Il riposo che da’ la vita

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Cattolico_Romano
00domenica 19 luglio 2009 07:34
Il riposo che da’ la vita

XVI Domenica del Tempo Ordinario, 21 luglio 2009



ROMA, venerdì, 17 luglio 2009 (ZENIT.org).-

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e avevano insegnato. Ed egli disse loro: 'Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca egli vide una gran folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose” (Mc 6,30-34).

Marco fa rapidamente tornare gli apostoli inviati in missione la scorsa settimana dopo la conclusione del…“G8 della Vita”: “Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato”. Evidentemente, però, il mandato missionario di Gesù non è concluso qui, dal momento che esso si estende a tutti i tempi e tutti i confini della terra: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). In effetti, ovunque nello spazio e nel tempo venga concepito un uomo, il suo Padre Creatore è impegnato a realizzare in lui lo scopo stesso dell’Incarnazione (“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”- Gv 10,10) mediante lo Spirito del Signore risorto, che in mille occasioni e con ogni suggerimento interiore andrà in cerca di lui, per fargli conoscere ed accogliere il Vangelo della vita.

Un Vangelo che è anche annuncio di una verità che in questo tempo di vacanze riguarda milioni di italiani: la verità del nostro riposo. Vediamo oggi, infatti, che il Signore si preoccupa di far riposare i suoi: “Venite in disparte, voi soli, e riposatevi un po’”. Il progetto, tuttavia, non ha buon esito, poiché la folla, implacabile, si fa trovare proprio nel luogo...della vacanza: “Molti accorsero là e li precedettero”.

Alquanto dispiaciuti per gli apostoli, ci domandiamo: era così difficile prevedere questo “blitz” della folla? Perché Gesù non ha voluto concedere il riposo promesso ai suoi esausti amici? Evidentemente qui c’è un messaggio per noi, e credo che esso vada proprio al cuore estivo delle nostre vacanze. In poche parole: è troppo poco che il riposo consista solamente in qualche ora, giorno o settimana di relax psico-fisico, al mare o ai monti, lontano dal lavoro e da casa, finalmente immersi nel clima di una natura amica, interamente a nostra disposizione.

Tutto ciò è giusto e legittimo, ma non è possibile accontentarsi di un riposo (come quello che oggi sfuma davanti agli apostoli) così incerto, fragile ed effimero, tanto da essere facilmente compromesso da qualsivoglia imprevisto e contrarietà, o comunque da limitarsi al breve periodo delle ferie estive! Ciò rischia di trasformare il riposo in una sorta di continua competizione, per difenderlo dall’interferenza di qualsiasi genere di stress. E se pure si riesce nell’impresa di un tale faticoso riposo, non si torna a casa realmente e durevolmente ristorati, poiché le energie della persona non hanno la loro fonte più importante nella struttura biologica del corpo, ma nella sua struttura spirituale, in quelle radici dell’essere dove dimora Dio, con la sua gioia e la sua pace, preziosissime ed insostituibili risorse del vivere quotidiano.

Il vero riposo della persona, di ogni persona, è e deve essere qualcosa di permanente, stabile come uno scoglio contro le onde, un riposo che non consiste necessariamente nella mancanza di attività, ma nella pienezza della vita, cioè nel possesso di quell’abbondanza di gioia la cui sorgente inesauribile sta dentro di noi, come rivela Gesù alla donna di Samaria, figura di ogni persona assetata di tale vitale, profondo e totale riposo: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,13-14).

Diciamolo con il linguaggio delle ferie: chiunque se ne va in vacanza per riposare il corpo senza preoccuparsi di dissetare l’anima, tornando poi a casa si troverà al punto di partenza; ma chi approfitterà del tempo libero per ascoltare ed incontrare il Dio della vita, Luogo vivente del vero riposo che è Cristo, tornerà ristorato e rinnovato, ed avrà trovato la chiave quotidiana per continuare ad esserlo anche nel corso faticoso dell’anno.

Lo afferma oggi anche Paolo con queste parole: “Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,14). Il vero riposo è dato al nostro cuore ogni volta che è abbattuto in esso il muro spesso e profondo dell’inimicizia con Dio, un muro che nei casi più gravi ci separa da Lui come la morte separa l’anima dal corpo, ma che può essere facilmente abbattuto, se solo ci decidiamo ad assicurare all’anima nostra il necessario riposo quotidiano della Parola, della preghiera e dei sacramenti. A questo genere di inimicizia interiore attiene la non accoglienza deliberata e consapevole della vita umana, propria ed altrui, sia che si tratti della vita appena spuntata come aurora gioiosa nel grembo, sia della vita costretta ad un lungo, penoso tramonto in un letto, per altro non meno luminosa della prima e di tutte le altre davanti a Dio e al mondo intero. E’ un muro che la mentalità laicista vorrebbe negare in nome di una falsa ed ipocrita idea di libertà di coscienza, mentre è proprio questa, con la voce insopprimibile che sale dalla natura umana, che continua a segnalarlo e a volerlo abbattere, per restituire l’uomo alla sua vera libertà nella verità.

Tale voce è il richiamo salutare del rimorso, che non di rado è misconosciuto e falsificato sotto la semplice diagnosi (“sindrome ansioso-depressiva”) dei suoi sintomi e delle conseguenze psichiche del tentativo prolungato di sopprimerla, sofferenza, questa, che nessun farmaco o terapia psicoanalitica potrà mai risolvere indipendentemente dal sacramento della riconciliazione sacramentale. Infatti sarebbe come voler curare lo schiacciamento di una gamba senza rimuovere il macigno che le sta sopra. Dove non c’è riconciliazione con Dio, dove non c’è apertura al suo amore che abbraccia e perdona, là manca e mancherà comunque il vero, totale, pacificante riposo del cuore.

Non a caso, anche oggi, fra i molti esempi di inimicizia mortale operata dal peccato, porto quello relativo al mancato rispetto per la vita umana. Il suggerimento mi è venuto dal Vangelo di Marco. Il suo racconto, al punto in cui lo abbiamo lasciato domenica scorsa, non prosegue direttamente con il Vangelo di oggi, ma ci presenta, in maniera dettagliata ed apparentemente slegata, il fatto drammatico dell’uccisione di Giovanni Battista da parte del re Erode. Come interpretare questo inciso anomalo?

Faccio osservare che il nome di Erode, pur non essendo la stessa persona, evoca colui che, trent’anni prima, voleva uccidere il bambino Gesù per mezzo di una congiura nella quale morirono molti innocenti a Betlemme. Congiura davvero mortale anche per ognuno di noi, perché se fosse stata tolta allora la vita alla “VITA”, l’intero genere umano sarebbe rimasto nella morte del peccato, e l’invidia del diavolo avrebbe trionfato sulla Misericordia del Padre. Tutto ciò è quanto mai attuale anche in questo tempo di vacanza, come suggerisce implicitamente Benedetto XVI nella sua recente Enciclica: L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società si avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche le altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (“Caritas in veritate”, n. 29).

Le energie mancanti sono quelle che non salgono più dall’intimo dell’essere umano, quando il peccato ne tiene chiusa la fonte divina racchiusa nel sacrario della nostra coscienza.
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