L'Avvento.. è attesa fuori dalla sala parto

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Cattolico_Romano
00sabato 29 novembre 2008 14:17

L'Avvento.. è attesa fuori dalla sala parto


I Domenica di Avvento/B -"Se Tu squarciassi i cieli e scendessi!" (Is 63,19)

di padre Angelo del Favero*


ROMA, venerdì, 28 novembre 2008 (ZENIT.org).- Ancora un mese e il parto della Vergine compirà questa speranza, grido dell’umanità e di ogni singolo uomo in ogni luogo e tempo della storia.

Nella “sala parto” della grotta di Betlemme si “squarceranno le acque” del suo purissimo grembo, e Maria darà alla luce Colui che è “Luce da Luce”, il Figlio di Dio divenuto uno di noi.

Sì, Egli è il “Dio-con noi” (Is 7,14) fin dal primo istante della nostra esistenza: “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”(Lc 1,31).

In realtà, perciò, già da nove mesi i Cieli si erano aperti sulla terra, da quando  Maria aveva risposto all’Angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto” (Lc 1,38). In quel momento, solo Gabriele fu testimone che “la vita” si era fatta finalmente “visibile” (1Gv 1,2) agli occhi umani, ed Egli “partì da Lei” (Lc 1,38) con il cuore colmo di quella “grande gioia” che nella notte di Natale “sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10).

“Tutto il popolo” è ognuno di noi, chiamati a vegliare in questo tempo di Avvento come stando fuori della sala parto, nell’attesa del “lieto evento” del Natale che si fa di giorno in giorno più vicino.

In cosa debba consistere tale vigilanza, lo dice oggi il profeta: “Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie” (Is 63,4). Cosa significano queste parole?

“Praticare la giustizia”, come Gesù stesso ha rivelato domenica scorsa, vuol dire: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere” (Mt 25,35s). Quanto alle Vie da ricordare, sappiamo dall’apostolo Paolo che  si riducono tutte ad una sola: “...e io vi mostrerò una via migliore di tutte….ma di tutte la più grande è l’amore!” (1Cor 12,31; 13,13).  Facendosi eco di questo grido, la piccola Teresa molti secoli dopo scrive: “Compresi che l’Amore racchiude tutte le vocazioni, che l’Amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola: che l’Amore è eterno!” (Storia di un’anima, manoscritto B, Santa Teresa di Gesù Bambino).

Se vogliamo trovare un luogo e un modello perfetto di un simile amore, sempre vigilante e pronto a dare la vita, del tutto simile all’Amore di Dio, lo troviamo inscritto nel cuore materno di ogni donna, come Dio stesso ha rivelato: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il frutto del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai” (Is 49,15). Giovanni Paolo II, quasi a sottolineare l’eccellenza femminile della somiglianza con Dio, ha scritto: “La maternità è legata con la struttura personale dell’essere donna e con la dimensione personale del dono” (L. Apostolica “Mulieris Dignitatem”, 1988, n°18).

Colui che veglia in questo modo concreto, tiene – per così dire – “caricata” la molla della Gioia insita nell’amore, e così permette alla Sorpresa in arrivo di sprigionarla subito nel suo cuore. Dice infatti: “Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte al canto del gallo o al mattino; fate in modo che giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati” (Mc 13,35-36).

Non a caso Marco indica qui quattro precisi momenti: essi hanno tutti a che fare, nei Vangeli, con la Gioia dell’incontro con Gesù. Vediamo:

“Alla sera”, ci ricorda la gioia dei discepoli di Emmaus: “Resta con noi perché si fa sera” (Lc 24,29).

“A mezzanotte”, fa pensare alle “vergini stolte” che per accidia “non presero con sé olio” e furono escluse dal banchetto nuziale privandosi così della gioia dello Sposo (Mt 25,1-13);

“Al canto del gallo”, fa venire in mente Pietro, al quale Gesù restituì la gioia perduta nel tradimento con il perdono;

“Al mattino”, indica il “big-bang” del mattino di Pasqua, quando la Gioia della Vita del Risorto ha avvolto per sempre  il mondo intero.

L’Avvento è di per sé un tempo di Gioia, gioia pre-natalizia, ma solo chi imita l’atteggiamento profondo di Maria nei confronti della Parola ne farà esperienza, un’esperienza “reale” come per una mistica gravidanza dell’anima.

Lo suggerisce Benedetto XVI con questo ritratto della Madre di Dio: “E così vediamo che Maria era, per così dire, 'a casa' nella Parola di Dio, viveva della Parola di Dio, era penetrata dalla Parola di Dio. Nella misura in cui parlava con le parole di Dio, pensava con le parole di Dio, i suoi pensieri erano i pensieri di Dio, le sue parole le parole di Dio. Era penetrata dalla luce divina e perciò era così splendida, così buona, così raggiante di amore e di bontà” (Omelia nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, 15/8/2005).  



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* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita all’ospedale Santa Chiara di Trento. E' diventato carmelitano nel 1984. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.




Cattolico_Romano
00sabato 6 dicembre 2008 10:57
La consolazione di Pollicino

La consolazione di Pollicino


II Domenica di Avvento/B

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 5 dicembre 2008 (ZENIT.org).- "Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio." (Mc 1,1).


La Parola di Dio è Dio in persona, e il Vangelo di Gesù è Gesù in persona. Perciò l'inizio del Vangelo di Gesù coincide con l'inizio della Sua esistenza terrena, l'istante del Suo concepimento nel grembo di Maria (Lc 1,31).

Tale evento , per Gesù come per ogni uomo, segna l'inizio del viaggio della vita. In questa soprannaturale "partenza" l'essere umano è piccolissimo, ma non invisibile: lo possiamo chiamare "Pollicino" (come nell'omonima fiaba) per cogliere meglio, mediante questo fantasioso nome di bimbo, il fatto che egli, pur se tanto piccolo, è un figlio già in relazione con la mamma. Quando dunque Pollicino inizia "il santo viaggio" della vita (Sal 84,6), tutto è già predisposto da Dio perché egli non sia solo, in questi primissimi passi del suo avventuroso e meraviglioso cammino. Infatti, egli procede lungo le vie del grembo mirabilmente guidato da precisi e continui messaggi biochimici da parte della mamma, ai quali risponde in sintonia perfetta finché giunge nel punto più adatto dell'endometrio (si chiama così la primissima culla di carne che nel frattempo ella va preparando per lui), e qui, come in un abbraccio che lo avvolge, si seppellisce in lei.

Ecco: è trascorsa solamente una settimana da quando Pollicino ha cominciato a vivere nel mondo (alquanto sorpreso ed incantato, ed anche un po' sperduto..), ma ora sa, per avvolgente, tenerissima certezza, di non essere solo.

Quale consolazione per lui!

Sì, se potesse ringraziare a voce alta il suo Creatore direbbe: "Sia benedetto Dio,..Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione!" (2 Cor 1,3).

Una consolazione che non consiste in lacrime asciugate da una mano pietosa, bensì, alla lettera, nella compagnia di un volto amico la cui accogliente presenza non solo abolisce l'angoscia della solitudine, ma restituisce la congenita gioia di vivere: "Non è bene che l'uomo sia solo" (Gen 2,18). Tale è per Pollicino il grembo materno (che è la sua mamma), e per tutta la vita, come per un'impronta esistenziale congenita, la sua persona ne sarà e vivrà il "memoriale", riconoscendo in tal modo che Dio lo ha fatto "a Sua immagine" (Gen 1,27).

Questo è, anzitutto, il lieto annuncio del Natale, questo è l'"Inizio del Vangelo di Gesù", il suo principio e fondamento, cioè: il nostro Dio è un Dio che consola: "Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò" (Is 66,13). Egli è per natura "Consolatore" (Gv 14,16), e lo è per "vocazione", per ciò stesso che "Egli ci ha fatto e noi siamo suoi" (Sal 100,3). Insomma, Dio è visceralmente nostra Madre!

Oggi la Sua Parola lo rivela anche per bocca di Isaia: "Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridate che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata.." (Is 40,1-2).

Ma continuiamo a leggere: "Ecco - dice il profeta, - il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio". Come intendere questa venuta alla luce della consolazione? Di quale potenza parla? E il dominio? Risponde: "conduce dolcemente le pecore madri" - (cioè le pecore allattanti, più deboli perché hanno appena partorito) - (Is 40,11). E Pietro: "Egli è magnanimo con voi, ..non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi"(2Pt 3,9).

Sì, come rivela il salmo: "La sua tenerezza si espande su tutte le creature" (Sal 145,9); su tutte e su ognuna, specialmente sulla creatura uomo, del quale Dio si prende cura sin dal primissimo istante della sua vita nel grembo, com'è vero che il Suo stesso dilettissimo Figlio è stato, nel grembo della Vergine all'istante del suo "sì", quest'uomo concepito.

Sulla base di tutto ciò, in questa seconda domenica d'Avvento siamo invitati a comprendere che la Storia Sacra (ogni uomo è una storia sacra!) è rivelazione della conversione progressiva della conoscenza umana da un Dio inteso come potenza a un Dio adorato come Amore. Al centro di questa evoluzione i profeti rivelano che Dio è giustizia, ma alla fine, facendosi uno di noi, Gesù rivela che "Dio è Amore" (1 Gv 4,8).

Questa è, in fondo, la storia di ciascuno di noi. Non dobbiamo forse continuamente convertirci alla certezza che Dio è soltanto Amore?

Talvolta si dice: Dio può tutto! Non è vero. Dio può soltanto ciò che l'amore può, perché Egli non è altro che Amore.

In Dio non esiste altra potenza all'infuori della potenza dell'amore. Un amore onnipotente è incapace di distruggere alcunché (perciò non ci devono impressionare oggi le parole di Pietro che scrive: "Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno, e la terra con tutte le sue opere sarà distrutta" - 2 Pt 3,10), ma è capace di arrivare fino alla morte, come l'amore di una mamma: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13). Gesù è venuto nel mondo per rivelarci l'onnipotenza dell'Amore, capace di prendersi cura di ognuno dei passeri del cielo come del cosmo intero, e lo ha fatto infine accettando di morire per noi. E' in questo senso che va inteso anche Giovanni Battista che annuncia: "Dopo di me viene uno che è più forte di me, io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo"(Mc 1,7).

E il battesimo "in Spirito Santo" altro non è che l'effusione dell'Amore onnipotente di Dio nel nostro povero cuore.

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* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita all'ospedale Santa Chiara di Trento. E' diventato carmelitano nel 1984. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.


Cattolico_Romano
00sabato 13 dicembre 2008 10:05

Giovanni il Battista, profeta "non nato"


III Domenica d’Avvento/B – 14 dicembre 2008

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 12 dicembre 2008 (ZENIT.org).- “Fratelli, gioite nel Signore sempre; ripeto, gioite, il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5).


L’antifona di ingresso della santa Messa di questa III Domenica d’Avvento dovrebbe risuonare dall’altare ogni domenica, anzi, in ogni quotidiana celebrazione eucaristica, che è “memoriale” (cioè evento che si rinnova) dell’attesa e della venuta del Signore “in mezzo a noi” (Gv 1,14).


Ma come può il “non ancora” essere “già” qui?

Ecco: è come in gravidanza! Si dice che la mamma “aspetta un bambino”, ma il bambino c’è già in lei, sin dal giorno del concepimento. La mamma attende solo il momento della nascita, perché il suo cuore dice da nove mesi: ”il mio bambino!...non vedo l’ora di vederlo!”. In quel giorno giungerà al culmine anche “la gravidanza” della sua gioia, perché ad avvolgere il bambino saranno finalmente le sue braccia.

E’ questo il modello della gioia cristiana, che Paolo annuncia ai Filippesi, come dono (“già”), e come compito (“non ancora”). Il “già” è: “siate sempre lieti!” (1 Ts 5,16), cioè: gioite! perché il grembo della vostra anima fin dal battesimo è “gravido” di Gesù, Figlio di Dio. E il “non ancora” è il compito che segue: “pregate ininterrottamente...rendete grazie in ogni cosa...non spegnete lo Spirito...astenetevi da ogni specie di male...”(5,17-22): consigli per il prosieguo felice della gravidanza spirituale, vigilando giorno e notte, perché questa gravidanza è davvero speciale e il Bambino, se vuole...può mostrarvi il Suo Volto da un momento all’altro (cfr. Sal 27,8).

Sì, la fede non è solamente credere alla verità teologica dell’inabitazione divina, non è nemmeno solo sentire l’anima “con il pancione” (quando nella preghiera si gusta la dolcezza della divina presenza): può essere anche il dono di un’ineffabile esperienza, quella dell’effusione amorosa dello Sposo-Bambino: “Baciami con i baci della tua bocca: le tue carezze sono migliori del vino!” (Ct 1,2).

Ma ora ci chiediamo: che genere di gioia è questa”gravidanza divina”, e come fare...per non abortire?

Sì, perchè: “Noi vogliamo far sì che il nostro cuore divenga lieto. Non allegro, che è qualcosa di completamente diverso. Essere allegri è un fatto esterno, rumoroso, e presto si dissolve. La gioia invece vive nell’intimo, silente, è profondamente radicata. Essa è sorella della serietà; dove è l’una è anche l’altra.

Qui si deve parlare di quella lieta gioia verso la quale è possibile aprirsi una strada. Ciascuno la può possedere, allo stesso titolo, qualunque sia la sua natura. Essa deve essere anche indipendente da ore buone o cattive, da giorni vigorosi o fiacchi. Noi vogliamo qui meditare sul come si può aprire ad essa la via. Non proviene dal denaro, da una vita comoda, o dal fatto d’esser riveriti dalla gente, anche se da tutto questo può essere influenzata.

La vera fonte della gioia è radicata più profondamente, cioè nel cuore stesso, nella sua più remota intimità. Ivi abita Dio e Dio stesso è la fonte della vera gioia (Romano Guardini, Lettere sull’autoformazione).

Da questa fonte, oggi, giungono a noi quattro canali poderosi: il primo, come si è visto, è Paolo; il secondo è il profeta Isaia; il terzo è la Madre di Gesù; e infine c’è Giovanni il Battista, più sorprendente di tutti.

L’apostolo è perentorio; per lui la gioia non è un semplice augurio o una esortazione: è un comandamento: “Gioite nel Signore, ripeto, gioite!” (Fil 4,4-5); “state sempre lieti!” (1 Ts 5,16).

Paolo non è un ingenuo; egli sa bene che vi sono i grandi nemici della gioia, e tra questi non è il dolore. Esso rende forti e profondi. Rende efficace la gioia stessa. Ma ve ne sono due che si devono sterminare: il malumore e la malinconia. Il malumore deriva dalle piccole seccature quotidiane. Da un cuore suscettibile, che se la prende sempre a male, che non sa ridere, scusare, lasciar correre. E’ come avere degli insetti nocivi nell’anima. Bisogna spazzarli via e proprio dal principio, appena si mostrano, subito. L’altro nemico è la malinconia. Una forza oscura che disgrega l’anima, se la lasciamo avanzare. Ma si può dominarla, credilo, si può! A una condizione, tuttavia; appena si mostra, andiamole contro, subito, senza seguire il suo gioco!” (Romano Guardini, opera citata).

Ed ecco il metodo pratico suggerito da Paolo: “In ogni cosa rendete grazie, questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Ts 5,16).

Non è cosa troppo difficile prendere l’abitudine di ringraziare Dio sempre, in ogni luogo e per ogni cosa; ed è tanto importante da costituire per noi una fonte di salvezza, come afferma il sacerdote in ogni prefazio della Messa. Ringraziare, infatti, anche nel dolore, equivale a credere (“La tua fede ti ha salvato” – Mc 10,52), come a dire: Signore, so che Tu volgerai in bene questa mia prova, perciò credo che Tu la vuoi e Ti ringrazio fin d’ora. Un simile atto, ripetuto ad ogni circostanza, diventa a poco a poco un “abito” permanente, capace di mantenere nell’anima il calore dell’amore e della gioia. Così, filo dopo filo, ognuno può cantare: “Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli” (Is 6,10).

Questa è l’esperienza di Isaia, fedele araldo della Parola di Dio, e ancor più quella di Maria, umile ancella del Signore, nella quale tale Parola si è fatta Carne sua.

Questa è anche la testimonianza di Giovanni il Battista, il più grande dei profeti secondo Gesù (Mt 11,11), e… il più piccolo, il profeta “non nato”. Perché lo possiamo definire così? E’ Giovanni stesso che sembra suggerirlo quando dice nel Vangelo di essere “Voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia” (Gv 1,23). Oltre ad Isaia, possiamo pensare qui all’incontro di Maria (incinta da pochi giorni) con la parente Elisabetta, (entrata già nel sesto mese di gravidanza - Lc 1,36). In tale circostanza il piccolo Giovanni, “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, sussultò di gioia nel grembo” (Lc 1,44).

Possiamo ritenere che se Maria non avesse portato in grembo Gesù, Giovanni non sarebbe sobbalzato di gioia all’udire la sua voce, giacché è stata la Presenza del Figlio di Dio a farlo esultare. Come ha potuto il Precursore riconoscere Gesù? Evidentemente attraverso la voce della Madre di Dio, il cui meraviglioso saluto giunse contemporaneamente alle orecchie di Elisabetta e a quelle del bambino in lei. La voce, infatti, veicola in certo modo, l’essere stesso della persona, un po’ come lo sguardo.

La voce di Maria incinta, se da un lato era segno naturale dell’indicibile bellezza e purezza della sua persona immacolata, dall’altro recava con sé, per grazia, un timbro soprannaturale, comunicatole nell’essere dallo Spirito Santo che l’aveva resa Madre di Dio. Giovanni lo percepì riconoscendo così la presenza del Messia, e ne provò una tale gioia da sobbalzare come una molla, non per una sorta di arco riflesso (come il martelletto del medico fa scattare in estensione la gamba), ma per intima, cosciente risonanza della sua persona con Gesù. Questo fu il primo atto indicativo del Precursore nei confronti dell’Agnello divino: profeta “non nato”!

Non è qui fuori luogo rammentare che una simile reazione in un bambino di 22-24 settimane (tale era verosimilmente l’età gestazionale del Battista, in base al Vangelo), è possibile solo perché il cervello, come un pianoforte perfettamente accordato, è già formato quale organo centrale ed essenziale della persona umana. Come non ricordare, allora, per doloroso contrasto, quella diffusa mentalità eutanasica ed eugenetica sottesa ad affermazioni disumane come questa: “I feti, i neonati, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in uno stato vegetativo permanente, costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità fanno parte della specie umana, ma non sono persone” (G.V.)?

Allora, in questo tempo d’Avvento, impegniamoci anche noi a difendere la Verità della vita, e della vita nel grembo, come Giovanni il Battista, il quale: “Venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1,7).


Cattolico_Romano
00martedì 23 dicembre 2008 18:51

Figlio di Dio e figlio dell'uomo da nove mesi

IV Domenica d'Avvento/B/2008

di padre Angelo del Favero



ROMA, venerdì, 19 dicembre 2008 (ZENIT.org).- “Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31): a pochi giorni dell’evento della nascita di Gesù, la Parola di Dio sottolinea anzitutto l’inizio temporale e “biologico” del “Mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni” (Rm 16,25), l’istante del concepimento del Figlio di Dio nel grembo di Maria: “Concepirai un figlio...Gesù”.


E’ qui e ora,
che avviene l’Incarnazione del “Logos” divino;


è qui ed ora,
che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14);


è qui e ora,
che “la vita si è fatta visibile” (1 Gv 1,2);


è qui e ora,
che il Figlio eterno del Padre entra nel tempo e nello spazio dell’uomo: “Per questo entrando nel mondo, Cristo dice: tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: 'ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà'” (Eb 10,5-7).


E’ qui ed ora,
che ha inizio la “ri-creazione” dell’universo: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5), e non (come nella prima creazione) per la potenza della Parola di Dio (“Sia la luce!” – Gen 1,3), ma per l’umile “sì” di una fanciulla: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). 


Il termine “concepimento” non fa parte del lessico religioso comune, avendo un “sapore” troppo biologico, a differenza di  “concezione”, che è più spirituale (Maria è l’Immacolata Concezione). Tuttavia “concepimento” non è sostituibile, se vogliamo mantenere intatto, fin dal primo istante, il realismo dell’Incarnazione.

Possiamo, allora, coglierne meglio il significato-valore con l’aiuto di un grande uomo di scienza e di fede, scomparso da questa terra il 3 aprile 1994, e alla cui memoria il 17 dicembre è stato assegnato a Strasburgo il Premio Europeo per la Vita, intitolato a Madre Teresa di Calcutta, una sorta di Nobel istituito dai Movimenti per la Vita e per la famiglia di tutta Europa a favore dei grandi testimoni e difensori della Verità della vita, in particolare (in questo caso) quella del bambino non nato. Si tratta del genetista Jérome Lejeune, scopritore della sindrome di Down (“mongolismo”). Nel libro “L’embrione, segno di contraddizione” (1990), è riportata la sua testimonianza di fronte alla Corte Suprema degli USA che lo chiamò, quale esperto, per stabilire con certezza l’identità e la dignità umana del concepito. Egli dichiarò: “Non è difficile capire come all’inizio della vita, l’informazione genetica e la struttura molecolare dello zigote, lo spirito e la materia, l’anima e il corpo, debbano essere a questo punto coinvolti, poiché si tratta dell’inizio di questa nuova meraviglia che si chiama uomo. E’ molto significativo che si adoperi la stessa parola per definire un’idea che si affaccia allo spirito e un nuovo essere che si affaccia alla vita. Abbiamo a disposizione soltanto una parola: concepimento. Si concepisce un’idea, si concepisce un bambino. E la genetica ci dice che non a torto adoperiamo la stessa parola. Che cos’è il concepimento? E’, in realtà, l’informazione inscritta così bene nella materia, che questa non è più materia, ma un nuovo uomo...un 'giovanissimo essere umano' che non può essere la proprietà di nessuno, poiché è l’unico al mondo che abbia la proprietà di costruirsi da se stesso. E vorrei aggiungere che la scienza ha un concetto molto semplice dell’uomo; subito dopo il concepimento, l’uomo è un uomo.”


Un riferimento implicito a queste parole è contenuto nella recentissima Istruzione “Dignitas personae”, al n° 5: “Anche se la presenza di un’anima spirituale non può essere rilevata dall’osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire “un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?”.


Da quasi venti secoli il Vangelo di Luca, che ovviamente non ha alcuna pretesa scientifica, rivela la medesima verità in tre parole: “Concepirai un figlio” (Lc 1,31). Come un figlio non sarebbe una persona umana? Se non è persona il figlio (ogni essere umano concepito è figlio), allora neanche il Verbo divino concepito in Maria lo è, poiché Gesù è vero uomo, oltre che vero Dio. Di conseguenza è “falsificata” l’Incarnazione e l’intera Redenzione del genere umano.

Ed è proprio questo il primo messaggio del Vangelo dell’Annunciazione di oggi: l’umanità piena e perfetta del Figlio di Dio, fin dal Suo concepimento, rivelata implicitamente  dall’Angelo mediante l’indicazione del nome di “Gesù”, un nome comune a quei tempi, come l’equivalente Giosuè.

Anche la prima Lettura orienta subito il credente alla contemplazione della sacra umanità del Signore mediante una sola parola, la parola “tenda”: “Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa (…), disse al profeta Natan: “vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda” (2 Sam 7,1-2). Al desiderio di Davide di edificarGli un tempio grandioso nella città appena costruita ( per tanti anni la dimora divina era stata la tenda mobile del deserto), Dio  risponde  con un annuncio doppiamente sorprendente: anzitutto sarà Lui a garantire a Davide “una casa” (v.11), in secondo luogo non si servirà di pietre minerali, ma di pietre umane, cioè di persone, perché la casa sarà un casato, la discendenza davidica: “Io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno“ (v.12).


Ritroviamo questa duplice sorpresa nel Vangelo di Luca, perchè Maria, “l’umile tenda del Verbo, mossa solo dal soffio dello Spirito Santo” (Giovanni Paolo II), in un primo momento “rimase molto turbata”, in quanto si vede oggetto del favore divino e destinataria di un messaggio celeste; e subito dopo, pur rasserenata dalle parole di Gabriele, si sente annunciare un progetto umanamente incompatibile con il suo proposito di verginità, manifestando allora una sorpresa maggiore che la spinge a chiedere: “come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (Lc 1,34). Questo crescendo di sacro timore, appena “l’angelo si allontanò” da Maria dopo averle offerto l’ineffabile soluzione di Dio all’interrogativo da lei posto (“lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” – Lc 1,35), approdò in un mare di indicibile felicità, dalla quale Ella fu invasa nell’istante in cui Colui che è Gioia infinita divenne suo Figlio: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore” (Lc 1,47).


E’ con questa gioia radiosa che dobbiamo testimoniare, oggi più che mai,  non solamente l’infinito, divino valore della vita umana sin dal concepimento, ma anche il messaggio essenziale dell’Istruzione “Dignitas personae”, posto già all’inizio come principio e fondamento: “La vita vincerà: è questa per noi una sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il vero progresso. Dalla parte della vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza” (n. 3).


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