biblioteca. Aver voluto che l’accompagnassi a Milano e partecipassi al suo ingresso e poi mi fermassi con lui in Arcivescovado per alcuni giorni fu un gesto di gentilezza e di benevolenza che mi commosse profondamente. Al fine di interpretare i suoi sentimenti in quel periodo di preparazione del suo viaggio mi piace ricordate che, nel mettere in ordine le sue cose, emerse da una cassapanca un gruppo di fotografie quasi tutte del periodo fucino. Una però riproduceva una chiesina montana del Bresciano dinanzi alla cui porta egli sostava insieme con S.E. mons. Menna. La guardò lungamente e poi esclamò: “e dire che mi proponevo di finire lì nel silenzio e nella preghiera i miei giorni”.

Il motto “In nomine Domini”

Ricordo anche un altro piccolo episodio. Si doveva predisporre lo stemma del nuovo Arcivescovo e si preferì rielaborare un antico stemma dei Montini. Egli lasciò fare e lo accettò quasi con disinteresse. Ma il motto doveva sceglierlo lui. Una sera, con confidenza insolita, mi propose questo: “Cum ipso in monte”. Mi permisi esprimere il mio parere negativo ritenendo che esso indicasse più un proposito di vita contemplativa che un programma pastorale. Il mattino seguente aveva fatto la sua scelta. “In nomine Domini”: un motto che esprime un totale abbandono alla volontà del Signore e un generoso impegno nella realizzazione del suo Regno. Questi piccoli episodi rivelano il doppio aspetto dell’anima di mons. Montini: tendenzialmente contemplativa e contemporaneamente forte e intraprendente nell’azione. I sentimenti di mons. Montini durante il viaggio da Roma a Milano dovevano emergere da queste due caratteristiche. Dico dovevano perché il tempo del percorso Roma Lodi egli lo trascorse quasi tutto in solitudine, nel suo scompartimento riservato, salvo il tempo della colazione nel vagone ristorante, recitando l’Ufficio divino secondo il ritiro ambrosiano nel quale era ancora inesperto insieme con don Macchi e mons. Camagni, nella lettura attenta, con frequenti sottolineature in matita, del recente messaggio natalizio del Papa e in lunghe pause di riflessione ad occhi socchiusi. Queste pause erano molto eloquenti. I suoi pensieri certamente si concentravano su due nomi: Roma, Milano. Roma rievocava tutta la vita trascorsa a servizio della Chiesa in Segreteria di Stato, nella collaborazione diretta con i Pontefici Pio XI e soprattutto Pio XII, la sua dedizione alle anime nell’apostolato tra i giovani universitari come Assistente della Fuci, prima in quella di Roma e poi di tutta Italia, la direzione spirituale di tante anime svolta sempre nel segreto del confessionale nella penombra vespertina della chiesetta di S. Anna in Vaticano. Aveva una memoria prodigiosa. Avvenimenti, volti, situazioni erano sempre vivissimi nella sua anima e certamente passavano in quei momenti ancor più vivi nella sua mente. Parte di questi sentimenti li aveva espressi in una lettera al Papa scritta proprio la sera precedente la partenza, in cui tra l’altro così si esprimeva: “... Dire quali siano i sentimenti miei al momento del mio distacco fisico da questa dimora benedetta non mi è possibile. Ma vincendo il turbine dei ricordi, delle impressioni, dei pensieri e dei propositi, sento il prepotente bisogno di dire a Vostra Santità la mia vivissima, filiale gratitudine per i benefici, che la quantità stessa non mi permette di enumerare e la grandezza di misurare, venuti a me dalla paterna, generosa, sempre nuova e sempre affabile bontà della Santità Vostra…”.

La Chiesa di Milano

L’altra corrente di pensieri si incentrava su Milano, meglio sulla Chiesa milanese. Rappresentava il suo futuro, ma era già il suo presente: egli viveva già intensamente l’amore per il suo gregge, la sua Chiesa. Mons. Montini, come ho detto, aveva un’anima fortemente contemplativa ma anche fortemente apostolica. La Provvidenza non gli aveva mai permesso di abbandonarsi all’uno o all’altro impulso. Convivevano, si accavallavano e cercavano di farsi strada contro la prepotenza di un dovere che, pur esigendoli ambedue come strato di profondità, a nessun dei due dava via libera: il suo assorbente lavoro in Segreteria di Stato. Ciò lo obbligava a vivere di nostalgia: nostalgia per lo studio, nostalgia per la preghiera, nostalgia per l’attività pastorale. Spesso, dopo giornate di lavoro asfissiante, l’ho sentito lamentare: “Non c’è tempo di studiare, non c’è tempo di pregare!”. Eppure sbalordiva con i suoi accenni a pubblicazioni filosofiche, letterarie e teologiche recentissime, o scoprirlo in ginocchio nel silenzio della sua cappellina privata. Scappate apostoliche ne faceva tante: brevi corsi di esercizi alle sue antiche fucine appartenenti allora al Gruppo romano Laureati Cattolici, Messe domenicali in S. Ivo, Messe per convegni Acli, Cif, Aci, Unioni Professionali, ecc. La sua parola era sempre affascinante, penetrante, sconvolgente. Amava il popolo di Dio, sentiva che lì c’era veramente la Chiesa. Ricordo un pomeriggio di una domenica di primavera. Eravamo soli nel suo ufficio in Segreteria di Stato. Gli capitò di gettare uno sguardo dalla finestra del suo studio. P.za S. Pietro brulicava di gente, particolarmente molte famiglie con bambini che si avviavano in S. Pietro o che uscivano dalla Basilica. Si fermò un momento, poi con visibile emozione esclamò: “Ecco, questa è la Chiesa!”. Egli pensava quindi a Milano in quei momenti di solitaria riflessione nello scompartimento del treno che lo portava a Milano, momenti veramente sacri che inducevano lo stesso don Macchi ad uscire nel corridoio per lasciarlo indisturbato. Egli pensava alla sua Chiesa che attendeva la sua dedizione totale.

Un viaggio a tappe

Il primo incontro con la sua Chiesa milanese avvenne a Lodi dove si giunse alle ore 16. Nella stazione imbandierata una folla di autorità e di fedeli lo accolse festosa e osannante nel gelo umido di quella giornata piovigginosa. C’era il Vescovo di Lodi mons. Tarcisio Benedetti, e poi mons. Giuseppe Schiavini Delegato Arcivescovile, il Cancelliere della Curia mons. Prandoni, mons. Bonalumi Arcidiacono del Capitolo Metropolitano, il Can. Borella Cerimoniere del Duomo, il Questore di Milano dott. Modica, il dott. Toffoloni Assessore alle Finanze nel Consiglio Provinciale, il Comm. Solaro Presidente dell’Azione Cattolica Diocesana, i Senatori Cornaggia Medici e Meda e tanti altri. Mons. Montini dal finestrino benedisse tutti sorridendo e commosso, poi scese dal vagone e stretto da ogni parte prese posto con mons. Schiavini e don Macchi in una macchina che doveva portarlo a Rho, nel Collegio degli Oblati Missionari per trascorrervi la notte e il giorno seguente in attesa dell’ora del solenne ingresso a Milano nel pomeriggio del giorno 6. Altri lo seguivano con altre macchine. Ad un trattò, passato il ponte sul Lambro, la macchina dell’Arcivescovo si ferma ed egli scende. Tutti ci precipitiamo trepidanti fuori dalle nostre macchine. Con gesto improvviso che fece allibire tutti l’Arcivescovo si inginocchia, pone il suo cappello nuovo con i fiocchi verdi sulla strada bagnata e inzaccherata di neve sporca ancora non del tutto sciolta e bacia la terra. In quel punto, gli era stato detto, cominciava il territorio della diocesi di Milano. Questo bacio della terra – al quale ora Giovanni Paolo II ci ha abituati – fino ad allora nessuno l’aveva mai compiuto. Esso fu l’espressione incontenibile di un amore verso la Chiesa di Milano che già aveva raggiunto il massimo della sua carica. Il breve soggiorno a Rho fu quasi tutto tempo di preghiera ai piedi della Madonna. Il nuovo pastore della Chiesa di Milano si affidava a Maria per compiere “in nomine Domini” la sua missione. Ma questo sereno soggiorno non fu senza dolore. All’ora del pranzo del giorno 5 una telefonata dal Vaticano. Era mons. Dell’Acqua. Faceva sapere che il Santo Padre non permetteva al nuovo Arcivescovo di Milano di celebrare la S. Messa pomeridiana prevista – come egli aveva allora appreso – nel programma del suo ingresso in diocesi. Allora la Messa pomeridiana, di recentissima concessione, esigeva circostanze eccezionali di vera necessità che il Santo Padre non ravvisava in quella occasione. Mons. Montini rimase visibilmente amareggiato di quel divieto. Non una parola, ma la disposizione immediata di telefonare a mons. Schiavini per modificare opportunamente il programma. Fu quello l’ultimo gesto di sofferta ubbidienza al Papa, che io ho potuto personalmente ammirare in mons. Montini, compiuto come altre volte con quello spirito di fede e di totale devozione al Vicario di Cristo che gli era abituale.
enricorns
00martedì 5 gennaio 2010 23:03
Carlo Maria Martini, Epifania 1980
L'incontro con gli ambrosiani a Roma
e l'Ordinazione episcopale in S. Pietro
Da "Diocesi di Milano” (n.2/1980) riproponiamo la cronaca
del pellegrinaggio diocesano a Roma per la consacrazione episcopale di padre Carlo Maria Martini (6 gennaio 1980)
e del primo incontro dei fedeli ambrosiani con il nuovo Arcivescovo nella Basilica dei Santi Apostoli (5 gennaio 1980)
06.01.2010
di Ernesto BRIVIO


Oltre tremila pellegrini milanesi sono giunti a Roma nel pomeriggio di sabato 5 gennaio, con un treno speciale, i molti pullman e l’aereo predisposti dall’Ufficio per la Pastorale del Turismo della nostra Diocesi, o con mezzi e organizzazione propria. Rappresentavano l’intera Archidiocesi Ambrosiana nel primo incontro con il Pastore, appena eletto da Papa Giovanni Paolo II, che sale sulla cattedra che fu di Ambrogio e di Carlo, trasmessagli dal nostro cardinale Giovanni Colombo «quando si sono affievolite le sue forze».
Tutti potremmo apprezzare la delicatezza e l’attenzione che l’Arcivescovo eletto, mons. Carlo Maria Martini, ha avuto per i suoi «fratelli e sorelle nel Signore» della Chiesa di Milano, desiderando celebrare con loro la santa messa «in attesa con voi e in preparazione per ricevere la potenza di questa parola che verrà su di me domani con la preghiera dell’ordinazione all’episcopato».
Mons. Martini ha scelto, penso per ragioni logistiche di capienza e di vicinanza alla «sua» Gregoriana, la basilica dei Santi Apostoli che, pur grande, risultò poi appena sufficiente a contenere i pellegrini ambrosiani e il loro entusiasmo. Forse Sua Eccellenza non sa che anche la sede da lui scelta per il suo primo incontro con la diocesi milanese fu una illuminazione dello Spirito; quindi, assai più di una felice coincidenza: un segno, pur piccolo ma significativo, anticipante quel mutuo rapporto d’amore che legherà indefettibilmente il Pastore al suo gregge. Edificata nel VI secolo da papa Pelagio I, poi ripetutamente rovinata fino alla distruzione durante le invasioni barbariche, la basilica dei Santi Apostoli venne alfine riedificata nelle dimensioni attuali (anche se successive sovrastrutture ne hanno alterato l’aspetto originario) da Martino V, il Pontefice Colonna che, tornando a Milano dal Concilio di Costanza, consacrò l’altare e celebrò su di esso la prima messa officiata in Duomo, trasformando finalmente la «gran fabbrica» nella Cattedrale dei milanesi.
Guidavano il pellegrinaggio il Vicario Generale, mons. Maggioni e tutti i Vescovi ausiliari di Milano, molti Vicari episcopali, la rappresentanza del Capitolo Metropolitano, dei Seminari, dei Consigli Presbiterale e Pastorale, dell’Università Cattolica, dell’Azione Cattolica e di tutte le altre organizzazioni e movimenti ecclesiali operanti in Diocesi. Tra i folti gruppi parrocchiali della città e del forese si trovavano anche le rappresentanze degli Ordini di Malta e del Santo Sepolcro, quella della Fabbrica del Duomo e una compatta delegazione degli «Amici del Duomo».
L’incontro con mons. Martini fu festoso, improntato a spontanea e reciproca simpatia. Tutti furono conquistati dal calore umano e dal sorriso schietto dell’Arcivescovo, dalla naturalezza del suo primo approccio con noi, dai gesti liturgici compiuti con partecipata religiosità esente da ritualismi forzatamente ieratici, dalla parola semplice, profonda ed essenziale, docile veicolo di quella Parola che è chiamato ad annunciare al suo popolo.

L’incontro alla Gregoriana

Il successivo ricevimento di tutti i milanesi nell’ampio e severo atrio dell’Università Gregoriana fu una vera festa dei cuori. Assente ogni sorta di protocollo o di copione, fedeli e neo-Arcivescovo improvvisarono a soggetto. I primi, dopo alcune maldestre prove nell’attesa, all’ingresso di mons. Martini elevarono alto il canto di «O mia bela Madonina», seguito dal fragoroso e per i più incomprensibile scroscio del «Tubighi», un’acclamazione di gioia, di benvenuto e di ringraziamento che viene dal lontano Brasile e che ormai tra la gioventù cattolica di tutto il mondo ha soppiantato l’anglico «Urrah!». Pare che, ai più vicini, mons. Martini esprimesse la sua gioiosa sorpresa confessando che, malgrado le molte lingue conosciute, quelle due (il milanese e gli strani gutturali vocalizzi del «Tubighi») gli fossero del tutto ignote. Nell’occasione, ebbe anche l’amabilità di spiegare il significato dell’immagine-ricordo che sarebbe poi stata distribuita a tutti; con l’inizio del Vangelo di Giovanni e l’immagine di Sant’Ambrogio tratta dal mosaico di San Vittore in Ciel d’Oro, il significativo ricordo reca alcune frasi di Sant’Agostino che sono quanto mai indicative della spiritualità del nostro Arcivescovo eletto, dello spirito di servizio alla Chiesa che animerà il suo episcopato illuminato dal dovere della carità e dall’impegno dell’azione.

La consacrazione in San Pietro

Una celebrazione presieduta dal Papa in San Pietro, nella splendida e sfarzosa cornice della basilica vaticana, alla presenza di così tanti cardinali e vescovi di ogni parte del mondo, cui partecipa una folla di fedeli di ogni lingua, è sempre un’esperienza esaltante, capace di comunicarci in maniera sensibile la gioia e il privilegio di appartenere alla Chiesa Cattolica, di farci sentire veramente uniti nella comunità del Corpo Mistico, tutti stretti attorno al Vicario di Cristo nel dolce vincolo dell’amore. La gioia dei milanesi di poter assistere alla consacrazione del loro nuovo vescovo per mano di Giovanni Paolo II – questo Papa venuto da lontano, che con la sua parola e la sua salda figura è per tutti sostanziale punto di riferimento e roccia sicura cui affidarci nella bufera che tutto sembra travolgere in questo nostro tempo – s’è poi velata di commozione all’apparire del cardinale Giovanni Colombo quando, tra i primi dei cardinali e vescovi presenti, ha imposto le sue mani sul capo di mons. Martini, invocando su di lui le primizie dello Spirito. L’omelia del Santo Padre è stata di una forza e, se ci è concesso dirlo, di una novità che non potevano non far presa sui fedeli. Le felici, ispirate intuizioni e immagini con cui ha legato il mistero dell’Epifania, dei suoi doni e del cammino dei Magi alla missione del vescovo, che non ha esitato a definire «il sacramento della strada», hanno fatto meditare ciascuno dei presenti non solo sul compito del Pastore ma, e soprattutto, sulla docilità che è richiesta al gregge di camminare sulle sue orme, dietro la stella della quale è testimone, così come è amministratore e moltiplicatore del dono della Redenzione.

Il saluto dei milanesi

La lunga processione con la quale i tre neo-vescovi hanno percorso l’intero corridoio centrale della basilica, a forma di croce, è stato contrassegnato da vivissimi applausi, fattisi intensissimi e commossi al passaggio benedicente dell’arcivescovo Martini. Per le autorità e le rappresentanze più qualificate del clero e del laicato ambrosiano, seguì poi un familiare ricevimento all’Hotel Columbus; presentati da mons. Maggioni e da mons. Tresoldi, mons. Martini ha avuto con queste un primo personale contatto, cordiale e aperto, non certo protocollare, ma affabile e attento alle singole persone. Tornati alle nostre case, alle nostre comunità ecclesiali, ognuno di noi, che visse questi privilegiati momenti, ha trasmesso sensazioni e certezze, di giorno in giorno alimentanti sempre più le aspettative di tutti coloro che, nella preghiera e nella disponibilità filiale, attendono di potere incontrare il nuovo Pastore e di porsi, dietro di lui, sulla strada che conduce a Cristo.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 06:54.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com