ISLAM A SCUOLA

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enricorns
00venerdì 23 ottobre 2009 18:45
La Corte costituzionale ha già indicato
i binari su cui occorre muoversi
ISLAM A SCUOLA
PARTIRE DALLE REGOLE

La proposta del viceministro Adolfo Urso di introdurre l’insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche è ormai oggetto di ampia discussione, molto impostata sull’onda delle opinioni, sia pure di autorevolissime personalità, e poco orientata dal sistema di regole e di valori su cui è fondata la convivenza in Italia. Solo qualche voce (tra le poche quella di mons. Rino Fisichella) ha tentato di proporre come elemento di valutazione la Costituzione italiana e i valori che, da essa derivati, sono stati inseriti in atti giuridici bilaterali, come ad esempio l’accordo tra Stato e chiesa cattolica e le intese con le altre confessioni religiose.

Pur osservando che talune riserve possono sussistere sulle ragioni (parziali e insufficienti) che hanno determinato alla presentazione la proposta, la strada maestra per trovare una risposta non può che essere quella delle regole superori, che presiedono alla convivenza nel nostro Paese. Per questo, prima ancora di arrivare a dare una risposta definitiva e finale (consentire oppure no l’insegnamento della religione islamica) occorre farsi altre domande, del tipo: è possibile uno spazio diverso all’insegnamento di una religione diversa da quella cattolica? Perché dare un altro insegnamento riguardante i contenuti di una religione diversa da quella cattolica? Quali devono essere i contenuti? Come organizzare l’insegnamento? Con quali insegnanti? E, soprattutto, qual è l’interesse dello Stato e con quale strumento si può attivare (ove possibile) questo insegnamento?
In realtà, a ben pensare, si tratta di questioni alle quali sono già state date indirettamente risposte, proprio quando, dopo la sottoscrizione del nuovo accordo, si è scatenata una lotta contro l’insegnamento della religione cattolica, richiedendosi l’intervento della magistratura e stimolando pronunzie della Corte costituzionale, dalle quali occorre partire. Se rileggiamo la sentenza n. 203 del 1989, conosciuta specie per l’affermazione della laicità dello Stato, troviamo una ricostruzione dell’impianto normativo costituzionale che oggi conserva tutta la sua attualità. Nella sentenza la Corte affrontò il tema della legittimità dell’insegnamento della religione cattolica collocandolo all’interno di un "quadro normativo rispettoso del principio di laicità dello Stato". Quindi, ciò comporta che ogni discussione sull’insegnamento di contenuto religioso (qualunque esso sia) non può prescindere dal principio di laicità e dal quadro normativo che ad esso si può imputare.
Rivisitando il quadro normativo, la Corte ritenne individuabili quattro dati significativi: 1) il riconoscimento del valore della cultura religiosa; 2) la considerazione dei principi del cattolicesimo come parte del patrimonio storico del popolo italiano; 3) la continuità di impegno dello Stato italiano nell`assicurare, come precedentemente all`Accordo, l`insegnamento di religione nelle scuole non universitarie; 4) l`inserimento di tale insegnamento nel quadro delle finalità della scuola. Essa aggiunse che, i dati indicati con i numeri 1,2,4 rappresentano "una novità coerente con la forma di Stato laico della Repubblica italiana". Per dirla con altre parole, sono coerenti con la laicità dello Stato il riconoscimento del valore della cultura religiosa (senza alcun attributo) e l’appartenenza al patrimonio popolare dei principi del cattolicesimo. A giudizio della Corte, "il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale". Volendo meglio precisare, si potrebbe dire che il valore della cultura religiosa deve essere conservato in una società concepita “al plurale”, sia sotto il profilo confessionale sia sotto quello culturale. In questo tipo di società “plurale” lo Stato assume il ruolo di garante della libertà religiosa. Nel garantire la libertà religiosa delle persone consiste, dunque, l’interesse dello Stato per le religioni.
Del resto, proprio con la Chiesa cattolica lo Stato ha inteso confermare la volontà di conservare l’insegnamento della religione cattolica, come strumento di salvaguardia della libertà religiosa personale. Tuttavia, ha fatto ciò attraverso uno strumento solenne e formale, come è il nuovo accordo del 1984, e per il tramite di un’intesa (quella del dicembre 1985) con la quale ha reso compatibile l’insegnamento nel quadro delle finalità della scuola, definendo le questioni circa i libri di testo, l’organizzazione, i contenuti della materia, le caratteristiche di professionalità dei docenti.
Pertanto, senza voler negare le specificità dell’identità cristiana del popolo italiano, che ha anche nel suo patrimonio culturale i principi del cattolicesimo, e senza introdurre artatamente il riconoscimento di altri valori, che non appartengono al patrimonio del popolo, ogni dibattito su un insegnamento di altra religione non può che seguire le regole e i metodi già utilizzati e predisposti dall’ordinamento, tra i quali: la riaffermazione del principio di laicità, il valore della cultura religiosa, un atto solenne di convergenza tra la confessione che lo richiede e lo Stato, un atto regolamentare che disciplina le caratteristiche di compatibilità con il quadro delle finalità della scuola (vale a dire con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche e cioè i contenuti, i libri di testo, l’organizzazione, la qualificazione degli insegnanti), ciò a garanzia del diritto personale di libertà religiosa e a conferma della "attitudine laica dello Stato-comunità, che risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini" (così la Corte costituzionale).
Dunque, la Repubblica, proprio per la sua forma di Stato laico, può fare impartire l`insegnamento di religione (a cominciare da quella cattolica) in base a due ordini di valutazioni: a) il valore formativo della cultura religiosa, sotto cui s`inscrive non più una religione, ma il pluralismo religioso della società civile; b) l`acquisizione dei principi del cattolicesimo al
"patrimonio storico del popolo italiano, seguendo le procedure già avviate con la chiesa cattolica e le altre confessioni con intesa", dunque, alle regole, a quei valori che hanno consentito al nostro Paese di conservare il proprio tasso di civiltà, nonostante tutto. Ogni altra discussione non è utile, getta confusione, invita a schierarsi sulla base di postulati ideologici, è contraria al principio di salvaguardia della libertà.  

Gaetano Dammacco

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