Il patriarca Twal: i drammi della Terra Santa, l'assenza di pace e l'esodo dei cristiani

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Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 16:45
Il patriarca Twal: i drammi della Terra Santa, l'assenza di pace e l'esodo dei cristiani

Nel giorno in cui Benedetto XVI,
parlando al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha riproposto la situazione dei cristiani in Medio Oriente che, “colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, lasciano la terra dei loro padri”, e richiamato ancora una volta al dialogo israeliani e palestinesi, da Gerusalemme si è levata forte la voce del patriarca latino, Fouad Twal. Ce ne parla Daniele Rocchi, inviato in Terra Santa dell'Agenzia Sir:

Aprendo ufficialmente i lavori del X incontro del Coordinamento dei vescovi Usa e Ue per la Terra Santa, in corso proprio a Gerusalemme, Twal ha ricordato: “due sono i drammi che ci fanno soffrire maggiormente: l’assenza di pace e l’emigrazione dei cristiani”. “La pace non arriva nonostante gli sforzi, le promesse, le visite fatte da tante istituzioni e leader internazionali - ha spiegato il patriarca. In questi giorni si parla di un’altra iniziativa americana.
Accetteremo qualunque proposta purché sia rispettosa del diritto e della dignità umana”. Altro “dramma” segnalato dal patriarca è “l’emigrazione dei cristiani”. “Non vogliamo aiuti - ha affermato - ma la corresponsabilità delle Chiese del mondo verso quella madre di Gerusalemme. Dal futuro di questa città dipenderà quello dell’intero Medio Oriente. Siamo stanchi - ha concluso - non vogliamo più spargimento di sangue, odio e violenza ma pace e riconciliazione”.
Da segnalare, anche, che il patriarca Twal accompagnerà Benedetto XVI
nella sua visita alla Sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio. I lavori della mattinata sono poi proseguiti con l’intervento del nunzio apostolico, mons. Antonio Franco, che ha fatto il punto sui colloqui tra Santa Sede e Israele circa “il lavoro su un accordo legato all’art.10, paragrafo 2, dell’Accordo Fondamentale”.
“Dopo l’ultima plenaria, nella prima riunione di lavoro della Commissione bilaterale permanente - ha affermato mons. Franco - abbiamo elaborato una lista di argomenti sulle questioni fiscali. Ciascuna delegazione si è impegnata a presentare i testi che vorrebbe venissero introdotti. Sono stati chiariti degli equivoci che non ci avevano permesso di lavorare al meglio. Adesso su queste proposte concrete dovremo discutere, sperando di arrivare alla prossima plenaria del 27 maggio 2010, in Vaticano, con dei progressi. Sul futuro il nunzio si è detto “più realista che ottimista”. Nella sua relazione, il nunzio ha poi ribadito che la Chiesa “non vuole privilegi, ma poter vivere e proseguire la sua missione qui in Israele”. In ballo, come è noto, ci sono le esenzioni fiscali, il finanziamento statale a scuole e ospedali cattolici che servono anche la popolazione israeliana e alcune proprietà ecclesiastiche, come il Cenacolo. Su questo punto il nunzio ha dichiarato che “stiamo trattando ma ancora non siamo arrivati a capire bene le posizioni che speriamo possano essere chiarite in futuro quando tratteremo specificatamente anche di altre proprietà della Chiesa prese da entità statali”. “E’ un lavoro importante in cui la fiducia reciproca - ha concluso - non esistono agende segrete che portiamo avanti. Siamo fiduciosi che le cose possano finire bene. Non negoziamo per proteggerci contro qualcuno ma vogliamo costruire insieme alcune cose”. I lavori del Coordinamento proseguiranno nel pomeriggio con sessioni relative ai visti di ingresso e alla descrizione del progetto Kairos mirante alla soluzione del conflitto israelo-palestinese.

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S_Daniele
00mercoledì 3 marzo 2010 11:42
Una voce inascoltata in Terra Santa
Intervista a mons. Twal, Patriarca di Gerusalemme

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).-
 
Sebbene gli arabi cristiani costituiscano solo una piccola minoranza in Terra Santa, essi potrebbero tuttavia rappresentare un importante ponte nel conflitto che ha diviso la regione ormai da troppo tempo, afferma il patriarca Fouad Twal.

Il Patriarca latino di Gerusalemme lamenta che mentre la comunità internazionale tarda ad intervenire, il numero di questi cristiani diminuisce rapidamente. Parte del problema, osserva, è che il muro israeliano alto 6 metri, che circonda i Territori palestinesi, ha reso la vita quotidiana per molte persone quasi impossibile.

Vi sono circa 50.000 cristiani che vivono nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, mentre altri 200.000 vivono in Israele.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo "Where God Weeps" della testata Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il Patriarca parla delle molte difficoltà in cui vivono i cristiani di Terra Santa, e lancia un triplice appello alle tre "P": preghiera, progettazione e pressione.

Quale è la situazione dei cristiani in Terra Santa oggi?

Mons. Twal: Dobbiamo ricordare che il Patriarcato latino si estende su tre Stati: Giordania, Palestina e Israele, e persino su Cipro. Quindi non è facile parlare di una condizione omogenea, perché la situazione cambia da Stato a Stato. Generalmente, come sappiamo, ogni Stato è diviso in molte diocesi; nel nostro caso invece abbiamo una diocesi che copre diversi Stati.

Il fatto di vivere in condizioni di conflitto comporta problemi di frontiera; problemi per attraversare i confini; problemi per trasferire un sacerdote da una parrocchia a un'altra. Dobbiamo sottostare al rilascio di permessi, da parte di Israele, per muoverci nell'ambito di questi tre Stati che rientrano nel Patriarcato di Gerusalemme.

Come descriverebbe i sentimenti delle persone, in particolare dei cristiani, che abitano a Gerusalemme e in Terra Santa?

Mons. Twal: Gerusalemme è una città particolare: meravigliosa e drammatica, in cui persino il Signore pianse, e in cui noi continuiamo a piangere. Non è facile. Gerusalemme unisce tutti i credenti - ebrei, musulmani, cristiani - ma allo stesso tempo Gerusalemme divede tutti i credenti - fino alla morte. Ognuno vorrebbe Gerusalemme come propria capitale. Per me Gerusalemme deve essere la madre delle Chiese, la madre di tutti i credenti e non di un popolo solo.

È bello, da una parte, vedere queste persone che vengono a visitare il Luoghi Santi, e dall'altra fa male vedere la Chiesa locale, i cristiani del luogo, che non possono neanche visitare questi Luoghi Santi. Un parroco di Betlemme non può portare i propri parrocchiani in pellegrinaggio nei Luoghi Santi. La stessa situazione vale per Ramallah, la Giordania e altre parrocchie: non possono muoversi liberamente con tutti i posti di blocco e con il muro che li separa.

Una domanda cruciale: la situazione è peggiorata per i cristiani in Terra Santa, a seguito della costruzione del muro?

Mons. Twal: Sicuramente il muro ha diviso famiglie intere. Non si tratta solo dei Luoghi Santi, ma di famiglie vere. In alcune famiglie, i giovani non possono visitare i propri nonni che si trovano dall'altra parte del muro. Non possono andare ai loro parchi, giardini e uliveti che si trovano dall'altra parte. Il problema è notevole. Non è solo questione dei Luoghi Santi, ma della dignità delle famiglie, della separazione tra giovani e anziani. Non possono andare a visitare qualcuno che sta morendo dall'altra parte.

Lei viaggia con il passaporto diplomatico del Vaticano?
 
Mons. Twal: Sì, è così. In questo modo posso visitare i fedeli nei tre Stati che compongono il Patriarcato: Giordania, Israele e Palestina. La questione sorge quando dobbiamo trasferire un prete da una parrocchia ad un'altra, in base al nostro lavoro pastorale e delle necessità pastorali. In questi casi devo pormi il problema se gli verrà dato il permesso oppure no. È un grande problema.

In Giordania - la parte più vasta del Patriarcato e la maggiore fonte di sacerdoti, seminaristi e suore - la questione è sempre se possiamo portarli in Palestina oppure no. L'altra questione riguarda i giovani seminaristi che si trovano a Beit Jala, vicino Betlemme, e che vogliono andare a trovare le proprie famiglie in Giordania durante le vacanze.

A trovare le proprie famiglie?
 
Mons. Twal: Sì. È un problema. Il conflitto esiste. E noi ne subiamo le conseguenze. Ciò di cui abbiamo bisogno non è di un permesso ma della pace. Abbiamo bisogno di una vita normale; della libertà di movimento; di poterci muovere pacificamente, senza problemi e senza permessi. Anche se Israele ci dà i permessi, non siamo pienamente contenti. Lo saremo solo quando avremo la pace, quando avremo una vita normale e quando potremo muoverci senza problemi.

Il fatto è che il conflitto esiste ormai da 60 o 100 anni, e che finora non abbiamo visto alcun progresso verso la pace, la dignità, la libertà. Non l'abbiamo visto, ma non abbandoniamo mai la speranza. Preghiamo e chiediamo aiuto dall'esterno perché possiamo raggiungere la pace.

I cristiani si trovano in mezzo tra estremisti musulmani ed estremisti sionisti. Dove si collocano i cristiani? Esiste un diffuso senso di aggressività nei confronti delle comunità cristiane, da parte di entrambe le parti?

Mons. Twal: Sono convinto che la drammatica situazione ci deve riportare al Vangelo e a considerarlo seriamente. Nel Vangelo il Signore ci dice: "Se uno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua".

E questo è il nostro "pane quotidiano": portare la croce negli stessi luoghi dove lui l'ha portata. E come cristiani, e come minoranza, che questa croce venga dagli ebrei, dai musulmani o da noi stessi, non fa differenza. Il fatto è che non possiamo vivere in Terra Santa, che non possiamo amare la Terra Santa, che non possiamo lavorare in Terra Santa, senza prendere su di noi la croce. La situazione ci riporta quindi letteralmente al Vangelo. Ma al contempo, nel Vangelo, il Signore ci dice: "Non temere, io sono con te".

Per questo il nostro entusiasmo, la nostra gioia di vivere, di lavorare, di evangelizzare, di portare avanti le nostre attività pastorali, non dipende dalla gioia della situazione politica - che il governo sia con noi o contro di noi. La nostra gioia di vivere, lavorare, pregare, viene da un'altra fonte: dal Signore, dalla sua forza, dal suo amore, dal suo perdono.

Lei ha detto che gli arabi cristiani sono come un ponte tra Oriente e Occidente. Che ruolo hanno i cristiani in questo contesto?
 
Mons. Twal: Anzitutto, dobbiamo mantenere e rispettare la nostra identità di arabi e di cristiani. Non possiamo dimenticare questa identità. Come arabi abbiamo le stesse tradizioni, la stessa lingua, e abbiamo lo stesso approccio dei musulmani. Possiamo parlare con loro. Ci sentiamo più arabi noi di loro. Gli arabi esistevano secoli prima dell'arrivo dell'Islam nel Medio Oriente, e siamo fieri di poterci dire arabi provenienti dal deserto. Io lo dico con piacere e non mi crea problemi.

Allo stesso tempo siamo cristiani, e abbiamo una cultura, una cultura cristiana e una cultura occidentale, e possiamo e dobbiamo essere un elemento di moderazione, un fattore di riconciliazione, un fattore o un ponte tra i due popoli in conflitto. La questione è se la comunità internazionale ci accetta o ci considera in questo senso. Questa è la questione.

Troppo spesso veniamo dimenticati. Si prendono decisioni sul Medio Oriente spesso senza pensare a questa piccola minoranza cristiana nell'area. E spesso noi paghiamo il prezzo delle loro decisioni perché nessuno considera la nostra presenza, stretta tra la maggioranza musulmana e la maggioranza israeliana.

Se potesse fare un appello ai cattolici, cosa chiederebbe per i cristiani in Terra Santa?
 
Mons. Twal: È semplice: un appello alle tre grandi "P".

Preghiera: chiediamo alla Chiesa in tutto il mondo, alle comunità, ai sacerdoti e ai fedeli, di pregare per la pace in Terra Santa, perché noi continuiamo a credere nella forza della preghiera. Il Signore ha detto: vi do la mia pace. La pace che il mondo e i politici non possono dare, o che forse non vogliono dare. Quella solo lui ce la dà. Questa pace significa serenità, fede, amore e rispetto per tutti. Dunque la prima "P" è la preghiera.

La seconda "P" sta per Progetto: che sia avviato qualche progetto sociale, religioso o culturale. Si possono adottare le scuole, i seminaristi o il Patriarcato. Si può e si deve fornire aiuto.

E l'ultima "P" è quella della Pressione sui governi perché sia fatta pace. Abbiamo bisogno di questo, più di qualsiasi altra cosa. Abbiamo bisogno di pace; di una "road map" che conduca ad eliminare i posti di blocco e il muro, e a vivere in pace con tutti.

Vogliamo dire con chiarezza a tutti che con le armi, i muri e i posti di blocco, non ci sarà pace e non ci sarà sicurezza. La pace e la sicurezza, o lo sono per tutti, o non ci potranno essere per nessuno. Nessun popolo, né gli israeliani, né i palestinesi, possono avere una sicurezza o una pace unilaterale. Entrambi, o avranno pace e sicurezza, o continueranno ad uccidersi a vicenda in una spirale di violenza che non avrà mai fine. E noi non vogliamo questo.

Vogliamo la pace e la sicurezza per tutti: ebrei, musulmani e cristiani.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

www.acs-italia.glauco.it
S_Daniele
00lunedì 8 marzo 2010 22:11
Lettera della Congregazione per le Chiese Orientali in occasione della tradizionale colletta

Sostegno di tutta la Chiesa ai cristiani di Terra Santa


In occasione dell'annuale Colletta per la Terra Santa, la Congregazione per le Chiese Orientali ha indirizzato in questo tempo di Quaresima una lettera ai vescovi di tutto il mondo. Il documento - firmato dal cardinale prefetto Leonardo Sandri e dall'arcivescovo segretario Cyril Vasil' - raccomanda il sostegno della Chiesa universale ai cristiani d'Oriente, che portano la responsabilità di custodire i luoghi delle origini della nostra fede.

Eccellenza Reverendissima,
Con la preparazione alla Pasqua del Signore torna l'appello ai Pastori della Chiesa Universale affinché sostengano la Terra Santa, offrendo la preghiera, la partecipazione vigilante e la concretezza della generosità.
 Nel "noi" della Chiesa trova motivazione la sensibilità per le necessità della Chiesa di Gerusalemme e del Medio Oriente. Sensibilità che si fa soccorso, come quello inviato ai fratelli della Giudea (At 11, 29-30); ricordo, come l'invito di San Paolo nella lettera ai Galati (2, 10), e colletta, che risponde a precise indicazioni pratiche (1 Cor 16, 1-6) ed è definita grazia di prendere parte al servizio a favore dei santi (2 Cor 8-9 e Rm 15).
Il nostro appello quest'anno trae ispirazione dal pellegrinaggio compiuto "sulle orme storiche di Gesù" dal Santo Padre Benedetto XVI nel maggio scorso.
Ho avuto l'onore di accompagnarLo e di condividere l'ansia pastorale, ecumenica e interreligiosa che ne hanno animato le parole e i gesti.
Insieme alla comunità ecclesiale di Israele e Palestina ho ascoltato "una voce" di fraternità e di pace.
Sottolineando fortemente il problema incessante dell'emigrazione, Sua Santità ha ricordato che "nella Terra Santa c'è posto per tutti"! Ed ha esortato le autorità a sostenere la presenza cristiana, ma nel contempo ha assicurato ai cristiani di quella Terra la solidarietà della Chiesa.
Nella Santa Messa a Betlemme, Egli ha poi incoraggiato i battezzati ad essere "un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell'edificare una cultura di pace che superi l'attuale stallo della paura, dell'aggressione e della frustrazione", perché le Chiese locali siano "laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica".
L'anno sacerdotale impegna a favore dei Luoghi Santi, insieme ai rispettivi Vescovi, i carissimi presbiteri e seminaristi di tutta la Chiesa. Torniamo, perciò, col cuore al Cenacolo di Gerusalemme, dove il Maestro e Signore "ci amò sino alla fine"; a quel luogo dove gli Apostoli con la Santa Madre del Crocifisso Risorto vissero la prima Pentecoste. Crediamo fermamente nel "fuoco mai spento" dello Spirito Santo, che il Vivente effonde in abbondanza. E prodighiamoci instancabilmente per garantire un futuro ai cristiani là dove apparvero "la benignità e l'umanità" del Nostro Dio e Padre.
Il Papa ha affidato alla Congregazione per le Chiese Orientali il compito di tenere vivo l'interesse per quella Terra benedetta. A Suo nome esorto tutti a confermare la solidarietà finora mostrata. I cristiani d'Oriente portano, infatti, una responsabilità che spetta alla Chiesa universale, quella cioè di custodire le "origini cristiane", i luoghi e le persone che ne sono il segno, perché quelle origini siano sempre il riferimento della missione cristiana, la misura del futuro ecclesiale e la sua sicurezza. Essi meritano, pertanto, l'appoggio di tutta la Chiesa.
Unisco un documento informativo, che illustra le opere compiute dalla Custodia di Terra Santa con la Colletta 2009 (ne sintetizziamo a parte i contenuti n.d.r.). E ricordo che diversi interventi vengono realizzati dal Patriarcato Latino di Gerusalemme e dalle Chiese Orientali Cattoliche in Israele e Palestina sempre grazie all'annuale Colletta.
Prego il Signore perché sia largo nella ricompensa verso quanti amano la Terra che Gli diede i natali:  essa deve rimanere, grazie alla "Chiesa viva e giovane" che vi opera, la testimone nei secoli delle grandi opere della salvezza.
In comunione con i pastori e i cristiani di Terra Santa, auguro una Pasqua colma delle benedizioni divine.


(©L'Osservatore Romano - 8-9 marzo 2010)
S_Daniele
00giovedì 11 marzo 2010 10:15
La Chiesa esorta a "garantire un futuro" ai cristiani di Terra Santa
Lettera in occasione della Colletta "pro Terra Sancta"
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).-

"Garantire un futuro ai cristiani là dove apparvero la benignità e l'umanità del Nostro Dio e Padre" è l'invito che la Chiesa rivolge in occasione della Colletta "pro Terra Sancta", esortando a prodigarsi "instancabilmente" a questo scopo.

Ogni anno, all'inizio della Quaresima, la Congregazione per le Chiese Orientali invia a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica una lettera circolare sulla Colletta, che nella maggior parte delle Diocesi ha luogo il Venerdì Santo.

Nel testo di quest'anno, firmato dal Prefetto della Congregazione, il Cardinale Leonardo Sandri, e dall'Arcivescovo segretario, Cyril Vasil', S.I., si chiede di mostrare "sensibilità per le necessità della Chiesa di Gerusalemme e del Medio Oriente": "sensibilità che si fa soccorso, come quello inviato ai fratelli della Giudea (At 11,29-30); ricordo, come l'invito di San Paolo nella lettera ai Galati (2,10), e colletta, che risponde a precise indicazioni pratiche (1 Cor 16,1-6) ed è definita grazia di prendere parte al servizio a favore dei santi (2 Cor 8-9 e Rm 15)".

L'appello, ricorda il Cardinale Sandri, trae questa volta ispirazione dal pellegrinaggio compiuto da Benedetto XVI in Terra Santa nel maggio 2009.

"Ho avuto l'onore di accompagnarLo e di condividere l'ansia pastorale, ecumenica e interreligiosa che ne hanno animato le parole e i gesti - rileva il porporato - . Insieme alla comunità ecclesiale di Israele e Palestina ho ascoltato una voce di fraternità e di pace".

Nei suoi discorsi, sottolinea, il Papa ha menzionato "il problema incessante dell'emigrazione", osservando che "nella Terra Santa c'è posto per tutti" ed esortando le autorità "a sostenere la presenza cristiana", assicurando allo stesso tempo "ai cristiani di quella Terra la solidarietà della Chiesa".

Nell'omelia della Messa che ha celebrato a Betlemme, prosegue il Cardinale Sandri, il Pontefice ha poi incoraggiato i battezzati ad essere "un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell'edificare una cultura di pace che superi l'attuale stallo della paura, dell'aggressione e della frustrazione", perché le Chiese locali siano "laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica".

Nell'Anno Sacerdotale, la Lettera del Cardinale Sandri chiede di tornare "col cuore al Cenacolo di Gerusalemme, dove il Maestro e Signore 'ci amò sino alla fine'; a quel luogo dove gli Apostoli con la Santa Madre del Crocifisso Risorto vissero la prima Pentecoste".

"Crediamo fermamente nel 'fuoco mai spento' dello Spirito Santo, che il Vivente effonde in abbondanza".

Benedetto XVI, segnala, ha affidato alla Congregazione per le Chiese Orientali "il compito di tenere vivo l'interesse per quella Terra benedetta".

A suo nome, esorta quindi "a confermare la solidarietà finora mostrata", perché i cristiani d'Oriente portano "una responsabilità che spetta alla Chiesa universale, quella cioè di custodire le 'origini cristiane', i luoghi e le persone che ne sono il segno, perché quelle origini siano sempre il riferimento della missione cristiana, la misura del futuro ecclesiale e la sua sicurezza".

"Essi meritano, pertanto, l'appoggio di tutta la Chiesa", conclude, pregando il Signore "perché sia largo nella ricompensa verso quanti amano la Terra che Gli diede i natali", che "deve rimanere, grazie alla 'Chiesa viva e giovane' che vi opera, la testimone nei secoli delle grandi opere della salvezza".

Scopo della Colletta "pro Terra Sancta" è quello di sensibilizzare i fedeli al valore della solidarietà verso le comunità e gli enti cattolici presenti in quella regione e promuovere ogni iniziativa e intervento in favore dei Luoghi Santi che conservano la memoria di Cristo.

La Congregazione per le Chiese Orientali riceve parte della Colletta "pro Terra Sancta" direttamente dalle Nunziature Apostoliche, e, secondo la percentuale stabilita dalle relative norme pontificie, concede quindi i sussidi ordinari e straordinari alle circoscrizioni ecclesiastiche, agli ordini religiosi e ad altre persone giuridiche ecclesiastiche in Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto e particolarmente in Israele e Palestina.

La Colletta è una tradizione che risale già ai tempi della Chiesa primitiva. Lo stesso Apostolo Paolo sollecitava infatti le comunità in Asia Minore a sostenere i confratelli a Gerusalemme.

Fu Papa Paolo V, poi, nel Breve "Coelestis Regis" del 22 gennaio 1618, a stabilirne per la prima volta la finalità, mentre Benedetto XIV la confermò con il Breve Apostolico "In supremo militantis Ecclesiae" del 7 gennaio 1746.

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