In Africa le nuove sementi porteranno a una vita migliore?

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S_Daniele
00sabato 17 ottobre 2009 07:34
In Africa le nuove sementi porteranno a una vita migliore?

Gli alimenti geneticamente modificati, questione chiave per il continente



di Robert Moynihan*



WASHINGTON, D.C., venerdì, 16 ottobre 2009 (ZENIT.org).-
 
La questione delle sementi geneticamente modificate non è in sé una questione religiosa – sicuramente non è una questione di fede.
E' tuttavia quasi un argomento religioso perché si intreccia con questioni di giustizia fondamentale – e di fondamentale senso comune – che rivestono un'importanza decisiva per i cattolici, così come per tutti gli uomini di buona volontà.

E' per questo che il documento preparatorio del Sinodo per l'Africa, in svolgimento a Roma, parla tra molte altre questioni anche delle sementi geneticamente modificate, ed è per questo che negli ultimi anni il Vaticano stesso ha studiato da vicino – con molta cautela – la questione relativa agli OGM.

Una volta ho viaggiato per due mesi nell'Africa occidentale, da Algeri ad Abidjan.

L'Africa, per me, è un luogo vivace, un luogo di vita – anche nell'aridità del Sahara. Sto quindi dalla parte di coloro che auspicano che la vita in Africa sia vissuta in modo più abbondante, che cessino le guerre tribali e il continente trovi la propria strada per il futuro.

Quando ero in Africa, ho incontrato un bambino, forse di tre anni, con un taglio su un tallone. Raccoglieva gli avanzi di una carota che stavo raschiando perché era sporca e non avevo acqua per lavarla, e se li metteva subito in bocca. Il suo taglio non era fasciato. La ferita era piena di sporco e dai lati usciva un po' di pus bianco.

Abbiamo trovato dell'acqua e ho lavato la ferita. Lo sporco e il pus se ne sono andati, e ho coperto il taglio con un cerotto che avevo con me. La ferita si è rimarginata.

A volte le cose essenziali sono molto semplici: un cerotto o tubi per l'acqua. O forse sementi migliorate.Ma gli OGM sono davvero migliori?

Pro e contro

“In un continente, alcune parti del quale vivono in situazioni di conflitto e di morte, la Chiesa deve spargere semi di vita: iniziative che generano vita”, ha affermato il Cardinale Peter Turkson aprendo la seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi.

Chiunque, credo, sarebbe d'accordo sul fatto che produrre migliori raccolti sarebbe una cosa positiva, ma molti Vescovi africani temono che gli OGM possano rendere gli agricoltori africani economicamente dipendenti dalle compagnie multinazionali che producono i nuovi semi.

Temono anche che queste nuove sementi, destinate a resistere a certe malattie, possano non essere buone come si promette, visto che nascono altre malattie che attaccano le piante e che gli effetti a lungo termine delle piante modificate sulla salute umana restano ignote.Con alcune di queste sementi c'è un problema fondamentale: sono sterili.

Ciò vuol dire che la pianta cresce, il frutto viene prodotto – sia esso grano o riso o soia –, ma il grano, il riso o la soia non sono fertili, per cui il seme non può essere messo da parte e utilizzato per il raccolto dell'anno successivo, perché non crescerà.Le nuove sementi devono essere acquistate dalle compagnie produttrici ogni anno.

Molti dei Vescovi africani ritengono che questo sia un problema.E non hanno tutti i torti, è un problema. Per migliaia di anni, gli agricoltori hanno messo da parte i semi per la semina successiva, ma questo ciclo sarebbe interrotto dalle nuove tecnologie.

L'agricoltore perderebbe la capacità di essere autosufficiente, anche se solo a livello di sussistenza, e diventerebbe del tutto dipendente dalla compagnia che vende le sementi.

L'Instrumentum laboris del Sinodo dei Vescovi afferma: “La campagna di semina di organismi geneticamente modificati (OGM), che pretende di assicurare la sicurezza alimentare, non deve far ignorare i veri problemi degli agricoltori: la mancanza di terra arabile, di acqua ed energia, di accesso al credito, di formazione agricola, di mercati locali, infrastrutture stradali, ecc. Questa tecnica rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali rendendoli dipendenti dalle società produttrici di OGM. [...] I Padri sinodali possono restare insensibili a questi problemi che pesano sulle spalle dei contadini?”.

Fame

Ad ogni modo, proprio mentre i Vescovi africani esprimono le loro preoccupazioni su queste nuove sementi, alcuni officiali vaticani suggeriscono che i semi possono essere un buon modo per migliorare i prodotti delle fattorie africane, aiutando ad evitare la fame in futuro.

Migliorare l'agricoltura è la chiave per il miglioramento della vita degli africani, e per raggiungere questo obiettivo devono essere presi in considerazione tutti i mezzi, inclusi gli OGM, hanno detto gli oratori a un simposio svoltosi a Roma il 24 settembre sul tema “Per una Rivoluzione verde in Africa”.Agricoltori del Sudafrica e del Burkina Faso hanno testimoniato i miglioramenti nelle coltivazioni e nella loro vita da quando hanno introdotto gli organismi geneticamente modificati.

L'Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, ex segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (è stato appena nominato Vescovo della Diocesi di Trieste e quindi non è più un officiale vaticano), ha detto che il sottosviluppo e la fame in Africa sono in gran parte causati “dall’arretratezza e inadeguatezza delle tecniche agricole utilizzate”, e che devono essere rese disponibili le nuove tecnologie che possono “stimolare e sostenere gli agricoltori africani”, incluse “sementi opportunamente migliorate tramite tecniche che intervengono sul loro patrimonio genetico”.

Una valida spiegazione è stata fornita da padre Gonzalo Miranda, docente di Bioetica presso l'Ateneo Pontificia “Regina Apostolorum” di Roma, che ha promosso il simposio. Il sacerdote ha affermato a sostegno delle nuove biotecnologie che “se i dati mostrano che la biotecnologia può offrire grandi vantaggi per lo sviluppo dell'Africa, è un dovere morale permettere a questi Paesi di fare le proprie sperimentazioni”.La frase chiave però è “se i dati mostrano”.

E' qui che risiede il vero problema. Perché i dati non sono ancora chiari.

In effetti, ci sono molti dati che suggeriscono l'esistenza di problemi con le nuove sementi: possono richiedere più acqua dei vecchi semi; costano di più di quelli vecchi, portando il piccolo agricoltore a indebitarsi; molti sono sterili, il che significa che ogni anno devono essere comprati nuovi semi.Questi aspetti negativi sono stati notati in un articolo del 1° maggio 2009 apparso su “L'Osservatore Romano” e a firma di Francesco M. Valiante, che scrive regolarmente per il quotidiano vaticano, e sono stati sottolineati dall'Arcivescovo del Camerun George Nkuo in un'interessante intervista concessa al giornalista americano John Allen, Jr. pubblicata il 20 maggio scorso.

Nkuo ha partecipato a una “settimana di studio” svoltasi dal 15 al 19 maggio a Roma e promossa dalla Pontificia Accademia delle Scienze per studiare tutto il problema degli OGM. Era l'unico Vescovo africano, e uno dei pochi partecipanti a non essere uno scienziato.

Insicurezza


“Se questa tecnologia rende davvero una pianta più produttiva, se è accessibile ai poveri e non ci sono pericoli evidenti per la salute o l'ambiente, credo che non ci sia niente di sbagliato”, ha detto l'Arcivescovo dopo l'incontro.
Il presule ha comunque aggiunto di non sapere se tutto questo – maggiore produttività, accessibilità ai poveri, assenza di effetti collaterali – sia proprio vero.

“Non lo so”, ha ammesso. “Il mio problema è questo. Non capisco come la scienza possa essere così confusa. Pensavo che ci dovessero essere prove oggettive, ma la scienza sembra essere in conflitto. Penso che la divergenza di opinioni sia strabiliante”.“I favorevoli agli OGM dicono che queste piante non creano danni all'ambiente e non minacciano la salute. Gli anti-OGM dicono che sono pericolose e ci sono problemi di sicurezza. Cosa devo credere?”.

Se la situazione è questa, se un Arcivescovo che ha trascorso una settimana a un recente incontro sugli OGM a Roma non sa ancora in cosa credere, allora la cosa più prudente è evitare i giudizi finché i fatti non saranno chiari.

Per questo, sembra che per il Sinodo dei Vescovi per l'Africa sia prudente e sensibile affermare nel documento finale che la salute e la vita delle popolazioni del continente è la cosa più importante, e che per migliorare la loro vita verranno abbracciati tutti i mezzi – a patto che i dati mostrino che c'è un vero miglioramento, e non un vicolo cieco.

Sulle sementi geneticamente modificate l'Africa non deve prendere decisioni affrettate di cui poi potrebbe pentirsi.


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* Robert Moynihan è fondatore ed editore del mensile “Inside the Vatican” e autore del libro “Let God's Light Shine Forth: the Spiritual Vision of Pope Benedict XVI” (2005, Doubleday). Il suo blog è consultabile all'indirizzo www.insidethevatican.com. Il suo indirizzo è: editor@insidethevatican.com.


[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]

S_Daniele
00sabato 17 ottobre 2009 07:36
Sementi migliorate per l’Africa, benedizione o maledizione?

Due biologi sottolineano il dovere morale di permettere gli OGM



di Piero Morandini e Ingo Potrykus*


venerdì, 16 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

C’è una diffusa paura nei mezzi di comunicazione, nel pubblico e anche tra i vescovi che le nuove varietà di sementi renderanno i coltivatori africani economicamente dipendenti dalle ditte sementiere. Questa possibilità si può verificare per i semi, ma anche per molti altri prodotti delle biotecnologie, così come per quelli di diverse altre tecnologie.

Molti prodotti sono al giorno d’oggi come delle “scatole nere”. La gente non riesce a capire cosa succeda lì dentro (provate a pensare a telefoni cellulari, TV, motori, etc.) e per questo hanno poca o nessuna capacità di ripararli o cambiarli in qualche modo. Per le tecnologie più antiche il problema è meno sentito. Prendete ad esempio una bicicletta: uno riesce a vedere le varie parti come i pedali, le ruote e la catena che fa da collegamento; si possono facilmente smontare e rimontare i freni e le ruote. In una parola, riusciamo a capire e a controllare meglio questa tecnologia, anche se uno deve ammettere che non sappiamo creare i suoi prodotti da noi stessi. Cose come i calcolatori e i semi sono molto più complicate da capire, e di conseguenza siamo meno capaci di crearle o anche solo alterarle.

Questa aumentata dipendenza da chi ci fornisce la tecnologia potrà anche non piacere, ma è una cosa irreversibile e pervasiva. E non deve essere considerata come negativa di per sé, visto che ci permette di trarre beneficio da tante tecnologie, anche se abbiamo poco controllo su di esse. Sarebbe quindi ingiusto esprimere preoccupazioni per la dipendenza solo per quanto riguarda i semi ed in particolare per i semi prodotti con i metodi delle moderne biotecnologie (comunemente detti geneticamente modificati o GM).

Il problema della sterilità

Uno dei miti che circolano da più di dieci anni su questi semi si è ripresentato recentemente in un articolo di ZENIT a firma di Robert Moynihan [1]. Il mito sostiene che i semi prodotti attraverso le moderne biotecnologie siano sterili. Questo è appunto un mito. Per prima cosa, tutti i metodi di miglioramento genetico creano e usano variabilità genetica per ottenere colture con caratteristiche migliorate (p. es. resistenza a patogeni o insetti, rese migliori, resistenza a condizioni avverse come scarsità o eccesso d’acqua o ancora resistenza a erbicidi) e per questo tutte le colture presentano profonde modificazioni genetiche.

Le nuove varietà migliorate con le biotecnologie moderne sono quindi meglio definite come colture geneticamente ingegnerizzate (GI o, in inglese, GE) poiché le modificazioni genetiche sono più precise e predicibili di quelle fatte in passato. Secondo e più importante punto, nessuna coltura GI commerciale è stata resa sterile per impedire ai contadini di riutilizzare i semi.

Terzo, molte colture, specialmente nei paesi più sviluppati, sono cresciute a partire da semi commerciali. I contadini comprano i semi per diverse, semplici ragioni. In alcuni casi è la biologia stessa della pianta che determina la scelta: molte colture (come mais, barbabietola, riso, girasole e la maggior parte degli ortaggi) sono tipicamente o spesso, a seconda della specie, cresciute come ibridi F1. Questo significa che i semi usati per la semina sono il risultato di un incrocio tra due genitori che sono simili (di solito due varietà della stessa specie) ma distinti per diversi caratteri come ad es. l’altezza o la resa. [2]Il risultato dell’incrocio è in genere una pianta vigorosa, spesso molto più vigorosa di entrambi i genitori, e le rese sono così aumentate di molto. L’esempio più eclatante è il mais, dove le rese possono aumentare anche 2-3 volte rispetto ai genitori non ibridi. Purtroppo il vigore dell’ibrido diminuisce rapidamente nelle generazioni successive.

Per questo motivo oltre il 99% del mais coltivato nei paesi sviluppati è mais ibrido la cui semente è ricomprata ogni anno dagli agricoltori. Potrebbero benissimo usare parte del raccolto per la semina dell’anno successivo, ma sanno che questo comporta un calo significativo nella resa.

Sono quindi capaci di calcolare la differenza tra le due scelte (ripiantare il seme raccolto o ricomprare nuove semente) e la grande maggioranza decide di ricomprare i semi. Per altre colture, la situazione è più diversificata: il riso e la colza sono solo in parte cresciuti come ibridi, mentre per soia e frumento questo accade molto raramente. Anche quando una coltura non è ibrida, gli agricoltori spesso comprano la semente perché sanno che la qualità del seme è importante. Ma produrre una buona semente è un duro lavoro. I semi devono essere puri (senza semi di erbacce, per esempio), devono germinare velocemente, in modo sincrono e con un’alta percentuale. Devono inoltre essere liberi da malattie (virus, batteri, funghi…) e insetti nocivi, avere una buona resa ed essere capaci di sopportare bene condizioni non ottimali come poca pioggia o caldo forte.

Se una partita di semi manca di una o di diverse di queste caratteristiche, allora il raccolto è a rischio. Per questo ci sono ditte il cui compito è produrre semi di alta qualità, così che sia la ditta sementiera che i contadini possono trarne beneficio. Produrre questi semi comporta delle spese e quindi i semi non possono semplicemente essere donati, altrimenti la ditta smette di esistere. Sta al contadino decidere se i semi valgono veramente il prezzo e se rendono veramente quanto costano. Spesso quindi gli agricoltori fanno piccole prove su nuove varietà per una o due stagioni di seguito prima di comprarne una grossa quantità per la semina. Vogliono prima verificare se la qualità superiore vantata dalla ditta corrisponda a verità. Quando una nuova varietà incontra il favore degli agricoltori, allora potete essere sicuri che è una buona varietà e che il prezzo è ragionevole. Gli agricoltori – i compratori del seme – sono quelli che decidono se un seme e la ditta che lo produce avranno successo.

Sicurezza

Un altro mito è che non ci sono ancora dati per decidere se le colture GI siano sicure per l’uomo o l’ambiente.

Dopo quasi 15 anni di coltivazione a scopo commerciale (e più di 25 anni di ricerca sulle colture GI), con un numero di piante coltivate che si aggira sui 200.000 miliardi su una superficie di quasi un miliardo di ettari, possiamo dire che fino ad oggi non ci sono stati danni maggiori rispetto a quelli causati dalle varietà convenzionali e spesso sono stati minori.

Diverse accademie nazionali ed internazionali (Stati Uniti, India, Brasile, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Cina, Messico, la Pontificia Accademia delle Scienze e l’Accademia del Terzo Mondo) hanno emesso dichiarazioni in favore di questa tecnologia. Esse hanno sottolineato in particolare i benefici ben documentati e quelli potenziali per i contadini poveri del mondo. Anche numerose società scientifiche e organizzazioni internazionali (WHO, FAO) (si veda [3] per una lista lunga ma incompleta) hanno esaminato la questione e sono arrivati alla conclusione che, sulla base della grande esperienza accumulata di migliaia di pubblicazioni scientifiche, le colture GI non presentano rischi nuovi o differenti rispetto alle varietà convenzionali e possono (e di fatto lo fanno) ridurre o alleviare alcuni degli impatti negativi dell’agricoltura convenzionale.

Il fatto che le piante GI non comportino nuovi rischi è illustrato con il seguente esempio. Ci sono diverse piante tolleranti agli erbicidi che sono state sviluppate con tecniche convenzionali meno precise e che sono state approvate per la coltivazione senza il lungo e costoso processo di richiesto per le piante GI. (Il processo include una valutazione del rischio e un processo d’analisi ben regolamentato che dura tra 5 e 10 anni con costi dell’ordine di oltre 10 milioni di dollari). Ebbene, queste varietà convenzionali (ad es. colza, girasole, riso o frumento) coltivate su milioni di ettari presentano gli stessi rischi, e, talvolta, la stessa modificazione genetica, delle piante GI tolleranti agli erbicidi.

Benefici

Insomma, i dati mostrano in modo evidente che le piante GI offrono grandi benefici. Li offrono oggi in tutto il mondo e in modo particolare per milioni di agricoltori nei paesi in via di sviluppo. Infatti la grande maggioranza (il 90% dei circa 13 milioni) degli agricoltori che usano piante GI sono contadini poveri dei paesi in via di sviluppo, alcuni dei quali in paesi africani come il Burkina Faso e il Sud Africa. [4] Questo dovrebbe essere materia di riflessione per coloro che spargono falsità tra gli africani sulle opzioni a loro disposizione per lo sviluppo agricolo. I lettori indecisi sono invitati a leggere il libro di Robert Paarlberg "Starved for Science."[5]

Alla luce di quanto detto finora crediamo fermamente che non solo ci sia “un obbligo morale nel permettere che questi paesi facciano la loro sperimentazione”, come suggerito da padre Gonzalo Miranda, professore di bioetica all’Università Pontificia “Regina Apostolorum”, ma anche nel fornire loro gli strumenti (l’educazione) per farlo.

Inoltre consideriamo un lusso inutile, e perciò stesso un peccato da parte dei paesi occidentali, richiedere una maniacale regolamentazione per questa tecnologia quando un’agricoltura africana in parte stagnante significa morte e malnutrizione per molti. La sicurezza alimentare per l’Africa inizia con il produrre più cibo. Ora.


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* Piero Morandini è ricercatore in Fisiologia vegetale e docente di Biotecnologie vegetali industriali all’Università di Milano. Ingo Potrykus è Presidente del comitato “Humanitarian Golden Rice” e professore emerito in Scienze vegetali dell’Istituto Svizzero Federale di Tecnologia.


[1] Robert Moynihan, “In Africa le nuove sementi porteranno a una vita migliore?” (cfr. ZENIT 16 ottobre 2009).
[2] http://www.isaaa.org/Kc/inforesources/publications/pocketk/Pocket_K_No._13.htm

[3] Lista di Accademie/società scientifiche/organizzazioni che supportano l’uso di piante GI: http://users.unimi.it/morandin/Sources-Academies-societies.doc

[4] http://www.isaaa.org/resources/publications/briefs/39/executivesummary/default.html

[5] Robert Paarlberg. "Starved for Science: How Biotechnology Is Being Kept Out of Africa," Harvard University Press, March 2008.
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