Il lavoro missionario nel sud dell'Etiopia

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Cattolico_Romano
00venerdì 24 luglio 2009 17:02
Il lavoro missionario nel sud dell'Etiopia

In una mano il Vangelo nell'altra la grammatica oromo


di Egidio Picucci

Kofele - che vuol dire "ha sorriso" - è una cittadina a 1.700 metri d'altitudine, non lontana da Shashamanne, capoluogo dell'West Arsi, nel Sud Etiopia, abitato dagli oromo e a poche ore dal Parco Nazionale di Bale. La missione cattolica v'è stata aperta una dozzina di anni fa e dall'aprile del 2007 è affidata al padre cappuccino Angelo Antolini, subentrato ad alcuni sacerdoti fidei donum di Mantova che vi hanno costruito la casa per i missionari, quella per le suore, una scuola materna, una primaria e anche un bellissimo centro sportivo in cui si allenano i più famosi maratoneti etiopi.

"Quando il superiore mi disse che c'era l'intenzione di aprire una missione in pieno territorio musulmano, e che s'era pensato d'affidarla a me - dice padre Angelo - restai senza parola. Ambiente nuovo, lingua nuova, mentalità nuova. Dissi di sì, inconsciamente, ma non mi sono pentito. I primi cinque mesi li ho passati con i miei predecessori a Gighessa, poi mi sono trasferito qui insieme a due confratelli etiopi". La città conta 12.000 abitanti, tutti oromo - eccetto una piccola presenza amara - e rigorosamente musulmani (90%). Ortodossi, protestanti e cattolici sono in assoluta minoranza. I cattolici sono circa un centinaio, più 12 catecumeni. Altri piccoli gruppi si trovano a Dodola - 12-14 cristiani tra 30.000 abitanti, con due suore di madre Teresa di Calcutta in missione itinerante - a Kokossa e presto, almeno così si spera, a Nansebo, dove padre Angelo è andato qualche volta per farsi conoscere.

"Avere pochi cattolici in un certo senso ha dei vantaggi - dice con un sorriso padre Angelo - perché posso seguirli uno per uno, visitando le famiglie e intrattenendomi con loro per una catechesi informale nei vari momenti della giornata, lasciando poi ai catechisti il compito di completarla e approfondirla. Il primo impatto fu un po' traumatico - ricorda il missionario - perché la lingua liturgica della Chiesa era l'amarico, la lingua dei dominatori amara, invisa agli oromo, fieri come pochi della propria identità. Se nelle campagne ti rivolgi alla gente in amarico, ti senti rispondere in inglese, tanta è l'ostilità per la lingua dei conquistatori. Non era possibile cominciare un lavoro nuovo con sistemi vecchi, per cui cominciai a celebrare la liturgia in oromo, "scandalizzando" tutti. Il vescovo lo seppe, ma apprezzò talmente la novità che scrisse una lettera pastorale, invitando tutti i missionari a fare lo stesso".

Rifacendosi a un'esperienza maturata a Embeccio, nel Wolaita, che gli aveva permesso di formare giovani capaci d'avviare da soli l'evangelizzazione del Dawro Konta, nel Sud-Ovest dell'Etiopia, padre Angelo ha bruciato le tappe e ha trasferito a Kofele l'esperienza wolaita, dando un'impronta vigorosa alla nascente comunità e inviando Jamal, il miglior catechista, a Kokossa, perché reputa che un'esperienza forte del cristianesimo può dar vita a uno slancio missionario particolare. E Jamal, spesso accompagnato dalla moglie Gammanne, non lo ha deluso.

"A me sta molto a cuore una formazione cristiana robusta - aggiunge - per cui con i pochi cattolici che ho trovato o che in questi due anni sono venuti alla fede dall'islam, ho iniziato un forte approfondimento della fede, valido, secondo me, a trasfondere la sua ricchezza perfino nei catecumeni:  solo così potremo avere non solo buoni cristiani, ma anche ottimi evangelizzatori. L'esperienza di Embeccio e quella che stiamo vivendo a Kokossa sono un'ottima conferma".

La gente di Kofele - racconta ancora padre Angelo - "è passata direttamente dall'islam al cattolicesimo, cosa che non è invece avvenuta a Kokossa e a Goba, dove c'è stato un passaggio intermedio:  islam, protestantesimo, cattolicesimo. Quindi possiamo dire di trovarci di fronte a una sfida assolutamente nuova. Per questo il vicario apostolico di Meki, Abraham Desta, spera che si possa costituire una circoscrizione nuova, una prefettura apostolica".
C'è di più. "La maggior parte dei cattolici in Etiopia - aggiunge - viene dal mondo ortodosso, con grave pregiudizio non solo del dialogo ecumenico, ma anche della pacifica convivenza; qui, invece, i nuovi cristiani vengono dal mondo musulmano. Abbiamo di fronte milioni di non cristiani a cui potremmo annunciare il Vangelo".

A fianco dell'evangelizzazione cammina, come sempre, la promozione umana, che comincia immancabilmente dalla scuola:  nella missione è aperta quella dell'infanzia (bilingue:  inglese, oromo) e quella primaria, che è in oromo e arriva fino alla sesta (ma si stanno preparando le aule per la settima e l'ottava). Preziosa anche la piccola fabbrica di scarpe finanziata dalla Conferenza episcopale italiana e portata avanti da ragazzi disabili. Al termine del primo corso, le autorità, entusiaste per i successi ottenuti, hanno offerto un negozio in città per poter vendere più facilmente i manufatti.

"Il governo locale ci vede di buon occhio - afferma padre Angelo - perché la nostra presenza non è invasiva, non fa proselitismo, ma offre solo servizi. La missione offre un microcredito a una quarantina di donne molto povere che se ne servono per preparare l'enjera (pane etiopico) che vendono a Shashamanne, ricavandone quel tanto che permette di estinguere il prestito e di mantenere la famiglia. È stata aperta una scuola d'informatica, frequentata da una quindicina di ragazze, tutte musulmane. La condizione della donna è penosa, soprattutto a causa della poligamia - sostiene padre Angelo - ma i giovani si ribellano a questa situazione incresciosa e imbarazzante. E cercano altrove. Anche nel cattolicesimo".

Dietro la fioritura di tante iniziative c'è uno sponsor che padre Angelo ha trovato nell'associazione Perigeo, che si occupa dell'Etiopia dal 2004. L'associazione favorisce lo sviluppo da un punto di vista umanitario e culturale, grazie a ricerche, documentazioni e sensibilizzazioni varie, mirando alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale del popolo etiopico.

Padre Angelo è soddisfatto di questa collaborazione, ma a lui preme soprattutto portare il Vangelo tra gli oromo sulla scia del cardinal Massaia, di cui è stato ricordato recentemente - l'8 giugno - il bicentenario della nascita, e che gli ha idealmente messo in mano la grammatica su cui sta imparando la lingua della gente tra cui lavora.


(©L'Osservatore Romano - 24 luglio 2009)
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