Frati predicatori e Inquisizione romana

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Cattolico_Romano
00martedì 26 maggio 2009 07:02
Frati predicatori e Inquisizione romana

I cani fedeli che difendevano la vite dalle volpi


Presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino si è svolto un atto accademico in omaggio del preside emerito dell'Istituto Storico Domenicano Arturo Bernal Palacios. Nell'occasione è stato presentato il volume degli Atti del iii Seminario Internazionale su I Domenicani e l'Inquisizione, Roma 15-18 febbraio 2006 (Roma, Istituto Storico Domenicano, 2008, pagine 658). Ne pubblichiamo un breve estratto.



di Carlo Longo

Dopo le grandi rotture politiche e religiose del secolo XVI, l'Europa rimasta fedele al Papa ebbe paura che l'ordine del suo mondo venisse sovvertito. Cum Luteri pestifera doctrina non tantum in septentrionales partes, verum etiam in Angliam, Galliam atque Italiam aliasque orbis partes dilaberetur, cardinales fr. Iohannes Alvarez de Toledo ex ducibus Albae nostri Praedicatorum ordinis et Iohannes Petrus Carafa, animadvertentes ruinam maximam fidelibus imminentem, cum Paulo iii ut sacrum inquisitionis tribunal in urbe restitueretur ac constabiliretur egere, quod et pontifex maximus praestitit festinanter.

La nascita di nuove istituzioni inquisitoriali, il Santo Uffizio, o il consolidamento delle vecchie, avvenne in questo clima di terrore e nel tentativo di salvaguardare con i mezzi più idonei l'ordine costituito e la pace sociale.

I domenicani, da sempre impegnati in questo campo, assunsero compiti di maggiore responsabilità e questa loro azione aveva bisogno di essere sostenuta e giustificata. Se la propagazione e la difesa della fede nei primi tre secoli di storia dell'ordine avevano avuto il significato di un impegno capillare per comprendere le dinamiche della storia - la preghiera della decifrazione - ed indirizzarle, grazie alla riflessione filosofica e teologica, verso obiettivi più giusti e più santi, ora l'azione di una grande parte dell'ordine si dedicava al mantenimento dell'ordine costituito. 

I frati predicavano, organizzavano missioni popolari, dirigevano le coscienze, propagavano la recita del rosario, preghiera pedagogica e occasione di creare forme di vita associata - le confraternite - erano coinvolti nei tribunali dell'inquisizione, al fine di mantenere e sostenere un sistema religioso e politico, che appariva con l'avanzare dei secoli sempre più traballante.
La povertà di questi orizzonti, molto limitati al confronto con le grandi idealità duecentesche, doveva essere giustificata e avere un suo fondamento. Il fondamento fu per vie molto tortuose talora trovato in testi biblici interpretati a convenienza, più spesso individuato nelle vicende della vita di san Domenico.
Le chiese domenicane, e non solo esse, a partire dalla seconda metà del secolo XVI si adornarono di raffigurazioni della Madonna del Rosario, di immagini acheropite di san Domenico, portate dal cielo a Soriano per contrastare le iconoclastie dei novatori, di cicli pittorici che mostravano l'eroica audacia dei cani fedeli che combattevano i volpacchiotti che estirpavano i germogli dei vitigni. E tutte queste raffigurazioni, talora anche ingenue, avevano forte impatto emotivo sul popolo nella maggioranza dei casi illetterato.

I pubblicisti domenicani dei secoli XVIi e XVIii si incaricarono di mettere per iscritto i fondamenti teologici e storici su cui si fondava l'azione dei loro confratelli, anche quella repressiva. I loro libri si diffusero dappertutto e furono da tutti letti. Qualcuno li criticò, ma si trattava di minoranze, che bazzicavano gli ambienti intellettuali. La maggioranza dei frati che svolgeva ordinario ministero in ambienti periferici e popolari trasse da essi conforto e sostegno, si alimentò con le eroiche narrazioni da essi proposte, credette di seguire degnamente le orme di un padre "benigno ai suoi e ai nemici crudo".

Bisognerà attendere qualche secolo con tutte le sue rivoluzioni e la fine di quell'ordine costituito che essi sostenevano perché qualcuno smontasse i miti da loro creati, ma nell'immaginario collettivo e nel regno sregolato delle false etimologie essi resteranno i cani del Signore.

"Il capitano - si legge ne Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia - tornò, attraverso i seminati, alla masseria da dove cominciava il viottolo. Pareva abbandonata. Ma girando intorno, dal lato opposto a quello che guardava verso il chiarchiaro, un cane improvvisamente scattò nel raggio che la corda che lo legava ad un albero gli consentiva:  restò come sospeso al collare che lo soffocava, rabbiosamente abbaiando. Era un bel bastardo, di pelo marrone e con piccole mezzelune viola sugli occhi gialli. Un vecchio venne fuori dalla stalla ad acquietarlo - tie', Barruggieddu, tie'; buono, stai buono - poi al capitano disse - baciolemani. Il capitano si avvicinò al cane per accarezzarlo.

- No - disse il vecchio allarmato - è cattivo, una persona che non conosce, magari prima si fa toccare, la fa assicurare e poi morde... È cattivo quanto un diavolo.
- E come si chiama? - domandò il capitano, incuriosito dallo strano nome che il vecchio aveva pronunciato per acquietarlo.
- Barruggieddu si chiama - disse il vecchio (...) Ho capito - disse il capitano - vuol dire Bargello:  il capo degli sbirri.
Imbarazzato, il vecchio  non  disse  né   sì né no.

Il capitano (...) capì che non c'era niente da cavare da uno che riteneva il capo degli sbirri cattivo quanto il proprio cane. E non è che avesse torto, pensava il capitano:  da secoli i bargelli mordevano gli uomini come lui, magari li facevano assicurare, come diceva il vecchio, e poi mordevano. Che cosa erano stati i bargelli se non strumenti della usurpazione e dell'arbitrio?

Salutò il vecchio e per il viottolo si avviò allo stradale. Strattando la corda che lo legava, il cane abbaiò un'ultima minaccia. "Bargello - pensò il capitano - bargello come me:  anch'io col mio breve raggio di corda, col mio collare, col mio furore":  e più si sentiva vicino al cane di nome Barruggieddu che all'antico, ma non tanto antico, bargello. E ancora pensò di sé "cane della legge"; e poi pensò "cani del Signore", che erano i domenicani e l'inquisizione; parole che scesero come in una vuota oscura cripta, cupamente svegliando gli echi della fantasia e della storia. E con pena si chiese se non avesse già valicato, fanatico cane della legge, la soglia di quella cripta. Pensieri, pensieri che sorgevano e si dissolvevano nella vampa in cui il sonno da sé si consumava".

Abbiamo anche noi da quella oscura cripta, dove giacciono le memorie rimosse, svegliato echi della fantasia e della storia, perché meminisse iuvat.



(©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 13:46.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com