Gesù, la tempesta, il cuscino e la vita

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Cattolico_Romano
00sabato 20 giugno 2009 07:10
Gesù, la tempesta, il cuscino e la vita

XII Domenica del Tempo Ordinario, 21 giugno 2009




di padre Angelo del Favero* 


ROMA, venerdì, 19 giugno 2009 (ZENIT.org).- “Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: “Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io ti interrogherò e tu mi istruirai! Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri?(…) Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre, e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde?” (Gb 38,1-5.8-11).

Ci fu una gran tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?”.(…) “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4,37-38.40).Sconvolto e schiacciato dall’angoscia per la sofferenza che lo ha ingiustamente colpito, Giobbe dimentica di aver benedetto Dio per ciò che gli ha dato e per ciò che gli ha tolto, e si mette ad accusarlo apertamente, rasentando la bestemmia: “Io grido a te, ma tu non mi dai retta. Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi perseguiti; mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare nella bufera. So bene che mi conduci alla morte, alla casa dove convengono tutti i viventi” (Gb 30,20-23).

In preda ad un vero e proprio “brain storming” (bufera mentale), Giobbe lancia a Dio una sfida: “Oh, avessi uno che mi ascoltasse! Ecco qui la mia firma! L’Onnipotente mi risponda!” (Gb 31,35). Giobbe è innocente e non può accettare la tesi dei suoi amici, i quali attribuiscono ad un suo peccato personale la causa delle sventure piombate su di lui come un uragano. Inascoltato, si appella alla giustizia di Dio, ma invano. Dio infatti reagisce “indispettito”: “Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante?”(Gb 38,2).

Chi è Giobbe?

Giobbe sono io, Giobbe è la mia stoffa viva, vulnerabilissima, nella quale l’istinto di sopravvivenza è inciso con caratteri più forti e profondi di quelli che può dettare alla coscienza la buona volontà. Sì, al pari di Giobbe, quando il dolore colpisce a morte, ognuno di noi, pronto nel tempo del benessere a benedire Dio per tutto, si ritrova, suo malgrado, trascinato dalla bufera interiore. E’ una forza poderosa come uno tsunami, capace di mutare i gemiti del cuore in insulti all’Onnipotente.

E’ il grido della coscienza carnale, disorientata come una foglia secca nel turbine, urlo della natura umana ben più forte del contemporaneo mormorio della coscienza spirituale, che pure si basa sulla certezza della Parola divina.

Abbandonato totalmente il freno spirituale del timor di Dio, Giobbe si rivolge a Dio da amico sdegnato, e Lo interroga con l’accusa non solo di essere indifferente alla sua sorte, ma di averla direttamente provocata.

Siamo così introdotti nel Vangelo di oggi, alla ricerca del senso profondo della risposta di Gesù alla domanda dei discepoli terrorizzati nella barca ormai piena d’acqua: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4,40). Amplificata dal panico per l’imminente affondamento, trabocca dal loro cuore l’angoscia per l’indifferenza assurda del Signore: com’è possibile che non intervenga? Perché sta lasciando morire i suoi amici?

Notiamo che tale assurdità “morale” è ambientata da Marco in un contesto concreto non meno assurdo: nessuno, infatti, potrebbe rimanere addormentato su un cuscino sopra un guscio di noce sballottato dalla tempesta! In realtà, con questo sonno profondo del Signore, Marco sembra voler comunicare un messaggio nascosto, in linea con la sua teologia del cosidetto “segreto messianico”. E’ il messaggio del cuscino.

Ecco, su questa barca in balìa del mare stiamo oggi anche noi: perché la morte improvvisa? perché la morte programmata? Perché 228 persone inabissate d’un tratto nelle tranquille acque dell’oceano? Perché tutte le stragi quotidiane dei figli di Dio: dalla fame alla guerra? E ancora e molto di più: perché Dio lascia morire ogni anno decine di milioni di bimbi nel seno materno, e chiude in una gelida bara di azoto centinaia di migliaia di esseri umani, ognuno dei quali Egli ha creato per uno specialissimo progetto di felicità, infondendogli per realizzarlo un’anima immortale? Non gli importa che vadano certamente perduti? L’esemplificazione va estesa all’intero arco della vita, ma la sorte e il sangue dell’uomo non nato parlano con voce più eloquente di quella dei nati, poiché il peccato contro la vita nel grembo è più grave ed è moralmente paradigmatico quanto a sopraffazione omicida del più forte sul più debole.

Ed essendo l’uomo “la via della Chiesa”, è anzitutto sull’uomo nel grembo che la Chiesa deve rinnovare l’annuncio del Vangelo, il Vangelo della vita, in quest’Anno Sacerdotale, il cui tema è “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”. Tale urgente priorità, già affermata da Giovanni Paolo II, è ribadita da Benedetto XVI.

Egli spiega che fedeltà alla vocazione sacerdotale significa: “scegliere noi stessi la vita e aiutare gli altri a scegliere la vita. Si tratta di rinnovare la nostra, per così dire, “opzione fondamentale”, l’opzione per la vita. Cari sacerdoti: il nucleo della nostra pastorale mi sembra essere questo: aiutare a fare una vera opzione per la vita, rinnovare la relazione con Dio come la relazione che ci da’ la vita e ci mostra la strada per la vita..per essere così capaci di guidare gli altri in modo convincente alla opzione per la vita, che è anzitutto opzione per Dio” (Benedetto XVI, ai Presbiteri di Roma, 2 marzo 2006).

Alla sfida di Giobbe, “In mezzo all’uragano” (Gb 38,1; 40,6), Dio replica con “la sfida del creato”: terra, mare, luce, tenebre, aurora, fenomeni atmosferici e gli animali sono la dimostrazione mirabile della sollecitudine divina per le sue creature. Forse che tutto ciò non va accreditato a Dio come giustizia davanti all’uomo? Il Creatore protegge l’intera creazione: tanto più Egli si prende cura del suo vertice incomparabile, l’uomo, così prezioso ai suoi occhi divini (qui è il Giobbe dentro di noi a dover riflettere) da muoverlo irresistibilmente ad una scelta veramente inconcepibile, doppiamente “assurda”: anzitutto quella di voler somigliare alla creatura “divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7), poi quella di “dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,17) per lei.

Anche noi, allora, diciamo con Giobbe: “Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile” (Gb 42,2), ma…e Gesù che dorme sul cuscino? Non sembra un fanciullino incosciente?

In realtà la domanda perenne sul dolore, e sul dolore innocente, prorompe con forza dalla Parola divina di oggi, la quale paragona il mare ad un inoffensivo ed inerme bimbo in fasce. Vediamo che Dio non lotta contro il mare per domarlo, ma lo tratta con la tenerezza di una madre, lo accudisce come un bambino che Egli stesso estrae dalle viscere della terra. Il mare è una creatura temibile, potente e misteriosa, ma di fronte a Dio è come un bimbo che non può nuocere.

Sappiamo che nella Sacra Scrittura la parola “mare” viene usata in senso letterale, tuttavia essa indica anche le forze che si oppongono a Dio e i pericoli che incombono sull’uomo; inoltre, nel N.T., designa l’origine del male (Ap 13,1: “E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste”). Tali forze avverse a Dio e alla vita sembrano più che mai scatenate in questo nostro tempo, nel quale l’orgoglio umano è tanto smisuratamente aggressivo da doversi paragonare alle devastanti ondate degli “tsunami”, il cui gigantesco orgoglio sembra ignorare il limite naturale posto dal Creatore: “Fin qui giungerai e non oltre...”.

Pensiamo alla “congiura contro la vita”, denunciata con forza da Giovanni Paolo II (E.V., n. 17): i suoi artefici non ne nascondono il fine diabolico, che è quello di abbattere ogni limite morale nelle coscienze, abolendo nelle menti l’intera dimensione non-materiale della realtà, per deificare l’uomo con il delirio dell’onnipotenza scientifica.

Ma il mare/male, con l’orgoglio delle sue onde si infrange non tanto contro le scogliere che può oltrepassare, quanto contro la Parola di Dio, che una volta per sempre ha detto: “fin qui e non oltre”. Perciò noi sappiamo e fermissimamente crediamo che la congiura contro la vita totale dell’uomo, è sottomessa alla potenza di questa Parola, davanti alla quale è destinata ad acquietarsi, come annuncia oggi il Vangelo: “Si destò, minacciò il vento e disse al mare: “taci, calmati!” Il vento cessò e ci fu grande bonaccia” (Mc 4,39).

Non dobbiamo perciò rimanere turbati se per la furia del vento le onde si rovesciano nella barca della Vita, e neppure se qualcuno dei suoi “marinai”, imbarcati per difenderla, sembra piuttosto contribuire a destabilizzarne l’equilibrio: in realtà nulla può agire di propria iniziativa, perché tutto obbedisce al suo volere.

Se una forza così erompente come il mare, è in realtà una docile e fragile creatura nelle mani di Dio, anche le potenze spirituali che avversano l’uomo obbediscono alla sua Parola. Il disegno salvifico di Dio sull’uomo e sulla storia si attua senza ostacoli definitivi, come garantisce Gesù: “Non abbiate paura: io ho vinto il mondo!”(Gv 16,33).

Comprendiamo così che, oltre al mare, anche il cuscino ha un eloquente valore simbolico. Marco, infatti, non dice che Gesù se ne stava su un cuscino, come sarebbe stato più logico, ma sul cuscino, quasi ad indicare una struttura normale della barca e della sua dotazione, come il timone o la vela. Poiché la barca evangelica rappresenta tanto la Chiesa nel suo insieme quanto la singola anima del credente, possiamo riconoscere nel cuscino qualcosa che riguarda il modo della presenza del Signore in mezzo a noi, che entra nel rapporto personale con Gesù ed è costitutivo della fede, tanto da definirla (Mc 4,40). Avere fede significa credere a Gesù che dorme.

Come ho accennato, questo particolare del cuscino, riportato solo da Marco, è coerente con il suo “segreto messianico”: “...a più riprese, nel ritratto che Marco delinea di Gesù, si ha come una penombra...in realtà egli vuole solo progressivamente svelare il mistero della sua persona e in particolare della via della croce come il cammino per raggiungere il pieno svelamento. E’ sulla croce, infatti, che Gesù va riconosciuto come Messia e Salvatore” (Bibbia “Via, Verità e Vita).

Per la fede personale la prova più difficile a superarsi è il silenzio di Dio: “Non ti importa che noi moriamo?”. Il nostro è un Dio che...veglia dormendo, ed è in questa sua silenziosa, apparente indifferenza che va riconosciuta la sua presenza, per mezzo di quello sguardo di fede che è in grado di vedere la luce divina anche nel “buco nero” della morte. Tale luce si è già definitivamente manifestata, ovunque e dentro ogni tenebra, nella luce sfolgorante del Sole di Pasqua, come ricorda splendidamente l’Istruzione “Dignitas personae”: “Lo sguardo della Chiesa è pieno di fiducia perché la vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Questa da senso anche ai momenti della malattia e all’esperienza della morte, che appartengono di fatto alla vita dell’uomo e ne segnano la storia, aprendola al mistero della Risurrezione” (n. 3).

Quanto a Dio importi che noi non moriamo, lo ha dimostrato Gesù con la sua morte di croce per noi, come Paolo oggi dichiara: “Fratelli, l’amore di Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, (…) perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. (…) Tanto che se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,14-17). Detto con il linguaggio della tempesta e il messaggio del cuscino: a Gesù importa soprattutto che non muoia la nostra fede, dalla quale dipende la vera vita e la vita eterna, perché ciò ci farebbe inabissare nell’inferno dal quale ci ha salvati con la sua morte e risurrezione.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
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