Importanti nuove nomine nei dicasteri della S. Sede. Te Deum!

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
S_Daniele
00giovedì 1 luglio 2010 17:29

Importanti nuove nomine nei dicasteri della S. Sede. Te Deum!

E' ufficiale!
Il Bollettino della Sala Stampa Santa Sede di oggi, 30 giugno 2010, rubrica "Rinunce e Nomine", ne dà [lieta] comunicazione:
.
1) "Il Santo Padre ha [finalmente] accolto la [mai tanto attesa e mai troppo tardiva] rinuncia presentata, per raggiunti limiti d’età, dall’Em.mo Card. Giovanni Battista Re agli incarichi di Prefetto della Congregazione per i Vescovi e di Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, ed ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi l’Em.mo Card. Marc Ouellet, finora Arcivescovo di Québec."
fonte: clicca.
.
Si veda LINK per alcune note biografiche sul prelato, e un commento di Tornielli di due settimane fa circa, con cui preannuciava il cambio della dirigenza ad una delle Congregazioni che risulta essere di vitale (e cruciale) importanza per il rinnovamento (pratico e concreto) della Chiesa Universale, anche, a nostro parere, dal punto di vista della Liturgia, come da tempo abbiamo avuto a dire.
.
*
.
2) "Il Papa ha nominato Presidente dell’annunciato Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione S.E. Mons. Salvatore Fisichella, Arcivescovo titolare di Voghenza."
Anche a Mons. Fisichella spetta un incarico tanto importante quanto impegnativo per le sfide e le implicazioni che presenta e comporta.
.
Entrambi i nominati sono al vertice di due importantissime strutture che si prestano anch'esse, per autorità e competenza, ad avviare nella pratica ed attuare finalmente (mediante scelte e nomine concrete e decisive) quella "Riforma della Riforma" (non solo Liturgica, ma anche Teologica e Dottrinale, in collaborazione con le Congregazioni che se ne occupano dal punto di vista più "teorico") della Chiesa, tanto teorizzata, difesa, propugnata, attesa, auspicata e iniziata dal Papa.
Siamo certi che anche queste due nomine rientrano nel disegno di attuazione della Riforma programmatica del Santo Padre!!
.
*
Monsignori, non rendete vane le attese che pone in Voi il Santo Padre! Aiutatelo e siategli fedeli!
Per parafrasare il Papa, lavorate con coraggio e coscienza per pulire la Chiesa dalla sporcizia e dal male interni ad essa! Fate fruttare i Vostri talenti a maggior gloria di Dio e della Chiesa! Buon lavoro ad enrambi, nella vigna del Signore! e grazie, sulla fiducia!

Messainlatino
S_Daniele
00giovedì 1 luglio 2010 17:30

Chi è 'sto cardinal Uellè?

Il card. Re è stato finalmente giubilato del suo ruolo di Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Chiudendo in bellezza, con alcune nomine aventi vis in silicem convertendi: pietrificanti. Ci riferiamo alla sistemazione dei due delfini di Danneels nei prestigiosi acquari di Bruges e Namur (quest'ultima l'unica diocesi belga ancora in qualche modo funzionante, l'altra reduce da cinque lustri di antistite pedofilo), senza dimenticare il nuovo vescovo di Alba, Lanzetti. Che, rispetto a Dho, non può che essere un miglioramento, perché anche al peggio c'è pur sempre fine, ma per unanimi informazioni raccolte da amici sardi, il Lanzetti, finora vescovo di Alghero, è feroce avversario del motu proprio e di tutto quel che gli si accompagna. Insomma: le edizioni paoline di Alba possono tirare un bel sospirone di sollievo.
Ma solleviamoci il morale pensando al futuro. Ossia all'incipiente Prefetto card. Ouellet, del quale siamo andati a scovare questa vecchia intervista apparsa su
30Giorni di novembre 2003. E' consolante leggere propositi ratzingeriani tenuti prima ancora che Ratzinger diventasse un 'ismo'.
Enrico


- Eminenza, lei è stato ordinato sacerdote nel maggio del 1968, un periodo piuttosto caldo... Cosa ricorda del clima di quell’epoca?
MARC OUELLET: Era un clima un po’ caotico. Ricordo bene che il giorno stesso della mia ordinazione, uno dei miei familiari più stretti mi disse: dovrai ripensarci, perché sembra che la Chiesa a cui stai per dare la tua vita sta crollando, non sembra avere futuro. E lo diceva seriamente, non per scherzo.

- E lei non rimase per nulla affascinato da quel clima “rivoluzionario”?
OUELLET: No. Anche se nella protesta degli studenti c’era qualcosa di profondo, che andava oltre la semplice protesta politica e sociale. C’era una ricerca di senso, una insoddisfazione globale di fronte alle strutture della società, anche quelle religiose... A questo riguardo devo dire che io avevo finito l’università ad aprile e quindi non avevo vissuto in presa diretta il maggio. Ricordo comunque che ad ottobre i seminaristi che frequentavano i campus presero parte in massa al movimento studentesco e per essere più credibili presso gli altri contestatori erano i più radicali nelle proteste. Il seminario venne chiuso per quindici giorni, dopodiché vennero riammessi solo coloro che si impegnavano a sottomettersi all’autorità dei superiori.

- Ordinato sacerdote, per due anni svolse la missione di viceparroco a Val d’Or…
OUELLET: Fu un tempo bellissimo. Il parroco aveva sessant’anni e lavoravamo bene insieme. Mi occupavo soprattutto della pastorale delle scuole e curavo il canto e la liturgia, che in quel momento viveva un momento particolarmente caotico...

- Torneremo sull’argomento. Iniziò poi l’attività accademica svolta in buona parte in America Latina. Anche lì trovò una situazione delicata...
OUELLET: Ho cominciato insegnando filosofia nel seminario di Bogotá nel 1970. In quel periodo c’era una forte crisi vocazionale. Non mancavano momenti di tensione e di protesta da parte dei seminaristi, ma la situazione era comunque sotto controllo...

- In quell’epoca poi cominciava a diffondersi la Teologia della liberazione.
OUELLET: In effetti il primo libro del teologo Gustavo Gutiérrez è proprio del 1971. Ma devo dire che la Colombia non fu particolarmente toccata dalla versione della Teologia della liberazione dipendente dall’ideologia marxista. Anche per l’intensa attività in senso contrario messa in campo dall’allora vescovo, oggi cardinale, Alfonso López Trujillo.

- La Teologia della liberazione ha avuto degli aspetti positivi?
OUELLET: Certamente sì. La Teologia della liberazione nasce dalla Parola di Dio: è stata una manifestazione dello Spirito nel senso che ha dato voce al grido dei poveri che chiede giustizia, che chiede aiuto e che si ispira alla Bibbia, in particolare all’Antico Testamento. La Teologia della liberazione poi lascia una eredità molto positiva, una manifestazione di vitalità, attraverso le comunità ecclesiali di base. Ciò che mancava alla Teologia della liberazione era una cristologia più profonda. Nella misura in cui c’era un influsso esagerato dell’analisi marxista della società, si tendeva a far retrocedere l’ispirazione evangelica verso l’Antico Testamento con, ad esempio, una interpretazione politica dell’Esodo. Nella Teologia della liberazione mancava la comprensione del fatto che Gesù non è un semplice martire di una causa, ma è il compimento della storia umana. Per questo gli interventi della Congregazione per la dottrina della fede sono stati molto utili. Anche Gutiérrez dopo questi interventi ha approfondito la dimensione spirituale della sua Teologia della liberazione.

- Nel 1982 all’Università Gregoriana lei ha difeso la sua tesi di laurea in teologia sull’opera di Hans Urs von Balthasar. Un breve ricordo personale del famoso teologo svizzero...
OUELLET: Lo contattai per la prima volta nel ’73. Stava cominciando la Teodrammatica, la seconda parte della sua Trilogia, aveva quasi settant’anni e pensava di non farcela. Ricordo che cercò di dissuadermi dal fare una tesi sulla sua teologia. Ma non ci riuscì. Mi affascinava la dimensione mistica e l’ampio respiro culturale della sua teologia, e mi concentrai su un tema caldo come quello dell’antropologia teologica. Da lì è nata una profonda amicizia che si è manifestata anche con un fitto scambio epistolare. Sono sempre rimasto colpito dalla rapidità con cui rispondeva, nonostante avesse molto da fare. Io non ci sono mai riuscito. Ciò che mi colpiva di lui era soprattutto il suo sguardo da aquila – il simbolo di san Giovanni è l’aquila –, la sua capacità di osservare tutto – Sacra Scrittura, tradizione, letteratura... – dal punto più alto, e quindi più profondo, possibile. Von Balthasar ha illuminato la mia mente e il mio cuore.

- Dopo aver insegnato nella Università Lateranense, ha avuto una breve ma intensa esperienza come segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani.
OUELLET: Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica è entrata in modo decisivo e irreversibile nel movimento ecumenico. E questo è un grande fatto pentecostale del nostro tempo, da valutare molto positivamente. Ma l’estraneità vissuta per mille anni con l’ortodossia e per cinquecento con le comunità nate dalla Riforma non si può ricucire velocemente. C’è bisogno di tempo. Credo che con questo pontificato [di Giovanni Paolo II] la Chiesa cattolica sia divenuta la forza motrice del movimento ecumenico...

- Non sempre con pieno successo...
OUELLET: Purtroppo le grandi attese suscitate dall’avvenimento di grazia dell’incontro tra Paolo VI e Atenagora, evento di enorme portata simbolica, non sono state soddisfatte. Da parte nostra non si vedono grandi ostacoli all’unità con l’ortodossia dal punto di vista dogmatico e sacramentale, anche se rimane il problema non secondario dell’unità della Chiesa cum Petro e sub Petro. Ma dal punto di vista ortodosso le cose non sono semplici: da parte loro c’è una sfiducia secolare, c’è il timore di una nostra invasione nei loro territori tradizionali, di un proselitismo cattolico. Talvolta mi chiedo se noi cattolici siamo sufficientemente attenti a questo fattore psicologico, culturale, storico, nei nostri metodi di dialogo e di avvicinamento.
La stagione è particolarmente difficile con l’ortodossia russa, e in questo caso bisogna esercitare la virtù della pazienza, ma bisogna riconoscere che si sono fatti passi in avanti enormi proprio in questi anni con la Grecia, la Bulgaria e la Serbia. In questo dialogo bisogna stare attenti ad evitare, quando i rapporti diventano tesi, di giocare – per così dire – “politicamente”, anche attraverso una guerra mediatica. Non è sano usare questi mezzi nei rapporti ecumenici.

- Lei faceva cenno ad un punto particolarmente delicato del dialogo ecumenico, quello relativo all’esercizio del primato petrino.
OUELLET: Il Papa con l’enciclica Ut unum sint ha aperto la strada alla discussione su questo argomento, invitando i fratelli separati ad esprimere il loro punto di vista sul modo in cui si potrebbe esercitare il primato in maniera più accettabile per loro. La consultazione è ancora in corso. C’è una apertura da parte della Sede di Pietro per ricevere suggerimenti e questo significa che c’è una disponibilità a cambiare qualcosa. Probabilmente possiamo assimilare di più il principio della sinodalità, molto sviluppato in Oriente. D’altra parte però il mondo ortodosso ha grandi difficoltà a coordinarsi al suo interno. Da trent’anni si parla di una riunione panortodossa ma finora non sono stati capaci di organizzarla: manca loro il principio petrino con la sua efficacia, mentre prevale il principio nazionale che blocca tutto per interessi di altro tipo.
Tutta la Chiesa quindi deve essere disponibile ad uno scambio di doni che va oltre il trovare, diciamo così, delle formule politiche. Per questo nella mia riflessione sul movimento ecumenico ho cercato di sviluppare il principio mariano.

- In che senso?
OUELLET: L’orientamento ecumenico è troppo incentrato sull’episcopato, sui rapporti tra collegialità e papato e non abbastanza sui fondamenti della fede e quindi sul ruolo di Maria, che – e in questo gli ortodossi ci sono molto vicini – è più profondo che non il ruolo di Pietro o dei vescovi. Servirebbe una riflessione sul principio mariano come la base dell’unità della Chiesa. Questo fatto, secondo me, non è stato ancora abbastanza approfondito nel dialogo ecumenico.

- Questo principio mariano non rischia forse di essere meno efficace nei confronti del mondo protestante?
OUELLET: Non direi. Dialogando con gli anglicani ho scoperto che nella loro tradizione liturgica mantengono delle feste mariane. Certo loro, a differenza nostra, non pregano, non invocano Maria, ma su altre questioni essenziali è stato fatto un testo comune sul mistero di Maria in Cristo e nella Chiesa che dovrebbe uscire prossimamente. Inoltre nel 1997 è stato fatto un documento piuttosto articolato dal Groupe des Dombes, in cui si arriva a concludere che Maria non è un fattore di divisione tra teologi riformati e cattolici. Quindi tra cattolici e ortodossi, ma anche tra cattolici e anglicani e tra cattolici e riformati ci sono dei punti in comune di grande importanza che potrebbero portare a sviluppi positivi. Partendo sempre, è bene ricordarlo, dalla Scrittura. Perché l’unità è possibile a partire dalla Rivelazione e dal modo in cui assieme possiamo accogliere la Rivelazione. E Maria è la figura chiave, biblica, per insegnarci ad accogliere la Parola.
A questo proposito devo confessare che nel mondo protestante, purtroppo, si parla con grande enfasi della Scrittura, ma non la si segue. Adesso siamo noi cattolici che riportiamo il dialogo alla base scritturistica. Quando ci sono divergenze in campo antropologico ed etico, ad esempio, noi puntiamo sulla Scrittura, loro, i protestanti, sono tentati di puntare sulla cultura.

- Quali sono le questioni prioritarie che la Chiesa si trova ad affrontare oggi?
OUELLET: La questione fondamentale è e deve sempre rimanere la missione. La prima questione è sempre quella di come annunciare il Vangelo al mondo che non lo ha ancora accolto. Ed è una questione troppo dimenticata, che non trova spazio sui mass media ma è la questione della Chiesa. Da questo punto di vista quello che è successo con la beatificazione di Madre Teresa è simbolico ed epocale. Nel senso che la piccola grande suora ha fondato le Missionarie della carità, non le suore della carità, e l’ha fatto in India. Ora queste missionarie, per la maggior parte indiane, sono dappertutto nel mondo, esercitano una carità radicale, gratuita, con i più poveri tra i poveri. Questo è il simbolo della missione per il terzo millennio. Paradossalmente è l’Asia, quindi, il continente meno cristiano, che ci viene incontro e ci evangelizza, ci ri-evangelizza...

- All’inizio dell’intervista faceva cenno al caos liturgico postconciliare. Ritiene sia necessaria una riforma della riforma liturgica?
OUELLET: Dopo il Concilio Vaticano II c’è stato un movimento progressista liturgico molto esagerato, che ha fatto sparire dei tesori della tradizione come ad esempio il canto gregoriano. Tesori che andrebbero recuperati. Ma soprattutto, come afferma il cardinale Joseph Ratzinger, deve essere recuperato il senso sacro della liturgia, la percezione che la liturgia non è una cosa nostra che noi fabbrichiamo, che possiamo ricomporre secondo i nostri gusti passeggeri, ma è qualcosa che si riceve, che ci viene donata. Quindi l’oggettività delle forme liturgiche ha la sua importanza. Credo che questi richiami del cardinale Ratzinger siano importanti. Credo che il Concilio Vaticano II abbia fatto una buona costituzione sulla sacra liturgia, la Sacrosanctum Concilium. Ma l’attuazione della riforma liturgica non è stata – sempre – all’altezza. Bisognerebbe tornare alla lettera della Sacrosanctum Concilium.

- Un altro tema caldo nel dibattito ecclesiale è quello della collegialità. Crede siano necessarie delle riforme su questo fronte?
OUELLET: Il dialogo ecumenico mi ha fatto riscoprire la ricchezza delle altre tradizioni. Noi latini abbiamo una vita ecclesiale più centralizzata. Il principio petrino è la nostra forza e non bisogna farne una debolezza. Nella tradizione ortodossa vige la sinodalità, mentre tra i protestanti la base dei laici è più coinvolta nella vita della comunità. Lo sviluppo della collegialità ha bisogno di aggiustamenti che facciano in qualche modo tesoro anche delle tradizioni dei nostri fratelli separati. Sento l’aspirazione ad una maggiore partecipazione dei vescovi diocesani nei rapporti con i dicasteri della Curia romana, sento che ci sono delle difficoltà in questi rapporti, dovuti ad atteggiamenti un po’ rigidi da ambedue le parti. È chiaro che bisogna escogitare qualcosa, ma non ho in mente una ricetta pronta da proporre, anche perché la mia esperienza nel collegio episcopale è ancora troppo fresca.
[..]

Messainlatino
S_Daniele
00venerdì 2 luglio 2010 15:32

Mons. Filoni sarà spedito a New York?

di Andrea Gagliarducci

Non c'è la nomina del sostituto del cardinal Ivan Dìas, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, tra quelle ufficializzate dalla Santa Sede ieri. Ma c'è, ed era praticamente certo, la nomina di monsignor Salvatore Fisichella a capo del nuovo dicastero dell'Evangelizzazione dell'Occidente; come era ormai scontata la nomina del cardinal Marc Ouellet, finora primate del Canada, alla Congregazione dei Vescovi; alla Pontificia Accademia per la Vita va, al posto di Fisichella, monsignor Ignacio Carrasco de Paula, della prelatura dell'Opus Dei, finora Cancelliere dell'Accademia. A sorpresa, nel pacchetto di nomine c'è anche quella a nunzio in Polonia di monsignor Celestino Migliore, che fino ad ora ha ricoperto il ruolo di osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Questa mattina, invece, dovrebbe essere ufficializza la nomina di Kurt Koch al Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, al posto del cardinal Walter Kasper. Tra le nomine - tutte ampiamente preannu
nciate - colpisce soprattutto quella che non c'è: Ivan Dìas resta al suo posto al dicastero di Propaganda Fide, almeno un altro po'. Il porporato indiano, spossato dai problemi di salute, ha chiesto più volte di essere sostituito. Ma Benedetto XVI, che ha fatto partire da lui l'operazione di rinnovamento della Curia, sembra non voglia privarsi di un collaboratore così valido. Specialmente in un momento così difficile per il dicastero, toccato dall'inchiesta Grandi Eventi nella quale è indagato anche Crescenzio Sepe, il predecessore di Dìas.

Sorprende anche la nomina di Celestino Migliore a nunzio in Polonia. Lascia vacante un posto importante, quello di osservatore permanente all'Onu: potrebbe andare a ricoprirlo monsignor Filoni [nella foto], numero due della Segreteria di Stato, da tempo in rotta con Bertone.

Con la nomina del nuovo nunzio in Polonia, in un colpo solo Benedetto XVI sostituisce i due «responsabili» del caso Wielgus: ordinato vescovo di Varsavia, si scoprì che aveva collaborato con i servizi segreti comunisti, e la sua nomina venne ritirata dopo tre giorni. Una leggerezza grave, della quale si possono ritenere corresponsabili il nunzio uscente di Polonia, mons. Jozef Kowalczyk (nominato ieri vescovo di Gniezno, così assumendo il titolo onorifico di primate di Polonia), e il cardinal Giovan Battista Re, finora a capo della Congregazione dei vescovi: il primo per aver proposto il nome di Wielgus nella terna di candidati, il secondo per non aver fatto ulteriori controlli.

Sono nomine che portano avanti la «rivoluzione gentile» di Benedetto XVI, impegnato in una lenta, ma inesorabile, ristrutturazione della Curia. Della quale entra a pieno titolo il nuovo dicastero per l'Evangelizzazione dell'Occidente: cucito come un abito su misura per monsignor Fisichella (che pare abbia scritto di suo pugno anche il Motu Proprio di indizione), risponde alla volontà del Papa di combattere l'eclissi di Dio specialmente nei Paesi tradizionalmente cattolici. Come il Canada del cardinal Ouellet: questi, da vescovo di Montreal, ha dovuto affrontare la «revolution tranquille», un'ondata di secolarizzazione senza precedenti che ha colpito il Canada. Un lavoro che ora è chiamato a trasferire nella scelta dei nuovi vescovi, in un dicastero chiave della macchina vaticana.


Fonte: Il Tempo 1° luglio 2010 via Papa Ratzinger blog.
S_Daniele
00venerdì 2 luglio 2010 15:33

Auf wiedersehen, Kardinal Kasper.


La stagione delle grandi nomine è nel pieno ed è stato ieri il turno del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, il dicastero che si occupa del 'dialogo' con le altre confessioni cristiane e con gli Ebrei (per le altre religioni, c'è il Pontificio Consiglio per il Dialogo inter-religioso).

I Pontifici Consigli sono enti di importanza minore rispetto alle Congregazioni; ma quello per l'Unità dei Cristiani è stato di fatto, e in parte è tuttora, uno dei 'ministeri' centrali della Curia romana degli ultimi decenni, vista l'importanza, ideologica ben prima che pratica, del 'dialogo ecumenico' nella scala di priorità ecclesiastica e nell'immagine mediatica che la Chiesa tiene a dare di se stessa.

E' finito il regno del cardinale Kasper, le cui dimissioni da presidente, per avere ampiamente superato la soglia d'età, sono state ieri accettate. Gli succede l'arcivescovo di Basilea, Kurt Koch (del quale promette abbastanza bene una sua
dichiarazione dell'anno scorso, in cui chiedeva ai suoi preti un po' di onestà visto che, se da un lato intimavano ai lefebvriani l'accettazione acritica del Concilio, dall'altro si guardavano bene dall'ubbidire a molti precetti di quello stesso Concilio; ad esempio sulla lingua latina).

Il cardinale Kasper, che è su posizioni assai progressiste, aveva avuto un pubblico scambio di opinioni dissenzienti con l'autore della famigerata (per gli ecumanìaci) dichiarazione Dominus Iesus, ossia l'allora cardinale Ratzinger. Il quale, da buon accademico, ama le garbate disputationes ed il franco scambio di argomenti: si è quindi ben accomodato, una volta eletto, a mantenere al suo posto l'ex contraddittore; anzi, a tenervelo ben oltre l'età pensionistica.

Al tempo stesso, però, l'ecumenismo è divenuto un tema talmente centrale (e talmente lubrico e scivoloso verso i pericoli della 'teologia delle religioni', dell'indifferentismo e del sincretismo) che Benedetto XVI, nei fatti, ha spesso e volentieri esautorato il povero Kasper, avocando a sé i fascicoli più importanti e relegando il cardinale all'ordinaria amministrazione degl'inconcludenti convenevoli interconfessionali. Così, quando ci fu l'ultima Lambeth Conference (la grande assise decennale degli anglicani) il buon Kasper fece il suo diligente discorsetto, ma il vero messaggio fu portato dal card. Dias, che in modo assai poco ecumenically correct accusò gli scioccati anglicani di alzheimer spirituale e di parkinson ecclesiale.

Ancor peggio avvenne con la decisione di accogliere i tradizionalisti anglicani: l'episodio ecumenico più importante dai tempi degli accordi con le chiese uniati orientali. Ebbene, fu reso impietosamente evidente quanto tutto questo si fosse svolto senza (per non dire contro) Kasper, allorché la presentazione del progetto di un ordinariato per gli anglicani avvenne senza nemmeno attendere il suo ritorno da un viaggio. Al Presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, che pur avrebbe dovuto avere la sua da dire su un progetto di... riunificazione con altri cristiani, fu lasciato il mero compito di consolare l'esterrefatto arcivescovo di Canterbury.

La verità è che tra Kasper e Ratzinger si giocano due visioni radicalmente differenti, anzi confliggenti, di ecumenismo. Per il primo, il concetto si riassume in una parola totem: dialogo. Come ha spiegato egli stesso nella conferenza stampa di commiato, lo scorso 25 giugno


per quanto fondamentali i vari documenti di dialogo non sono l’essenziale. Essi rimarrebbero infatti lettera morta se non trovassero riscontri nei rapporti personali, nei rapporti di rispetto, di stima, di fiducia e di amicizia. Laddove non esistono tali relazioni non può esistere neppure un dialogo proficuo che è sempre un dialogo della vita. L’ecumenismo non si fa alla scrivania. Dialogo è vita. Dialogo è parte integrante della vita della Chiesa. [..] una solida rete di rapporti umani con cristiani che, sono sicuro, potrà resistere anche a eventi meno favorevoli e sono una base sicura per ulteriori passi in avanti. Questa è la vera novità ecumenica

Dietro questa concezione un pochino da cocktail party, riposa il concetto che il dialogo serva a conoscere meglio e stimare non soltanto le persone, ma anche le fedi, accettandole per come sono, e rinunziando al proselitismo nei confronti dei loro affiliati; gesto, quest'ultimo, che sarebbe quanto mai screanzato, quasi come sottrarre all'altro ospite il cappotto lasciato al vestiario del party. Lo slogan che guida questo tipo di dialogo è pur sempre quello di guardare ciò che ci unisce, non ciò che divide, secondo la formula fortunata coniata da Giovanni XXIII. I'm good, you're good, everybody's good!

Ma questa ipostatizzazione del dialogo eleva al rango di fine quanto dovrebb'essere soltanto un mezzo, giacché il fine è diverso, è quello iscritto nel Vangelo: ut unum sint. Non: ut dialogent. Ed essere uniti implica la necessità di superare le attuali divergenze, non fingere ipocritamente che le divergenze non esistano o siano senza importanza, restando tutti come si è.

Ratzinger ha precisamente questa visione ben più concreta e sa lucidamente quel che qualsiasi mediatore, qualsiasi avvocato, qualsiasi negoziatore conosce per istinto; ossia che la formula giovannea è, absit iniuria, una fesseria, se il dialogo deve servire a qualcosa. Per cercare un accordo, per comprendersi meglio, per dirimere le controversie, si lascia completamente da parte quello che ci unisce: sui punti già condivisi, a che pro perdere tempo? Sarebbe roba da teatro dell'assurdo: nella Cantatrice Calva di Ionescu, un uomo e una donna sul treno, tra frasi fatte e convenevoli, scoprono di abitare nella stessa città, di avere lo stesso numero di figli, di essersi sposati lo stesso anno, di avere mille cose in comune, su cui soffermarsi. Quelle coïncidence! Scopriranno alfine di essere marito e moglie.

Si deve guardare, dunque, ciò che ci divide, non quanto ci unisce; ci si concentri sugli aspetti problematici e disputati: son quelli che si devono studiare e approfondire e, per farlo, occorre che ciascuno preliminarmente sia molto netto nel definire la propria posizione. La chiarezza su se stessi e sui propri obbiettivi è lo strumento chiave di ogni proficua interrelazione.

Il Papa lo sa, e lo sta mettendo in atto con risultati spettacolari: pensiamo agli anglocattolici e agli ortodossi. Ma perfino con i musulmani ha ottenuto esiti che parevano insperati nell'era dei baci al Corano: questo perché la chiarezza su di sé implica anche porsi obbiettivi magari limitati, ma ragionevoli e, quindi, condivisibili dagli altri.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:13.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com