Il “caso Boffo” è una battaglia intra ecclesiale ancora aperta. L’affondo di Magister sul Foglio e un utile pro memoria

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Cattolico_Romano
00martedì 29 settembre 2009 12:10

Il “caso Boffo” è una battaglia intra ecclesiale ancora aperta. L’affondo di Magister sul Foglio e un utile pro memoria

Il “caso Boffo” ha sollevato un mondo sommerso in parte sconosciuto ai più. Un mondo di dissidi intra ecclesiali che ancora sono lontani dall’essere risolti. E oggi è sul Foglio che si consuma l’ultimo atto d’una battaglia aspra e che in futuro avrà ancora tanti capitoli. Nicoletta Tiliacos, infatti, intervista il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister, “ruiniano di ferro che non fa mistero d’esserlo”, che critica apertamente la nuova linea del “compromesso” sui temi scottanti l’agenda politica italiana e internazionale (temi etici soprattutto) portata avanti dalla segreteria di Stato vaticana e dalla sua “voce”, l’Osservatore Romano. E, insieme, Magister critica la linea “bassa”, “un minimo comune denominatore che non sfiorasse i temi più dibattuti” portata avanti dal cardinale Angelo Bagnasco all’interno della prolusione che ha aperto il consiglio permanente della Cei. A farne le spese, a detta di Magister, il ruinismo: la linea che ha avuto il culmine col referendum sulla procreazione assistita e che ha avuto nel cardinale Camillo Ruini il suo principale esponente, la linea del “è meglio dire le cose come stanno piuttosto che non dire nulla”.

L’intervento di Magister sul Foglio è pesante e risuonerà oltre il Tevere per parecchio tempo. Ma prima, nei giorni scorsi, c’erano stati altri interventi, tutti pepati, e che hanno avuto come protagonisti lo stesso Magister da una parte e dall’altra il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian.

Ecco qua un promemoria, utile per capire i contenuti d’una battaglia fino a poche settimane fa semplicemente sotterranea. Oggi, invece, esplicita, nero su bianco.

Un’anticipazione del j’accuse di Magister oggi sul Foglio (su carta la versione completa)

Ultime sul “caso Boffo” e Il Giornale. Un retroscena

Quella falsa congiura laicista per coprire la verità sul caso Boffo

“La questione non finisce qui”. Sul caso Boffo e sul suo successore

Vian: rivendico di non aver scritto sulle vicende private del Cavaliere

Fonte

Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 11:46

Il j’accuse di Magister. Autorevole vaticanista dice che la realpolitik di Bertone non è in sintonia col Papa (Tiliacos)


Il j’accuse di Magister

Autorevole vaticanista dice che la realpolitik di Bertone non è in sintonia col Papa

di Nicoletta Tiliacos

Grande è la confusione, almeno in apparenza, nella chiesa italiana. Basta scorrere le cronache delle ultime settimane, e ricordare le circostanze delle dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, per avere, più che l’impressione, la certezza di uno scontro “intraecclesiale” con pochi precedenti nella storia recente. Uno scontro del quale sfuggono ai più i contorni precisi, ma che senza dubbio esiste. Lo conferma al Foglio il vaticanista di lungo corso Sandro Magister.
Con il suo sito in quattro lingue
www.chiesa.espressonline.it, Magister rappresenta una delle voci più importanti dell’informazione religiosa, non solo italiana, riguardante la chiesa cattolica.
“Più che di confusione parlerei di grande disordine. L’impressione complessiva è che ai livelli alti della chiesa confliggano visioni della realtà, in Italia e nel mondo, che non sono facilmente componibili. Anzi, spesso si scontrano, con un’ulteriore aggravante. Chi, all’interno della gerarchia della chiesa, si erge come critico deciso di soluzioni precedenti ritenute non più all’altezza o non più praticabili, non è portatore di una visione convincente, capace di delineare un nuovo corso ai vertici della chiesa stessa”.

Scendiamo nei particolari.

Si riferisce, per quanto riguarda l’Italia, alla volontà di una parte della gerarchia di dichiarare per sempre conclusa la cosiddetta “era Ruini”? E quali sono gli attori e i progetti che si confrontano in questo passaggio tutt’altro che indolore? Secondo Magister, va fatta una considerazione preliminare: “La battaglia che si combatte nelle gerarchie in Italia è interna a una battaglia più grande, che abbraccia l’intero mondo. Mi spiego. Quando si sostiene – con fondamento – che vi è una differente visione delle cose da parte della Segreteria di stato vaticana e dell’episcopato italiano, non bisogna trascurare che la medesima divergenza esiste tra la stessa Segreteria di stato e molti epsicopati nazionali, e non di secondo conto”.
Qualche esempio? “Uno dei più lampanti è quello degli Stati Uniti. Non c’è alcun dubbio sul fatto che la Conferenza episcopale americana, in questi ultimi anni, abbia ridisegnato il proprio modo di confrontarsi con le amministrazioni che si sono succedute, da Bush junior a Obama. Si è delineato, dentro una delle conferenze episcopali più numerose del mondo, un nucleo forte di vescovi e cardinali che hanno svolto un ruolo molto critico nei confronti delle amministrazioni in carica, come si è visto in particolare con Obama. Il leader di questa tendenza non è una figura secondaria, ma è il cardinale più autorevole degli Stati Uniti. Parlo del presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Francis George di Chicago, da sempre uno dei più stimati da Papa Ratzinger”.

Sulla stessa linea critica rispetto alla presidenza Obama, spiega Magister, “ci sono un’ottantina di vescovi americani su 250. Gli elementi conflittuali sono noti e si richiamano direttamente alla sfera bioetica, primo tra tutti il capitolo dell’aborto.
Ebbene, questi elementi non secondari dell’episcopato americano non si sono mai visti sostenuti, ma semmai osteggiati, dalla segreteria di stato vaticana e dall’organo ufficiale della Santa sede, l’Osservatore Romano, che della Segreteria è voce.
Basti pensare – prosegue Magister – che sono state elevate fiere proteste da parte di alcuni vescovi americani nei confronti del segretario di stato, nelle quali si è lamentato anche il ruolo dell’Osservatore Romano”. Si tratta, dice Magister, “di fatti noti e sostanzialmente pubblici.
Un elemento che fece molto adirare alcuni importanti vescovi americani fu, per esempio, l’editoriale molto positivo, anche sulle questioni della famiglia e della bioetica, che l’Osservatore pubblicò per i cento giorni di Obama alla Casa Bianca.
C’è poi stata la laurea ad honorem al neo-presidente da parte dell’Università di Notre Dame, anche in questo caso con forti polemiche, perché a conferire l’onorificenza era un’importante istituzione di studi cattolici. In entrambi i casi, la mobilitazione critica dei vescovi nei confronti della presidenza Obama è stata vista con disfavore dalla Segreteria di stato e dall’Osservatore romano, e ha creato conflitto”.

Un conflitto tuttora in atto?

“Sì, non è stato in alcun modo sanato. L’altro esempio da non dimenticare è quello della Cina. Anche in questo caso, siamo di fronte a uno scontro di visioni: da una parte, l’estrema cautela, verso il governo cinese, da parte di Segreteria di stato e diplomazia vaticana; dall’altra, il leader di una visione più combattiva, il cardinale Zen. Anche qui, una figura di grande peso e di grande statura, che non ha mai nascosto quella conflittualità. Zen ha scritto in più di un’occasione, anche nel giornale della diocesi di Hong Kong, di cui è vescovo emerito, che Bertone è un freno alla linea inaugurata da Benedetto XVI con la famosa
lettera ai cattolici cinesi di due anni fa”.
Magister fa l’esempio del Vietnam, “dove è in corso da mesi una grandiosa battaglia fatta con centinaia di migliaia di cattolici in piazza e veglie di preghiera che si susseguono, a fronte di una strategia di contenimento repressivo da parte governativa. Eppure, da parte della Segreteria di stato non c’è mai stato un sostanziale sostegno. Anzi, il cardinale Bertone ha diffuso una lettera ai vescovi del Vietnam con cui, in pratica, consiglia loro di star buoni. Nemmeno l’Osservatore Romano non ha mai dedicato una riga a queste vicende”.

Magister vede in tutto ciò una “linea ‘concordataria’, fatta di buon vicinato, di rapporti istituzionali cortesi, utilizzata anche dove i concordati non ci sono proprio. Non mi sembra una linea all’altezza delle linee maestre dei due grandi pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI”. Si può parlare di semplice realismo politico? In fondo non sarebbe una novità assoluta nella vita della chiesa: “Certo, il realismo caratterizza da sempre la diplomazia vaticana. E’ un realismo fatto di calcoli sul possibile, che ha avuto il suo apogeo, forse eccessivamente celebrato, con l’Ostpolitik vaticana degli anni Sessanta e Settanta del cardinale Casaroli, e che continua a essere praticato”. Un realismo, per arrivare alle vicende nazionali, che si applica anche in Italia, dice Magister: “Ieri con Prodi e oggi con Berlusconi. Con risultati anche un po’ paradossali. Tutti possono ricordare che, negli anni del governo Prodi, il cardinale Tarcisio Bertone era il campione della stampa di sinistra, opposto alla gerarchia episcopale italiana, descritta come regressiva e portatrice di intransigenza e fanatismo.
Ora l’ottica è rovesciata, sempre sugli stessi giornali. Il cardinal Bertone è diventato il leader ecclesiastico che indebitamente pretende di avere con il governo Berlusconi un rapporto amichevole, e la Cei è esaltata come portatrice di una linea critica”.

Fin qui l’analisi a grandi linee della politica della Segreteria di stato negli anni recenti. Quindici anni segnati, per la chiesa italiana, dal cardinale Camillo Ruini alla guida della Cei. Secondo Magister, ruiniano di ferro che non fa mistero di esserlo, “la linea impersonata da Ruini ha faticato a crescere e a imporsi, ha avuto il suo apogeo negli anni tra il 2004 e il 2007, ed è coincisa con lo straordinario momento del referendum sulla legge 40, nel 2005. E’ stata del tutto innovativa, per la chiesa italiana, che ha accettato in pieno l’affermarsi del bipolarismo, così come ha accettato e fatto propria l’indipendenza della chiesa dalle singole forze politiche, e ha chiuso per sempre con la stagione del partito cattolico (o comunque con il nucleo dei politici cattolici che sul terreno partitico si arrogano il compito di rappresentare la chiesa). Ruini ha pensato e agito avendo di fronte a sé la nazione intera, non il mondo cattolico. Con lui, la proposta che partiva dalla chiesa italiana non era motivabile solo alla luce della dottrina e della fede, ma voleva essere accettabile da una platea più vasta di persone, compresi i non credenti”. Vi si può leggere una sintonia con l’idea ratzingeriana della possibilità della ragione ben orientata di arrivare, su certi temi, a conclusioni armoniche con la fede? “Non c’è dubbio, e si tratta di una sintonia straordinaria, tuttora esistente, tra il Papa e il cardinal Ruini. Lo stesso Progetto culturale voluto dal cardinale è qualcosa che riconosce la peculiarità della nazione e del cattolicesimo italiano, visto come espressione di una chiesa di popolo”. Una visione che si scontra con quale altra? “C’è una lettura elitaria, dominante sui media negli ultimi decenni, che guardava e guarda al cattolicesimo italiano in termini di arretratezza, bilanciata dalla presenza di un ceto più colto e più cristianamente ispirato. Un po’ come i fratelli maggiori e i figlioli prodighi. Ma ricordo che fu Arturo Parisi, voce non sospetta, a notare che i cattolici irregolari sono stati quelli meglio capiti dal fenomeno del berlusconismo”.

In che senso? “Nel senso che, tra le tante cose che ha fatto, Berlusconi ha anche chiuso la questione cattolica, se la si intende come separatezza, invincibile o quasi, del mondo cattolico rispetto all’agorà politica italiana. L’apparente assenza di cattolici blasonati nel governo e nella sua formazione politica non vuol dire che non esistano i cattolici. Al contrario: è stata colta perfettamente l’esistenza di una presenza molto diffusa dei cattolici ‘normali’ in Italia, sempre troppo trascurata. Si ragiona sempre in termini di cattolici praticanti, assidui, formati secondo curricula particolari, che hanno nei movimenti come le Acli e l’Azione cattolica le loro matrici.
In realtà, c’è una massa sterminata che con questo tipo di curricula non c’entra affatto: è l’ossatura del cattolicesimo italiano.
Che spiega le cifre impressionanti dell’otto per mille (che tocca il novanta per cento) e dell’insegnamento religioso nelle scuole. Scelta fatta anche da cattolici non praticanti”. Eppure si parla continuamente di “insubordinazione” dei cattolici rispetto ai dettami della chiesa: “Non necessariamente la chiesa cattolica è ascoltata e obbedita nei dettami. Ma contemporaneamente questo tipo di cattolicesimo le riconosce il dovere, più che il diritto, di parlare apertamente, senza reticenze, di ribadire la sua dottrina”.

Il progetto del cardinal Ruini, secondo Magister, “riconosceva appieno questa eccezione italiana. Guardata, tra l’altro, con molta invidia da parte di altri episcopati europei. Quello spagnolo si è letteralmente impegnato a seguire la strada aperta durante gli anni della presidenza Ruini. La quale ha capito perfettamente sia la grande identificazione della popolazione italiana con la chiesa cattolica sia l’incipiente sensibilità al tema della vita nascente. Da lì nasce anche l’affermazione nei referendum. E nasce da passi coraggiosi, come l’indicazione di non voto, data con molto anticipo, non appena il Corriere della Sera, che di quella battaglia fu protagonista, aveva dato l’indicazione opposta”.
La fine della gestione ruiniana coincide oggi con contrasti inediti in seno alla chiesa e alle sue gerarchie, con manifestazioni mediatiche e interpretazioni che ricordano il peggiore (o migliore, dipende dai punti di vista) Dan Brown, come ha scritto il Foglio. Quali esiti prevede Magister? “Voglio prima di tutto sottolineare che il Progetto culturale, tuttura vivo e attivo, non è portato avanti con la stessa convinzione dalla Conferenza episcopale. La sua attuale presidenza è visibilmente debole, nonostante la continuità, dal punto di vista formale, con la precedente presidenza. Debole dal punto di vista dell’autorità, dell’esercizio della giurisdizione. Voci dissonanti si esprimono in ordine sparso, e la cosa ha avuto delle evidenze sconcertanti durante l’attacco a Dino Boffo. Nei suoi confronti c’è stata una solidarietà graduata, nella gerarchia cattolica e nel clero. Vi sono state anche evidenti manifestazioni di una sorta di utilizzo dell’attacco a Boffo in vista della chiusura dell’era Ruini”.

L’obiettivo è stato raggiunto? “E’ una partita aperta. Il Rapporto sull’educazione realizzato nell’ambito del Progetto culturale, stampato dall’editore laico Laterza, rinnova l’impostazione di proposta al paese intero, non ai soli cattolici, da parte della Cei. C’è il convegno su Dio, molto ratzingeriano nell’impostazione, organizzato per dicembre. Il Progetto culturale è vivo e continua a operare. Ma c’è, allo stesso tempo, un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia cattolica, rispetto a queste iniziative”. Anche tra i vescovi? “Anche tra loro. Nella stessa prolusione del cardinale Bagnasco ai lavori dell’ultimo consiglio permanente della Cei, le parole ‘Progetto culturale’ non sono state mai pronunciate, nonostante sia noto che proprio il Progetto culturale è uno dei bersagli fondamentali della tumultuosa operazione condotta per defenestrare Boffo. Nessun accenno nemmeno al convegno su Dio, che pure la Cei ha promosso”. Questo che cosa significa? “E’ l’indizio che il presidente della Conferenza episcopale, conoscendo la difformità di opinioni all’interno del consiglio permanente, si è tenuto a un minimo comune denominatore che non sfiorasse i temi più combattuti”.

Si può dunque dire che la Cei attraversi una fase di incertezza, che si riflette anche sui temi caldi, come il biotestamento? “Su questo punto una linea ufficiale esiste ed è favorevole alla legge. Ma si alzano voci dissonanti, come il cardinale Martini o come don Verzé. Anche chi ricopre cariche, come il presidente dei medici cattolici di Milano, Giorgio Lambertenghi, si dissocia dalla scelta della Cei”. C’era qualche dissonanza pure all’epoca dei referendum sulla legge 40, specialmente sul tema dell’uso delle staminali embrionali…
“Sì, ma ora è tutto più netto. Pensiamo alla vicenda di Eluana Englaro. Enzo Bianchi, priore di Bose, scrisse parole sferzanti contro la difesa, a suo dire fanatica, della vita di Eluana Englaro. Senza dimenticare che quel caso fu sfiorato addirittura da una polemica tra Osservatore Romano e Avvenire”.

Quali sono i prossimi passi della guerra intraecclesiale di cui è diventato arduo negare le evidenze? “Molto dipenderà dalle decisioni sulle direzioni, probabilmente scorporate, del giornale, della televisione e della radio dei vescovi. Avvenire, con Boffo, è stato il vero strumento per trasformare il messaggio cristiano in cultura popolare, come ha detto il rettore della Cattolica di Milano, Lorenzo Ornaghi. L’attacco del Giornale di Vittorio Feltri ha ottenuto, in pochi giorni, quello che alcuni gruppi cattolici molto ostili a Boffo, a Ornaghi e a quello che rappresentavano, vale a dire il Progetto culturale della Cei, cercavano da anni di ottenere facendo circolare fogli anonimi e diffamatori. Poi c’è stata una mancanza di leadership chiara da parte della Cei nella gestione, anche su Avvenire, delle polemiche sulla vita privata del premier. Avvenire non ne ha parlato subito, è stato semmai molto prudente, e dei quattro commentatori che ne hanno scritto, solo uno era favorevole a una denuncia pubblica delle nequizie private di Berlusconi. Poi c’è stata la svolta, il 6 luglio, con la predica su santa Maria Goretti del segretario della Cei, monsignor Crociata. Universalmente interpretata, a ragione, come attacco alla vita privata del premier. Crociata stesso aveva voluto che fosse trasmessa in diretta su Sat 2000. E’ stata una cosa meditata, ripresa con grande spazio dai giornali di sinistra. Dopo c’è stato un diluvio di lettere e pressioni su Avvenire, accusato di non aver parlato abbastanza delle vicende private del presidente del Consiglio. Boffo ha fatto opera di contenimento, eppure è passata la vulgata del giornale della Cei sistematicamente contro Berlusconi. Una cosa irreale, che se ci fosse stato Ruini non sarebbe accaduta”. Come andrà a finire? “La battaglia per cambiare le linee maestre nella chiesa italiana, e dunque per seppellire la linea Ruini, è tuttora in corso. Naturalmente si esprime in forme del tutto diverse da quelle dei fogli anonimi, ma non mostra contenuti alternativi chiari e persuasivi”.

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Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 12:00
Vaticanismi

Perché il Progetto culturale di Ruini è essenziale e non c’è alcun piano B della Cei

di Maurizio Crippa

“Il Progetto culturale, tuttora vivo e attivo, non è portato avanti con la stessa convinzione”, anzi c’è “un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia”.
Così il giudizio tagliente e accorato,
sul Foglio di ieri, del vaticanista Sandro Magister.
Il lento cambio della guardia ai vertici della chiesa italiana, fattosi burrascoso dopo la drammatica vicenda Boffo, ha posto all’ordine del giorno, non solo ecclesiale, il tema di una presunta “crisi” – o addirittura del possibile abbandono – del Progetto culturale della chiesa italiana, varato nel 1994 proprio da Ruini. Abbandono smentito in realtà non solo dalle dichiarazioni ufficiali ma anche dai fatti (l’imminente convegno su Dio), ma che, se fosse vero, dovrebbe porre un’altra domanda: la chiesa italiana ha pronto un “piano B”, ovvero un “progetto” differente? L’impostazione del problema non convince appieno Luigi Accattoli, decano dei vaticanisti, che prova ad allargare la veduta: “Non bisogna confondere quello che è un cambio avvenuto nel governo della chiesa italiana con una presunta crisi del progetto culturale, che invece non c’è.

Nella Cei è indubbio che i nuovi vertici – scelti però dal Papa, va ricordato – intendono seguire una linea di minor intervento in quello che chiamo il ‘conflitto legislativo’. E questo è in sintonia con una parte maggioritaria dell’episcopato, che era da sempre in sofferenza rispetto alla guida ruiniana”. Ma, spiega Accattoli, il Progetto culturale inteso come “lavoro per incrementare la rilevanza pubblica della fede e per sostenere una visione antropologica, quello non cambierà. Perché è un progetto ‘pedagogico’ di lunga durata. E soprattutto perché è frutto di una visione filosofica, culturale profonda e sedimentata, che inizia con l’ultimo pontificato di Montini e prosegue senza soluzione di continuità da allora. Un giudizio sulla modernità che non passa in fretta”. Il resto, compresi certi toni polemici, invece sì. Alla vitalità del Progetto serve però maggior freschezza. Al cuore del pontificato di Benedetto XVI c’è infatti l’esigenza di una “comunicazione della fede” più diretta ed essenziale.

Non è un caso che la filosofia di un sito di informazione religiosa molto vivace e seguito come Korazym.org, nato da un gruppo di giovani nel 2002 dopo la Giornata della gioventù di Toronto, sia proprio di “comunicare la vita, quindi anche quella della chiesa e il suo giudizio, attraverso i fatti e la realtà”, come dice una delle responsabili della giovanissima redazione, Angela Ambrogetti. “Chi non comunica non esiste”, si legge nella presentazione del giornale online, “ed è chiaro che i grandi temi che devono essere comunicati dai cristiani siano quelli che hanno a che fare con l’oggi, quindi la ‘questione antropologica’, la bioetica”, prosegue Ambrogetti, che non vede necessario alcun “piano B” per rendere diversamente presente la chiesa. Solo, aggiunge usando un termine caro al cardinal Ratzinger, “i cristiani dovrebbero essere meno ‘autooccupati’, autoreferenziali”.

Non esiste invece alcun “piano B”, secondo Marco Politi, “semplicemente perché il ‘piano A’ – inteso come definizione di un’antropologia culturale che valesse per tutti i cattolici – non è mai decollato in quanto irrealizzabile”. Storico vaticanista di Repubblica e autore del saggio polemico “La chiesa del no”, Politi spiega che il Progetto culturale, nel senso di organizzazione, convegni e studi come quello appena presentato sull’educazione (“lavoro eccellente”) continuerà tranquillamente sui suoi binari. “Ma la vera necessità culturale per la chiesa, al di fuori del ruolo politico che Ruini le ha garantito, sarebbe di iniziare a compiere una vera ricognizione di come a tutti i livelli, nella base, nelle assiociazioni, vengono oggi vissuti i contenuti della fede”. Perché, secondo Politi, la questione antropologica si gioca innanzitutto nel riconoscimento delle antropologie reali oggi presenti nella chiesa e nella società. Detto ciò, secondo Politi più che un “piano B” alla chiesa italiana “servirebbe un ‘piano ABC’, cioè il ripartire da un confronto interno più libero su tutti i grandi temi, che in questi anni è mancato, e non a caso poi si alimenta sui giornali, e non nelle riunioni ecclesiali”. E’ anche per questo, dice, che oggi come oggi “non ci sarebbe una gerarchia pronta e in grado di esprimere una visione culturale e antropologica”.

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Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 12:04
Laici tra Ruini e Bertone

Massimo Faggioli

Il caso Avvenire ha evidenziato uno scontro interno alla chiesa italiana e al Vaticano e ha messo in luce un dato: la “linea concordataria” è attualmente la sola formula di sopravvivenza per il rapporto tra la chiesa cattolica e lo stato italiano. Da una parte, sull’ultimo numero de Il Regno, l’editoriale di Gianfranco Brunelli nota con lucidità che lo scontro tra la Cei e Berlusconi ha segnato la fine di una linea di politica ecclesiastica: una linea politica che aveva comportato la subalternità della Cei e, in definitiva, il disconoscimento dei cattolici democratici da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Nella conclusione Brunelli si chiede cosa rimane del cattolicesimo politico, e indica come sola via d’uscita possibile una nuova stagione di autonomia per il laicato cattolico, di fronte all’ipotesi che il futuro sia all’insegna di una mera “linea concordataria” – gestita dalla segreteria di stato – per i rapporti tra stato e chiesa.
Dall’altra parte, sulle colonne de Il Foglio Sandro Magister
accusa la medesima “linea concordataria”, che a suo avviso è responsabile dell’affossamento del “progetto culturale” dell’era del cardinale Ruini e di una sconfessione delle “linee maestre” dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Di fronte a questa unanimità di giudizio (unanimità che però parte da presupposti
del tutto diversi) sulla debolezza della “linea concordataria”, cosa hanno in mente i cattolici italiani per l’apertura di una nuova stagione? Se il Vaticano sembra impegnato a seguire una linea di rapporti istituzionali col governo Berlusconi, i vescovi italiani si ritrovano politicamente orfani di una destra che ha cercato il sostegno della chiesa, senza però concedere nulla al suo magistero sociale. La chiesa italiana ha sperimentato in modo traumatico, col “caso Avvenire”, il passaggio dal matrimonio di convenienza, alla cattività berlusconiana, alla necessità di una nuova libertà. Infatti, il messaggio trasversale lanciato da Berlusconi alla chiesa italiana è la prova che, nella cultura politica delle “nuove destre” populiste e individualiste, la chiesa cattolica rischia di far la fine di una lobby, la cui influenza è legata alla convergenza di interessi e non alla capacità di parlare alle coscienze.
Se è vero che l’autunno 2009 segna il tramonto di una linea di politica ecclesiastica per la chiesa italiana, allora sono tramontate anche le caratteristiche proprie di quella linea – centralizzazione e clericalizzazione, militantismo politico diretto di associazioni e movimenti, uniformizzazione dei media cattolici – e si apre una finestra di opportunità per il cattolicesimo politico e per il Partito democratico.
Ha ragione Angelo Bertani quando scrive, sulle colonne di questo giornale, che non sono i concordati a garantire la libertà della chiesa e la vitalità della fede. Ma anche se dovesse sopravvivere, nello scenario italiano, solo la “linea concordataria” gestita dalla segreteria di stato, è chiaro che qualsiasi linea concordataria, nell’Europa multireligiosa del secolo XXI, comporta enormi sfide culturali e politiche: basti guardare al dibattito in corso in Germania, terra natale di Benedetto XVI, sul ruolo del Concordato nel delicato passaggio tra Costituzione tedesca e la futura Unione europea secondo il trattato di Lisbona.
La disputa – a distanza – tra gli eredi del “progetto culturale” del cardinale Ruini e gli attuali gestori della “linea concordataria” del cardinale Bertone è l’indice di un presente in scadenza: ma riflette la complessità di una questione da sempre alla ricerca di una soluzione. Il teologo americano H. Richard Niebuhr ricordava, nell’ormai classico Christ and Culture (1951), che la “perplessità” del pensiero cristiano nei confronti del rapporto tra religione e politica è una questione perenne: «Nel nostro tempo presente prendiamo decisioni sulla base della libertà e della fede. Prendiamo decisioni sulla base della libertà perché dobbiamo decidere. Non siamo liberi di non decidere». Il momento attuale richiede una ripresa di responsabilità da parte del laicato cattolico: responsabilità che gli è teologicamente propria, politicamente dovuta, e non concessa per buona condotta.
Una delle maggiori tentazioni per i cattolici italiani sarebbe quella di rifugiarsi in una sorta di agnosticismo: sia nei confronti della politica, sia sul versante dei rapporti tra chiesa e politica. Un agnosticismo che è solo un’altra versione – non meno pericolosa – del populismo dell’anti-politica.

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Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 15:25
CEI: CROCIATA, PROGETTO CULTURALE NON E' IN DISCUSSIONE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 30 set.

Non e' in discussione da parte dei vescovi il Progetto Culturale della Chiesa Italiana, strategia - avviata sotto la presidenza del card. Camillo Ruini - che e' basata sul dialogo e il confronto tra la comunita' ecclesiale e le altre istanze della societa'. Lo afferma il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, in
un'intervista alla Radio Vaticana.
''Non credo - spiega il presule - che ci sia l'esigenza o meglio la necessita', di parlare di una fase nuova, nel senso che quello che colgo nel cammino di questi anni, e in quest'anno in particolare, e' non solo il mantenimento dello sviluppo di cio' che il Progetto culturale ha significato, significa, vuole significare, come animazione a livello alto e anche ad un livello pastorale della coscienza dei credenti in Italia''.
Nell'intervista, mons. Crociata si riferisce poi al ''caso Boffo'', per ''ribadire con molta sobrieta' il dispiacere per quello che e' successo''.
Secondo il segretario della Cei, ''quando la lotta delle idee si trasforma in attacco alle persone, peraltro con modalita', strumenti indebiti, vuol dire che non siamo piu' nello stile e nel clima di una serena convivenza civile''. Per quanto riguarda l'impegno della Conferenza Episcopale nei mezzi di comunicazione, che e' parte integrante del Progetto Culturale, Crociata, il vescovo assicura che ''non c'e' nessun cambiamento da attendere o da mettere in conto, perche' nei tempi ragionevoli si procedera' alla nomina delle figure necessarie.
E intanto - spiega - il servizio di questi strumenti continua e continuera' come e' avvenuto finora con lo stesso impegno per la verita' e per una comunicazione serena, pacata, leale, ma anche non timorosa del messaggio che la Chiesa in Italia vuole far giungere a tutti il piu' possibile''.
A cominciare dai temi etici, ai quali, rileva il segretario della Cei, come vescovi ''siamo profondamente interessati, sensibilmente interessati, non in quanto direttamente attori di un dibattito politico, in senso partitico, ma in quanto vogliamo essere attori e protagonisti di un dibattito sociale, culturale ed etico, in cui tutti hanno spazio legittimamente''.
Rispetto alla discussione specifica sulla legge per il ''fine-vita'', per Crociata il testo uscito dalla discussione, dall'approvazione del Senato, rappresenta ''un punto di equilibrio sul quale ci si possa ritrovare rispetto a quei principi e auspichiamo che questo equilibrio sia mantenuto nel dibattito e nell'esito della discussione alla Camera con il consenso piu' largo possibile. E riguardo alla RU486 - conclude - noi non abbiamo altro da dire che questo farmaco rischia di esporre ad un gravissimo pericolo di banalizzazione dell’aborto''.

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Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 15:26

Magister, Ruini e il Progetto culturale (Padre Giovanni Scalese)

Clicca qui per leggere il commento di Padre Giovanni Scalese
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