I Padri della Chiesa e il "Sola Scriptura"

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:38
Come ben sappiamo in molti siti evangelici fanno citazioni dei Padri della Chiesa per dimostrare che i medesimi erano contrari alla dottrina della Chiesa Cattolica, riporteremo alcune di queste citazioni con poi le risposte date da un famoso utente cattolico di Infotdg alias Polymetis che ringrazio per l'autorizzazione:

Questa è la lista delle pseudo-prove dei Padri:



Sant’Agostino: "Io mi sottometto all’autorità dei libri canonici e a nessun altra . Tutto ciò che é necessario alla fede e alla condotta della vita si trova nelle dichiarazioni chiare della Scrittura." (De Doctr. Christ. 137)

San Giovanni Crisostomo: "Quando l’eresia s’impadronirà della Chiesa, sappiate che non vi sarà prova di vera fede e di cristianità se non con le Sacre Scritture, perché quelli che si volgeranno altrove periranno."(In Mattheum, Homelia 49

Giustino Martire (morto nell'anno 165 dopo Cristo) disse: 'Non abbiamo alcun comandamento di Cristo che ci faccia obbligo di credere alle tradizioni e alle dottrine umane, ma soltanto a quelle che i beati profeti hanno promulgate e che Cristo stesso ha insegnate, ed io ho cura di riferire ogni cosa alle Scritture e chiedere ad esse i miei argomenti e le mie dimostrazioni' (Giustino Martire, Dialogo con Trifone);

Basilio (330-379 d.C.) disse: 'Rigettare alcuna cosa che si trova nelle Scritture, o ricevere alcune cose che non sono scritte, è un segno evidente d'infedeltà, è un atto di orgoglio... il fedele deve credere con pienezza di spirito tutte le cose che sono nelle Scritture senza togliere o aggiungere nulla' (Basilio, Lib. de Fid. - regul. moral. reg. 80 citato da Luigi Desanctis in La tradizione, terza ed. Firenze 1868, pag. 19);

Ambrogio (340 ca. - 397) disse: 'Chi ardirà parlare quando la Scrittura tace?... Noi nulla dobbiamo aggiungere al comando di Dio; se voi aggiungete o togliete alcuna cosa siete rei di prevaricazione' (Ambrogio, Lib. II de vocat. Gent. cap. 3 et lib. de parad. cap. 2, citato da Luigi Desanctis in op. cit., pag. 19).

Girolamo (347 ca. - 419-20 ca.) disse: 'Se voi volete chiarire le cose in dubbio, andate alla legge e alla testimonianza della Scrittura; fuori di lì siete nella notte dell'errore. Noi ammettiamo tutto ciò che è scritto, rigettiamo tutto ciò che non lo è. Le cose che si inventano sotto il nome di tradizione apostolica senza l'autorità della Scrittura sono colpite dalla spada di Dio' (Girolamo, In Isaiam, VII; In Agg., I; citato da Roberto Nisbet in op. cit., pag. 28).

Cipriano (200 ca. - 258) disse: 'Che orgoglio e che presunzione è l'uguagliare delle tradizioni umane alle ordinanze divine...!' (Cipriano, Epist. 71 citato da Teofilo Gay in Arsenale antipapale, Firenze 1882, pag. 204-205));

Tertulliano (160 ca. - 220 ca.) disse: 'Ci mostri la scuola di Ermogene che ciò ch'essa insegna sta scritto: se non è scritto, tremi in vista dell'anatema fulminato contro coloro che aggiungono alla Scrittura, o ne tolgono alcuna cosa' (Tertulliano, Contro Ermogene, cap. 22).
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:40
“Sant’Agostino (anno 400 circa): “Io mi sottometto all’autorità dei libri canonici e a nessun’altra. Tutto ciò che è necessario alla fede e alla condotta della vita si trova nelle dichiarazioni chiare della Scrittura” (De doctrina christiana, 137)”



Le coordinate non corrispondono a nulla. Il De Doctrina Christiana ha 4 libri, e nessuno di questi ha 137 capitoletti. Ho così supposto che l’edizione in questione non abbia diviso l'opera in 4 libri, e sommando il numero di capitoletti di ogni libro ho trovato le coordinate corrispondenti nell’edizione standard. Il risultato è stato IV,9, ma il testo tratta di tutto fuorché la Traditio. A questo punto io non posso fare miracoli. Quando si cita un testo lo si dovrebbe fare con la numerazione standard, o dando le coordinate secondo il Migne, o secondo il Corpus Christianorum. Series Latina. Altrimenti non si può lavorare. In un momento di particolare zelo, siccome la tua citazione conteneva la parola “canonici” , che in latino si dice in un solo modo, ho preso un’edizione on-line della Patrologia latina cui la mia università è abbonata e ho provato a cercare nella pagina la parola “canonicus”, e per essere ancora più sicuro di beccare tutti i derivati e le desinenze ho dato istruzione al pc di cercare solo l’inizio, cioè “canon”. Il risultato è che nessuna attestazione della parola nel De Doctrina Christiana ha qualcosa a che fare con quel testo. C’è un'unica ricorrenza dove Sant’Agostino dice che si sottomette all’autorità dei soli libri canonici, e riporterò il testo sotto, ma non stava affatto parlando di una contrapposizione tra canone e Traditio bensì spiegava che si sottomesse ai canonici e rigetta gli apocrifi. La citazione in questione seguirà dopo, ora limitiamoci ad esporre qual è il vero parere di Agostino sulla Traditio e sulla Bibbia, dando delle coordinate in modo decente.
Qual è dunque il parere del santo dottore sulle Scritture? Da chi esse derivano la propria autorità? L’idea di Agostino è uguale a quella dei cattolici di oggi: dalla Chiesa, che da Agostino è detta: “Colonna e sostegno della verità” (1Τm 3, 15). Egli infatti dice: "Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica” (Contra ep. man. 5, 6)
Agostino in realtà è cristallino sulla necessità della Tradizione: “'Quanto invece alle prescrizioni non scritte ma che noi conserviamo trasmesse per via della tradizione e sono osservate in tutto il mondo, ci è facile capire che sono mantenute in quanto stabilite e raccomandate dagli stessi Apostoli o dai Concili plenari, la cui autorità è utilissima alla salvezza della Chiesa; di tale genere sono le feste celebrate nella ricorrenza anniversaria della Passione, Risurrezione e Ascensione del Signore, la discesa dello Spirito Santo, e simili altre ricorrenze che si osservano dalla Chiesa Cattolica ovunque essa è diffusa” (Le lettere, 54,1,1)

Cito un testo di A. Trapè sul rapporto in Agostino tra Scrittura e Tradizione, la fonte è la migliore possibile visto che l’autore è il fondatore dell’Istituto Patristico "Augustinianum" di cui fu professore prima e Preside poi:


Agostino legge la Scrittura nella Chiesa e secondo la tradizione. Ai manichei dice: " Non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l'autorità della Chiesa cattolica " (9); ai donatisti ricorda le due qualità della tradizione apostolica: l'universalità e l'antichità (10); ai pelagiani replica: deve ritenersi per vero ciò che la Tradizione ha tramandato, anche se non si riesce a spiegarlo (11), perché i Padri " hanno insegnato alla Chiesa ciò che hanno imparato nella Chiesa " (12).

In realtà l'insistenza di Agostino sulla tradizione è continua, non solo sulla tradizione ecclesiale dei riti o cerimonie liturgiche e usi che variavano spesso col variare delle chiese, sui quali scrisse un'opera in due libri (= Epp. 54-55), ma anche e soprattutto sulla tradizione apostolica. Ai manichei spiega le forti parole ricordate or ora - " Non crederei al Vangelo... " -, dicendo che i vangeli egli li accetta dalla tradizione apostolica attraverso " l'ininterrotta successione dei vescovi " (13). Nella controversia donatista enuncia il principio che permette di tornare fino agli Apostoli: "Ciò che la Chiesa universale tiene e non è stato stabilito dai concili ma è stato sempre ritenuto, si deve giustamente credere che sia stato tramandato dall'autorità apostolica "(14).

In quella pelagiana, poi, contro la novità difende la fede della chiesa antica attraverso la testimonianza dei Padri che sono stati "gli interpreti delle Scritture" e i trasmettitori della dottrina degli Apostoli. Per questo dedica due libri dei sei del Contra Iulianum a dimostrare l'autorità teologica dei Padri e ad addurre le loro testimonianze: vuol convincere l'avversario che non ha inventato nulla di nuovo quando insegna la dottrina del peccato originale, ma che la novità sta tutta dall'altra parte(15).

c)Scrittura e Tradizione convergono nell'autorità della Chiesa. È infatti la Chiesa che determina il canone della Scrittura (16), che trasmette la Tradizione e interpreta l'una e l'altra (17), che dirime le controversie (18) e prescrive la regula fidei (19). Perciò "resterò sicuro nella Chiesa", dice Agostino, "qualunque difficoltà si presenti" (20), perché "Dio ha posto la dottrina della verità nella cattedra dell'unità" (21). Perciò - sentenzia altrove - " +tutto il mondo può con sicurezza giudicare" (22).

Merita una particolare attenzione l'accenno alla regula fidei e alla cattedra dell'unità. La regula fidei, che occorre consultare nei passi oscuri della Scrittura, consiste nel simbolo (23), contro il quale non si può andare se non errando. Per questo insegna al suo popolo di non ascoltare quelli che propongono dottrine ad esso contrarie, perché sono dottrine eretiche. Nel De agone christiano, dopo aver ricordato appunto le parole del simbolo, fa un elenco di queste dottrine ripetendo per 19 volte la formula: " Non ascoltiamo quelli che dicono... " (24).

In quanto cattedra dell'unità si deve osservare che in essa ha un posto fondamentale e normativo, come si dirà (25), la Sede di Pietro, oltre che i concili. La parola decisiva della "Sede di Pietro" toglie, nelle controversie dottrinali, ogni motivo di dubbio (26) e chiude perciò la questione mossa dagli avversari. Agostino vi si attiene senza esitare. Sono note le sue parole: " La questione è terminata. Voglia il cielo che termini finalmente anche l'errore! " (27).

9 - Contra ep. man. 5, 6; cf. Contra Faustum 28, 2.
10 - Cf. De bapt. 4, 24, 31.
11 - Cf. Contra Iul. 6, 5, 11.
12 - Opus imp. c. Iul. 1, 117; cf. Contra Iul. 2, 10, 34.
13 - Contra Faustum 28, 2; cf. Contra ep. man. 4, 5.
14 - De bapt. 4, 24, 31.
15 - Cf. De nupt. et concup. 2, 12, 25: " Non sono io ad inventarmi il peccato originale, in cui fin dall'antichità ha creduto la fede cattolica; piuttosto, senza dubbio sei tu, che lo neghi, il nuovo eretico ".
16 - Cf. De doctr. christ. 2, 7, 12.
17 - Cf. De Gen. ad litt. l. imp. 1, 1.
18 - Cf. De bapt. 2, 4, 5.
19 - Cf. De doctr. christ. 3, 1, 2.
20 - De bapt. 3, 2, 2.
21 - Ep. 105, 16.
22 - Contra ep. Parm. 3, 4, 24.
23 - Cf. Ench. 15, 56; Retract. 2, 3.
24 - De ag. christ. 14, 16 s.
25 - Cf. Contra duas ep. pelag. 2, 3, 5.
26 - Serm. 131, 10.
27 - Cf. Ep. 120, 3, 13.



(da Agostino Trapè, Introduzione generale a Sant’Agostino, Roma, 2006, Città Nuova, parte V, cap. 1)

E' stato citato all'inizio un brano dal De Docrtina Christiana, penso sia il caso di andare a leggere di cosa stessa parlando in quell’opera. Agostino dice l’esatto contrario di quanto gli si vuol far dire. Afferma infatti che l’autorità della Scrittura, e la sua accettazione stessa, dipende dal consenso ecclesiale, e, per inciso, questo è anche il brano dove elenca il canone delle Chiese nel suo periodo storico, e i deuterocanonici ci sono ovviamente:


“8. 12. Quanto a noi, riportiamo la considerazione a quel terzo gradino del quale avevamo stabilito di approfondire ed esporre ciò che il Signore si fosse degnato di suggerirci. Pertanto sarà diligentissimo investigatore delle divine Scritture colui che, prima di tutto, le legge per intero e ne acquista la conoscenza e, sebbene non le sappia penetrare con l'intelligenza, le conosce attraverso la lettura. Mi riferisco esclusivamente alle Scritture cosiddette canoniche, poiché, riguardo alle altre le legge con tranquillità d'animo chi è ben radicato nella fede cristiana, per cui non succede che gli disturbino l'animo debole e, illudendolo con pericolose menzogne e fantasticherie, gli distorcano il giudizio in senso contrario alla retta comprensione. Nelle Scritture canoniche segua l'autorità della maggior parte delle Chiese cattoliche, tra le quali naturalmente sono comprese quelle che ebbero l'onore di essere sede di un qualche apostolo o di ricevere qualche sua lettera. Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità.
(Questo è quello che intendevo dicendo che per la mentalità del cristianesimo antico è la Chiesa la garante dall’autorità della Scrittura. La Scrittura, ancora in questo periodo quando inl canone è già relativamente solido, non si può riconoscere da se stessa bensì solo perché la Chiesa ti indica qual è il canone, ed è sull'autorità delle Chiese apostoliche che è da ritenersi vero prorpio quel canone e non un altro N.d.R.) (…)

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.”
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:42
 

“San Giovanni Crisostomo (anno 390 circa): “Quando l’eresia si impadronirà della Chiesa, sappiate che non vi sarà prova di vera fede e di cristianità se non con le Sacre Scritture, perché quelli che si volgeranno altrove periranno” (In Mattheum Homelia 49).”



Questa è la seconda perla dell'anonimo che ha messo insieme la lista di ciatazioni, l’autore della liturgia ortodossa sarebbe un fautore del Sola Scriptura! Tutti i siti che si sono copiati questa citazione hanno inoltre riportato fedelmente anche l'errore d'ortografia latina "Mattheum".
Questa citazione non esiste, o almeno non esiste a quelle coordinate.
Questa è l’epistola 49, e se l'autore mi dicesse dove ha visto quella frase ne saremmo lieti:
www.ccel.org/ccel/schaff/npnf110.iii.XLIX.html
www.newadvent.org/fathers/200149.htm
(In inglese)
www.abbaye-saint-benoit.ch/saints/chrysostome/matthieu...
(In francese, se lo preferite)
San Giovanni Crisostomo al contrario afferma «non hanno trasmesso tuttο con le lettere, ma molte cose non sono state scritte. Sia le une che le altre pero sono egualmente degne di fede. Di modo che noi consideriamo la Tradizione della Chiesa degna di fede. La Tradizione non è nient' altro che questo» (Hom. 4,2 in 2 Thess.)
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:44
 


“San Gerolamo (anno 400 circa): “Se voi volete chiarire le cose in dubbio, andate alla legge e alla testimonianza della Scrittura: fuori di lì siete nella notte dell’errore. Noi ammettiamo tutto ciò che è scritto, rigettiamo tutto ciò che non lo è. Le cose che si inventano sotto il nome di tradizione apostolica senza l’autorità della Scrittura, sono colpite dalla spada di Dio” (In Isaiam, VII; In Agg., I).”



Anche queste coordinate mi hanno fatto penare non poco. Infatti il libro VII del Commento ad Isaia di Girolamo sono circa 25 pagine di word. Questa volte non vi posso dare il link perché l’ho trovato sulla Patrologia Latina on-line, ma per accedere a quel sito ho usato il proxy dell’Università di Venezia che si è abbonata a questo servizio. Ad ogni modo ho salvato il testo latino del libro VII in word se qualcuno volesse constatare coi suoi occhi che quella citazione non esiste. Siccome nel testo ricorrevano parole non troppo frequenti ho fatto passare nel testo tutte le ricorrenze di spada (gladius), di notte (nox), di tradizione (traditio), di apostolico (apostolicus); ovviamente ho tolto le desinenze in modo da beccare anche le ricorrenze declinate. Risultato? Zero, quella citazione nel libro VII non esiste.
Questo ovviamente non vuol ancora dire che quelle citazioni non esistono, semplicemente le coordinate presentate sono fasulle.
La citazione rimanda poi anche al libro I del Commento ad Aggeo. Qui c’è una citazione simile, ma metà di quello che c’è nella versione italiana è del tutto inesistente. Il testo latino afferma: “Sed et alia quae absque auctoritate et testimoniis Scripturarum quasi traditione apostolica sponte reperiunt atque confingunt, percutit gladius Dei.” La prima parte è invece del tutto assente, e quando alla seconda non vuol dire che tutto ciò che è Traditio senza Scrittura è falso, ma che tutto ciò che è inventato fingendo che sia Traditio, mentre non lo è, è falso. Si dice “confingunt quasi traditione apostolica”, dunque non è contro la Traditio apostolica ma contro ciò che viene fatto passare come Tradizione, e oltre a non essere patrimonio della Traditio non è neppure presente nei testi sacri.
L’idea di Girolamo sulla Traditio apostolica è che la si può trovare sulla bocca dei vescovi, è infatti ben chiaro in molti altri punti della sua letteratura. Si veda ad esempio questa sua lettera al papa allora regnante dove chiedeva il parere del successore di Pietro su una questione di lessicologia trinitaria che dilaniava l’Oriente a quell’epoca, vexata quaestio di cui vi risparmio i particolari perché quello che interessa è il preambolo:

“Con un furore che dura da secoli, i popoli d'Oriente continuano a scontrarsi tra loro, e riducono a brandelli la tunica inconsutile del Signore, tessuta da cima a fondo senza cuciture. Delle volpi devastano la vigna di Cristo; in mezzo a cisterne spaccate e senz'acqua è difficile capire dove si trovi quella fontana sigillata, quell'orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura (cf. Ct 4,12).
Per questo ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo [cioè il battesimo N.d.R].
No davvero! Né l'immensità del mare, né l'enorme distanza terrestre hanno potuto impedirmi di cercare la perla preziosa. Dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile (Lc 17,37). Dopo che il patrimonio è stato dissipato da una progenie perversa, solo presso di voi si conserva intatta l'eredità dei Padri. Costì una terra dalle zolle fertili riproduce al centuplo la pura semente del Signore; qui il frumento nascosto nei solchi degenera in loglio e avena. In Occidente sorge il sole della giustizia, mentre in Oriente ha posto il suo trono sopra le stelle quel Lucifero, che era caduto dal cielo. Voi siete la luce del mondo, il sale della terra (Mt 5,13), voi i vasi d'oro e d'argento; qui da noi vasi di terra cotta e di legno attendono la verga di ferro che li spezzi e il fuoco eterno.
La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà m'attira. Io, vittima, attendo dal sacerdote la salvezza, e come una pecorella chiedo protezione al pastore. Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell'altissima dignità romana: ecco il successore del pescatore, con un discepolo della croce che desidero parlare.
Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa. Chiunque si ciba dell'Agnello fuori di tale casa è un empio. Chi non si trova nell'arca di Noè, perirà nel giorno del diluvio." (Girolamo, Le Lettere, I, 15,1-2)

Come si vede il concetto di successione apostolica, di eredità della dottrina dei Padri che si può trovare nel vescovo di Roma, è ben radicato in Girolamo. E torniamo alla frase che prima è stata attribuita a Girolamo, anche se probabilmente è fasulla perché le coordinate sono errate. Lì l’autore direbbe enfaticamente di leggere la Scrittura perché fuori da essa c’è l’errore. Questa frase interpreta solo a metà il pensiero del santo dottore e va specificata. Consultate la Scrittura certo, ma tra le mille interpretazioni possibili della Bibbia come bisogna fare secondo Girolamo per sapere qual è quella corretta? Consultare la cattedra di Pietro, e questa lettera a papa Damaso dimostra che era tutto fuorché un sostenitore del Sola Scriptura, come gli apostoli del resto, e come chiunque fosse cresciuto in una cultura ancora profondamente orale qual era il mondo antico.
E’ del tutto ovvio cioè, a livello storico, che a nessuno nel I secolo poteva venire in mente di fondare una Chiesa la cui predicazione e ortodossia fosse affidata al solo testo scritto, questa è una pura astoricità da XVI secolo, sia perché nel I secolo la percentuale di analfabetismo era molto alta e dunque la maggior parte della gente nel corso dei secoli ha sempre appreso il cristianesimo dalla sola parola, sia perché gli apostoli non potevano certo sognarsi che qualcuno 4 secoli dopo avrebbe stabilito un insieme di libri fisso chiamato Nuovo Testamento, e dunque mai si sarebbero sognati di predicare che la correttezza della dottrina sta in tale testo di cui non sapevano alcunché. La fede si fonda sull’ascolto della parola, è teoricamente possibile ed è anzi stato possibile per 4 secoli un cristianesimo senza alcun libro del NT (per gli analfabeti e coloro che vissero nel I secolo), o con solo parti del NT (per coloro che vissero tra II e IV secolo), ed evidentemente non è che avessero una fede tronca solo perché nessuno aveva come canone i 27 libri attuali, la Traditio infatti era garante dell’ortodossia e dell’insegnamento. Che, con grande scandalo dei protestanti, sia paradossalmente possibile un cristianesimo anche senza Scritture, e anzi è stato possibile, per le ragioni sopra enumerate, è un pensiero attestato come parte della mentalità del cristianesimo primitivo da Ireneo stesso nel 180: “Se gli Apostoli non avessero lasciato nulla di scritto, si dovrebbe egualmente seguire l'ordine della tradizione consegnata da loro ai capi della Chiesa. Questo metodo è seguito da molti popoli barbari che credono in Cristo. Senza carta e senza inchiostro essi hanno scritto nel loro cuori la salvezza per opera dello Spirito Santo: essi conservano accuratamente l'antica tradizione" (Contro le eresie III, 4, 2)
Il Sola Scriptura e il “libero esame” dei testi al di fuori del magistero sono concetti cripto anarchici figli del soggettivismo e dell’individualismo maturati nel periodo dell’umanesimo, sono figli del disgusto per la gerarchia, della pretesa dell’uomo di essere solo dinnanzi a Dio senza la mediazione della Chiesa. I protestanti stessi in realtà si resero subito conto che per ogni testo c’erano decine di interpretazioni e che dunque il Sola Scriptura non poteva funzionare, in quanto mai un Dio intelligente avrebbe lasciato i suoi fedeli in balia di un testo dai mille risvolti ermeneutici senza dare anche le chiavi di come interpretarlo. Inventarono così l’idea che il sincero credente, qualora avesse pregato lo Spirito di fargli capire, sarebbe di sicuro stato esaudito. Ma vorrei far notare ai fratelli evangelici che lo Spirito Santo che li illumina nell'interpretazione privata delle Scritture è a parer mio un poco burlone, visto che suggerisce cose diverse alle 21.104 chiese protestanti presenti nel mondo che sono state censite nel 1991!
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:47


“Tertulliano (160 ca. - 220 ca.) disse: 'Ci mostri la scuola di Ermogene che ciò ch'essa insegna sta scritto: se non è scritto, tremi in vista dell'anatema fulminato contro coloro che aggiungono alla Scrittura, o ne tolgono alcuna cosa' (Tertulliano, Contro Ermogene, cap. 22”


Anche questa frase è decontestualizzata. Tertulliano discute con Ermocrate della tesi dell’eternità della materia, sostenuta dal suo interlocutore. Ecco il problema: nella Genesi si dice “Dio creò il cielo e la terra”, ma le creò dal nulla o le trasse da una materia preesistente? Tertulliano fa notare a Ermocrate che per tutte le altre creature Dio dice esplicitamente da dove siano tratte, dice ad esempio che le piante sono prodotte dalla terra, i pesci dalle acque, ecc. non si capisce perché, dice Tertulliano, se la terra e il cielo fossero tratti da qualcosa, la Scrittura non lo debba dire, visto che lo dice di tutte le altre cose. E’ ovvio che qui Tertulliano non sta facendo il seguace del Sola Scriptura, sta solo dicendo che vista la struttura del brano, se le cose stessero come sostiene Ermocrate, il testo sarebbe stato scritto in modo diverso. Vediamo l’autentico parere di Tertulliano sulla Traditio Apostolica, e su quale sia il criterio dell’ortodossia per distinguere la Chiesa dagli eretici (la successione apostolica ovviamente):

“Se vuoi esercitare meglio la tua curiosità nel negozio della tua salute, passa in esame le Chiese apostoliche nelle quali ANCORA PRESIEDONO GLI APOSTOLI DALLE LORO CATTEDRE; là dove si leggono proprio le lettere autentiche loro scritte dagli apostoli nelle quali ancora vibra l'eco delle loro voci e vive l'aspetto di ciascuno.
Sei vicino all'Acaia? Hai Corinto. Se non sei lontano dalla Macedonia, hai Filippi e Tessalonica. Se puoi recarti in Asia, hai Efeso. Se ti trovi nei paraggi dell'Italia, hai quella Roma, donde anche a noi arriva rapidamente l'autorità.
Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta. E' la Chiesa, dove Pietro è parificato, nella passione, al Signore [venne infatti crocifisso come Cristo]; dove Paolo è coronato del martirio di Giovanni [venne decapitato come Giovanni Battista]” (Tertulliano, La prescrizione contro gli eretici, 36)

E contro gli eretici di cui distrugge la legittimità in un sol colpo:

“Mostrino esse (le chiese eretiche N.d.R.) la successione dei loro vescovi in modo da poter risalire o ad un apostolo o ad un loro discepolo, così come fanno le CHIESE APOSTOLICHE, ad esempio… la Chiesa di Roma che presenta Clemente CONSACRATO DA PIETRO” (La prescrizione degli eretici, 32,2)

Come si vede ciò che la grande Chiesa, cioè la creatrice del canone, poneva come criterio per distinguere se stessa dagli eretici, era la successione apostolica. Se, come sostengono i protestanti, questo criterio è illegittimo, allora un canone creato da un insieme di uomini senza prerogative nel IV secolo non ha più valore degli altri canoni che giravano, ad esempio i libri adottati dagli gnostici, giacché ciò che distingueva la Chiesa da costoro, la successione apostolica, sarebbe privo di valore. Come già detto infatti rigettare la Chiesa apostolica nel suo sviluppo storicoimplica non avere più alcun criterio per sapere quale sia il canone.
Ma torniamo a Tertulliano e al suo pensiero circa la Traditio, con questo passo ampio e discorsivo, che dà il pensiero dell’autore mille volte meglio che quelle tre righette decontestuallizate citate dai siti evangelici:

“Se cerchi nelle Scritture la legge relativa a queste e ad altre osservanze, non la troverai certo: ti si presenterà come sua autrice la tradizione, come sua confermatrice la consuetudine, come sua osservante la fede; il motivo poi che parla a favore della tradizione, della consuetudine e della fede, o tu stesso lo scoprirai, o imparerai a conoscerlo da qualche altro che lo ha scoperto; fino ad allora, accetterai con fede che ci sia qualche motivo da accettare rispettosamente... Se dunque io non trovo in nessun passo questa legge, se ne deduce che la tradizione ha dato forza di costume a una consuetudine, suggellato a volte dall'autorità degli apostoli che ne hanno interpretato il motivo.
Questi esempi dimostrano che anche l'osservanza di una tradizione non scritta può essere giustificata se è confermata dalla consuetudine, perché questa è una testimonianza idonea, fondata sull'osservanza costante che si tratta di una tradizione allora approvata. La consuetudine, del resto, viene considerata come legge, quando la legge manca, anche negli affari civili; non vi è dunque differenza se si fonda su uno scritto o su un motivo ragionevole, poiché il motivo ragionevole dà efficacia alla legge stessa. Ora, se la legge è fondata sulla ragione, sarà legge tutto ciò che è costituito sulla ragione, da chiunque sia stato introdotto. O non sei del parere che ogni fedele possa cogliere nel proprio animo e stabilirsi delle norme - purché si addicano a Dio, portino alla rettitudine e servano alla salvezza - dato che il Signore dice: Perché non giudicate anche da voi stessi ciò che è giusto? (Lc 12,57). (Tertulliano, La corona, 3-4)
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:48
 

“Cipriano (200 ca. - 258) disse: 'Che orgoglio e che presunzione è l'uguagliare delle tradizioni umane alle ordinanze divine...!' (Cipriano, Epist. 71 citato da Teofilo Gay in Arsenale antipapale, Firenze 1882, pag. 204-205));”



Altro tarocco, o se non è un tarocco comunque le coordinate sono errate. Nella lettera 71 quella frase non esiste, ergo o hanno sbagliato a citare o la frase non esiste del tutto. L’autore della lista dice che le coordinate della citazione sono prese dal libro dell’ex-valdese convertitosi alla massoneria Teofilo Gay, libro del lontano 1882(ma dove è riuscito a pescare questo relitto anticlericale?) intitolato “Arsenale antipale”. Dal titolo si capisce subito che è una pubblicazione scientifica e super partes…
In ogni modo, come dicevo, sia che questa citazione esista sia che non esista non cambierebbe nulla, infatti non dice niente di errato. Non si possono infatti eguagliare le tradizioni umane alle ordinanze divine, e qualunque cattolico lo sottoscriverebbe, perché la tradizioni umane non sono la Tradizione, che per i cattolici è invece una fonte della rivelazione al pari della Scrittura, e dunque è divina. Non so in che contesto si inserisse quel brano ma, se esiste, è probabile che Cipriano stesse per l’appunto criticando qualche tradizione umana, ben lungi dal sognarsi che il concetto di Traditio apostolica sia errato. Per Cipriano la voce della Traditio data dal consensus delle chiese è di fondamentale importanza. Infatti in un’altra lettera, la 67, Giustino parla della Traditio divina e dice: “Bisogna osservare con cura la Tradizione divina, la pratica apostolica, e attenersi a ciò che si pratica da noi e in tutte le province”. L’ecclesiologia di San Cipriano è quanto di più anti-protestante ci sia. Nella controversia sul battesimo amministrato dagli eretici, da coloro che sono fuori dalla comunione ecclesiale ed episcopale, mostra la sua aderenza al concetto di Traditio e di successione apostolica, del tutto incompatibile con l’idea del tutto astorica e moderna che i protestanti hanno dalla Chiesa. Nei siti protestanti, che non brillano per conoscenza patristica, ci sono molte citazioni di Cipriano, tarocche e decontestalizzate anche queste ovviamente, per fare credere che questo Padre non credesse al primato petrino del vescovo di Roma. In realtà San Cipriano non negava il primato, semplicemente non lo riteneva ontologico bensì funzionale: “Sebbene Cristo abbia dato un uguale potere a tutti gli apostoli, non ha tuttavia stabilito che una sola cattedra, organizzando così con la sua autorità, l'origine e la ragion d'essere dell'unità...Anche gli altri apostoli erano quello che era Pietro, ma a Pietro aveva dato il primato e così è mostrato che non c'è che una sola chiesa e una sola cattedra...Chi non ritiene questa unità di Pietro, come può credere di mantenersi nella fede? Chi abbandona la cattedra di Pietro, sulla quale è fondata la Chiesa, s'illude di essere nella Chiesa?" (Cipriano, De Cath.Eccl.unitate, 4)
Cipriano parla della Chiesa romana come “cathedra Petri” e chiesa principale, dalla quale è nata l’unità sacerdotale” (Lettera 59,14)
Cipriano, contro papa Stefano sulla questione del battesimo amministrato dagli eretici, pur avendo litigato per lettera col pontefice su questo punto, era tuttavia ben conscio dell’autorità del vescovo di Roma e della sua funzione di garante dell’unità ecclesiastica tant’è che gli rivolse comunque la sua preghiere affinché, forte della sua autorità, risolvesse la crisi ecclesiale nelle Gallie (Ep 68,2-3), come aveva già operato in Spagna, dove aveva decretato l’annullamento della la risoluzione di un sinodo sul un problema che riguardava due vescovi (Ep 67,5)
Come già detto il concetto di Chiesa episcopale ed apostolica che i protestanti contestano, nonché il primato petrino, sono più antichi e sono la base del Nuovo Testamento in base al quali li vorrebbero negare: non si rendono conto che contestando quest’ecclesiologia ortodossa tolgono la base al NT stesso, al suo canone.
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:49
Ambrogio (340 ca. - 397) disse: 'Chi ardirà parlare quando la Scrittura tace?... Noi nulla dobbiamo aggiungere al comando di Dio; se voi aggiungete o togliete alcuna cosa siete rei di prevaricazione' (Ambrogio, Lib. II de vocat. Gent. cap. 3)



Anche questa citazione non esiste, e poi ci sono degli errori. Il “De vocazione omnium gentium” è un’opera pseudo-epigrafa, non è di Ambrogio ma dello pseudo-Ambrogio, anche se ormai la critica ritiene in maniera unanime di poter attribuire l’opera a Prospero d’Aquitania. Le coordinate sono Libro II, cap. 3., qui la frase risulta inesistente. Vi ho sempre messo, nelle citazioni prese in esame, link di edizioni elettroniche dove potevate controllare coi vostri occhi l’inesistenza di certi passi, non mi risulta alcuna edizione elettronica del “De vocatione omnium gentium”e dunque vi renderò partecipi degli strumenti cartacei. Poiché sono solo 2 pagine ve lo scansiono tutto, con le sottolineature rosse potete controllare le coordinate, e, come vedrete, non c’è traccia di alcun riferimento ad un “fuori dalla Bibbia” vietato.




Anche questa volta ripeto che non è la dimostrazione che questa frase non esista, semplicemente che le coordinate sono errate, ergo non si può controllare se è un falso o comunque decontestualizzata. Ma poiché la sentenza risulta inesistente dove ci fu detto di cercarla, l’argomentazione per ora è annullata.
Cattolico_Romano
00giovedì 2 aprile 2009 08:50
“Basilio (330-379 d.C.) disse: 'Rigettare alcuna cosa che si trova nelle Scritture, o ricevere alcune cose che non sono scritte, è un segno evidente d'infedeltà, è un atto di orgoglio... il fedele deve credere con pienezza di spirito tutte le cose che sono nelle Scritture senza togliere o aggiungere nulla' (Basilio, Lib. de Fid. - regul. moral. reg. 80 citato da Luigi Desanctis in La tradizione, terza ed. Firenze 1868, pag. 19);”



La prima parte non esiste(a quelle coordinate almeno), mentre esiste la seconda messa in grassetto, che amplio: “Che cosa è proprio del cristiano? La fede opera mediante l’amore. Che cosa è proprio della fede? Piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da Dio, non soggetta a oscillazione dovuta a qualsiasi pensiero, sia esso indotto da necessità fisica o camuffato sotto aspetto di pietà. Che cosa deve fare il fedele? Il confermarsi con tale piena certezza al significato delle parole dalla Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché”.

Ora, chiunque con un po’ di senno si potrà rendere conto che qui San Basilio non sta affatto parlando della Traditio (anche perché nel brano che vedremo dopo egli la ritiene fonte della rivelazione al pari della Scrittura). Qui Basilio sta dando delle istruzioni di vita, delle regole morali, e sta semplicemente dicendo che se la Scrittura afferma qualcosa il fedele deve accettarlo e non pensare di poter buttare via quello che gli pare e piace, dice infatti che è proprio del fedele la “piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da Dio, non soggetta a oscillazione dovuta a qualsiasi pensiero”. Questa incitamento ad attenersi alla Bibbia non c’entra nulla con la Traditio( né la esclude, attenersi alla Traditio infatti non è in contrasto con la Bibbia fino a prova contraria), questo brano è un’ esortazione a non perdere fiducia nella parola di Dio. Inoltre uno dei motivi per cui la Traditio non è in contrasto con la Scrittura è che proprio dalla Traditio si sa quale dei sensi possibili attribuibili alla Scrittura è quello ortodosso, motivo per cui al massimo la Scrittura è contro la Traditio nelle letture astoriche che ne dà il protestantesimo).
San Basilio come tutti i Padri ortodossi non avrebbe mai potuto condannare la Tradizione, un Padre della Chiesa al contrario lotta contro le tradizioni umane (quelle di cui parlava Cristo contro certi farisei), non contro la Tradizione di origine divino-apostolica.
Su cosa San Basilio pensi della Traditio si veda questo inequivocabile brano (spero che sappiate l’inglese, comunque per chi non lo sapesse domani o posdomani vado in dipartimento e fotocopio una traduzione italiana):

Dal De Spiritu Sancto, 65-66 (PG 32,188):


65. The word "in," say our opponents, "is exactly appropriate to the Spirit, and sufficient for every thought concerning Him. Why then, they ask, have we introduced this new phrase, saying, "with the Spirit" instead of "in the Holy Spirit," thus employing an expression which is quite unnecessary, and sanctioned by no usage in the churches? Now it has been asserted in the previous portion of this treatise that the word" in" has not been specially allotted to the Holy Spirit, but is common to the Father and the Son. It has also been, in my opinion, sufficiently demonstrated that, so far from detracting anything from the dignity of the Spirit, it leads all, but those whose thoughts are wholly perverted, to the sublimest height. It remains for me to trace the origin of the word" with;" to explain what force it has, and to show that it is in harmony with Scripture.
66. Of the beliefs and practices whether generally accepted or publicly enjoined which are preserved in the Church some we possess derived from written teaching; others we have received delivered to us "in a mystery" by the tradition of the apostles; and both of these in relation to true religion have the same force. And these no one will gainsay;—no one, at all events, who is even moderately versed in the institutions of the Church. For were we to attempt to reject such customs as have no written authority, on the ground that the importance they possess is small, we should unintentionally injure the Gospel in its very vitals; or, rather, should make our public definition a mere phrase and nothing more. For instance, to take the first and most general example, who is thence who has taught us in writing to sign with the sign of the cross those who have trusted in the name of our Lord Jesus Christ? What writing has taught us to turn to the East at the prayer? Which of the saints has left us in writing the words of the invocation at the displaying of the bread of the Eucharist and the cup of blessing? For we are not, as is well known, content with what the apostle or the Gospel has recorded, but both in preface and conclusion we add other words as being of great importance to the validity of the ministry, and these we derive from unwritten teaching.Moreover we bless the water of baptism and the oil of the chrism, and besides this the catechumen who is being baptized. On what written authority do we do this? Is not our authority silent and mystical tradition? Nay, by what written word is the anointing of oil itself taught? And whence comes the custom of baptizing thrice? And as to the other customs of baptism from what Scripture do we derive the renunciation of Satan and his angels? Does not this come from that unpublished and secret teaching which our fathers guarded in a silence out of the reach of curious meddling and inquisitive investigation? Well had they learned the lesson that the awful dignity of the mysteries is best preserved by silence. What the uninitiated are not even allowed to look at was hardly likely to be publicly paraded about in written documents. What was the meaning of the mighty Moses in not making all the parts of the tabernacle open to every one? The profane he stationed without the sacred barriers; the first courts he conceded to the purer; the Levites alone he judged worthy of being servants of the Deity; sacrifices and burnt offerings and the rest of the priestly functions he allotted to the priests; one chosen out of all he admitted to the shrine, and even this one not always but on only one day in the year, and of this one day a time was fixed for his entry so that he might gaze on the Holy of Holies amazed at the strangeness and novelty of the sight. Moses was wise enough to know that contempt stretches to the trite and to the obvious, while a keen interest is naturally associated with the unusual and the unfamiliar. In the same manner the Apostles and Fathers who laid down laws for the Church from the beginning thus guarded the awful dignity of the mysteries in secrecy and silence, for what is bruited abroad random among the common folk is no mystery at all. This is the reason for our tradition of unwritten precepts and practices, that the knowledge of our dogmas may not become neglected and contemned by the multitude through familiarity. "Dogma" and "Kerugma" are two distinct things; the former is observed in silence; the latter is proclaimed to all the world. One form of this silence is the obscurity employed in Scripture, which makes the meaning of"dogmas" difficult to be understood for the very advantage of the reader: Thus we all look to the East at our prayers, but few of us know that we are seeking our own old country, Paradise, which God planted in Eden in the East. Genesis 2:8 We pray standing, on the first day of the week, but we do not all know the reason. On the day of the resurrection (or "standing again" Grk. ἀ νάστασις ) we remind ourselves of the grace given to us by standing at prayer, not only because we rose with Christ, and are bound to "seek those things which are above," Colossians 3:1 but because the day seems to us to be in some sense an image of the age which we expect, wherefore, though it is the beginning of days, it is not called by Moses first, but one. For he says "There was evening, and there was morning, one day," as though the same day often recurred. Now "one" and "eighth" are the same, in itself distinctly indicating that really "one" and "eighth" of which the Psalmist makes mention in certain titles of the Psalms, the state which follows after this present time, the day which knows no waning or eventide, and no successor, that age which ends not or grows old. Of necessity, then, the church teaches her own foster children to offer their prayers on that day standing, to the end that through continual reminder of the endless life we may not neglect to make provision for our removal thither. Moreover all Pentecost is a reminder of the resurrection expected in the age to come. For that one and first day, if seven times multiplied by seven, completes the seven weeks of the holy Pentecost; for, beginning at the first, Pentecost ends with the same, making fifty revolutions through the like intervening days. And so it is a likeness of eternity, beginning as it does and ending, as in a circling course, at the same point. On this day the rules of the church have educated us to prefer the upright attitude of prayer, for by their plain reminder they, as it were, make our mind to dwell no longer in the present but in the future. Moreover every time we fall upon our knees and risefrom off them we show by the very deed that by our sin we fell down to earth, and by the loving kindness of our Creator were called back to heaven.

www.newadvent.org/fathers/3203.htm
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 13:44.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com