27.11.2009di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, MilanoGettato nel buio di una prigione da Erode che non ne tollerava la parola intransigente, Giovanni il Battista è attraversato da un dubbio terribile: Gesù di Nazareth è davvero l’atteso, colui al quale deve preparare la strada, oppure dobbiamo aspettarne un altro? Il dubbio è legittimo. Giovanni nella sua infuocata predicazione annunciava imminente il giudizio di Dio che come scure avrebbe abbattuto i prepotenti e i superbi, come un fuoco purificatore avrebbe distrutto tutto quanto non è buon grano. E invece niente di tutto questo: Gesù non sembra corrispondere all'attesa del Battista. Sulle sua labbra non vi sono parole di tremenda condanna ma appelli accorati alla conversione. Gesù non sembra essere l'inviato di un Dio giustiziere bensì, come abbiamo letto domenica, è evangelo, Gesù è la buona e consolante notizia di una speranza offerta a tutti. Di qui lo sconcerto di Giovanni, quasi una crisi di fede. Forse anche noi non siamo distanti dal sentire di Giovanni quando vorremmo che un fuoco dal cielo incenerisse coloro che operano il male. Mentre Giovanni, apostrofando i suoi contemporanei come “razza di vipere” invoca la vendetta di Dio, Gesù annuncia a tutti che la strada del perdono e della misericordia è irrevocabilmente aperta. Alla domanda di Giovanni: «Sei tu colui che deve venire?». Gesù non risponde direttamente. Risponde invitando a leggere alcuni segni, segni di guarigione, di vita, di speranza.
La Chiesa, testimone di speranza
Ritroviamo qui uno stile tipico della Rivelazione cristiana. Essa non si dà immediatamente, faccia a faccia, ma attraverso segni, indizi che domandano una decifrazione. Dio si comunica a noi attraverso situazioni, fatti, eventi umani. Dobbiamo leggere la sua presenza attraverso la trama, lo spessore della nostra esistenza quotidiana. In particolare si rivela a noi attraverso eventi di liberazione, di riscatto umano, di guarigione. Davvero «la gloria di Dio è l'uomo vivente». E quindi laddove si realizza un processo di promozione umana, di solidarietà, di liberazione lì possiamo cogliere un segno, un indizio del regno. Ricordiamo il beato papa Giovanni XXIII che nella
Pacem in terris ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi, cioè significativi dinamismi storici che rappresentano un cammino di autentica promozione umana e un inizio di costruzione del Regno. La chiesa è testimone di una speranza il cui oggetto supera del tutto il progetto degli uomini sul piano della storia. L'oggetto della speranza cristiana è Dio tutto in tutti, la comunione degli uomini con Dio. Eppure questa speranza trascendente non è estranea all'immensa attesa degli uomini che soffrono e lottano lungo i sentieri della storia.
Questo sarà per voi il segno...
Il nostro compito, come credenti, è quello d'essere i testimoni dell'attesa del regno di Dio e questo in un tempo nel quale gli uomini si comportano come se non vi fosse altra salvezza da attendere se non quella che essi possono procurare con le loro mani. Ma la nostra operosa attesa del regno non ci rende affatto estranei alle legittime attese degli uomini. Come ha scritto il Concilio: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Il credente non può opporre l'attesa di Dio e del suo Regno e le attese degli uomini per la costruzione di una convivenza più umana e più giusta. Ogni passo avanti nella direzione dell'umanizzazione e della piena liberazione realizza, anche se gli uomini non lo sanno, il disegno stesso di Dio. E i credenti possono, anzi devono prendervi parte. Ma mentre collaborano con tutti gli uomini al compito di liberazione umana dalle molteplici forme di servitù, oppressione, alienazione i cristiani non devono smettere di annunciare l’evangelo: la suprema liberazione dell'uomo ci è data in Cristo, nella sua dedizione incondizionata. Nell'evangelo odierno Gesù dice: Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo, ovvero: beato chi non si arresta perplesso, incredulo di fronte al segno povero, inerme della mia umanità.
Ci avviamo al Natale: anche in quella notte ci sarà dato un segno: «Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia». Sapremo riconoscere in quel povero e disadorno segno la presenza di un Dio che ha tanto amato il mondo fino a dare il suo Figlio?