Faremo bene a meditare sul progresso

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Cattolico_Romano
00martedì 21 luglio 2009 07:09

Faremo bene a meditare sul progresso


In attesa dell'evento ormai imminente, domenica 20 luglio Paolo VI rivolse queste parole ai fedeli giunti a Castel Gandolfo per la preghiera dell'Angelus.



Oggi è un giorno grande, un giorno storico per l'umanità, se davvero questa sera due uomini metteranno piede sulla Luna, come Noi con tutto il mondo trepidante, esultante e orante auguriamo possa felicemente avvenire. Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento; a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso, nello sconfinato quadro dei secoli innumerevoli e degli spazi smisurati. Che cos'è l'universo, donde, come, perché? Faremo bene a meditare sull'uomo, sul suo ingegno prodigioso, sul suo coraggio temerario, sul suo progresso fantastico. Dominato dal cosmo come un punto impercettibile, l'uomo col pensiero lo domina. E chi è l'uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso.

Oggi, lo sviluppo scientifico ed operativo dell'umanità arriva ad un traguardo che sembrava irraggiungibile:  il pensiero e la azione dell'uomo dove potranno ancora arrivare? L'ammirazione, l'entusiasmo, la passione per gli strumenti, per i prodotti dell'ingegno e della mano dell'uomo ci affascinano, forse fino alla follia.

E qui è il pericolo:  da questa possibile idolatria dello strumento noi dovremo guardarci. È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l'efficienza dell'uomo; ma questa efficienza è sempre a suo vantaggio? Lo fa più buono? più uomo? O non potrebbe lo strumento imprigionare l'uomo che lo produce e renderlo servo del sistema di vita che lo strumento nella sua produzione e nel suo uso impone al proprio padrone? Tutto  ancora  dipende  dal cuore dell'uomo.

Bisogna assolutamente che il cuore dell'uomo diventi tanto più libero, tanto più buono, tanto più religioso, quanto maggiore e pericolosa è la potenza delle macchine, delle armi, degli strumenti che l'uomo mette a propria disposizione.

Nell'ebbrezza di questo giorno fatidico, vero trionfo dei mezzi prodotti dall'uomo, per il dominio del cosmo, noi dobbiamo non dimenticare il bisogno e il dovere che l'uomo ha di dominare se stesso. Ancora vi sono, lo sappiamo, tre guerre in atto sulla faccia della terra:  il Vietnam, l'Africa, il Medio Oriente. Una quarta si è aggiunta già con migliaia di vittime tra il Salvador e l'Honduras. Proprio in questi giorni! E poi la fame affligge ancora intere popolazioni. Dov'è l'umanità vera? Dov'è la fratellanza, la pace? Quale sarebbe il vero progresso dell'uomo se queste sciagure perdurassero e si aggravassero? Possa invece il progresso, di cui oggi festeggiamo una sublime vittoria, rivolgersi al vero bene, temporale e morale dell'umanità.

E perciò preghiamo.


(©L'Osservatore Romano - 20-21 luglio 2009)
Cattolico_Romano
00martedì 21 luglio 2009 07:13
Insieme a centinaia di milioni di persone nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969 Paolo VI seguì il primo sbarco umano sul suolo del satellite terrestre

«Gloria a Dio e onore a voi uomini artefici della grande impresa»


La  prima  riflessione  approfondita  di Paolo VI dopo lo storico allunaggio si ebbe nel discorso pronunciato durante l'udienza di mercoledì 23 luglio. Ne ripubblichiamo il testo.

Si è tanto parlato in questi giorni, e in tutto il mondo, e con tutte le voci possibili, dell'impresa lunare; Noi stessi vi abbiamo dedicato qualche esclamazione ammiratrice, così che sembrerebbe ora cosa migliore per Noi tacerne che parlarne. Ma, oltre il fatto che proprio domani la straordinaria escursione planetaria deve concludersi con il ritorno, che auguriamo felicissimo, degli astronauti sulla terra, questo avvenimento penetra talmente nella psicologia della pubblica opinione da costituire una sorgente di pensieri, di questioni, di spiritualità, che commetteremmo un peccato di omissione, se non Ci fermassimo, anche in questo familiare incontro, a meditarlo un po'. È purtroppo vero che la superficialità è una abitudine di moda. Anche le più forti impressioni, che a noi vengono dall'esperienza della vita moderna, si cancellano subito; o subito sono soverchiate da altre successive, così che spesso manca il tempo, manca la voglia di approfondirle, e di coglierne il significato, la verità, la realtà. Ma in questo caso il trauma della novità e della meraviglia è così forte, che sarebbe stoltezza non riflettere su questa, possiamo dire, sovrumana e storica avventura, alla quale tutti abbiamo, come spettatori esterrefatti, in qualche modo - anche questo meraviglioso - assistito.

Ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi! L'importanza degli studi scientifici può essere di per sé oggetto di interminabili considerazioni. Ad esempio, quella circa lo sviluppo e il progresso, che questi studi hanno avuto nel tempo nostro, fino a modificare la mentalità umanistica tradizionale della nostra cultura e della nostra scuola; il che vuol poi dire della nostra vita. Il bilancio di questi studi positivi e scientifici è così attivo, che una grande attrattiva vi polarizza molta parte delle nuove generazioni, e un ottimismo sognatore sulle loro future conquiste ne fa quasi un'iniziazione profetica. E sia pure. Il campo scientifico merita ogni interesse.



Ma intanto potremmo, di passaggio, osservare come sia fuori luogo, almeno a questo riguardo, il disfattismo oggi di moda contro la società e la sua compagine, e in genere contro la vita moderna. Questo disfattismo seduce oggi perfino qualche parte della gioventù, e altri uomini di pensiero e d'azione; li gratifica di audace progressismo, e sembra loro conferire una personalità superiore, quando li riempie di istinti ribelli e di spregiudicato disprezzo verso la nostra età e verso il suo sforzo creativo. La vita invece è seria; e ce lo insegna la somma immensa di studi, di spese, di fatiche, di ordinamenti, di tentativi, di rischi, di sacrifici, che una impresa colossale, come quella spaziale, ha reclamati. Criticare, contestare è facile; non così costruire, in questa iniziativa si comprende; ma parimente in altre moltissime da cui risulta la nostra presente civiltà. Perciò Ci sembra che un dovere di ripensamento e di apprezzamento dei valori della vita moderna ci sia intimato dall'avvenimento che stiamo celebrando. Noi non neghiamo alla critica i suoi diritti, né rimproveriamo al genio dei giovani il suo istinto di emancipazione e di novità. Ma riteniamo non degno di giovani il decadentismo iconoclasta e privo di amore dei contestatori di mestiere. I giovani devono sentire l'impulso ideale e positivo che loro è offerto dalla magnifica avventura spaziale. Ed allora ecco un'altra considerazione. Questo nostro aperto suffragio per la progressiva conquista del mondo naturale, per via di studi scientifici, di sviluppi tecnici e industriali, non è in contrasto con la nostra fede e con la concezione della vita e dell'universo, ch'essa comporta. Basta ricordare quanto insegna a questo riguardo il recente Concilio (Gaudium et spes, nn. 37, 58, 59, ecc.).

Qui tocchiamo uno dei punti più delicati della mentalità moderna rispetto alla nostra religione cattolica, una religione cioè positiva, con sue dottrine ben determinate, e ordinate a sistema unitario, incentrato in Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella sua Chiesa. Ora è facile riscontrare nella mentalità dell'uomo odierno, specialmente di quello dedicato agli studi scientifici, una duplice serie di difficoltà:  una di ordine essenziale, l'altra di ordine storico. Come può, dice oggi lo studioso, entrare nello schema dogmatico e rituale della vita cattolica l'immenso patrimonio delle scoperte scientifiche, con l'impiego libero e totale della ragione, e con la concezione che ne risulta sul mondo e sull'umana esistenza? E come può, insiste lo studioso osservando i mutamenti continui, rapidi e macroscopici, che avvengono col volgere del tempo nel pensiero e nel costume dell'uomo moderno, rimanere intatta la religione tradizionale, racchiusa in una mentalità statica e d'altri tempi?

Occorrerebbero libri interi, sia per formulare queste obiezioni capitali, sia per rispondervi. Non è certo qui, né in questo momento che lo faremo. Ma ora Ci basti rassicurarvi. La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero  scientifico  moderno, ma lo desidera.

Lo desidera, perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede (cfr. Gaudium et Spes, n. 44) e alla ricerca e allo studio d'ogni campo conoscibile.
È stata questa una delle affermazioni caratteristiche e più documentate del pensiero cattolico apologetico del secolo scorso e della prima metà del nostro secolo, con risultati magnifici, dei quali le nostre Università sono documenti gloriosi.



Adesso si profilano altre tendenze, che suppongono, non smentiscono la precedente:  quella, che si rifà alla famosa parola di sant'Agostino, e che possiamo dire psicologica:  "Tu, (o Signore), ci hai fatti per Te ed è inquieto il nostro cuore, finché non si riposi in Te" (Confess. i, 1). Il bisogno di Dio è insito nella natura umana, e quanto più essa progredisce tanto più essa avverte, fino al tormento, fino a certa drammatica esperienza, il bisogno di Dio. Ovvero quella che, tanto per intenderci, potremmo dire la tendenza cosmica:  chi studia, chi cerca, chi pensa non può sottrarsi ad una obiettiva onnipresenza di Dio, antica verità, che il Libro sacro sempre ci ripete:  "Dove andrò io lungi dal Tuo spirito (o Signore), e dove fuggirò io dalla Tua faccia?" (Ps 138, 7). Impossibile sottrarsi da questa presenza, di cui la materia, la natura è, per chi lo sa comprendere, un libro di lettura spirituale:  "In Lui (cioè in Dio, dice san Paolo) noi viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo" (Act 17, 28). Il Dio ignoto è sempre lì; ogni studio delle cose è come un contatto con un velo dietro il quale si avverte un'infinita palpitante Presenza.

Ora qui è l'attimo sublime, l'attimo della rivelazione, l'attimo in cui Cristo apre il velo e appare nella storica e semplice scena del Vangelo. Chi è Cristo? Ecco la questione decisiva. Risponde san Giovanni, al primo capitolo del suo Vangelo:  è il Verbo, è Dio, è Colui per virtù del Quale tutte le cose furono fatte. E san Paolo confermerà:  è Colui che "è avanti a tutte le cose; e tutte le cose sussistono per lui" (Col 1, 17); ed è Colui che un giorno, il giorno finale "della restaurazione di tutte le cose" (della "apocatastasi":  Atti degli apostoli, 3, 21) nel quale Egli con la sua potenza "assoggetterà a sé tutte le cose" (Phil 3, 21). Cioè Cristo è l'alfa e l'omega, il principio e il fine (cfr. Apoc 1, 8; 21, 6; 22, 13), non solo per i destini dell'uomo, ma per il cosmo intero, che in Lui ha il suo punto focale, donde ogni senso, ogni luce, ogni ordine, ogni pienezza.

Non temiamo, Figli carissimi, che la nostra fede non sappia comprendere le esplorazioni e le conquiste, che l'uomo va facendo del creato, e che noi, seguaci di Cristo, siamo esclusi dalla contemplazione della terra e del cielo, e dalla gioia della loro progressiva e meravigliosa scoperta. Se saremo con Cristo saremo nella via, saremo nella verità, saremo nella vita.



(©L'Osservatore Romano - 20-21 luglio 2009)
Cattolico_Romano
00martedì 21 luglio 2009 07:45

Inseguendo i sogni di Verne la Terra scoprì di essere il Pianeta blu


di Maria Maggi

Le immagini televisive erano ancora in bianco e nero, nella notte tra il 20 e il 21 luglio 1969, quando vedemmo i due astronauti Neil Armstrong e Edwin Aldrin muoversi goffi, ma allo stesso tempo leggeri, sulla superficie lunare. Eravamo increduli, stupefatti. Con noi ventuno milioni di italiani - e centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo - rimasero incollati allo schermo. Testimoni del primo sbarco dell'uomo sulla Luna. Un evento storico.



Fu veramente un impegno colossale, costoso e difficile, iniziato otto anni prima quando fu dato il via al programma Apollo, con obiettivo l'allunaggio. Il presidente John F. Kennedy lo aveva annunciato al Congresso il 25 maggio 1961. Il lavoro compiuto dalla Nasa (Ente spaziale statunitense), che sfociò nella missione dell'Apollo 11, aveva però origini più lontane, come ricordò allora Wernher von Braun, artefice del grande razzo vettore Saturn V che condusse l'uomo  sulla Luna:  "Poggiava sulle basi gettate da Copernico, Galileo, Keplero e Newton e da tutti gli scienziati che li seguirono, fino a Tsiolkovski, Goddard e Oberth, ideatori dei principi basilari dell'astronautica".

Anche lo stimolo esercitato dai romanzi di Jules Verne sugli scienziati spaziali ebbe il suo peso.
Nel romanzo Dalla Terra alla Luna del 1865 lo scrittore francese aveva anticipato molte fasi dello storico allunaggio:  dal numero degli astronauti alla forma della navicella, dalla durata del viaggio alla temperatura della superficie lunare in ombra, dal divertimento dei cosmonauti a librarsi in assenza di peso ai cibi ridotti al minimo volume, dai numerosi strumenti per rilievi e ricerche fino al conto alla rovescia e al recupero in mare. Strabiliante è l'analogia riguardante l'ubicazione della base di lancio:  per Verne il cosmodromo si trovava a Stone's Hill presso Tampa in Florida. Nella realtà il razzo partì da Capo Kennedy a meno di cento chilometri da Tampa. La scelta di Verne non fu un caso, ma si basava su un importantissimo motivo scientifico:  Stone's Hill si trova a 27 e 7' di latitudine nord, ossia nella posizione ideale per effettuare un lancio perpendicolare al piano dell'orizzonte, verso lo Zenit. La Luna, infatti, sale allo Zenit soltanto nei luoghi situati tra 0 e 28 di latitudine e quindi la regione indicata dalla geografia e dall'astronomia per la costruzione di un cosmodromo è per gli Stati Uniti la Florida, oltre che il sud del Texas.

L'unico particolare differente fu che gli uomini spaziali di Verne non arrivarono a destinazione. La navicella entrò nell'orbita lunare e le girò intorno come un satellite per poi ritornare verso la Terra. Questo in realtà è ciò che fecero le missioni di preparazione che precedettero lo sbarco, Apollo 8 e Apollo 10.

Come si riuscì a mettere in atto il sogno futuristico di Verne? I razzi e la tecnologia per arrivare nelle vicinanze della Luna erano già disponibili all'inizio degli anni Sessanta. Il problema vero riguardò la programmazione dell'allunaggio e la ripartenza dal suolo lunare.

Dapprima furono esaminate tre possibilità. La prima prevedeva un lancio diretto verso la Luna con un razzo più potente di quelli dell'epoca:  l'intera navicella sarebbe atterrata sulla Luna e poi sarebbe ripartita verso la Terra. La seconda avrebbe richiesto il lancio di due razzi Saturn V, uno contenente la navicella, l'altro il propellente. La navicella sarebbe entrata in orbita e poi rifornita del propellente che le avrebbe permesso di raggiungere la Luna e tornare indietro. Anche in questo caso sarebbe atterrata l'intera navicella. La terza prevedeva una navicella composta di due moduli:  il Csm (modulo di comando-servizio) e il Lem (modulo lunare). Il Csm era costituito da una capsula per la sopravvivenza dei tre astronauti munita di scudo termico per il rientro nell'atmosfera terrestre (modulo di comando) e dalla parte elettronica e di sostentamento energetico per il modulo di comando (modulo di servizio). Il Lem, una volta separato dal Csm, doveva garantire la sopravvivenza ai due astronauti che sarebbero scesi sulla superficie lunare.

L'ultima possibilità fu quella effettivamente messa in atto. Il modulo lunare doveva svolgere una funzione di ascesa e di discesa sul suolo lunare. Terminata questa fase avrebbe dovuto agganciarsi con il Csm, in orbita lunare, per il ritorno sulla Terra, per poi essere definitivamente abbandonata. Questo piano offriva il vantaggio che il Lem, dopo essersi staccato dal Csm, era molto leggero, quindi più manovrabile. Inoltre sarebbe stato possibile utilizzare un solo razzo Saturn V. Presentava però anche problemi a causa delle numerose manovre di sgancio e aggancio richieste. Così ci volle un notevole addestramento degli astronauti per realizzarlo.

Il 16 luglio 1969, finalmente, il razzo Saturn V si staccò  dalla  Terra  e  arrivò  in  orbita  lunare  il  20. Allora  il modulo lunare, chiamato Eagle, si separò dal modulo di  comando  Columbia.  Michael  Collins rimase  a  bordo  del  Columbia,  mentre  l'Eagle  con Armstrong e Aldrin, scese sulla superficie. Dopo un attento controllo visivo, Eagle accese il motore e iniziò la discesa. Durante questa fase, gli astronauti si accorsero che il sito dell'atterraggio, nel Mare della Tranquillità, era molto più roccioso di quanto avessero indicato le fotografie. Armstrong prese il controllo manuale del modulo lunare, che fece allunare un po' oltre il luogo scelto alle 20 e 17 (ora di Greenwich).

Sei ore e mezza dopo aver toccato il suolo, Armstrong compì la discesa dalla scaletta e nel toccare la superficie lunare - che trovò friabile - disse la famosa frase:  That's one small step for a man, one giant leap for mankind - "Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo gigantesco per l'umanità". Aldrin lo seguì.

I due astronauti trascorsero due ore e undici minuti a fotografare la superficie lunare, a piazzare strumenti e a raccogliere ventidue chilogrammi di campioni di roccia.
Nella sesta e ultima missione lunare, nel dicembre 1972, il tempo di permanenza si sarebbe allungato fino a 22 ore e 5 minuti. La distanza percorsa sarebbe passata dai 100 metri a piedi degli astronauti di Apollo 11 ai 35 chilometri percorsi sul veicolo elettrico di Apollo 17.
Il ritorno degli astronauti sulla Terra avvenne senza problemi e per loro fu un trionfo. L'impresa fu paragonata a quella di Cristoforo Colombo. Divenne il tema centrale della cronaca, della scienza, della letteratura.

Col suo sottile sense of humour, per esempio, Dino Buzzati sul "Corriere della Sera" narrò gli istanti precedenti lo sbarco facendo il "tifo" per la Luna:  "L'ultima speranza è che tra poco la Luna se ne vada. Che avvicinandosi gli esploratori, i pionieri, gli ulissidi, gli eroi, improvvisamente tu, solinga, eterna peregrina, ti stacchi dall'orbita antichissima, tolga gli ormeggi e ti allontani, beata, via per gli spazi del cosmo. Muoviti, ribellati, fuggi, non importa se finirai nella fornace di una stella, se ti scotterai un poco, sacrificati per noi che ti abbiamo voluto così bene, che ti abbiamo dedicato tante poesie e tante canzoni".
Naturalmente la Luna non ne andò. Perse certamente un po' del suo mistero e della sua poesia. Infatti, dal 1969 al 1972, si susseguirono 6 sbarchi lunari e 12 astronauti calpestarono ed esplorarono la sua superficie. Dalle missioni Apollo furono riportati tanti dati scientifici che servirono a conoscere meglio il nostro satellite. Però dopo il 1972 non fu più meta di voli umani, perché l'esplorazione spaziale si dedicò ad altri obiettivi.

Il programma Apollo fu in ogni modo trainante in molti settori tecnologici, come quello dei computer con lo sviluppo dei circuiti integrati e la miniaturizzazione dei componenti e quello delle celle a combustibile. Si valuta che le ricadute tecnologiche abbiano prodotto almeno 30.000 oggetti e che per ogni dollaro speso dalla Nasa ne siano stati ottenuti tre dai vari prodotti realizzati.

Una delle eredità più importanti del programma Apollo fu quella di dare della Terra una visione di pianeta blu, molto bello, ma fragile e piccolo, impresso nelle fotografie fatte dagli astronauti in orbita lunare.

Dopo una lunga pausa, l'esplorazione lunare riprese negli anni Novanta. Allora le sonde Clementine e Lunar Prospector realizzarono mappe globali della topografia lunare, della composizione superficiale, delle variazioni di gravità e delle anomalie magnetiche. Queste osservazioni hanno fatto chiarezza sulle scoperte effettuate dalle missioni Apollo, ma hanno anche sollevato nuovi problemi. Uno dei principali misteri riguarda il violento bombardamento che avrebbe interessato la superficie lunare quattro miliardi di anni fa. Ora sono i cinesi, i giapponesi e gli indiani a puntare sulla Luna. Da poco gli scienziati giapponesi hanno diffuso la mappa lunare più dettagliata mai realizzata finora grazie alle tre sonde che hanno lassù, accanto alle quali volano pure una sonda cinese e una indiana. Nel 2020 c'è già il progetto di portare sulla Luna astronauti cinesi e indiani con l'intento di avviare insediamenti stabili. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno un piano che prevede la realizzazione di colonie lunari con fini scientifici intorno al 2020. Intanto, per preparare il ritorno, alcune sonde spaziali hanno approfondito lo studio della geologia e della struttura interna della Luna. Forse hanno individuato una riserva di acqua ghiacciata.

Due sonde sono state lanciate in giugno dalla Nasa:  Lro (Lunar Reconnaissance Orbiter), che utilizzerà le tecnologie attualmente più avanzate per realizzare una più dettagliata mappa della superficie lunare, cercare risorse come il ghiaccio e monitorare il livello di pericolo indotto dalle radiazioni ambientali per una missione umana, e Lcross (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite). Quest'ultima porterà nello spazio un missile destinato a bombardare un cratere della Luna, vicino a una zona permanentemente ombreggiata presso il polo sud lunare. L'impatto lancerà materiale della superficie nello spazio creando  un  pennacchio  di  polvere  che  sarà  esaminato con speciali sensori per verificare la presenza di ghiaccio.

Il progetto americano individua le zone polari come ideali per lo sbarco. In particolare i bordi del cratere Shackleton nel polo sud, perché è un luogo dove la luce splende per oltre il 70 per cento del mese rendendo la temperatura più mite e garantendo una maggiore fornitura di energia solare. Ma la zona è stata scelta anche per un altro motivo. Essa è vicina ad alcune aree dove regna il buio perenne, nelle quali dovrebbe essersi conservato del ghiaccio portato dalle comete. Da questo ghiaccio si potrebbe ricavare ossigeno e idrogeno preziosi per la vita della base e il funzionamento dei razzi. Inoltre i minerali presenti nel suolo circostante potrebbero essere utilizzati per diverse lavorazioni locali. Tutto è organizzato, infatti, per garantire un insediamento stabile e il più possibile autonomo, riducendo i gravosi trasporti dalla Terra.
In molte parti del mondo e anche in Italia durante il mese di luglio si terranno molte manifestazioni per festeggiare degnamente il quarantesimo anniversario della conquista della Luna. A Roma, in particolare, cinque iniziative, riunite sotto il titolo "La Luna ha 40 anni", sono state programmate tra il 30 giugno e il 29 luglio. Riguardano le romantiche fantasie epiche e popolari (Ariosto, Cyrano, il Barone di Münchhausen, Jules Verne) fino alla più moderna fantascienza, ed eventi, con osservazioni al telescopio, spettacoli astronomici, conferenze, proiezioni cinematografiche, giochi e performance artistiche e multimediali.



(©L'Osservatore Romano - 20-21 luglio 2009)
Cattolico_Romano
00martedì 21 luglio 2009 08:03

Oltre il timore dell'incognito


Giovedì  16  ottobre  1969  i  tre  astronauti statunitensi dell'Apollo 11 - Neil Armstrong, Edwin E. Aldrin e Michael Collins - vennero ricevuti in udienza da Papa Montini nella sua biblioteca privata. Pubblichiamo il testo del discorso pronunciato dal Pontefice.



Con la più grande gioia nel cuore diamo il benvenuto a voi, che superando le barriere dello spazio, avete messo piede su un altro mondo del Creato.
L'uomo ha la tendenza naturale ad esplorare l'incognito, a conoscere il mistero; ma l'uomo ha anche timore dell'incognito. Il vostro coraggio ha superato questo timore e, con la vostra intrepida avventura, l'uomo ha compiuto un altro passo verso una maggiore conoscenza dell'universo:   con le sue parole, signor Armstrong, "un passo gigante per l'umanità".

Noi ammiriamo il vostro coraggio e ammiriamo lo spirito con cui avete portato a termine la vostra missione:  uno spirito di servizio all'umanità e uno spirito di pace. Le nostre preghiere e le preghiere di tutta la Chiesa nel mondo vi accompagnavano ad ogni istante del vostro viaggio, e Noi, a nome di tutta la Chiesa, vi presentiamo le nostre più sincere congratulazioni e, per vostro mezzo, le facciamo agli scienziati, ai tecnici, ai lavoratori e a tutti coloro che diedero il contributo di conoscenza, di abilità e di lavoro alla grandiosa impresa. Noi ci congratuliamo anche e ringraziamo il Presidente e il popolo della vostra diletta nazione per aver reso possibile, con la tipica generosità di spirito, la esplorazione lunare, a beneficio dell'uomo e del mondo.

Lodiamo il genio, la devozione e la tenacia mostrate nella magnifica intrapresa. Il livello di collaborazione e di cooperazione, la perfezione raggiunta nell'organizzazione e le conoscenze ed i talenti impiegati, suscitano l'ammirazione del mondo e rendono omaggio alla capacità dell'uomo moderno di andare oltre se stesso, oltre la umana natura per raggiungere il pieno successo che è stato reso possibile dalla sua intelligenza da Dio elargita.

Sia lode a Dio, Creatore del mondo, e poiché "I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento proclama le opere delle sue mani" (Ps 18, 2), Noi lo preghiamo di renderci possibile di apprendere ancora di più della Creazione, di vedere più chiaramente la sua potenza, la sua immensità e la sua perfezione, così che, da questa conoscenza, gli uomini possano sempre più unirsi, come figli suoi, in amore fraterno, in pace e in preghiera.

Noi ringraziamo e rendiamo gloria a Dio per il successo della vostra missione, per le cose che avete scoperto, per il vostro felice ritorno sulla terra, e invochiamo dal Signore dei cieli su voi, le vostre consorti ed i vostri figli le più elette benedizioni e grazie.



(©L'Osservatore Romano - 20-21 luglio 2009)
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