Il caso Galileo quattrocento anni dopo

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Cattolico_Romano
00martedì 26 maggio 2009 07:30
Una rilettura storica, filosofica e teologica

Il caso Galileo quattrocento anni dopo


Il 26 maggio si apre a Firenze, presso la basilica di Santa Croce, il convegno internazionale "Galileo 2009" organizzato dall'Istituto Stensen. I lavori proseguiranno dal 27 al 29 maggio nel Palazzo dei Congressi e si concluderanno il giorno 30 nella villa Il Gioiello di Arcetri, l'ultima dimora di Galileo. Uno dei relatori ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" i temi e il significato del convegno.



di Ugo Baldini

Il convegno di Firenze si presenta come uno degli eventi salienti dell'International Year of Astronomy, indetto dall'Onu nel dicembre 2007 a seguito di una proposta dell'Unione astronomica internazionale, fatta propria dall'Unesco. Il 2009 è stato scelto perché segna il quarto centenario dell'introduzione del telescopio nelle osservazioni astronomiche, avvenuta a Padova da parte di Galileo Galilei. Così, mentre molte iniziative in corso in una pluralità di Paesi, inclusa l'Italia, stanno riguardando lo stato attuale e le prospettive della ricerca astronomica, alcune, doverosamente, sono dedicate all'esame specifico di quel fatto e alle sue ripercussioni nella storia scientifica e, nel senso più ampio, intellettuale.

Com'è ben noto, l'astronomia di Galileo e il contesto fisico-cosmologico innovativo nel quale egli tese a collocarla, facendone uno strumento di grande portata insieme scientifica e filosofica, fu l'oggetto di un intervento degli organi censori della Chiesa, le Congregazioni del sant'Ufficio dell'Inquisizione e dell'Indice.

In un primo momento (1615-1616) l'intervento ebbe un esito esclusivamente dottrinale, la proibizione della teoria eliocentrica copernicana come quadro della realtà fisica - non come schema di calcolo - e di alcune opere che la esponevano e sostenevano:  né Galileo né altri sostenitori dell'eliocentrismo furono oggetto di sentenza. In seguito (1632-1633) venne invece un processo contro di lui, con l'accusa di aver ottenuto l'imprimatur per il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo dissimulandone il contenuto decisamente copernicano e aggirando quindi la proibizione, resagli nota già nel 1616. 

In linea di pura cronologia e strettamente scientifica la ricorrenza centenaria riguarda un fatto estraneo alla successiva vicenda censoria, essendo eminentemente tecnico e in sé religiosamente neutro, in quanto connesso molto parzialmente e indirettamente alle valenze cosmologiche dirompenti dell'eliocentrismo.
La visione di maggior dettaglio di corpi o fenomeni già visibili e la visibilità di altri che prima non lo erano - i satelliti di Giove, le fasi di Venere, le "protuberanze" laterali di Saturno interpretate solo in seguito come un anello, e altro - misero in crisi diversi aspetti della cosmologia aristotelica e mostrarono la falsità del geocentrismo tradizionale ma non, su un piano puramente logico, quella del sistema intermedio - geo-eliocentrico - di Tycho Brahe, che era compatibile con la cosmogonia e l'astronomia della Bibbia:  perciò non comportarono intrinsecamente un contrasto con queste.

Di fatto, la Chiesa non pensò mai a interdire l'uso del telescopio in astronomia, che crebbe velocemente nei Paesi cattolici non meno che nei protestanti e trovò anzi nel clero molti dei suoi praticanti più assidui e qualificati. Tuttavia Galileo, che non ritenne plausibile il sistema di Brahe, considerò i nuovi oggetti e fenomeni come inquadrabili esclusivamente nel sistema eliocentrico e come evidenze a suo favore, e dopo aver pubblicato nel 1610, nel Sidereus nuncius, le sue prime osservazioni, potenziò il telescopio e ne focalizzò l'uso soprattutto in funzione della sua battaglia di idee. Così, se su un piano strettamente scientifico tra gli eventi del 1609 e quelli del 1615-1616 e 1632-1633 v'è una relativa estraneità, su quello di una storia intellettuale generale v'è una quasi continuità ed un nesso ineludibile.

Questo fatto spiega l'impianto del convegno fiorentino, che non intende proporre una riflessione sulla figura complessiva dello scienziato toscano né su aspetti tecnici molto specifici.

Se per il grande pubblico o per molti studiosi non specialisti Galileo è solo o soprattutto l'astronomo del processo e dello "eppur si muove", nella storia della scienza ha un titolo di gloria forse più grande:  la fondazione della cinematica, con la formulazione della legge del moto uniformemente accelerato e l'individuazione di un principio fondante per l'intera meccanica (detto talora "relatività galileiana").

Non solo gli organizzatori hanno limitato il convegno al tema astronomico, in conformità al ruolo conferito internazionalmente all'anno 2009, ma da esso hanno escluso l'aspetto tecnico, com'è esplicitato nel titolo:  "Il caso Galilei. Una rilettura storica, filosofica, teologica". L'oggetto è dunque la vexata quaestio, dibattuta quasi ininterrottamente dal 1633 alla storiografia attuale, attinente a genesi, fondamento, motivazioni, sviluppi e ripercussioni della vicenda dipanatasi tra 1615 e 1633. È su tale "caso" che verterà la quasi totalità delle ventisette relazioni previste nei giorni 27, 28 e 29 (il 26 sono previste due lectiones magistrales introduttive; il 30 si avrà una tavola rotonda conclusiva nella villa Il Gioiello, sui colli fiorentini, dove Galileo visse in stato di residenza coatta da poco dopo la condanna fino alla morte nel 1642).

Le valenze molteplici del caso - scientifiche, storiche, giuridiche, teologiche, ideologico-politiche - hanno portato a migliaia di trattazioni, il cui numero negli ultimi anni è piuttosto cresciuto che diminuito, con un correlativo incremento di documentazione, accuratezza, specificazione di aspetti.

Il convegno fiorentino, tuttavia, si ripromette di portare gli studi a un nuovo punto di avanzamento. Neppure esso potrà portare a risultati definitivi, perché certe lacune nella documentazione, la delicatezza delle implicazioni e le forti connotazioni ideali che hanno sempre segnato la riflessione sul tema probabilmente impediranno per sempre una ricostruzione non ipotetica in alcuna sua parte, condivisa e di valore permanente (nei limiti in cui questi attributi sono riferibili al lavoro storiografico). Tuttavia la vastità d'impianto, l'ambito internazionale di provenienza dei relatori e, ancor prima, il numero e livello degli enti promotori lo rendono senz'altro un evento che ha pochi analoghi nella pur ricca storia organizzativa degli studi galileiani degli ultimi decenni.

All'organizzazione hanno concorso, con ruoli che vanno da un intervento diretto al patrocinio, diciotto istituzioni italiane di alta cultura, dall'Accademia dei Lincei e da quella Pontificia delle Scienze alle università di Firenze, Padova e Pisa, le tre città e sedi accademiche legate alla vita e alle ricerche di Galileo. Proponente iniziale e perno logistico è però il fiorentino Istituto Stensen, riuscito non solo nel compito difficile di raccordare istituzioni disparate, sollecitare adesioni internazionali, creare una vasta aspettativa, ma in quello più arduo di costruire una cornice unica di dialogo - pur con la certezza di differenze di giudizio anche vivaci - tra gli specialisti circa uno dei temi che, da più tempo e più intrinsecamente, demarcano posizioni religiose, filosofiche e ideologiche profondamente alternative.
 
La premessa forse più decisiva per questa nuova atmosfera, il discorso del 31 ottobre 1992 ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze nel quale Giovanni Paolo II qualificò la vicenda censoria come "tragica reciproca incomprensione", sarà anch'essa oggetto di analisi, perché il programma seguirà le fasi storiche della querelle fino al presente. Le relazioni del 27 maggio riguarderanno gli eventi del  1615-1616 e 1632-1633. Il 28 si passerà allo  sviluppo  dei  giudizi  e  dell'immagine  storica  del  "caso"  fino  al  1820-1822,  quando una  decisione  di  Pio vii  -  che  pose termine al  cosiddetto  "caso  Settele"  - autorizzò definitivamente  l'insegnamento  dell'eliocentrismo come verità fisica, anche nello Stato pontificio.

Il 29 saranno sondati sviluppi e valenze del tema dall'età del risorgimento e del positivismo, quando esso assunse valenze anche fortemente anticattoliche e antireligiose e fu usato come evidenza a supporto di elaborazioni filosofiche e ideologiche radicali, fino a un presente in cui esso appare come l'antecedente di questioni, di portata almeno pari, che oggi si pongono nel rapporto tra scienza e fede.


*Università di Padova Pontificio Comitato di Scienze Storiche

(©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)
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00martedì 26 maggio 2009 07:39

L'unica radice di fede e scienza




di Giuseppe Betori
Arcivescovo metropolita di Firenze

Sono lieto che a Firenze si svolga il convegno internazionale di studi su "Il Caso Galileo", una rilettura storica, filosofica e teologica, pensato e organizzato dalla Fondazione Niels Stensen dei padri gesuiti, in occasione delle celebrazioni dell'Anno internazionale dell'astronomia indetto per il 2009 dall'Assemblea generale delle Nazioni unite. La rilevanza del convegno è manifestata già dall'adesione di ben 18 istituzioni nazionali e internazionali, dal Pontificio Consiglio della Cultura all'Accademia dei Lincei, dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Specola Vaticana alle Università di Firenze, Padova e Pisa e a numerose altre prestigiose istituzioni, storicamente coinvolte nella "vicenda galileiana". Ma anche l'ampiezza dei temi affrontati e la partecipazione dei massimi studiosi mondiali - storici, filosofi e teologi - conferisce al convegno caratteristiche uniche. Vi sono quindi tutte le premesse per un riesame sereno e obiettivo del "Caso Galileo", di quella "tragica reciproca incomprensione" e "doloroso malinteso" - come ribadiva Giovanni Paolo II nel 1992 - che hanno portato alla condanna non solo del fondatore della scienza moderna, ma di una delle menti più geniali dello scorso millennio. Purtroppo questo "doloroso malinteso" è spesso stato erroneamente interpretato come "il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede".

Mi auguro che questo evento mostri l'infondatezza di tale opinione. Spero in particolare che la celebrazione dell'anno internazionale dell'astronomia e la memoria della vita, delle opere e dell'ingegno di Galileo, favoriscano una ripresa e una riproposizione creativa del fondamentale dialogo tra ragione e fede, nella prospettiva di una permanente e costruttiva collaborazione tra la Chiesa e le istituzioni di ricerca scientifica, di sviluppo economico e di promozione sociale. La fede non cresce con il rifiuto della razionalità, ma si inserisce su un orizzonte di ragionevolezza più ampio.

La stessa ragione, senza la fede, rischia di ridursi a calcolo e a esclusiva valutazione di conflitti di interessi, spesso ignara o cieca di fronte a vitali interrogativi, a fondamentali valori e a drammatiche situazioni umane.

Per questo il dialogo tra ragione e fede deve continuare. La natura estremamente complessa e, a volte, inedita delle problematiche etiche, sociali e politiche sollevate dai rapidi sviluppi delle ricerche scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche contemporanee, nell'ambito di un processo di crescente globalizzazione e interdipendenza economica, esigono infatti libertà interiore e buona volontà da parte di tutti, credenti e non credenti.

In questa prospettiva, l'inaugurazione del convegno internazionale nella solenne maestosità della basilica di Santa Croce, dove risiede la tomba di Galileo, alla presenza del presidente della Repubblica, dei rappresentanti delle istituzioni aderenti e di numerose autorità culturali, politiche e religiose, assume non solo un'alta valenza culturale e simbolica, ma indica che sussistono le condizioni per una costruttiva condivisione di responsabilità, nella consapevolezza dei rispettivi ruoli e compiti.




(©L'Osservatore Romano - 25-26 maggio 2009)
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00mercoledì 27 maggio 2009 08:10
Il dibattito ottocentesco sull'astronomo pisano

Galileo, Tommaso e i gesuiti


È in corso a Firenze, a Palazzo dei Congressi, il convegno internazionale "Galileo 2009". Anticipiamo un estratto di una delle relazioni.




di Luciano Malusa
Università di Genova


Nel corso del XIX secolo il movimento neotomista in Europa sviluppò una pressione sul papato e sulle scuole cattoliche perché la filosofia cristiana ritornasse allo studio delle opere di san Tommaso, nella misura in cui diversi scritti dell'Angelico Dottore avevano rappresentato il coagularsi di una dottrina razionale in grado di fondare la fede. Occorreva, secondo i seguaci di questo movimento, che una solida filosofia fosse posta a fondamento sia dell'etica pubblica che dell'esercizio della religione cristiana. Il momento di affermazione del neotomismo fu rappresentato da una consacrazione ufficiale da parte del papato, quanto addirittura un'enciclica, l'Aeterni Patris, di Leone XIII, prescrisse nel 1879 per seminari e scuole cattoliche l'adozione della dottrina tomista nell'avviamento e nel consolidamento della filosofia.

Nello sviluppo di questo movimento notiamo l'elaborazione di una dottrina circa la natura che si contrappose alle tendenze del materialismo. Tale filosofia della natura pose dei problemi. Nell'utilizzare le dottrine di Tommaso i pensatori che ritenevano fondamentale il suo pensiero per una genuina fondazione di filosofia cristiana si impegnarono a restaurare la teoria della materia e della forma. Uno dei punti fondamentali del pensiero tommasiano relativamente ai corpi non poteva che essere la visione qualitativa, collegata con la necessità di cogliere le essenze dei fenomeni naturali per comprendere l'insieme delle leggi che regolano il cosmo. 

Ogni sostanza per san Tommaso è sinolo di materia e forma, e la forma in un certo senso particolarizza entro l'esistenza, grazie alla materia disponibile ad essere formata, un'essenza universale che la scienza deve cogliere attraverso un complesso procedimento, logico e sperimentale insieme.
In questo contesto, il ricorso al pensiero di Galileo Galilei fu, nei neotomisti, problematico. La visione della materia e della forma confliggeva certamente con la visione del movimento dei corpi e della causalità riscontrabile attraverso gli influssi atomici. Il cosiddetto meccanicismo, che era stato introdotto dalla cinematica nella versione galileiana, non poteva essere fatto coesistere facilmente con i principi della fisica tomistica, i quali asserivano essere i corpi composti di materia prima e forma sostanziale, e secondo i quali a determinare e spiegare i movimenti della corporeità era la forma.

Tuttavia i pensatori neotomisti, quando si trattò di confrontare la scienza sorta in età moderna, e ormai patrimonio dell'umanità, imprescindibile elemento del sapere nel secolo XIX, con i principi dell'aristotelismo modificati e adattati da san Tommaso, non ritennero imbarazzante parlare di Galilei e delle sue metodologie.

La relazione che farò nel corso della terza giornata del Congresso si occupa delle posizioni di neotomisti appartenenti alla Compagnia di Gesù, come Giovanni Maria Cornoldi e Matteo Liberatore, ed anche, per contrapposizione dialettica, delle posizioni di scienziati e pensatori egualmente gesuiti, che non condivisero l'impostazione neotomista (Angelo Secchi e Francesco Salis-Seewis).

Cornoldi e Liberatore non intendevano rinfocolare le polemiche del Seicento, e far rivivere il dramma della condanna dello scienziato toscano davanti al Santo Uffizio. Soprattutto non valutavano la condanna di Galilei in funzione del contrasto della sua posizione atomistica. La tesi di Pietro Redondi (Galileo eretico, Torino 2007), che le motivazioni reali della condanna di Galilei risiedono nelle preoccupazioni dogmatiche di "fermare" la diffusione della dottrina galileiana degli atomi, ha un suo fondamento, ma non è spendibile per capire la situazione ottocentesca. Ai gesuiti premeva dare a Galilei una patente di ortodossia, sorvolando sul modo di professare la fisica corpuscolare accanto ad una fisica del movimento. Addirittura essi, non potendo negare l'atomismo chimico-fisico cercavano di sovrapporgli un'interpretazione basata sulla forma quae "secondo livello" nella comprensione della sostanzialità dei corpi.

Queste difficoltà furono fatte rilevare ai neotomisti dallo scienziato gesuita Angelo Secchi, docente di Astronomia al Collegio Romano (l'università dei gesuiti di allora). Per Secchi, il quale era stato allievo di Giambattista Pianciani, uno dei fondatori de "La Civiltà Cattolica", il movimento di ritorno al pensiero di san Tommaso era incompatibile con i principi dell'atomismo fisico-chimico che stavano alla base dello sviluppo della ricerca scientifica. Questo esponente di una scuola di pensiero che riteneva fondamentale il meccanicismo sotto il profilo fisico anche in funzione di un'apologetica cattolica si era convinto che ai fini proprio della presenza della fede cristiana nel mondo degli scienziati era deleterio il tipo di filosofia presentato dai seguaci di san Tommaso.

Nonostante questa accettazione della sintesi galileiana nel quadro della sua posizione dell'unità delle forze fisiche, Secchi pensava, riguardo alla condanna del 1633, che Galilei si fosse prestato con il suo comportamento ad equivoci. In un testo piuttosto esplicito così si esprime:  "Mettendoci nelle condizioni de' tempi (...) la condotta del Papa e del tribunale non poteva esser diversa, la questione scientifica spariva quasi in faccia alla inqualificabile condotta di Galileo, che ad onta di un processo avuto si occupava ex professo di un tema vietato perché pericoloso allora, non ben dimostrato e che era rigettato dai protestanti stessi di molto grido, e che non si appoggiava con pompa che di argomenti insussistenti (flusso e riflusso) mentre forse i più concludenti erano lasciati nell'ombra" (lettera inviata a Sante Pieralisi, comparsa poi nello scritto di questi:  Sopra una nuova edizione del processo originale di Galileo Galilei fatta da Domenico Berti, Roma 1879, pp. 3-4.).

Una posizione più equilibrata sul ruolo complessivo di Galilei viene espressa da uno scrittore de "La Civiltà Cattolica" che si trovò in controtendenza rispetto a Cornoldi e Liberatore. Nella recensione del 1875 allo scritto del positivista Francesco Saverio de Dominicis, intitolato Galilei e Kant, Salis-Seewis asserisce che l'assimilazione della filosofia di Galilei al pensiero di Kant non è fondata.

Galilei non ha inaugurato il divorzio della filosofia dal dogma religioso, ma, al contrario, ha cercato di trovare una strada per l'esercizio corretto della ragione nel rapporto con l'esperienza e per rispettare la verità della rivelazione cristiana. Galilei ha cercato di difendere le sue conclusioni scientifiche circa il movimento della Terra sostenendo che la Scrittura insegnava quello che lui indicava, e cercando anche un'interpretazione non letterale dei testi sacri.

Nel primo atteggiamento, secondo Salis-Seewis, ha sbagliato; nel secondo caso ha fatto quanto molti esegeti e filosofi hanno fatto, seguendo i canoni dell'interpretazione dei testi sacri indicati nell'esegesi biblica cristiana fin da sant'Agostino.
Pur senza polemizzare con la visione ilemorfica circa i corpi, Salis-Seewis afferma che la filosofia cristiana può mantenere una posizione creazionistica anche affermando l'esistenza di quelle forze fisiche riconosciute dall'esperienza scientifica degli ultimi due secoli, prescindendo dalla materia e dalla forma. L'istanza intellettuale e quella sperimentale erano state coniugate da Aristotele in età antica; nel prosieguo del medioevo gli ingegni della Scolastica avevano preferito "starsene per fatti della testimonianza del loro maestro, e curar meno le ulteriori esperienze".

Galilei non si allineò a questo metodo riduttivo, ed accentuò il metodo aristotelico di unire l'uso della ragione all'osservazione ed all'esperienza. Le difficoltà non gli mancarono, in quanto gli aristotelici del suo tempo non lo compresero. Di qui in fondo nacquero i guai per lui. Tuttavia il padre Salis-Seewis valuta positivamente il ruolo del pensatore toscano. "Dopo qualche inevitabile contraddizione, fu ascoltato, e le scienze naturali nella Chiesa e dai credenti furono coltivate con nuovo ardore. La filosofia cristiana, nel suo più ampio significato, ricevette allora il suo compimento. Tale è la posizione, tali i meriti di Galileo". Questa frase compendia la posizione assunta dai gesuiti nella seconda metà dell'Ottocento:  i neotomisti ebbero qualche incertezza nella rigida adesione all'ilemorfismo; e seguaci di Secchi si mossero invece con maggiore scioltezza e conseguirono per la prima volta nella storia del pensiero cattolico una posizione equilibrata circa il valore e l'eredità del pensatore toscano.




(©L'Osservatore Romano - 27 maggio 2009)
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00giovedì 28 maggio 2009 19:35
Una nuova edizione dei documenti vaticani del procedimento contro l'astronomo pisano

Riga per riga tutto il processo a Galileo


A colloquio con il curatore, il vescovo Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto

di Raffaele Alessandrini



Come e perché fu processato e condannato Galileo?

Da oltre centotrent'anni gli studiosi si sono dedicati a rispondere a questa domanda. Sopraggiunge oggi un contributo decisivo con la nuova edizione accresciuta, rivista e annotata dal prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, il vescovo Sergio Pagano, del volume I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2009, pagine 550, 16 tavole fuori testo, "Collectanea Archivi Vaticani", 69). Ne parliamo con il curatore che ci ricorda come fin dal 1877 si ebbe la prima edizione parigina del cosiddetto "codice vaticano" del processo a Galileo a opera di Henri de L'Épinois, uno studioso laico che ebbe il permesso sotto il pontificato di Pio ix - era Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa il cardinale Jean-Baptiste Pitra - di visionare le carte del processo.

L'opera - osserva monsignor Pagano - per vari motivi fu parziale e lacunosa. Seguirono edizioni analoghe curate nello stesso anno a Stoccarda da Karl von Gebler e un anno dopo da Domenico Berti.
Solo nel 1909 Antonio Favaro, nel xix volume dell'edizione nazionale delle Opere di Galileo (1888-1909), compiva un deciso passo avanti. Si deve poi effettuare un ben più ampio balzo temporale fino al 1984, quando lo stesso Sergio Pagano, per volere di Giovanni Paolo ii pubblica una nuova edizione dei documenti del processo allo scienziato pisano.

"La brevità dei tempi allora - ricorda monsignor Pagano - mi costrinse a giornate di lavoro molto intenso e il risultato mi soddisfece solo in parte. Per questo come ho potuto, mi sono dedicato alla presente nuova edizione di 550 pagine e 1300 note. E ho piacere che il volume - che uscirà per la fine di giugno - veda la luce proprio ora:  è il contributo umile e silenzioso dell'Archivio Segreto alla celebrazione dell'Anno Internazionale dell'Astronomia". Dal 1984 a oggi - osserva monsignor Pagano - molti studi relativi a questa celebre vicenda sono apparsi in veste di monografie e di saggi su riviste storiche; ma soprattutto dal 22 gennaio 1998:  quando sono stati ufficialmente aperti agli studiosi gli archivi del Sant'Officio e quello della Congregazione dell'Indice, entrambi conservati nell'Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede. Quest'ultimo evento ha avuto una rilevanza notevole e ha stimolato nuove indagini e approfondimenti non solo sugli atti superstiti della vicenda giudiziaria in questione, ma anche sul funzionamento della stessa Inquisizione Romana e sui personaggi che ne furono guida o membri lungo i secoli.

Rispetto alle edizioni precedenti degli atti processuali galileiani le novità più rilevanti odierne sono determinate dalla maggiore conoscenza dei personaggi implicati nel procedimento, tutti precisati nelle note, compresi moltissimi inquisitori; dai documenti presentati nella loro genuinità - originali, copie, sunti, note d'ufficio - con rigorose note archivistiche; dal panorama, come si è detto, delle fonti "vaticane" riguardanti il processo allo scienziato pisano e cioè l'Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'Archivio Segreto Vaticano, la Biblioteca Apostolica Vaticana.

La nuova edizione comprende naturalmente tutte le carte già note e almeno una ventina di nuovi documenti reperiti nell'Archivio del Santo Officio dopo il 1991 da alcuni ricercatori:  in particolare Ugo Baldini e Leen Spruit. La nuova edizione annota criticamente i vari documenti dei quali propone una edizione fedele agli originali che - come sottolinea monsignor Pagano - sono stati letti di nuovo, riga per riga. L'edizione dei documenti è preceduta da una ampia introduzione storica alle vicende che gradualmente portarono all'istruzione e allo svolgimento del processo, a partire dalle denunce del domenicano Tommaso Caccini, dal 1616  al  1633  e  fino  al  1741, quando, sotto il pontificato di Papa Benedetto xiv, fu permessa la costruzione del mausoleo nella basilica di Santa Croce di Firenze (di fronte alla tomba di Michelangelo) e fu consentita la pubblicazione a Padova dell'opera galileiana ferme restando le censure del Sant'Uffizio.



Il 31 ottobre 1992, nel rivolgersi ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze Giovanni Paolo ii diceva a proposito del processo:  "Come la maggior parte dei suoi avversari Galileo non fa distinzione tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È per questo che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore (...) Il problema che si posero dunque i teologi dell'epoca era quello della compatibilità dell'eliocentrismo e della Scrittura. Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, costringeva i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo. Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi".

Anche a giudizio di monsignor Pagano l'atteggiamento dei teologi avrebbe potuto essere più comprensivo ed elastico. Fermo restando che i tempi storici non erano maturi per recepire gli studi scientifici del grande studioso pisano è innegabile che in questa vicenda siano stati commessi diversi errori; anche da parte dello stesso Galileo, dice il prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano. In una cultura dominata dalla visione tolemaica l'irruzione del sistema copernicano che veniva a contraddire sistematicamente la Scrittura - allora letta senza interpretazioni - richiedeva da parte dello studioso un atteggiamento meno apodittico quale traspariva da il Dialogo sopra i massimi sistemi. Al tempo stesso non si può negare la ferma e risoluta decisione di Urbano viii a volere il processo e la condanna affidando le carte e gli studi di Galileo al vaglio di studiosi prevenuti e non sempre all'altezza. Tra i gesuiti - che rimasero fuori dal procedimento - infatti non sarebbero mancati atteggiamenti disposti a essere più indulgenti con gli studi del pisano che invece, come recitava la sentenza:  essendosi egli reso "veementemente sospetto d'eresia" era incorso nelle censure e nelle pene previste. Queste consistettero, com'è noto, nel domicilio coatto e in una vita di preghiere e penitenze. Prima per pochi giorni a Villa Medici a Roma, poi a Siena e infine ad Arcetri, dove Galileo sarebbe morto nel 1642.



(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2009)
Cattolico_Romano
00mercoledì 3 giugno 2009 16:05
Il 15 Marzo 1990 il cardinale Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, affermò in un discorso nella città di Parma:

"All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto..."

(citazione di P. Feyerabend, tratta da Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Paoline, Roma 1992, p. 76-79)

Sempre Ratzinger ebbe a riconoscere che questo caso, comunque sia, non fu mai oggetto di condanna da parte della Chiesa quanto piuttosto fu preso invece assai in considerazione con molta serietà dalla Chiesa e che i fatti andrebbero riletti rispettando la situazione culturale dell'epoca....da non dimenticare che Galileo non fu condannato lui in quanto scienziato, ma venne accantonata piuttosto la sua teoria perchè non aveva prove...


INTERVISTA
Dai casi G.Bruno e Darwin a oggi: parla William Shea, che siede sulla cattedra che fu di Galileo


da
www.avvenire.it dicembre 2004

Dio e scienza oltre il conflitto

«Interrogarsi sulla natura equivale a "immaginare la mente di Dio".E qui entra in campo anche la fede»


Di Luigi Dell'Aglio

Religione e scienza sono i due argomenti la cui capacità di richiamo, anche culturale, sul pubblico cresce incessantemente. Ad attirare l'interesse è anche il confronto spassionato che si è aperto tra queste due visioni della realtà, complementari fra loro e ricche di significati. Scienza e fede sono percepite come soggetti di un dialogo in continuo sviluppo, e anzi come materia per un approccio interdisciplinare sempre più stretto. Il conflitto che in passato le ha contrapposte appare sfumato.

In un contesto nuovo s'inquadra lo stesso caso Galilei, che rappresenta il momento di più acuta tensione tra scienza e fede. Oggi appare come una vicenda per molti aspetti incomprensibile, sulla quale si è a lungo speculato e che va giudicata con maggiore obiettività.

Anno 1633.
Scena: il Sant'Uffizio.
Protagonista: il padre della scienza moderna.
Azione: il processo.
Ma, da quando sono pienamente accessibili i documenti degli Archivi Vaticani, mostra molte crepe la vulgata ottocentesca, e anticlericale, di questo drammatico episodio. Ad affermarlo è uno studioso di indiscussa autorità, il professor William Shea, chiamato alla cattedra galileiana di Storia della Scienza a Padova, dopo aver insegnato a Cambridge e Harvard. Shea ha studiato quei documenti.

E ha scritto un libro, per la Oxford University Press, Galileo a Roma: ascesa e caduta di un genio scomodo. Del caso Galileo e della crescente sintonia tra scienza e fede, ha parlato ad Ancona, nel corso del convegno dal titolo «Credere in Dio sulle vie della scienza».

Ecco l'intervista:


Professor Shea, teologi e scienziati sentono un gran bisogno di parlarsi...

«In tutti i Paesi. In Usa, il mese scorso, ho tenuto tre conferenze su questo tema. Un mega-convegno è in programma, sempre in Usa, pe r il 2005. La scienza può dare una mano alla teologia, facendo conoscere il mondo come è stato realmente creato da Dio (e interrogarsi sulla natura equivale a "ricercare la mente di Dio"). Dal canto suo, la teologia offre allo scienziato elementi di riflessione sul significato della ricerca. Ci si può ritrovare sul terreno di una ricerca scientifica legata a una visione etica del mondo».


La tensione e i malintesi del passato sono dimenticati?

«I nodi storici? Su Charles Darwin non ci fu un vero scontro. La tragica storia di Giordano Bruno non entra nel conflitto scienza-fede: riguardava temi teologici. E allora l'unico caso di conflitto scienza-fede è quello sull'eliocentrismo e su Galileo».


Quali novità emergono dai documenti storici ora consultabili?

«Il motivo per il quale quella vicenda finì come è finita resta un enigma. Galileo Galilei era molto stimato da Paolo V e da Urbano VIII. I gesuiti lo tenevano in grandissima considerazione. Grazie al gesuita e matematico Cristoforo Clavio aveva ottenuto la cattedra a Pisa e quella, ancora più prestigiosa, qui a Padova. Quando mostrò lo strumento che aveva inventato - l' "occhiale", cioè il telescopio - l'Accademia dei Lincei andò in visibilio: secondo il cardinale Francesco Maria del Monte, Galileo meritava addirittura una statua equestre in Campidoglio. Nel 1624, in sette settimane trascorse a Roma, ebbe sei colloqui con Urbano VIII. E anche dopo la condanna al riscontro di cui egli non aveva le prove, non solo non patì il carcere ma fu trattato con un rispetto e un'indulgenza inconcepibili in un secolo come quello».


Quando si profila l'inizio del dramma?

«Quando - molto educatamente, bisogna dirlo - Galileo viene invitato a fornire le prove dell'eliocentrismo. Il papa gli chiede di dimostrare che la Terra realmente si muove; solo così, gli dice, la Chiesa potrà formulare una nuova interpretazione delle Scritture (nell'Ecclesiaste, Giosuè "arresta il cammino del Sole"). Ma Galileo non ha quelle prove».


Non le aveva nessuno. Ma allora l'eliocentrismo di Copernico e Galileo poteva apparire come una teoria e basta?

«Le prove dell'eliocentrismo sono venute soltanto con la legge della gravitazione universale di Newton. E quando sono arrivate, la Chiesa le ha accettate. Comunque, all'epoca di Galileo, la teoria copernicana circolava e non veniva affatto combattuta: era considerata un'ipotesi o "suppositione" astronomica, non una verità assoluta. Ma Galileo volle giocare il tutto per tutto, a differenza di Copernico lui provocò le situazioni che si vennero a creare, forse approfittando anche della sicurezza che avvertiva per le forti conoscenza di cui godeva la stima e la fiducia . E nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo arrivò addirittura a introdurre un personaggio ridicolo, Simplicio, che rappresentava chiaramente papa Urbano VIII. Galileo era un fiorentino verace nel carattere. Ma Urbano VIII era della stessa città, e della stessa pasta. Come potè un uomo intelligente come Galileo commettere un errore del genere?».


E' per questo che precipitano gli eventi?

«Le ragioni sono tante. La Guerra dei Trent'Anni, la Spagna che accusa Roma di avvicinarsi ai protestanti per arginare il dominio spagnolo. E poi proprio allora si scopre che il principale protettore di Galileo, Giovanni Ciampoli, segretario del papa, per il quale scriveva le lettere ufficiali, per ambizione frustrata complotta con gli spagnoli. Si chiudono tutte le vie di compromesso. Urbano VIII, quando deve spiegare la rottura definitiva con Galileo, collega l'offesa del Dialogo con la congiura di Ciampoli, spiegando all'ambasciatore fiorentino: "E' stata una vera ciampolata!"».


Galileo muore nel 1642; e solo un secolo dopo viene sepolto in Santa Croce.

«La storia non può essere riscritta, ma su molto si può fare ancora luce. Possiamo solo tentare di farne tesoro e riconoscere serenamente che anche Galileo si meritò un certo trattamento, la Chiesa in fondo non fece altro che il suo dovere e con Galileo dimostrò veramente molta ragionevolezza».
Cattolico_Romano
00mercoledì 3 giugno 2009 16:06
Oltretevere si riapre il dibattito su Galileo: “Ripubblicheremo gli atti, non lo abbiamo mai condannato”

CITTA’ DEL VATICANO - Galileo Galilei (1564-1642) non fu mai condannato dal tribunale ecclesiastico che lo indagò per le sue affermazioni scientifiche. Un dato storico poco conosciuto, nonostante Papa Giovanni Paolo II abbia pronunciato un 'mea culpa' considerato da molti osservatori la parola definitiva sulla secolare questione. Tanto che, per fare ulteriore chiarezza, in Vaticano si pensa ad una nuova edizione degli atti processuali che riproponga e aggiorni quelli di trent'anni fa.

"Il Papa non firmò la condanna e i Cardinali non raggiunsero l'accordo per la condanna", ricorda oggi Monsignor Gianfranco Ravasi. "Io ho proposto, ed è probabile che lo si faccia, di ripubblicare gli atti nella loro totalità, in modo da averli ancora a disposizione in una edizione la più possibile accurata e rigorosa dal punto di vista critico".

Elementi storici che, secondo il presidente del Pontificio consiglio della cultura, "è necessario mettere a disposizione, magari anche con una accurata analisi contestuale". Però, precisa l'Arcivescovo, "ritornare sempre a usare la storia come un tribunale alla fine non fa progredire la scienza. Permette, sì, di purificare il passato, però adesso guardare verso il futuro".

In vista dell'anno 'galileiano' (2009), il Vaticano sarà coinvolto in varie iniziative. A partire da una tavola rotonda che avrà luogo domani, sponsorizzata dallo stesso dicastero vaticano guidato da Ravasi e da Finmeccanica, con la partecipazione del Cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano. "Penso che possano essere quattro le strade che possiamo imboccare durante quest'anno", spiega Ravasi a margine di un convegno delle Pontificie accademie.

"Il coinvolgimento della Chiesa e della riflessione teologica riguarderà soprattutto il tema dell'evoluzione biologica, grande tema che tornerà sul tappeto per il secondo centenario della nascita di Darwin e i 150 anni dell''Origine delle specie'. Seconda pista, il quattrocentenario delle rilevazioni di Galileo col cannocchiale. E' necessario, dunque, ritornare alla grande riflessione astronomica, anche perché il 2009 l'anno dell'astronomia indetto dall'Onu.

A questo proposito il Pontificio consiglio della cultura parteciperà anche da un grande convegno a Firenze su Galileo. Terzo percorso è quello del linguaggio: tante volte ogni disciplina ha il suo linguaggio che bisogna conoscere: la scienza, la teologia, la filosofia. Ecco perché patrocineremo un grande convegno, a marzo, in cui ci sarà la voce della scienza accanto alla voce della filosofia accanto alla teologia, ognuno con sua dignità e linguaggio. Da ultimo direi che è importante riconoscere che un tema che Papa Benedetto XVI spesso ripropone: quello della ragione e della fede e della verità. All'interno di una concezione che si sta sempre più diffondendo, la verità viene considerata un ostacolo. La verità, invece, ci precede e ci eccede".


www.papanews.it/news.asp?IdNews=10548
Cattolico_Romano
00mercoledì 10 giugno 2009 15:15
Galileo non è stato in carcere, né è morto sul rogo

Intervista al sottosegretario del Pontificio Consiglio per la cultura



di Carmen Elena Villa

ROMA, martedì, 9 giugno 2009 (ZENIT.org).- L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato l’anno 2009 come Anno dell’astronomia, in occasione della commemorazione del quarto centenario della nascita del telescopio.


Perché alcuni dicasteri della Chiesa e alcune istituzioni religiose si uniscono alle celebrazioni dell’Anno dell’astronomia proposto dalle Nazioni Unite?


La pubblica opinione in generale manifesta una sorta di “allergia istintiva” ogni volta che si parla del caso della condanna della Chiesa a Galileo Galilei. Viene visto come un “santo laico”, come un “martire della scienza” e la Chiesa come la “grande inquisitrice” di questo genio dell’astronomia.


Il caso di Galileo è citato anche nel libro “Angeli e Demoni” di Dan Brown, il cui film è stato lanciato in tutto il mondo lo scorso 13 maggio.


ZENIT ha parlato con monsignor Melchor Sánchez de Toca, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura e coautore del libro “Galileo e il Vaticano”, su quei miti storici e sulle verità storiche del processo che la Chiesa ha svolto su questo controverso personaggio.


Parliamo un po’ delle leggende nere di Galileo...


Monsignor Sánchez de Toca: Lo scorso 9 maggio stavo dando una conferenza su Galileo a Toledo, in Spagna, ad un pubblico formato principalmente da seminaristi e ricercatori cattolici, ed ho esordito dicendo che molti si sorprendono di scoprire che Galileo non è stato bruciato sul rogo né è stato torturato o messo in prigione. Alla fine della conferenza uno dei partecipanti mi ha detto: “io sono uno di loro, io ho sempre pensato che Galileo fosse morto sul rogo”.


La cosa curiosa è che in realtà nessuno gliel’ha detto, né probabilmente l’ha letto da qualche parte. Semplicemente se lo immaginava. Questo dimostra la grande forza di questo mito che è stato costruito intorno a Galileo. Un mito in cui, diceva Giovanni Paolo II, la verità storica è molto lontana dall’immagine che è stata creata successivamente su Galileo. Tutti sono convinti che Galileo è stato maltrattato, condannato, torturato, dichiarato eretico, ma non è così.


Per fare un esempio molto recente, il libro di Dan Brown “Angeli e Demoni” contiene un breve dialogo in cui presenta Galileo come membro della setta degli Illuminati, con una serie di errori storici grossolani accanto ad altre cose che sono corrette.


Possiamo parlare di questi errori storici di “Angeli e Demoni” sul tema di Galileo?


Monsignor Sánchez de Toca: In realtà il libro riflette stereotipi molto diffusi. Il problema di fondo di questo libro è che mescola idee filosofiche ed elementi scientifici. La trama presenta il professore e sacerdote Leonardo Vetra che viene assassinato da una setta poiché ha scoperto il modo per rendere compatibili la fede e la religione. Inoltre, si afferma che la fisica è il vero cammino verso Dio. Il professore sarebbe infatti riuscito, in laboratorio, a creare la materia dal nulla. Questo è concettualmente un assurdo perché fisicamente dal nulla non esce fuori nulla. Si può creare la materia partendo dal vuoto, ma il vuoto non è il nulla. Il vuoto “è”, mentre il nulla “non è”. È un principio filosofico elementare.


Secondo questa tesi, la fisica rappresenta un cammino migliore e più sicuro per arrivare a Dio. Poi, riguardo in particolare Galileo, si ripropone lo stereotipo secondo cui Galileo fu condannato per aver dimostrato il movimento della terra. Non è così. Galileo non ha dimostrato questo. Anzi è proprio questo l’elemento che gli mancava nella sua argomentazione.


Galileo diceva, e in questo erano d’accordo anche i suoi accusatori, che non può esserci contraddizione tra il libro della Bibbia e il libro della natura, perché l’uno e l’altro procedono dallo stesso autore. La Bibbia, ispirata da Dio, e la natura ossequiosissima esecutrice dei suoi ordini. Se entrambi hanno lo stesso autore, non può esserci contraddizione. Quando sorge un’apparente contraddizione significa che stiamo leggendo male uno dei due libri. Al riguardo Galileo afferma: “È più facile che siamo noi ad equivocarci nel leggere il libro della Bibbia perché il senso delle parole della Bibbia a volte è recondito e occorre lavorare per tirarlo fuori, che sbagliare a leggere il libro della natura perché la natura non si sbaglia”.


Una verità naturale, scientificamente dimostrata, ha una forza maggiore dell’interpretazione che io do del libro della Bibbia. Per questo, dice lui, in presenza di una verità scientifica dimostrata, dovrò correggere il modo di interpretare la Bibbia. La Bibbia non si sbaglia, sono quelli che la interpretano che si sbagliano. Un criterio chiarissimo, condiviso dai suoi giudici e dal mondo intero.


D’altra parte, ciò che diceva il Concilio di Trento è che nella lettura della Bibbia bisognava seguire l’interpretazione letterale e il consenso unanime dei suoi padri, a meno che ci fosse una verità dimostrata che ci permettesse di dare una lettura spirituale o allegorica. Il criterio era molto chiaro: ciò che è avvenuto è che Galileo pensò di essere lì lì per dimostrare il movimento della Terra. Ma una cosa è esserne convinto, un’altra è dimostrare che la Terra si muove. E Galileo non ha mai dimostrato che la Terra si muovesse. Era convinto di questo, e oggi sappiamo che aveva ragione, ma i suoi giudici gli dicevano di non capire perché dovessero cambiare il modo di interpretare la Bibbia, senza una prova definitiva e quando il sentire comune affermava il contrario. I giudici adottarono una posizione prudente. Ma Galileo andò oltre. Quale fu l’errore dei giudici di Galileo? Si sarebbero dovuti astenere dalla condanna.


Come si svolse in realtà il processo a Galileo?


Monsignor Sanchez de Toca: In sostanza Galileo fu processato nel 1633 per aver violato una disposizione del 1616. Tale disposizione, a cui Galileo non si attenne, gli vietava di insegnare la teoria copernicana, ovvero la dottrina secondo cui il Sole si trova al centro e la Terra gli ruota attorno.


Galileo pensò che il divieto non fosse così rigido, soprattutto dopo l’elezione di Papa Urbano VIII, e pubblicò un libro nel quale, sotto l’apparenza di un dialogo in cui vengono esposte le argomentazioni a favore e contro sia del sistema tolemaico che di quello copernicano, in realtà si celava un’apologia mascherata del sistema copernicano. Ma non fu solo questo, che già era una violazione del divieto che gli era stato imposto. Egli inoltre ottenne in modo fraudolento l’imprimatur, ingannando chi glielo concesse dicendo che era un’esposizione imparziale, mentre non lo era affatto. Per questo motivo fu accusato e quindi sottoposto ad un processo disciplinare.


Galileo non fu mai condannato per eresia, né la teoria copernicana fu dichiarata eretica. Semplicemente fu dichiarata contraria alle Scritture, perché sulla base delle prove allora esistenti non era possibile dimostrare il movimento della Terra. Per questo, dire che la Terra si muoveva sembrava andare contro le Scritture. Molto significativo fu che nel 1616 un gruppo di esperti dichiarò che la dottrina secondo cui la Terra si muoveva attorno al Sole era assurda e questo si comprende perfettamente nel contesto dell’epoca, perché era un assunto che non si poteva dimostrare e, in più, il sentire comune diceva che era il Sole che sorgeva e che tramontava.


Senza una fisica come quella di Newton, senza una prova ottica del movimento della Terra, la cosa sembrava assurda.


Noi siamo cresciuti sin da piccoli vedendo modelli e immagini del sistema solare, ma è un fatto che nessuno ha visto la Terra muoversi attorno al Sole, neanche un astronauta. Abbiamo prove ottiche del movimento della Terra, ma nessuno ha visto la Terra muoversi. Per questo la condanna di Galileo, pur rimanendo esagerata, risponde in realtà ad una logica.


E risponde non soltanto a ciò che pensava la Chiesa ma a ciò che pensava la società in generale...


Monsignor Sánchez de Toca: Naturalmente. La teoria copernicana ha trovato una grane opposizione principalmente nelle università. È stata accettata solo in modo molto graduale e l’opposizione non proveniva solo dalla Chiesa cattolica. Anche le Chiese protestanti si opponevano a Copernico. Ancora nel 1670 l’Università di Upsala, in Svezia, ha condannato uno studente perché aveva difeso le tesi copernicane.


Quali furono gli errori commessi dalla Chiesa nel processo a Galileo e quali furono le conclusioni del lavoro svolto dalla Commissione creata da Giovanni Paolo II nel 1981 per studiare il caso Galileo?


Monsignor Sánchez de Toca: Questo lo ha espresso molto bene il cardinal Poupard nel discorso conclusivo del lavoro di questa Commissione, in cui le sue parole appaiono sottolineate per evidenziare che si tratta della valutazione del cardinale su ciò che avvenne nel passato: “In quella congiuntura storico-culturale – quella di Galileo – molto lontana dalla nostra, i giudici di Galileo, incapaci di distinguere il dato di fede da una cosmologia millenaria, credettero che l’accoglimento della rivoluzione copernicana, che peraltro non era ancora approvata definitivamente, avrebbe potuto rompere la tradizione cattolica e che fosse loro dovere vietarne l’insegnamento. Questo errore soggettivo di giudizio, così chiaro per noi oggi, li ha condotti ad adottare una misura disciplinare a causa della quale Galileo deve aver molto sofferto. È giusto riconoscere questi errori, così come il Santo Padre ha chiesto”.


I giudici di Galileo hanno sbagliato dunque non solo perché oggi noi sappiamo che la Terra si muove. Cosa che a quel tempo non era possibile saperlo. Ma d’altra parte la storia dell’umanità è piena di matti che hanno affermato cose sorprendenti, poi rivelatesi false, e di cui oggi nessuno ricorda il nome. Se Galileo avesse proposto una teoria diversa, oggi nessuno si ricorderebbe di lui. Questo fu il primo errore oggettivo.


Il cardinal Poupard parla anche di un errore soggettivo. Quale fu questo errore? Di credere di dover vietare un insegnamento scientifico per timore delle conseguenze. Pensarono che permettere l’insegnamento di una dottrina scientifica che non era approvata poteva mettere in pericolo l’edificio della fede cattolica e soprattutto della gente più semplice. E credettero che fosse loro dovere vietare questo insegnamento.


Oggi sappiamo che vietare l’insegnamento di una dottrina scientifica è un errore. Non è compito della Chiesa dire se è stata dimostrata scientificamente o meno. Tocca alla scienza. Galileo chiedeva che la Chiesa non condannasse la teoria copernicana, non tanto per timore della propria carriera professionale, quanto perché se si fosse dimostrato in seguito che la Terra ruota intorno al Sole, la Chiesa si sarebbe trovata in una situazione molto difficile e si sarebbe ridicolizzata di fronte ai protestanti e Galileo voleva evitare questo perché era un uomo cattolico sincero. Egli diceva: “Se oggi si condanna come eretica una dottrina scientifica, come è quella secondo cui la Terra si muove attorno al Sole, cosa succederà il giorno in cui la Terra dimostri di muoversi intorno al Sole? Bisognerà dichiarare eretici quindi coloro che sostengono che la Terra sia al centro?”. Questo è ciò che era in gioco, ed è molto più complesso di ciò che solitamente si sente dire.


In cosa consistette il castigo inflitto a Galileo?


Monsignor Sánchez de Toca: Si disse che Galileo si era reso veementemente sospetto di eresia, ma non fu mai dichiarato eretico. Gli fu chiesto di abiurare per dissipare ogni dubbio. Galileo abiurò. Disse che non aveva difeso le teorie copernicane. Venne messo all’indice il suo libro “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” e gli venne imposta una “pena salutare” che consisteva nel recitare una volta a settimana i sette salmi penitenziari, che la figlia si offrì di fare in sua vece, e – questo fu la cosa più umiliante – l’obbligo di inviare una copia della sentenza e dell’abiura a tutte le nunziature d’Europa. Fu condannato agli arresti domiciliari. In sostanza la condanna oggettivamente non fu pesante. Non stette in carcere neanche un momento. Per riguardo alla sua fama, alla sua età e alla considerazione che si aveva di lui, fu sempre trattato con grande venerazione.


Chi ha iniziato a diffondere la leggenda nera secondo cui Galileo fu bruciato sul rogo?


Monsignor Sánchez de Toca: Questa è la cosa strana: nessuno l’ha detto ma tutti ne sono convinti. Probabilmente perché si sovrappongono le immagini di Galileo e di Giordano Bruno. In ogni caso, il mito di Galileo nasce con l’Illuminismo, che fa diventare Galileo una sorta di portabandiera del libero pensiero contro l’oscurantismo della Chiesa, un martire della scienza e del progresso.


Galileo, e questo è ciò che sorprende molti, non solo non è mai stato né bruciato né torturato, ma è stato in realtà un cattolico e un credente per tutta la vita. Non ha il minimo segno di un libero pensatore. Non è stato un cattolico modello, è vero, e vi sono momenti della sua vita poco edificanti, ma in nessun momento egli ha rinnegato la sua appartenenza alla Chiesa. Anzi, sente il dovere di difenderla dal rischio di esposizione al ridicolo di fronte ai protestanti.


Lo dice lui stesso, esagerando come sempre, in una lettera indirizzata ad un nobile francese: “altri possono aver parlato più piamente e più dottamente, ma nessuno è più pieno di zelo per l’onore e la reputazione della Santa Madre Chiesa di ciò che ho scritto io”. Ha un tono esagerato, ma in ogni caso dimostra che ciò è vero.


Aveva due figlie suore?


Monsignor Sánchez de Toca: Ha avuto tre figli, due dei quali femmine. Quando si è trasferito da Padova a Firenze le ha messe in un convento, dovendo chiedere una dispensa perché erano molto giovani. Di una di loro, suor Maria Celeste, si conserva la corrispondenza con il padre, che è veramente ammirevole. Lei era una donna straordinaria, molto intelligente, di una grande perspicacia, una grande scrittrice; esiste un libro che si basa sull’epistolario tra suor Maria e il padre.


Ci parli del suo libro “Galileo e il Vaticano”, la cui edizione italiana è stata pubblicata di recente.


Monsignor Sánchez de Toca: Questa ricerca non è esattamente sul caso Galileo, ma sul modo in cui la Commissione creata da Giovanni Paolo II ha studiato il caso Galileo. Come diceva don Mariano Artigas, il caso Galileo è un culebron (un tormentone) in un senso quasi letterale, che secondo il dizionario indica, oltre che una telenovela lunga e melodrammatica, anche una “storia reale con caratteristiche di un tormentone televisivo, ovvero insolita, strappalacrime, ed estremamente lunga”. La Commissione istituita da Giovanni Paolo II tra il 1981 e 1992 è stata oggetto di forti critiche. Dicono che non sia stata all’altezza delle aspettative di Giovanni Paolo II, che i discorsi conclusivi del cardinale Poupard e del Papa sono stati carenti e molto deboli, che la Chiesa non ha fatto realmente ciò che avrebbe dovuto. Il professor Artigas - l’altro autore del libro, che è morto nel 2006 - ed io abbiamo studiato l’intera documentazione che esiste negli archivi, per vedere esattamente ciò che la Commissione ha fatto e come lo ha lavorato.


La nostra opinione è che alcuni elementi sono mancati sin dall’inizio. Mancavano mezzi, voglia di lavorare, ma nonostante tutto, i risultati sono stati buoni: ha consentito l’apertura degli archivi del Sant’Uffizio e ha dimostrato che in realtà non esistono documenti tenuti nascosti. Sono state pubblicate importanti opere di riferimento e credo che questo abbia permesso alla Chiesa di fare una sorta di esame di coscienza. Rileggere il caso Galileo sotto una luce diversa, senza scoprire cose nuove, perché questo è difficile, e fare in modo che la Chiesa nel suo insieme guardi serenamente al caso Galileo senza rancore e senza timore.


Perché, secondo lei, il caso Galileo irrita tanto l’opinione pubblica, al punto che alcuni professori dell’Università La Sapienza hanno negato l’invito a Papa Benedetto XVI, l’anno scorso, ricordando una citazione su Galielo da lui fatta in un discorso pronunciato proprio a La Sapienza nel 1990?


Monsignor Sánchez de Toca: Perché c’è chi vuole continuare a considerare Galileo una specie di “santo laico”, laico nel senso di anticristiano. Ma in realtà egli è stato un uomo di Chiesa, sebbene con tutte le sue mancanze. Ricordo, che un arcivescovo di Pisa, che era anche astronomo, nel 1922 propose di collocare in Piazza dei Miracoli, la piazza più famosa, quella della Torre di Pisa, una statua dedicata a Galileo. L’amministrazione comunale non lo ha permesso, perché voleva continuare ad avere l’esclusiva sulla figura di Galileo, come se fosse qualcuno che non apparteneva alla Chiesa ma al cosiddetto mondo laico.


Allo stesso modo, ogni volta che da parte della Chiesa qualcuno cita Galileo, si scatena una reazione di “allergia istintiva” in questi contesti pseudoscientifici in cui si dice: “come vi permettete di parlare di Galileo, voi che l’avete bruciato”?


Perché il Pontificio Consiglio della Cultura conserva un’immagine di Galileo nella sua biblioteca?


Monsignor Sánchez de Toca: Proprio perché Galileo è un modello di scienziato credente. Studia il cielo, scopre cose nuove e cerca di integrare le sue nuove conoscenze all’interno della visione cristiana. Si sforza di dimostrare che queste non si pongono in contraddizione con le Scritture, con la Bibbia. Il problema è che l’ha fatto con un entusiasmo così esuberante da suscitare non poca irritazione in altre persone. Senza essere teologo, si era messo in un ambito che era riservato esclusivamente ai teologi. Nell’epoca della Controriforma, che un laico, senza aver svolto studi di teologia, si mettesse ad interpretare la Bibbia per proprio conto, per quanto fosse in sintonia con la Tradizione cattolica, suscitava immediatamente dei sospetti.


Lei ha fatto riferimento alla condotta poco esemplare di Galileo...


Monsignor Sánchez de Toca: Non è un mistero che Galileo non fu esattamente un santo. Alcuni addirittura, incentrandosi sulla sua caratteristica di scienziato credente, arrivano persino a chiederne la beatificazione. Non esageriamo... Nella sua vita, Galileo aveva convissuto con Marina Gamba, a Padova, dalla quale ebbe tre figli. Ciò non era particolarmente scandaloso, ma neanche era una cosa ben vista.


Inoltre, Galileo aveva un carattere piuttosto irruente, come i grandi geni in generale. Aveva una lingua terribile. Era stato imprudente; si era rivolto alla Compagnia di Gesù, quando era un perfetto sconosciuto. I gesuiti lo accolsero a Roma e avallarono le sue scoperte. Fu un po’ presuntuoso, vanitoso e con un grande ego. Sono difetti che può avere chiunque e che non tolgono nulla alla genialità di Galileo.





Cattolico_Romano
00mercoledì 10 giugno 2009 16:13

Galileo e la Chiesa alla luce della storia del pensiero

di Mons. Walter Brandmüller, Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. “Sapete che cosa è un cliché, un cliché storico? È lo schema di un ragionamento o di un discorso che si ripete abitualmente; espressione priva di originalità, abusata, fastidiosa... così il dizionario. Ne è un esempio classico il famoso caso Galileo, come viene delineato di solito. Cerchiamo, quindi, di smontare quel cliché confrontandolo con la verità storica”.

Cari amici, sapete che cosa è un cliché, un cliché storico? È lo schema di un ragionamento o di un discorso che si ripete abitualmente; espressione priva di originalità, abusata, fastidiosa... così il dizionario. Ne è un esempio classico il famoso caso Galileo, come viene delineato di solito. Cerchiamo, quindi, di smontare quel cliché confrontandolo con la verità storica.
I soliti giudizi - Galileo, genio conosciuto e maltrattato da un Chiesa gelosa del suo potere - blocco di ricerca scientifica - disprezzo della libertà del pensiero e così via - affiorano tuttavia soltanto allorché si disattendono i principi basilari del metodo storico-critico: qui bisogna innanzitutto sottolineare la necessità di comprendere il caso Galileo a partire dai presupposti del suo tempo e non del nostro […]

La mentalità dei contemporanei


È consigliabile perciò domandarsi innanzitutto, quale fosse la mentalità di Galileo e dei suoi contemporanei, e come siano stati i provvedimenti ecclesiastici del 1616 e del 1633. Ciò che qui si manifesta è l'orizzonte sorprendentemente vasto, che indica come la maggior parte dei dotti di quel tempo possedessero una levatura di stampo universalistico. [...]
[…] Queste dunque erano le premesse a partire dalla quali i contemporanei di Galileo valutarono lui e le sue tesi. Rivolgiamoci innanzitutto a Blaise Pascal, famoso scienziato, che scrive a proposito di Galileo: «tutti i fenomeni del movimento e dell'arretramento dei pianeti scaturiscono perfettamente da quelle ipotesi che si possono riscontrare in Tolomeo, Copernico e Tycho Brahe, e in molti altri. Di tutte queste ipotesi, una sola può essere vera. Ma chi potrebbe pronunciare un giudizio così grave, e chi potrebbe preferire un ipotesi a scapito di altre senza incorrere nel pericolo di errore?».
In modo del tutto simile si esprime Cartesio.


La situazione teoretico-scientifica


Dopo queste premesse non meraviglia affatto che i giudizi di Pascal e quello di Cartesio sullo strato delle cose fossero quasi identici a quelli dell'Inquisizione. Ciò dev'essere spiegato. Già durante la prima discussione riguardante Copernico nel 1615 il Cardinale Bellarmino, sostenne la seguente posizione: con certezza si potrebbe dire il problema riguardante la questione "Tolomeo o Copernico" non era affatto una questione riguardante la fede. Ciò è appropriato in verità in riferimento all'oggetto scientifico, ma si ha anche a che fare con dei contenuti della Sacra Scrittura. Se ci fosse per intanto una vera prova a favore del sistema eliocentrico, si dovrebbe procedere in modo molto cauto nell'interpretazione della Sacra Scrittura e dire piuttosto che noi non avremmo compreso il suo modo di esprimersi. Egli, Bellarmino, si dichiarava nient'affatto persuaso che tale prova esistesse sino a quando non gli venisse fornita. C'è una grande differenza tra il dire che il sistema copernicano corrisponde a tutte le osservazioni astronomiche e le spiega, e il ritenerlo come l'unico vero. Quest'ultima possibilità gli sembrava molto dubbia, e finché tale dubbio avesse continuato ad esistere, non si sarebbe dovuto abbandonare l'interpretazione della Sacra Scrittura operata dai Padri sino ad allora.

Si può aggiungere una riflessione ulteriore: anche nel caso che Copernico riuscisse a spiegare in modo convincente tutte le sue osservazioni astronomiche, con ciò non sarebbe ancora provato che il suo sistema corrisponda alla realtà cosmica, dal momento che potrebbero darsi anche altri sistemi in grado di fornire le stesse prestazioni. Viene spontaneo un paragone col modello atomico di Bohr: Niels Bohr per la verità non ha mai ritenuto che nell'atomo le cose accadano e si presentino esattamente così come il suo modello le rappresenta. Questa comprensione teoretico-scientifica - espressa o inespressa - era determinante per l'argomentazione di coloro che si collocavano in modo più o meno scettico nei confronti delle opinioni di Galileo. Proprio questa argomentazione era familiare agli interlocutori di Galileo - e della validità epistemologica di questo argomento, ieri come oggi, non c'è nessun motivo di dubitare. Il fatto che Galileo fosse affascinato dalla sua intuizione al punto da non potersi rendere conto di questa evidenza teoretico-scientifica gli impedì di cogliere che il Santo Ufficio e la Congregazione dell'Indice avevano ragione allorché non condivisero il suo ottimismo conoscitivo, e ammisero i limiti della possibilità della conoscenza scientifica in modo più chiaro di quanto facesse Galileo, affascinato dalla sua visione cosmica.

Ciò che del resto Galileo addusse come prove per la sua tesi, poteva forse provare l'insostenibilità di Tolomeo, ma in nessun modo la validità di Copernico. Soprattutto Galileo dovette provocare la critica affermando che le maree provassero effettivamente la teoria copernicana.
In breve: il mondo romano degli specialisti, completamente aperto nei confronti di Galileo - si pensi solo agli astronomi gesuiti Clavius, Grienberger, van Maelkote, fra gli altri -, aveva sì abbandonato Tolomeo, ma non poteva decidersi a giurare su Galileo.

Di fronte a tali incertezze e alla circostanza per cui il significato scientifico di Copernico era del tutto riconosciuto, non da ultimo in vista della riforma del calendario, la sua opera venne soltanto proibita donec corrigatur Il che significa che questo divieto sarebbe stato in vigore solo fino a quando in tutti i passi del testo in questione, invece della pura e semplice affermazione della verità cosmica del sistema copernicano, venisse ribadito il suo carattere solo ipotetico.
In tal modo siamo giunti sicuramente al nocciolo del problema. Non c'è dubbio. Né Copernico né Galileo avevano proposto qualcosa che andasse oltre i limiti di un'ipotesi. Non si poteva parlare di una prova stringente. Solo Newton, formulando la legge di gravità, ha aperto la strada per provare il movimento terrestre. E inoltre l'astronomia, con ognuna delle sue spettacolari scoperte, si è sempre più allontanata dall'idea che il sole sia il centro dell'universo. Dall'altra parte il Sant'Ufficio sbagliava credendo di riconoscere una contraddizione fra Copernico e la Bibbia, mentre a sua volta lo stesso Galileo aveva saputo molto giustamente distinguere tra l'inerranza della Sacra Scrittura e la capacità di errare dei suoi interpreti.

In che modo - questo è il problema al quale dobbiamo ora dare una risposta si è arrivati a che una questione di scienza naturale riguardante la costituzione dell'universo diventasse una questione teologica, a che la Bibbia venisse interrogata in riferimento a questioni scientifiche, e che di conseguenza una affermazione astronomica sia potuta diventare oggetto di un procedimento magisteriale della Chiesa?


Lo sfondo storico-culturale

Tutto ciò è tuttavia in qualche modo comprensibile a partire dal retroterra storico-culturale del Barocco. In opposizione alla nostra concezione di un mondo suddiviso in settori autonomi, dotati dileggi proprie, nel quale la religione lotta praticamente per il suo diritto all'esistenza come un ambito vitale accanto ad altri, l'uomo dell'epoca barocca contemplava con uno sguardo affascinato e grandioso cielo e terra, tempo ed eternità, il divino e l'umano, Chiesa e mondo, scienza, tecnica e fede come armoniche parti costitutive di un unico possente e onnicomprensivo cosmo dell'essere, uscito da Dio e tendente a Dio. […]

[…] Nel comune modo di vedere teologico-esistenziale dei contemporanei di Galileo la terra era in primo luogo non un corpo celeste da investigare in base alle sue condizioni fisico-astronomiche, ma un singolare palcoscenico della divina rivelazione e redenzione. È difficile sottrarsi in questo contesto al tentativo di rievocare l'esperienza degli astronauti del nostro tempo. Con ogni probabilità essi sono stati in grado di rallegrarsi del loro successo solo allorché hanno cambiato la sensazione di trovarsi perduti nel cosmo con la sicurezza ritrovata sulla terra. Per essi, dal punto di vista essenziale, la terra è certamente molto più il centro del cosmo di quanto lo fosse per ogni discepolo di Tolomeo.

La visione olistica del Barocco era dunque tale da non mettere in grado gli uomini del tempo di Gai ileo di separare gli ambiti di natura e di rivelazione, di scienza naturale e di teologia, anche se questa separazione sarebbe stata apportatrice di chiarificazione. […]


Circa l'autorità della Bibbia

Bisogna rendersi conto, se peraltro ci se ne ricorda, che - almeno agli occhi degli interessati la posta in gioco era la genuina autorità della Bibbia che era diventata il punto nevralgico della controversia teologica con la Riforma. […]

[…] In primo luogo dunque non si trattava del problema se il sole o la terra stessero fermi o si muovessero. In realtà la posta in gioco era la comprensione e l'autorità della Bibbia e la controversia col Protestantesimo. In tal modo abbiamo scoperto la vera e propria causa per cui un'istanza ecclesiastica giunse ad un tratto ad esprimersi su di un problema di natura puramente scientifica, come lo vediamo noi oggi, dopo che per settant'anni si era taciuto.

In non poche pubblicazioni sul caso Galileo il giudizio pronunciato sulla questione che lo concerneva viene caratterizzato come uno dei molti errori del magistero ecclesiastico, con cui la chiesa avrebbe smentito una volta per tutte la sua pretesa ad un'autorità infallibile in questioni di fede. Ma le cose non stanno tuttavia in questi termini.

Innanzitutto occorre tener presente che le cosiddette decisioni magisteriali infallibili possono essere emanate solo da un Concilio ecumenico o dal Papa, e in ogni caso soggiacciono in quanto tali a dei criteri ben precisi.

Una decisione del genere non si verificò nel caso di Galileo. E precisamente già perché sia nel 1616 come anche nel 1633 erano in azione solo delle istanze che non erano qualificate per l'esercizio del magistero infallibile, e cioè la Congregazione dell'Indice e l'Inquisizione. Al riguardo non cambia per nulla la situazione il fatto che il Papa si occupasse personalmente del caso. Per chi conosce le cose della teologia ciò era chiaro allora come oggi. In particolare, ciò lo sapeva anche Galileo. Per questo, senza cadere in problemi di coscienza, egli poteva emettere l'abiura come un atto di lealtà ecclesiale, senza per questo dover rinunciare alle sue convinzioni scientifiche. La qual cosa, comunque, era per lui sicuramente dolorosa dal momento che doveva rinunciare a sostenerle pubblicamente.


Che cosa dicono i Decreti?

Il primo giudizio ufficiale fu quello dei consultori o qualificatori del Sant'Ufficio del 23 febbraio del 1616. Riguardò espressamente solo Copernico, ma aveva di mira Galileo, il cui nome però non veniva menzionato. Bisogna anche tener fermo che in questo caso si trattava solo di un parere di consultori, e non di un giudizio della Congregazione.

In queste celebri proposizioni, che oggi sembrano a molti grottesche e ridicole, si trattava di quanto segue: la dottrina dell'immobilità del sole, come quella della mobilità della terra, erano qualificate rispettivamente, la prima come filosoficamente assurda e formalmente eretica, la seconda invece non solo come filosoficamente assurda, ma anche come erronea rispetto alla fede.

La designazione della dottrina copernicana come filosoficamente assurda non va intesa come se la si dichiarasse falsa, in base al significato dell'uso attuale del termine "filosofia"

Qui "filosofia" è chiaramente da intendere nel senso di "scienza naturale": Galileo era infatti anche "filosofo e matematico" del Granduca di Toscana. E assurda dal punto di vista scientifico - non matematico! - doveva sembrare in realtà la cosa, ed un contemporaneo la percepiva a questo modo: tenendo conto del supposto movimento della terra attorno al suo asse e soprattutto attorno al sole come poteva essere possibile su di essa l'esistenza della vita? L'esperienza quotidiana, e mai messa in dubbio, non poteva essere spiegata diversamente che ricorrendo all'immobilità della terra e al movimento del sole.

Solo Isacco Newton scoprì la gravità, che era in grado dì spiegare lo stato delle cose. Galileo stesso, e ancora meno Copernico, non avevano mai intrapreso il benché minimo tentativo di spiegazione.

Sebbene tutto ciò corrispondesse alla concezione della maggior parte egli interessati al caso, il Sant'Ufficio non emanò nessun decreto ufficiale al riguardo. Ciò era riservato alla Congregazione dell'Indice. Il decreto dell'Indice, datato 5 marzo 1616, designa la dottrina della mobilità della terra ecc. come quella falsa dottrina pitagorica, del tutto contrapposta alla Sacra Scrittura. Tutto ciò è molto significativo: mentre i periti del Sant'Ufficio avevano parlato in questo caso di eresia, i Cardinali non li seguirono affatto. Essi si limitarono a constatare la contraddizione esistente fra la discutibile dottrina e la Sacra Scrittura. Ciò fa capire che all'interno delle autorità curiali dovevano aver corso delle posizioni notevolmente contrapposte nel giudizio su Copernico. La cautela, da ciò condizionata, della formulazione "divinaeque Scripturae omnino adversantem" aveva delle conseguenze. Vi si dice infatti che, se un giorno si provasse che la contraddizione con la Sacra Scrittura è solo apparente, si potrebbe in ogni momento sottrarre il terreno alla Congregazione con la prova addotta. La formulazione del decreto, che chiaramente si appoggia fortemente sulla concezione sostenuta dal Cardinal Bellarmino, sottolinea dunque anche contenutisticamente il carattere revocabile della decisione.

Circa le sentenze dell'anno 1633 vale del resto la stessa cosa. Anche qui il sistema eliocentrico viene designato come contrapposto alla Sacra Scrittura, ma non tuttavia come eretico.

Per dirla in breve: stando allo stato delle cose, era stata consapevolmente lasciata aperta la strada per la prova del contrario tramite ulteriori ricerche. Del resto non bisogna dimenticare che Galileo, all'interno del mondo degli specialisti, aveva degli avversari degni di grande considerazione e provvisti di reali argomenti - e ciò sino all'inizio del secolo XIX. Le istanze ecclesiastiche pertanto non hanno affatto rigettato in maniera ottusamente reazionaria una dottrina scientifica comunemente riconosciuta. Esse hanno unicamente sottolineato che vanno chiamate ipotesi quelle che non sono altro che ipotesi. Una analoga, prudente decisione riguardante l'energia nucleare o l'ingegneria genetica verrebbe oggi compresa, diversamente da quella dell'Inquisizione nel caso Galileo.


Le conseguenze del giudizio

Se interroghiamo la concezione corrente da questo punto di vista, ne risulta all'incirca questo quasi unanime giudizio: la sentenza ecclesiastica contro Galileo ha paralizzato per il futuro la ricerca scientifica nell'Europa cattolica, ed inoltre ha sollevato quel malefico conflitto tra la scienza e la Chiesa, nel superamento del quale solo il nostro tempo riconosce un compito urgente. […]

[...] non si può parlare di una paralisi della ricerca scientifica nei paesi cattolici in conseguenza del processo di Galileo. La miglior prova è costituita dal fatto che Galileo stesso - e ciò avvenne sotto la sorveglianza dell'Inquisizione, comunque la si intenda, - poté scoprire nel 1637 le oscillazioni della luna grazie ad ulteriori osservazioni astronomiche. Negli ambienti interessati, d'altronde, si sapeva valutare correttamente la portata dei decreti romani: ci si serviva del sistema di Copernico come di una - così sarebbe dovuto risultare - fruttuosa ipotesi di lavoro. […]

[…] Chi pertanto parla di una stagnazione della ricerca in questo ambito, negli ambienti cattolici, viene a trovarsi in contraddizione coi fatti storici. Un altro dato può essere sottolineato in base a ciò che si è detto, e cioè che nel secolo successivo alla morte di Galileo non si registrò nessun conflitto fra le scienze naturali e la Chiesa. La spaccatura si allargò nell'epoca seguente, nella misura in cui il razionalismo e finalmente il materialismo raggiunsero un'egemonia pressoché illimitata nell'ambito delle scienze naturali. In questo contesto Galileo diventò la figura di Gallione di una scienza consapevolmente atea.


Ripensamento

Il cambiamento delle posizioni della Chiesa nei confronti del nostro problema è già emerso dalle precedenti osservazioni sulla prosecuzione delle ricerche nell'ambito delle scienze naturali nell'Europa cattolica dopo Galileo. Erano appena trascorsi quarant'anni dal suo processo allorché Copernico non figurava più nell'Indice dell'anno 1670. Nell'anno 1693 l'allievo di Galileo, Viviani, poteva discutere, in una corrispondenza col gesuita P. Baldigiani, sulle possibilità per una licenza di stampa del dialogo di Galilei. […]

[...] Il caso Galileo entrò in un nuovo e determinante stadio, in vista della decisione definitiva, allorché il professore di astronomia all'Università romana "La Sapienza", Giuseppe Settele, pubblicò nel 1819-20 il suo Manuale di ottica e astronomia. Settele era il figlio di un maestro fornaio, proveniente da Seeg in Algovia, e abitante in Trastevere.

Nella sua opera egli presuppose in tutta naturalezza l'immagine copernicana del mondo. La censura non vi trovò nulla di contestabile al riguardo. L'opera era già in corso di stampa allorché l'autorità alla quale spettava la competenza decisiva per la stampa dei libri da pubblicare a Roma, il Maestro del Sacro Palazzo, il domenicano Filippo Anfossi, ne proibì la stampa. Egli insisteva nel sottolineare il carattere ipotetico del sistema copernicano. In seguito a ciò si sviluppò una violenta discussione all'interno della Curia, in cui Anfossi stava contro l'intero Santo Ufficio e contro il Papa, il quale era parimenti dell'idea di concedere la licenza di stampa. Sull'esito definitivo della controversia non potevano sussistere dubbi. Con la concessione della licenza di stampa per Settele venivano parimenti "riabilitati" Copernico e Galileo.

Questa soluzione fu il frutto di una notevole prestazione intellettuale del domenicano Maurizio Benedetto Olivieri, che in quegli anni era Commissario del Santo Ufficio, e quindi costituiva la terza autorità in ordine di importanza.

Sottolineato il fatto che il sistema copernicano nella forma in cui veniva insegnato allora - e cioè al tempo di Olivieri e Settele - non sollevava nessuna obiezione di natura teologica, l'Olivieri evitò da un lato di sconfessare le decisioni del 1616 e del 1633, mettendo d'altro lato completamente fra parentesi la problematica astrofisica. La decisione ecclesiastica dell'anno 1820 si mosse unicamente su terreno della dottrina della fede, lasciando libero corso alla scienza della natura.


Un tentativo di comprendere

[…] Ma, ci si potrebbe domandare, il comportamento delle istanze curiali non va a sfociare nella repressione della libertà dello spirito e della ricerca? Non si trattò di una pura e semplice volontà di mantenere i potere?

Per rispondere adeguatamente a simili domande, occorre naturalmente che si sappia che cosa siano la Chiesa e la divina relazione. Ai giudici di Galileo era ben noto che la verità rivelata da Dio nell'Evangelo era il sommo bene dell'umanità, e che era stata affidata alla Chiesa per una trasmissione integra.

Nel dubbio se la nuova astronomia fosse o meno in contrasto con la parola di Dio, l'incolumità della fede ebbe un peso maggiore che non una nuova teoria astronomica non ancora provata. Questa decisione - ben compresa da Pascal e Descartes - non dovremmo considerarla dal punto di vista della nostra società secolarizzata e pluralistica, e neppure secondo la prospettiva di un professore bloccato sull'oggetto della sua ricerca, bensì a partir dallo sfondo storico-culturale dell'epoca barocca precedentemente delineato. Anche i giudici di Galileo hanno diritto ad essere giudicati con giustizia.

In conclusione mi sia consentita una parola sul nostro rapporto con la storia in genere. E oramai giunto il momento - non solo nel caso di Galileo - di prendere congedo da un rapporto col passato determinato sia da emozioni che da entusiasmo, sia di indignazione che dal sentirsi parte in causa, per tentare un approccio caratterizzato dalla volontà di vera obiettività.

L'adrenalina di pur nobili emozioni non dovrebbe infiltrarsi nell'inchiostro dello storiografo. Mediante la volontà di capire gli uomini delle passate generazioni a partire dai loro propri presupposti, e mediante la disponibilità a valutarli con i criteri del loro tempo e non del nostro, ci approssimiamo alla verità in misura maggiore che non quando assumiamo il ruolo dell'accusatore, del difensore e del giudice, o addirittura del boia. Ciò vale, come s'è detto, per il caso Galileo, ma non soltanto per esso.


© Linea-tempo - Anno IV - Vol. 3 - Dicembre 2000

Cattolico_Romano
00giovedì 2 luglio 2009 08:09
Nuova edizione dei documenti del processo

Un Galileo cattolico e ottimista


di Francesco Beretta

Laboratoire de Recherche Historique Rhône-Alpes (Cnrs), Lione

Quando Galileo fabbricò il suo primo telescopio, nell'estate del 1609, volgendo verso il cielo stellato uno strumento ottico inventato in Olanda, e fece quelle scoperte che lo renderanno celebre in Europa, non immaginava certo che si sarebbe trovato a Roma, un quarto di secolo dopo, in ginocchio, davanti ai cardinali del Tribunale dell'Inquisizione, per abiurare la dottrina di Copernico.

Con la pubblicazione del Sidereus Nuncius, nel marzo del 1610, e la nomina a "primario matematico e filosofo" del granduca di Toscana cominciava una lunga battaglia fatta di dispute, lettere e libri che monsignor Sergio Pagano ricostruisce nei suoi tratti essenziali nella recente sua fatica galileiana e soprattutto nell'ampia introduzione che precede la nuova edizione dei documenti del processo da lui curata:  I documenti vaticani del processo di Galileo Galilei (1611-1741) (Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2009, pagine 550, 16 tavole fuori testo, "Collectanea Archivi Vaticani", 69).

L'introduzione - che si fonda sui principali contributi della recente storiografia - propone una rilettura dei grandi testi galileiani, dalla Lettera a Cristina di Lorena, al Saggiatore, al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che conduce il lettore al cuore della questione copernicana.

Le abbondanti citazioni delle opere e della corrispondenza riproducono l'atmosfera dei dibattiti suscitati da Galileo, in particolare nel corso dei suoi diversi soggiorni romani. Il prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano non ha voluto dirimere dibattiti storiografici o formulare nuovi ipotesi interpretative sulle questioni ancora aperte, ma fornire al lettore gli elementi indispensabili per comprendere i documenti del processo.

Una ricca annotazione, che fornisce abbondanti notizie biografiche, e le belle illustrazioni, che danno un volto ai personaggi del dramma - tranne Galileo, perché certamente troppo noto - contribuiscono a far rivivere la temperie del Seicento:  dalle manovre dei domenicani fiorentini ostili al matematico, alle strategie degli amici romani, alle mosse della diplomazia granducale e pontificia, alle collere di Papa Urbano viii - tutto un mondo rivive, colto dall'autore anche nei suoi risvolti psicologici. Appare così un "Galileo cattolico" e "ottimista", alle prese con i rappresentanti del "sapere fratesco", o con un Papa - il fiorentino Maffeo Barberini - che volle essere garante, nel contesto difficile della guerra dei Trent'Anni, della "superiorità della fede sulle dottrine filosofiche".

Certo ogni lettura è interpretazione, ma il merito di questa edizione è di fornire al pubblico, in occasione dell'anno internazionale dell'astronomia, uno strumento per cogliere - attraverso i documenti - la storia del celebre processo.

Per gli studiosi noteremo che la seconda parte dell'opera ripropone l'edizione degli atti del processo di Galileo che l'autore aveva curato, per volere di Giovanni Paolo II, nel 1984, arricchendola di nuovi documenti in parte ritrovati dopo l'apertura dell'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (1998).

La definizione di un corpus è sempre discutibile:  la scelta di pubblicare i "documenti vaticani" del processo, ispirata da un criterio istituzionale-topografico, non è forse interamente condivisibile ma permette tuttavia di offrire al lettore la parte principale della documentazione, dalla denuncia alla sentenza fino alla ricezione della condanna di Galileo.

Al celebre incartamento processuale galileiano si aggiungono i decreti della Congregazione del Sant'Uffizio e vari altri documenti conservati presso l'Archivio Segreto o la Biblioteca Apostolica Vaticana.
Fra essi si annovera il noto "G3", ossia la denuncia dell'atomismo del Saggiatore, fondamento dell'ipotesi di un'eresia eucaristica di Galileo, formulata nel 1983 da Pietro Redondi.

Se la scelta di un orizzonte cronologico limitato al 1741 si comprende, dato il criterio ritenuto per la definizione del corpus, sorprende invece l'assenza di alcuni documenti della Congregazione dell'Indice, in particolare il decreto del primo marzo 1616, e i documenti preparatori alla correzione del De revolutionibus di Copernico, già pubblicati da Pierre-Noël Mayaud; ma forse il curatore li ha ritenuti paralleli al processo e non immediatamente legati alla vicenda.

I criteri di edizione adottati - fra cui il rispetto rigoroso della disposizione dei documenti e della punteggiatura - e la precisa annotazione forniscono al lettore un prezioso strumento che si colloca, rinnovandola, nella lunga tradizione di edizione dei documenti del processo, ricostruita dall'autore nell'introduzione:  dalle movimentate vicende del trasporto degli archivi pontifici a Parigi, voluto da Napoleone, al difficile recupero dell'incartamento processuale di Galileo, alle edizioni e alle polemiche ottocentesche.

"Son stato giudicato vehementemente sospetto d'heresia, cioè di aver tenuto e creduto (...) che la terra si muova", disse il matematico nell'abiura, il 22 giugno 1633. Grazie al lavoro di monsignor Sergio Pagano disponiamo ormai di un utile strumento per comprendere come si giunse ad una condanna che non cessa di suscitare interrogativi e discussioni, come sempre capita in campo storiografico.



(©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2009)
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