L'Avvento con Sant'Agostino

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Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 15:54

"Nessuno è salvo, se non accoglie Cristo che viene."

(In Io. Gv. tr. 2, 13)

Introduzione

Nel corso dell’anno liturgico, l’Avvento è il tempo che non solo ci prepara a celebrare il ricordo-memoriale della nascita di Gesù Cristo, ma anche il tempo che ci proietta verso la seconda venuta del Figlio di Dio, quando alla fine dei tempi "verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti", introducendoci nel suo regno che non avrà mai fine.

La liturgia illustra le qualità che devono caratterizzare ogni cristiano in questo tempo di grazia spirituale:

  • la vigilanza, virtù specifica di chi vive in fervorosa attesa del Messia Salvatore;
  • la fede, nutrimento e sostegno per accogliere, come Maria, il mistero di Dio divenuto uomo per la nostra salvezza;
  • la speranza, di chi confida nell’amore misericordioso di Dio;
  • la conversione, l’impegno sollecito ed urgente di chi si prepara all’incontro con Cristo;
  • la preghiera, affettuosa invocazione all’Atteso: Vieni, Signore Gesù (Ap 22, 20);
  • la gioia, espressione di un’attesa che si concretizza in una Persona e che si apre al suo completamento nel Regno dei cieli.

L’Avvento è dunque il tempo propizio per far spazio a Cristo, l’unico medico che solo può guarire le nostre debolezze e consolarci con la sua presenza.

Seguendo queste coordinate, abbiamo cercato di selezionare tra gli scritti di Agostino quei brani che, giorno per giorno, offriranno uno stimolo alla riflessione personale. Alcuni temi sono stati scelti in rapporto al brano del Vangelo propostoci dalla liturgia del giorno, altri in relazione a due modelli e guide privilegiate dell’Avvento: Giovanni Battista e la Vergine Maria.

Occorre infine una precisazione. Ai tempi di Agostino, nella Chiesa africana, non si era costituito un ciclo di preparazione al Natale, così come lo conosciamo oggi. Le prime celebrazioni dell’Avvento si ebbero in Francia e in Spagna verso la fine del IV secolo; Roma le accolse nei suoi libri liturgici solo verso il VI secolo. Pertanto nell’opera letteraria del vescovo di Ippona mancano delle omelie specifiche sull’Avvento; ciò tuttavia non significa che non si possano estrapolare alcune tematiche per noi suggestive in vista del S. Natale.

Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 15:57
 

I Settimana di Avvento
Vieni, Signore Gesù!

 

DOMENICA

"Perciò anche voi state pronti,
perché nell’ora che non immaginate,
il Figlio dell’uomo verrà".
(Mt 24, 44)

Il parallelismo tra una venuta nell’umiltà ed una nella gloria di Gesù Cristo è un tema caro ad Agostino, che ritorna in altre omelie (per es. i sermoni 17, 18, 22) e nel commento al Salmo 49. Sebbene non sia in connessione stretta con il tempo di Avvento, tuttavia ne illustra l’attesa escatologica del popolo di Dio, che, come la prima comunità cristiana, vive in una tensione positiva verso il compimento della storia con la definitiva apparizione di Cristo giudice. All’umiltà e alla sottomissione del primo avvento, corrisponderà il trionfo e il dominio di Cristo sull’universo. Tra i due poli non si frappone un vuoto: vi è sempre la presenza di Cristo nella storia dell’umanità, attraverso la Parola e i Sacramenti che Egli ha affidato alla Chiesa.

Dal "Commento al Vangelo di Giovanni" di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 4, 1-2)

La duplice venuta del Figlio di Dio

La prima volta [Cristo] è venuto umile ed occulto; e tanto più occulto quanto più umile. Ma i popoli, disprezzando nella loro superbia l'umiltà di Dio, misero in croce il loro Salvatore e ne fecero il loro giudice.

Ma colui che è venuto la prima volta in modo occulto, in quanto è venuto nell'umiltà, non dovrà forse venire poi in modo manifesto, nella sua gloria? Avete ascoltato poco fa il salmo: Dio, il nostro Dio, verrà in modo manifesto e non tacerà (Sal 49, 3). Ha taciuto per consentire che lo giudicassero, ma non tacerà quando comincerà a giudicare. Non avrebbe detto il salmista: verrà in modo manifesto, se prima non fosse venuto in modo occulto; né avrebbe detto: non tacerà, se prima non avesse taciuto. In che senso ha taciuto? Ascolta Isaia: Come pecora fu condotto al macello e come agnello muto davanti a chi lo tosa, non ha aperto bocca (Is 53, 7). Ma verrà in modo manifesto e non tacerà. Quale sarà questo modo manifesto? Lo precederà il fuoco e sarà accompagnato da una potente tempesta (Sal 49, 3). Quella tempesta dovrà spazzare via dall’aia la paglia, che adesso viene battuta, e il fuoco consumerà quanto la tempesta avrà portato via. Egli ora tace; tace quanto al giudicare, ma non tace quanto al dar precetti. Se infatti Cristo tacesse del tutto, che senso avrebbero questi Vangeli, la voce degli Apostoli, il canto dei Salmi, gli oracoli dei Profeti? Tutte queste cose, infatti, dimostrano che Cristo non tace. Egli ora tace, in quanto non castiga; non tace, in quanto ammonisce. Verrà un giorno nella sua terribile potenza e si mostrerà a tutti, anche a quelli che non credono in lui. Allora invece era necessario che, pur presente, rimanesse occulto tanto da poter essere disprezzato. Se non fosse stato disprezzato, non sarebbe stato crocifisso; se non fosse stato crocifisso, non avrebbe versato il suo sangue, che fu il prezzo della nostra redenzione. Per pagare il prezzo della nostra redenzione egli fu crocifisso; e fu disprezzato per poter essere crocifisso; e apparve nell’umiltà affinché lo disprezzassero.

LUNEDÌ

"Quando Cristo verrà e busserà alla porta
ci trovi vigilanti nella preghiera,
operosi nella carità fraterna ed esultanti nella lode".
(Colletta, Lun. I di Avvento)

La venuta di Cristo nella storia e, in modo particolare, nella nostra vita non è prevedibile: non si può calcolare. Pertanto è necessario essere sempre pronti così da non farsi sorprendere. Quei servi che, nella preghiera e nell’attesa vigilante, avranno svolto il proprio dovere di servi, senza arrogarsi la presunzione di sostituirsi al proprio Padrone, otterranno il riconoscimento di una condizione di beatitudine e godranno di una particolare predilezione del Signore (Cf Lc 12, 37-38).

 

Dalle "Esposizioni sui Salmi" di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 120, 3)

Vigili ed operosi in attesa della venuta di Cristo

Siete certamente persuasi che l’ora del Signore viene come un ladro di notte. Se il padrone di casa sapesse l’ora in cui il ladro viene, in verità vi dico, non permetterebbe certo che la parete della sua casa venisse sfondata (Mt 24, 43). Voi osservate: Ma se la sua ora viene come il ladro, chi potrà sapere quando verrà? Se non sai a che ora viene, sta’ sempre desto affinché, non sapendo l’ora in cui viene, ti trovi sempre pronto alla sua venuta. Anzi, il non conoscere l’ora della sua venuta mira forse proprio a questo: a farti stare sempre pronto. Se quel padrone di casa fu sorpreso dal giungere improvviso dell’ora, fu perché si trattava – almeno così è presentato – di un padrone superbo. Non voler essere un padrone e l’ora non ti prenderà alla sprovvista. Ma cosa dovrò essere?, chiederai. Una persona come quella descritta nel salmo: Io sono povero e dolente (Sal 68, 30). Se sarai povero e dolente, non sarai un padrone che l’ora, venendo repentina, sorprenderà e repentinamente abbatterà. Padroni di questo tipo sono tutti coloro che, facendo assegnamento su se stessi e le proprie cupidigie, diventano gonfi d’orgoglio, anche se poi finiscono con lo squagliarsi nelle delizie di questo mondo. Essi si innalzano a danno degli umili e maltrattano i santi, che hanno compreso essere stretta la via per la quale si va alla vita (Mt 7, 14). Gente siffatta verrà colta di sorpresa da quell’ora, somigliando nella loro vita a quei tali che vivevano all’epoca di Noè. Ne avete udita or ora la descrizione fatta dal Vangelo. Dice: La venuta del Figlio dell’uomo sarà come ai giorni di Noè. Mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, piantavano vigne, costruivano case, fino a che Noè non entrò nell’arca e venne il diluvio che li disperse tutti (Mt 24, 37-39; Lc 17, 26-27). Che dire? Andranno davvero tutti in rovina coloro che fanno queste cose? Coloro che si maritano o prendono moglie? Coloro che piantano vigne o costruiscono case? No, ma vi andranno coloro che tali cose sopravvalutano, che le preferiscono a Dio e per esse sono disposti a offendere disinvoltamente Dio. Diametralmente opposti sono coloro che di tutte queste cose o non si servono per nulla o se ne servono come persone non asservite ad esse. Fanno assegnamento più sull’Autore dei doni ricevuti che non sulle cose ricevute in dono; e, quanto alle cose in se stesse, vi vedono un tratto della sua misericordia che viene a consolarli. Per cui non si appagano dei doni per non precipitare lontano dal Donatore. Persone di questo genere non saranno prese alla sprovvista dal giungere di quell’ora, che sarà come il giungere di un ladro. A loro diceva l’Apostolo: Voi non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno vi abbia a sorprendere come un ladro, poiché siete tutti figli della luce e figli del giorno (1 Ts 5, 4-5).

MARTEDÌ

"Io ti rendo lode, o Padre,
hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti
e le hai rivelate ai piccoli".
(Lc 10, 21)

I poveri in spirito, di cui parlano le Beatitudini, sono per Agostino gli umili. La povertà è propria di chi non si gonfia, non insuperbisce al punto tale da stravolgere il giusto rapporto tra l’uomo e Dio, tra il Creatore e la creatura. L’umile è chi riconosce la propria dipendenza da Dio, chi ammette di non essere luce a se stesso, ma attende la luce divina. Agostino ammonisce: la superbia è sempre in agguato, pronta ad inficiare anche la bontà delle nostre azioni, allorché le attribuiamo solamente alle capacità umane, escludendo la grazia di Dio.

Ad indicarci la via dell’umiltà è il Maestro dell’umiltà, Gesù Cristo, il quale già con l’Incarnazione ha sperimentato la sua prima grande umiliazione, che giungerà ai massimi livelli sulla croce: Questo conviene credere e ritenere di cuore, con fermezza e senza vacillamenti: che l’umiltà per la quale Dio nacque da una donna e fu messo a morte dai mortali attraverso tanti obbrobri è il sommo rimedio con il quale si guarisce il tumore della nostra superbia e l’alto sacramento con il quale si infrange il vincolo del peccato. (De Trinitate 8, 5, 7)

 

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 67, 5.8)

L’umiltà, via privilegiata per accedere al mistero di Gesù

Ascolta dunque il Signore che "confessa": Confesso a te, Padre, Signore del cielo e della terra. Che cosa "confesso"? Per che cosa ti lodo? Quest’azione di "confessare" ha – come ho detto – il significato di lode. Perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli (Mt 11, 25). Che vuol dire ciò, fratelli? Dovete intenderlo nel senso contrario: Hai nascosto queste cose – dice – ai sapienti e agli intelligenti; ma non dice: "Le hai fatte conoscere agli stolti e agli stupidi", ma dice: Le hai nascoste, bensì, ai sapienti e agli intelligenti e le hai fatte conoscere ai piccoli. Ai superbi e agli intelligenti degni d’essere derisi, agli arroganti falsamente grandi, ma in verità gonfi di sé, oppose non gli stolti né gli stupidi, ma i piccoli. Chi sono i "piccoli"? Gli umili. Ebbene: Hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti. Egli stesso spiegò che sotto il nome di "sapienti e intelligenti" s’intendono i superbi, quando dice: E le hai fatte conoscere ai piccoli. Dunque: "Le hai nascoste a coloro che non sono piccoli". Che significa "ai non piccoli"? Significa: "ai non umili". E che significa "ai non umili" se non "ai superbi"? O via del Signore! O non c’era o era nascosta perché fosse fatta conoscere a noi! Perché il Signore esultò? Perché essa è stata rivelata ai piccoli. Dobbiamo essere piccoli, poiché se vorremo essere grandi, ritenendoci sapienti e intelligenti, non ci sarà rivelata. Chi sono i grandi? I sapienti e gli intelligenti. Affermando d’esser sapienti, son diventati stolti (Rom 1, 22). Hai un rimedio nel contrario. Se, affermando d’essere sapiente, diventi stolto, chiamati stolto e sarai sapiente. Ma dillo sul serio, dillo nel tuo intimo, poiché è come tu dirai. Se lo dici, non dirlo davanti alla gente e non tacerlo davanti a Dio. Per quanto riguarda te stesso e le tue facoltà, sei del tutto pieno di tenebre. Che cos’altro infatti è essere stolto, se non essere tenebroso nel cuore? Così in effetti di essi la Scrittura afferma: Dicendo d’essere sapienti son divenuti stolti. E prima di fare quest’affermazione, che cosa dice d’altro? E il loro cuore stolto si ottenebrò (Rom 1, 21). Tu devi dire che non sei luce a te stesso. Al massimo sei un occhio, non sei luce. A che giova un occhio aperto e sano, se manca la luce? Di’ dunque che la luce non proviene da te e grida ciò che dice la Scrittura: Tu, o Signore, darai luce alla mia lampada; con la tua luce, Signore, illuminerai le mie tenebre (Sal 17, 29). Io non sono altro che tenebre, tu invece sei la luce che fuga le tenebre e che m’illumina; luce per me che non si sprigiona da me, bensì luce ch’è parte di quella che proviene da te.

Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 15:59

MERCOLEDÌ

"Gesù prese i sette pani e i pesci,
rese grazie, li spezzò, li diede ai discepoli
e i discepoli li distribuivano alla folla.
Tutti mangiarono e furono saziati".
(Mt 15, 36-37)

Agostino pronuncia il Discorso 56 durante il tempo pasquale, per esporre ai candidati al battesimo il significato del simbolo di fede (il nostro Credo) e la preghiera del Padre Nostro, detta anche orazione domenicale, perché insegnata dal nostro Dominus, dal Signore Gesù. Ai catecumeni, che una volta esaminati ed approvati saranno ammessi al battesimo nella notte della veglia di Pasqua, il vescovo di Ippona offre un’interpretazione allegorica della petizione riguardante il "pane quotidiano": con essa non chiediamo a Dio solo il necessario per la vita corporale, ma anche quanto ci è indispensabile per il nutrimento dell’anima: la Parola di Dio e il pane eucaristico.

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 56, 6.9-10)

Il nutrimento del corpo e dell’anima

Quando dici: Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6, 11), confessi d’essere un mendicante di Dio. Ma non arrossire: per quanto uno sia ricco sulla terra, è sempre un mendicante di Dio. Il mendicante sta davanti alla casa d’un ricco: ma anche lo stesso ricco sta davanti alla casa del gran Ricco. Si chiede l’elemosina a lui, ma la chiede anche lui. Se non fosse nel bisogno, non busserebbe alle orecchie di Dio con la preghiera. Ma di che cosa ha bisogno un ricco? Non ho paura di dirlo: un ricco ha bisogno proprio del pane quotidiano. Perché mai ha abbondanza d’ogni cosa, come mai, se non perché gliel’ha data Dio? Che cosa avrebbe, se Dio ritirasse da lui la sua mano? Molti non si addormentarono forse ricchi e si alzarono poveri? E se a lui non manca nulla, ciò non deriva dalla sua potenza, ma dalla misericordia di Dio.

Ma questo pane di cui, carissimi, si riempie il ventre, con cui si ristora ogni giorno il corpo, questo pane dunque voi vedete che Dio lo dà non solo a chi lo loda, ma anche a chi lo bestemmia, lui che fa sorgere il proprio sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Cf. Mt 5, 45). Se lo lodi, ti nutre; se lo bestemmi, ti nutre lo stesso. Ti aspetta perché tu faccia penitenza; ma se non ti cambierai, egli ti condannerà. Poiché dunque questo pane lo ricevono da Dio i buoni e i cattivi, non c’è forse un pane speciale richiesto dai figli, il pane di cui il Signore diceva nel Vangelo: Non sta bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani? (Mt 15, 26) Vi è certamente. Qual è questo pane? E perché si chiama "quotidiano" anche questo? Il pane infatti ci è necessario: senza di esso è impossibile vivere, senza pane è impossibile. E’ una sfacciataggine chiedere a Dio la ricchezza; non è una sfacciataggine chiedergli il pane quotidiano. C’è una gran differenza tra ciò che è necessario alla vita e ciò che serve a farci insuperbire. Tuttavia, siccome questo pane visibile e palpabile viene dato ai buoni e ai cattivi, il pane quotidiano chiesto dai figli è la parola di Dio, pane che ci viene distribuito ogni giorno. E’ il nostro pane quotidiano; di esso vivono le menti, non i ventri. E’ necessario a noi, ancora operai nella vigna: è il cibo, non la paga. All’operaio infatti due cose deve dare chi lo prende a giornata e lo manda nella propria vigna: il cibo perché non rimanga spossato, e la paga di cui si rallegri. Il nostro cibo quotidiano su questa terra è la parola di Dio, che sempre viene distribuita nelle chiese; la nostra paga dopo la fatica si chiama vita eterna. D’altra parte se per questo pane nostro quotidiano s’intende quello che ricevono i fedeli e riceverete anche voi dopo il battesimo, facciamo bene a pregare e dire: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, affinché viviamo in modo da non essere separati dall’altare.

GIOVEDÌ

"Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica,
è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia".
(Mt 7, 24)

L’ascolto della Parola di Dio non può lasciare indifferenti né tantomeno inoperosi. Esso invita all’azione, ad edificare la propria vita sul fondamento di Cristo, la Roccia stabile. Dirsi cristiani è ben poca cosa; occorre esserlo e dimostrarlo nella vita concreta. (Cf Sermo 9, 21)

 

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 179, 8-9)

Gli ascoltatori della Parola

Non ingannate voi stessi, fratelli miei, che pure siete venuti con desiderio ad ascoltare la parola; se non mettete in pratica ciò che avete ascoltato, smentendo voi stessi. Considerate che, se è attraente l’ascoltare, quanto più il realizzare. Se non ascolti, se trascuri di ascoltare, non edifichi nulla. Se ascolti e non metti in pratica, metti mano ad una rovina. A questo riguardo è stata offerta da Cristo Signore una similitudine perfettamente rispondente. Egli dice: Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica lo rassomiglierò ad un uomo saggio che edifica la propria casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde. Perché non cadde? Perché era fondata sulla roccia (Mt 7, 24-25). Ne segue che ascoltare e mettere in pratica equivale ad edificare sulla roccia. L'ascolto stesso è appunto un edificare. Chi invece - dice - ascolta queste mie parole e non le mette in pratica lo rassomiglierò ad un uomo stolto che edifica. Anche costui edifica. Che cosa edifica? Questo: Edifica la propria casa; ma per il fatto che non mette in pratica ciò che ascolta, pur ascoltando edifica sulla sabbia (Mt 7, 26). Insomma, edifica sulla sabbia chi ascolta e non mette in pratica; sulla roccia chi ascolta e mette in pratica. Chi non ascolta affatto non edifica né sulla roccia, né sulla sabbia.

Quale necessità ho di ascoltare ciò che non intendo fare? - dice allora qualcuno. Ascoltando infatti e non mettendo in pratica - dice - io metterò mano ad una rovina. Non è più sicuro non ascoltare affatto? In realtà, nella similitudine da lui proposta, il Signore non volle toccare questo caso, ma lo diede ad intendere. Infatti, in questa vita non hanno tregua la pioggia, i venti, i fiumi. Non edifichi sulla roccia, per non farti precipitare, se vi si abbattono? Non edifichi sulla sabbia nell’intento che, venendo, non mandino in rovina la casa? In conseguenza, resterai così, senza il riparo di alcun tetto se nulla ascolti. Viene la pioggia, straripano i fiumi; sei forse più sicuro per il fatto di essere trascinato via privo di tutto? Considera dunque quale parte vai a scegliere. Non ascoltando, non sarai sicuro, come credi; privo di ogni riparo è di necessità che tu sia sepolto, asportato, sommerso. Pertanto, se è un male edificare sulla sabbia, è anche un male non edificare affatto; altro non resta di bene che edificare sulla roccia. Non ascoltare è quindi un male; ascoltare e non mettere in pratica è un male: rimane l’ascoltare e mettere in pratica. Dunque: Siate come quelli che mettono in pratica la parola e non ascoltatori soltanto, ingannando voi stessi (Gc 1, 19).


VENERDÌ

"Due ciechi lo seguivano urlando:
Figlio di Davide, abbi pietà di noi".
(Mt 9, 27)

Chi vive il Vangelo, chi ne propone gli insegnamenti e i valori mettendoli in pratica, è destinato alla persecuzione! Anzi, si potrebbe dire che l’opposizione della folla, di quanti vorrebbero spegnere questa voce che si leva a difesa dell’uomo, è la prova che si è sulla buona strada, che si vive autenticamente la radicalità del messaggio di Cristo. Il cristiano non scende a compromessi; e ciò non può non scatenare la reazione di quanti vorrebbero invece restare ancorati all’indifferenza o alla mediocrità della propria vita.

 

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 88, 13.12-14.13)

Gridare verso Cristo

Che significa gridare verso Cristo, fratelli, se non corrispondere alla grazia di Cristo con le opere buone? Dico ciò, fratelli, affinché non facciamo strepito con le parole e rimaniamo poi muti con le opere buone. Chi è che grida verso Cristo affinché sia rimossa la cecità interiore al suo passaggio, vale a dire quando ci dispensa i misteri temporali con cui siamo esortati a conseguire quelli eterni? Chi è che grida verso Cristo? Grida verso il Cristo chi disprezza il mondo. Grida a Cristo chi disprezza i piaceri mondani. Grida a Cristo chi non con la lingua, ma con la vita dice: Il mondo per me è morto e io per il mondo sono morto (Gal 6, 14). Grida a Cristo chi distribuisce e dà i suoi beni ai poveri, affinché la sua giustizia sia stabile per l’eternità (Cf. Sal 111, 9). Poiché colui che ascolta attentamente: Vendete i vostri beni e il ricavato datelo ai poveri. Procuratevi delle borse che non si consumano, un tesoro stabile in cielo (Lc 12, 33), sente come il rumore dei passi di Cristo, deve allora gridare verso di lui sull’esempio di quel cieco, cioè fare quanto fece lui. La sua voce deve realizzarsi nelle opere. Prenda a disprezzare il mondo, a distribuire le sue ricchezze ai poveri, a non stimare nulla i beni amati dagli uomini, disprezzi le offese, non brami vendicarsi, porga la guancia a chi lo percuote, preghi per i nemici; se uno gli ruba le proprie cose, non le richieda; se invece avrà tolto qualcosa a qualcuno, gli renda il quadruplo.

Quando però inizierà a praticare queste opere buone, tutti i congiunti e i parenti e gli amici si turbano. Gli amanti del mondo lo contestano: "Che pazzia è la tua? Sei esagerato; gli altri non sono forse cristiani? La tua è una stoltezza, anzi una pazzia!". (…) Non so effettivamente come esprimermi, ma ancor meno so come tacere. Orbene, ecco che cosa dico, e lo dico apertamente. Poiché temo non solo Gesù che passa ma anche Gesù che rimane, per questo non posso tacere. I cristiani cattivi e tiepidi cercano d’impedire i buoni cristiani veramente zelanti e desiderosi di mettere in pratica i precetti di Dio scritti nel Vangelo. La stessa folla che accompagna il Signore s’oppone a coloro che gridano, cioè s’oppone a coloro che gridano per impedire loro di essere guariti persistendo nel gridare. Ma essi continuino a gridare, non si stanchino, non si lascino trascinare per una malintesa autorità delle folle e non imitino quelli che sono diventati cristiani prima di loro, ma vivono male e sono maldisposti verso di loro a causa delle opere buone. Non dicano: "Cerchiamo di vivere come vivono tanti di questi tali". Perché non vivere piuttosto come insegna il Vangelo? Perché mai vuoi vivere seguendo la folla che ti rimprovera e t’impedisce, e non seguendo le orme del Signore? Quelli t’insulteranno, ti biasimeranno, ti dissuaderanno, ma tu continua a gridare finché la tua voce non giunga alle orecchie di Gesù. Orbene, coloro che persisteranno nel mettere in pratica i precetti di Cristo e non faranno caso alla folla che si oppone e non terranno in gran conto il fatto di sembrare d’essere seguaci del Cristo, cioè il fatto di chiamarsi cristiani, ma avranno più cara la luce che Cristo ridarà loro anziché temere lo strepito degl’individui che loro si oppongono; questi non saranno separati in alcun modo da Cristo, il quale si fermerà e li guarirà.

 

SABATO
SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE

L’Avvento è il tempo mariano per eccellenza: il mistero dell’Incarnazione passa attraverso il fiat della Vergine Maria. Invochiamo Colei che ci offre, nel suo corpo non intaccato dal peccato, l’immagine della Chiesa redenta, della Chiesa trionfale "senza macchia e senza ruga".

Si deve a P. Trapè l’aver raccolto alcune espressioni di Agostino riferite alla Vergine di Nazareth, componendo questa preghiera di elevazione.

Preghiera alla Vergine Maria

Celebriamo con gioia, o Maria,
il giorno in cui hai partorito il Salvatore:
tu, sposa, il creatore delle nozze;
tu, vergine, il principe dei vergini.

Felice, perché ancor prima di dare alla luce il Cristo,
hai accolto il Maestro,
ha ascoltato la Parola di Dio
e l’hai messa in pratica.

Hai accolto la verità nella mente
più che la carne nel ventre.
Beata per averlo concepito,
ma ancor più beata
per averlo accettato con la tua fede.

Con la carità fervente della tua fede
hai meritato che in te sbocciasse quel santo Germe,
Egli il Creatore che ti ha eletto
e ti ha eletto per essere tua creatura.

In te si è formato Colui che ti ha creato;
in te si è fatto carne il Verbo di Dio.
Il Verbo si è congiunto alla carne,
ed è il tuo grembo il talamo del grande connubio.

Vergine ti ha trovato nel suo concepimento,
vergine ti ha lasciato nella sua nascita.
Ti ha concesso la fecondità,
ma non ti ha privato dell’integrità.

Sei vergine, sei santa.
Molto è quanto hai meritato,
perché molto ti è stato donato,
molto hai ricevuto.

Hai meritato di dare alla luce
il Figlio dell’Altissimo,
ma eri umilissima.
Hai fatto al volontà del Padre,
e l’hai fatta per intero.
Per questo sei santa,
per questo sei beata!

Ascolto il saluto dell’angelo
e riconosco che in te è la mia salvezza.

Ave, piena di grazia!


Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 16:03

II Settimana di Avvento
La via della conversione

La via indicata da Giovanni Battista per prepararsi adeguatamente ad accogliere Cristo è segnata da un’esigenza improrogabile: la conversione. Essa è la qualità del discepolo, è la tensione di chi ricerca ed invoca un rinnovamento radicale in se stesso. L’uomo, con le sue sole forze, non è capace di percorrere tale via, di conservarsi fedele agli impegni battesimali: deve sempre confrontarsi con la superbia, che vizia quel giusto rapporto di dipendenza tra la creatura e il Creatore, stravolgendolo a favore della creatura che tenta di sostituirsi al Creatore. La conversione e l’avversione per il peccato sono doni da invocare nella preghiera. Solo confessando i propri peccati l’uomo lascia agire la grazia di Dio, che fa crescere nel cuore – come in un campo arato e predisposto alla semina – frutti di giustizia e di verità.

Nella confessione delle proprie colpe l’uomo recupera quell’atteggiamento di umiltà, che consente a Dio di manifestare nella misericordia la propria grandezza ed onnipotenza. Dall’umiltà dell’uomo si rivela la gloria di Dio. E’ questa la caratteristica comportamentale dei due modelli che la Chiesa ci offre in questo tempo liturgico: Giovanni Battista, colui che non si è arrogato alcun riconoscimento messianico propostogli dalle folle, ma ha additato agli uomini il Cristo; e Maria, colei che ha fatto dell’umiltà la nota specifica della propria relazione con Dio. Diminuisca l’uomo in se stesso, per poter crescere in Dio: è il ritornello che Agostino sempre ripete nelle omelie in cui tratteggia il ruolo del Battista.

 

DOMENICA

"Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!"
(Mt 3, 2)

Dalle "Esposizioni sui Salmi" di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 84, 8-9)

Il dono della conversione

Che dire, dunque? È dipeso forse da te, o uomo, se una volta convertito a Dio ti sei meritato la sua misericordia, mentre al contrario coloro che non si sono convertiti non hanno conseguito la misericordia, ma si sono imbattuti nell’ira di Dio? Ma tu di quali risorse disponevi per convertirti, se non fossi stato chiamato? Non è stato forse colui che ti ha chiamato, quando gli eri nemico, a concederti la grazia del ravvedimento? Non ascrivere dunque a te stesso il merito della tua conversione: perché, se non fosse intervenuto Iddio a chiamarti quando fuggivi da lui, tu non avresti potuto volgerti indietro. (…)

Beato l’uomo al quale Dio fa mostra di sua misericordia! Egli sarà uno che non si può insuperbire, dopo che Dio gli ha mostrato la sua misericordia. Mostrandogli infatti la sua misericordia, lo convince che, qualunque bene egli possegga, non gli proviene da altri se non da colui che costituisce tutto il nostro bene. E quando l’uomo constata che, qualunque bene abbia, non se l’è dato da sé, ma gli proviene dal suo Dio, s’accorge pure che tutto quello che ha meritevole di lode gli proviene dalla misericordia di Dio e non dai suoi meriti personali. E vedendo in sé delle cose buone, non se ne insuperbisce. Non insuperbendosi, non s’innalza. Non ponendosi in alto, non rotola a terra, e naturalmente, se non cade, resta in piedi. Stando in piedi, aderisce a Dio e resta saldo in lui, gode e si allieta nel Signore suo Dio. Sarà il suo Creatore che verrà a formare la sua delizia; e tale delizia nessuno riuscirà a turbarla, nessuno a ostacolarla, nessuno a strappargliela dal cuore. Quale potente potrà mai rapirti un tal bene? Qual perfido vicino, quale furfante, quale aggressore potrà mai toglierti Dio? Potrà rapirti tutto quello che possiedi di materiale, senza dubbio, ma colui che possiedi col cuore nessuno mai te lo toglierà. Egli è la tua misericordia. Volesse il cielo che ci venga mostrata! Mostraci, o Signore, la tua misericordia, e donaci la tua salvezza (Sal 85, 8). Donaci il tuo Cristo; poiché in lui è la tua misericordia. Diciamogli dunque anche noi: Donaci il tuo Cristo! È vero che già ce l’ha dato, il suo Cristo; tuttavia diciamogli ancora: Donaci il tuo Cristo! Gli diciamo infatti: Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6, 11). Chi è il nostro pane quotidiano, se non colui che disse: Io sono il pane vivo che discesi dal cielo (Gv 6, 41)? Diciamogli: Donaci il tuo Cristo! (…) Facci conoscere il tuo Cristo.

 

LUNEDÌ

"…sappiate che il Figlio dell’uomo
ha il potere sulla terra di rimettere i peccati".
(Lc 5, 24)

Dalle "Esposizioni sui Salmi" di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 84, 14-15)

Venga il Signore a visitare i nostri cuori!

Ecco: tu eri un uomo gravato di peccati. O terra, tu avevi peccato e t’eri sentita rivolgere le parole: Tu sei terra e alla terra ritornerai (Gen 3, 19). Oh! spunti allora dal tuo cuore la verità e la giustizia ti guarderà dal cielo. Ma in che modo da te, peccatore ed iniquo, potrà germogliare la verità? Confessa i tuoi peccati e la verità spunterà fuori da te. Se infatti, essendo peccatore, ti ritieni per giusto, come farà la verità a spuntare fuori da te? Se invece nella tua iniquità ti confessi iniquo, allora dalla terra spunta fuori la verità (Sal 85, 12).

Facciamo dunque un esame di noi stessi e, se non troveremo in noi altro che peccato, concepiamo odio per il peccato e vivo desiderio per la giustizia. Dal momento che ci metteremo ad odiare il peccato, già questa avversione al peccato comincia a renderci simili a Dio: odiamo infatti le stesse cose che Dio odia. Se pertanto avrai iniziato a odiare il peccato e a confessarlo a Dio, quando brame di piaceri illeciti verranno a trascinarti con violenza ad atti nocivi, mettiti a gemere dinanzi a Dio. Confessando a lui i tuoi peccati, meriterai di ottenere da lui altre dolcezze: ti darà il gusto di compiere la giustizia; e così comincerà a procurarti gioia la giustizia, mentre prima era la malizia che ti dilettava. Godrai della sobrietà, mentre prima godevi dell’ubriachezza. Tu che prima godevi nel rubare, sottraendo al tuo simile quel che mancava a te, sentirai l’inclinazione a donare ciò che possiedi a chi ne è sprovvisto. Prima godevi nel predare, ora ti piace donare; prima godevi degli spettacoli, ora godi della preghiera; prima godevi di canzoni fatue e oscene, ora dei cantici in onore di Dio, e corri alla chiesa, mentre prima correvi al teatro. Da qual radice è potuta mai nascere una simile attrattiva, se non dal fatto che il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto (Sal 85, 13)? Riflettete un istante su quel che vi dico. Vi abbiamo annunziato la parola di Dio; abbiamo sparso della semente in cuori ben disposti, trovando il petto di ciascuno di voi come solcato dall’aratro della confessione. Voi avete ricevuto la semente con devozione ed attenzione. Vogliate ripensare alla parola che avete udita, quasi per sminuzzare le zolle, di modo che non vengano gli uccelli a portarsi via il seme destinato a germogliare. Ma se non interverrà Dio a mandare la pioggia, che cosa varrà l’aver seminato? Ecco cosa significa: Il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto. Oh, sì, venga il Signore a visitare il vostro cuore: nelle ore di svago e fra le occupazioni, in casa, nel letto, durante la refezione e la conversazione o il passeggio, in ogni luogo ove a noi non è dato di venire. Venga la pioggia divina e il seme che è stato sparso produca i suoi frutti! Là, dove noi non arriviamo e mentre noi ce ne stiamo riposando tranquilli o badiamo ad altre occupazioni, venga Iddio a far crescere le sementi che abbiamo sparse; di modo che, riscontrando in seguito i vostri costumi divenuti migliori, possiamo anche rallegrarci del frutto. Poiché, il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto.
 

MARTEDÌ

"Ecco, il Signore Dio viene con potenza…
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna".
(Is 40, 10.11)

Dal "Commento al Vangelo di Giovanni" di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 47, 2)

Il buon pastore dà la vita per le pecore

Vi dirò subito: Io vi predico Cristo con l’intento di entrare in voi, cioè nel vostro cuore. Se altro vi predicassi, tenterei di entrare in voi per altra via. E’ Cristo la porta per cui io entro in voi; entro per Cristo non nelle vostre pareti domestiche, ma nei vostri cuori: entro per Cristo e volentieri voi ascoltate Cristo in me. Perché ascoltate volentieri Cristo in me? Perché siete sue pecore, perché siete stati redenti col suo sangue. Voi riconoscete il prezzo della vostra redenzione, che non ho dato io, ma che per mezzo mio vi viene annunziato. Egli vi ha redenti, egli che ha versato il suo sangue prezioso: prezioso è il sangue di colui che è senza peccato. Egli stesso tuttavia ha reso prezioso anche il sangue dei suoi, per i quali ha pagato il prezzo del suo sangue. Se non avesse reso prezioso il sangue dei suoi, il salmista non direbbe: E’ preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi (Sal 115, 15). Egli ci dice: Il buon pastore dà la vita per le pecore (Gv 10, 11). E’ vero, non è stato lui solo a far questo: e tuttavia, se quelli che lo hanno fatto sono sue membra, è sempre lui solo che l’ha fatto. Egli infatti poté far questo senza di loro; ma loro non avrebbero potuto senza di lui, dal momento che egli stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Abbiamo qui esposto ciò che anche altri hanno affermato, come lo stesso apostolo Giovanni, che annunciò questo Vangelo che state ascoltando; nella sua lettera ci dice: Come Cristo ha offerto la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo per i fratelli offrire le nostre vite (1 Gv 3, 16). Dobbiamo, dice, ce n’ha creato l’obbligo colui che per primo si è offerto. E così, in un altro luogo sta scritto: Se ti capiterà di sedere alla mensa di un potente, bada bene a ciò che ti viene messo davanti; metti un freno alla tua voracità, sapendo che dovrai ricambiare (Pr 23, 1-2). Voi sapete qual è la mensa del Potente; su quella mensa c’è il corpo e il sangue di Cristo; chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare il dono che riceve; e cioè, come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto: per edificare il popolo e confermare la fede dobbiamo offrire le nostre vite per i fratelli. Così a Pietro, di cui voleva fare un buon pastore, non a vantaggio di lui ma del suo corpo, il Signore disse: Pietro mi ami? Pasci le mie pecore (Gv 21, 15). E questa domanda gliela fa una, due, tre volte, fino a contristarlo, affinché la sua triplice confessione riscattasse la sua triplice negazione, e dopo avergli per tre volte affidato le sue pecore da pascere, il Signore gli disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. E l’evangelista spiega ciò che il Signore aveva inteso dire: Disse questo per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 18-19). La consegna pasci le mie pecore, non significa dunque altro che questo: offri la tua vita per le pecore.

 

MERCOLEDÌ

"Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore
e troverete ristoro per le vostre anime".
(Mt 11, 29)

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 142, 11-12)

Cristo maestro di umiltà

Grida il Maestro degli angeli. Grida il Verbo di Dio, del quale si nutrono tutte le intelligenze senza che si riduca, cibo che ristora conservandosi integro... grida per dire: Imparate da me (Mt 11, 29). Il popolo dia ascolto a lui che parla: Imparate da me. Risponda: Che impariamo da te? Non so infatti che ascolteremo dal sublime artefice, quando dice: Imparate da me. Chi è che dice: Imparate da me? Chi ha creato la terra, chi ha separato il mare dalla terra arida, chi ha creato gli uccelli del cielo, chi ha creato gli animali terrestri, chi ha creato tutti gli esseri acquatici, chi pose nel cielo gli astri, chi differenziò il giorno dalla notte, chi fissò il firmamento stesso, chi separò la luce dalle tenebre; egli appunto dice: Imparate da me. Forse per caso ci dirà di fare con lui tali cose? Chi può farlo? Solo Dio le compie. Non temere - dice - non intendo aggravarti. Da me impara ciò che sono diventato per te. Imparate da me, dice, non a dare l’essere alla creatura che per mezzo di me è stata creata. Neppure dico di apprendere quelle opere che ho concesso di realizzare ad alcuni, ai quali ho voluto, non a tutti: risuscitare i morti, rendere la vista ai ciechi, aprire le orecchie dei sordi; e non pensate di imparare da me tali cose quasi che d’importanza. Ne godettero i discepoli e tornarono pieni di gioia, dicendo: Signore, nel tuo nome, anche i dèmoni si sottomettono a noi. Il Signore disse loro: Non rallegratevi perché i dèmoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti in cielo (Lc 10, 17. 20). A chi volle concesse di scacciare i dèmoni, a chi volle concesse di risuscitare i morti. Tali miracoli si realizzarono anche prima dell’incarnazione del Signore: morti risuscitati, lebbrosi mondati. Noi leggiamo queste cose; e chi fece tali cose, se non colui che, in seguito, dopo Davide, é Cristo-Uomo e, prima di Abramo, è Cristo-Dio? Egli ha dato di compiere tutte queste cose, egli le ha compiute per mezzo di uomini, tuttavia non lo ha concesso a tutti. Forse che non devono avere speranza coloro ai quali non è stato dato, e dire di non aver parte con lui perché non hanno meritato di ricevere tali doni? Nel corpo vi sono le membra: altra facoltà di quel membro, altra dell’altro membro. Dio formò il corpo; non ha conferito all’orecchio la facoltà di vedere né all’occhio quella di udire, non il senso dell’odorato alla fronte, non il gusto alla mano. Non ha dato queste cose: ma a tutte le membra ha dato la sanità, ha dato compagine, ha dato unità. Con lo spirito, ugualmente, vitalizzò, unì tutte le membra. Così, dunque, non ha dato a uno di risuscitare i morti, altri non hanno avuto il dono della parola; tuttavia, che cosa ha dato a tutti? L’abbiamo ascoltato dire: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11. 29). A che giova se uno compia miracoli, ma sia superbo, non sia mite ed umile di cuore? Non saranno considerati nel numero di quelli che alla fine [dei tempi] si presenteranno e diranno: Non abbiamo noi profetato nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Ma che ascolteranno? Non vi conosco, allontanatevi da me tutti voi, operatori di iniquità (Mt 7, 22-23).

Allora che è che giova e valga la pena di apprendere? Che io sono mite - dice - e umile di cuore. Inculca la carità, ma la carità vera e propria, senza contraddizioni, senza vanteria, senza alterigia, senza doppiezza. Questo inculca colui che dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore.





Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 16:04

GIOVEDÌ

"Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista".
(Mt 11, 11)

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 289, 5)

Giovanni è la voce, Cristo la Parola

Il più grande degli uomini fu dunque inviato a rendere testimonianza a Colui che era più che uomo. Infatti, poiché Giovanni, più grande del quale nessuno è sorto tra i nati di donna, afferma: Io non sono il Cristo, e si riconosce inferiore a Cristo, si deve pensare a qualcosa di più che l’uomo. Evidentemente, se consideri Giovanni il più grande degli uomini, Cristo è più che uomo: abbi un tale concetto del precursore per conoscere il giudice; ascolta l’araldo in modo che tu possa temere il giudice. Fu mandato, preannunziò che sarebbe venuto. E quale testimonianza rese Giovanni al Cristo? Ascolta quale: Io non sono degno di sciogliere il legaccio del suo sandalo (Gv 1, 27). Hai compreso, o uomo, come regolarti? Chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14, 11). Che dire allora del Cristo? Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (Gv 1, 16). Che vuol dire noi tutti? I Patriarchi, quindi, e i Profeti e i santi Apostoli, o mandati prima dell’incarnazione o inviati da lui, incarnato, noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. Noi siamo i vasi, egli è la sorgente. Perciò, fratelli miei, se abbiamo compreso il mistero, Giovanni è uomo, Cristo è Dio: si umili l’uomo ed è glorificato Dio. Affinché l’uomo sia umile, Giovanni è nato nel giorno in cui comincia a ridursi la durata della luce solare. Al fine della gloria di Dio, Cristo è nato nel giorno in cui la luce solare va crescendo in durata. Grande mistero. Ecco perché celebriamo il Natale di Giovanni, come quello di Cristo, in quanto questa stessa nascita è piena di mistero. Di quale mistero? Del mistero della nostra elevazione. Nell’uomo rendiamoci piccoli, in Dio eleviamoci. Per essere esaltati in lui, quanto a noi, vediamo di essere umili. Il mistero di questa così grande realtà si compì nella passione dell’uno e dell’altro. Perché l’uomo si umiliasse, Giovanni perdette il capo: perché Dio venisse glorificato, Cristo fu elevato sulla croce. Giovanni fu inviato a questo scopo: perché lo imitassimo e ci sostenessimo alla Parola. Per quanto la superbia umana voglia vantarsi di qualsivoglia preminenza in santità, chi sarà quale è Giovanni? Chiunque tu sia che ti consideri grande, non sarai quel che è Giovanni. Non era ancora nato e, già esultando nel seno materno, annunziava il Signore venturo. Che più eccelso di tale santità? Imita, ascolta quel che può dire di Cristo: Noi abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. La lucerna nella notte ti mostra la fonte; da essa anche lui ha bevuto: Noi tutti infatti – dice – abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. Noi tutti: Egli la sorgente, noi i vasi; egli il giorno, noi le lucerne. Grande la debolezza degli uomini: cerchiamo il giorno per mezzo della lucerna.

VENERDÌ

"Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene,
che ti guido per la strada su cui devi andare".
(Is 48, 17)

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 293, 2-3)

Giovanni è la lucerna, Cristo la luce vera

Giovanni sembra interposto quasi limite dei due Testamenti, dell’Antico e del Nuovo. Impersona così l’Antico e si fa banditore del Nuovo. Quanto all’Antico, nasce da vecchi; prefigurando il Nuovo, è chiamato profeta fin dal grembo materno. Poiché, non ancora nato, al sopraggiungere di Maria, balzò di gioia in seno alla madre. Fin d’allora veniva designato; era già eletto prima di nascere: viene presentato quale precursore di colui dal quale non era stato ancora veduto. Questi sono eventi divini, superiori alla debolezza umana. Detto in breve, nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Se Giovanni avesse presentato se stesso, la bocca di Zaccaria non si sarebbe schiusa. Si scioglie la lingua perché nasce la voce; quando infatti a Giovanni, ormai impegnato ad annunziare il Signore, fu chiesto: Tu chi sei? (Gv 1, 22), rispose: Io sono voce di uno che grida nel deserto (Gv 1, 23).

Giovanni la voce, il Signore, invece, in principio era il Verbo (Gv 1, 1). Giovanni voce nel tempo, Cristo in principio Parola eterna. (…) Anche lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola: ma la voce riconobbe se stessa per non recare danno alla Parola. Disse: Io non sono il Cristo, né Elia, né un profeta (Cf. Gv 1, 20-21). Gli fu chiesto: Dunque, chi sei? Io sono – disse – la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via al Signore (Gv 1, 22-23). Voce di uno che grida nel deserto, voce di uno che rompe il silenzio. Preparate la via al Signore, quasi a dire: per questo io grido, per introdurre lui nel cuore; ma non può degnarsi di venire per dove voglio introdurlo se non preparerete la via. Che vuol dire: preparate la via, se non: elevate suppliche degne? Che vuoi dire: preparate la via, se non: siate umili nei vostri pensieri? Da lui stesso prendete esempio di umiltà. È ritenuto il Cristo, afferma di non essere quel che viene creduto, né sfrutta per il suo prestigio l’errore altrui. Se avesse detto: Sono io il Cristo, con quanta facilità egli non avrebbe convinto, dal momento che se ne aveva la persuasione prima ancora che parlasse? Non lo disse: si riconobbe, si distinse, si umiliò. Avvertì dov’era per lui la salvezza: comprese di essere lucerna ed ebbe timore perché non venisse spenta dal vento della superbia.

SABATO

"Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto;
anzi l’hanno trattato come hanno voluto.
Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro".
(Mt 17, 12)

Dal "Commento al Vangelo di Giovanni" di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 14, 5)

Lascia crescere Dio in te

Prima della venuta del Signore Gesù, l’uomo riponeva in se stesso la sua gloria. E’ venuto questo uomo [Gesù Cristo] per abbassare la gloria dell’uomo e far crescere la gloria di Dio. Egli infatti è venuto senza peccato e ha trovato tutti col peccato. Ora, se egli è venuto per rimettere i peccati, Dio sarà generoso, ma l’uomo dovrà confessare i suoi peccati. Nella confessione l’uomo esprime la sua umiltà, nella misericordia Dio manifesta la sua grandezza. Se dunque egli è venuto per rimettere i peccati dell’uomo, riconosca, l’uomo, la sua umile condizione, affinché Dio faccia risplendere la sua misericordia. Egli deve crescere, io diminuire. Cioè, egli deve dare, io ricevere; egli deve essere glorificato, io devo confessarlo. Riconosca l’uomo la sua posizione, la confessi a Dio e ascolti l’Apostolo che dice all’uomo superbo e pieno di sé, che cerca di mettersi al di sopra degli altri: Che cosa hai tu che non l’abbia ricevuto? E se appunto l’hai ricevuto, perché te ne glori, come se non l’avessi ricevuto (1 Cor 4, 7)? Riconosca dunque l’uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo, riconosca che quanto ha lo ha ricevuto, e si umili; è bene per lui che in lui Dio sia glorificato. Diminuisca in se stesso, per poter crescere in Dio. Anche nella loro rispettiva passione, Cristo e Giovanni hanno confermato questa testimonianza e questa verità: Giovanni infatti fu decapitato, mentre Cristo fu innalzato sulla croce; sicché anche lì apparve la verità delle parole: Lui deve crescere, io diminuire. Inoltre, Cristo nacque quando i giorni cominciano a crescere, Giovanni nacque quando i giorni cominciano a decrescere. La natura stessa e le rispettive "passioni" confermano le parole di Giovanni: Lui deve crescere, io diminuire. Cresca dunque in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, così che anch’essa cresca in Dio. E’ quanto afferma l’Apostolo, è quanto afferma la Sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore (1 Cor 1, 31; Ger 9, 23-24). Vuoi gloriarti in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno. Ora, crescere male è un menomarsi. Sia dunque Dio a crescere in te, Dio che è sempre perfetto. Quanto più conosci Dio e quanto più lo accogli in te, tanto più apparirà che Dio cresce in te; in sé però non diminuisce, essendo sempre perfetto. Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un poco di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te, così che in qualche modo Dio cresce in te, lui che rimane sempre perfetto. E’ come se uno, avendo iniziata la cura per guarire gli occhi da una vecchia cecità, cominciasse a vedere un pochino di luce, e il giorno appresso un po’ di più, e il terzo giorno un po’ di più ancora: egli avrà l’impressione che la luce cresca, mentre la luce è perfetta, sia che egli veda, sia che non veda. Così è dell’uomo interiore, il quale progredisce in Dio e gli sembra che Dio cresca in lui; in verità egli diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.

Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 16:06

III Settimana di Avvento

L’annuncio della Buona Novella

La terza settimana di Avvento è contrassegnata da un tono di speranza. La liturgia domenicale, proponendo come ritornello l’invito alla gioia, è definita con il titolo: Gaudete. Del resto siamo quasi a metà del percorso di avvicinamento al Natale.

La profezia dell’Antico Testamento sulla venuta del Messia si compie nell’accoglienza da parte di Maria del piano salvifico di Dio. Aprendosi all’umile ascolto della Parola di Dio, Maria genera nella fede – prima ancora che nella carne – il Figlio di Dio. Agli uomini è dunque proposto di imitare il cammino di fede di Maria, la Virgo fidelis, colei che si affida interamente al Signore: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1, 38).

 

DOMENICA

"Dite agli smarriti di cuore: Coraggio!
Non temete; ecco il vostro Dio…Egli viene a salvarvi".
(Is 35, 4)

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo(Serm. 66, 1-4)

La testimonianza di Cristo su Giovanni

Giovanni precedette il Cristo sia nel nascere che nell’annunciarlo, ma lo precedette come un umile servo obbediente senza mettersi al di sopra di lui. Quanto grande fu dunque la testimonianza resa a Cristo da Giovanni? Tanto grande, da fargli dire che non era degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali. Egli confessò d’essere solo una lampada accesa da lui e perciò si rifugiò ai suoi piedi per paura che, innalzandosi, venisse spenta dal vento della superbia. Era tanto grande, ch’era creduto il Cristo, e se egli stesso non avesse confessato di non esserlo, sarebbe rimasto l’errore e si sarebbe continuato a credere ch’era lui il Cristo. Il popolo gli tributava onore ed egli lo rifiutava. Qui sta la sua umiltà! La gente sbagliava nel reputarlo più grande di quello ch’era ed egli si umiliava. Egli non voleva la grandezza attribuitagli dalle parole degli uomini, perché aveva compreso che cosa era "la Parola" di Dio.

Giovanni vide il Signore, lo vide, puntò il dito verso di lui e disse: Ecco l’agnello di Dio che prende su di sé i peccati del mondo (Gv 1, 29). Eccolo qui. Era già venuto ma non era riconosciuto; per questo la gente si era formato un errato concetto di lui. Ecco, è qui Colui che i Patriarchi desideravano vedere, che i Profeti preannunciarono, ch’era stato prefigurato dalla Legge. Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé i peccati del mondo. Egli rese questa bella testimonianza al Signore e il Signore a lui: Tra i nati di donna – disse – non è sorto nessuno più grande di Giovanni il Battezzatore; chi però è il più piccolo nel regno dei cieli, è più grande di lui (Mt 11, 11).

Abbiamo udito la verace e bella testimonianza resa da Giovanni a Cristo e da Cristo a Giovanni. Che significa dunque il fatto che Giovanni mentre era rinchiuso in carcere, ov’era destinato ad essere ucciso presto, mandò da Cristo i suoi discepoli, e disse loro: Andate e domandategli: Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11, 2-3). A questo si riduce tutto l’elogio che di lui aveva fatto? L’elogio è forse diventato un dubbio? Che cosa dici, Giovanni? A chi lo dici? Perché lo dici? Lo dici al giudice, tu, suo banditore. Sei stato tu a tendere il dito, a mostrarlo, e a dire: Ecco l’agnello di Dio che si addossa i peccati del mondo. Sei stato tu a dire: Tutti noi abbiamo preso dalla sua ricchezza (Gv 1, 16). Sei stato tu a dire: Non sono degno di sciogliere i lacci dei suoi sandali (Gv 1, 27), e adesso tu dici: Sei tu che devi venire o dobbiamo aspettare un altro? Non è proprio lui stesso? E tu chi sei? Non sei forse il suo precursore? Non sei forse tu colui del quale è stato predetto: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te; egli ti preparerà la strada? (Mt 11, 10) Come mai prepari la strada e tu vai fuori strada?

I discepoli di Giovanni tenevano in grande stima il loro maestro; avevano sentito la testimonianza resa da lui a Cristo e n’erano rimasti stupiti; per questo sul punto di morire egli volle che ne avessero la conferma da Cristo. Senza dubbio quelli pensavano tra se stessi: "Costui dice di lui cose tanto grandi, mentre non le dice di se stesso". Andate a chiedergli: non perché io dubiti, ma perché siate informati voi. Andate a chiedergli: sentite da lui ciò che sono solito dire io: avete udito il banditore, abbiate ora la conferma del giudice. Andate a chiedergli: Sei tu che devi venire, o dobbiamo aspettare un altro? Andarono, chiesero, per loro non per Giovanni. E per dare una risposta ad essi Cristo disse: I ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i morti risorgono, ai poveri è annunciata la salvezza. Voi mi vedete, riconoscetemi: vedete le opere, riconoscete chi le compie. E beato chi non si scandalizzerà di me (Mt 11, 4-6). Ma questo lo dico di voi, non di Giovanni. Poiché per farci capire che non lo diceva di Giovanni, Cristo cominciò a parlare di Giovanni alla folla mentre quelli se ne andavano (Mt 11, 7): fece l’elogio veridico di lui chi era verace, anzi la Verità.

 

LUNEDÌ

"O Sapienza che esci dall’Altissimo
e tutto disponi con forza e dolcezza:
vieni a insegnarci la via della vita".
(Antifona al Vangelo)

Dall’opera "La dottrina cristiana" di Sant’Agostino Vescovo (I, 12.11-12.12; 14.13)

Cristo: Sapienza incarnata e Medico dell’umanità

Essendo [Cristo-sapienza] presente dovunque all’occhio interiore puro e sano, si è degnato apparire agli occhi carnali di coloro che hanno quell’occhio interiore malato e impuro. Difatti, siccome il mondo con la sua sapienza era incapace di conoscere Dio, nel sapiente piano di Dio, egli si compiacque di salvare con la stoltezza della predicazione quelli che avrebbero creduto (1 Cor 1, 21).

Di Lui si dice che è venuto a noi non nel senso che abbia attraversato degli spazi ma nel senso che si è fatto vedere ai mortali in una carne mortale. Venne dunque in un luogo dove già era, poiché egli era in questo mondo, anzi il mondo fu creato per opera sua (Gv 1, 10). Gli uomini però si erano lasciati prendere dalla insana voglia di godere della creatura invece che del Creatore e, configurati con questo mondo, assai giustamente erano stati chiamati mondo (Cf. Rom 12, 2). Non lo avevano quindi conosciuto, sicché l’Evangelista dice: E il mondo non lo conobbe (Gv 1, 10). Nel piano sapiente di Dio pertanto il mondo non fu in grado di conoscere Dio mediante la Sapienza, poiché, in effetti, essa già stava quaggiù. Ma allora perché venirvi se non perché Dio si compiacque di salvare quelli che credono mediante la stoltezza della predicazione?

Come inoltre qualsiasi cura è la via per recuperare la salute, così fu della cura adottata da Dio: si rivolse a dei peccatori per guarirli e rimetterli in salute. E come quando i medici fasciano le ferite lo fanno non alla buona ma con arte, per cui dalla fasciatura deriva non solo un’utilità ma anche una specie di bellezza, così è stato della medicina della Sapienza quando, assumendo l’umanità, si è adeguata alle nostre ferite. (…) Siccome l’uomo era caduto a causa della superbia, per guarirlo usò l’umiltà. Fummo ingannati dalla astuta sapienza del serpente; veniamo liberati dalla stoltezza di Dio. Ma come Egli, che si chiamava Sapienza - era però stoltezza per quanti disprezzano Dio -, così, di nuovo, Egli, chiamato stoltezza, è Sapienza per quanti vincono il diavolo. Noi usammo male dell’immortalità e ci procurammo la morte; Cristo, usando bene della sua condizione mortale, ha fatto sì che riavessimo la vita. Corrotto che fu l’animo di una donna, entrò nel mondo la malattia; la salute è a noi derivata dal corpo di una donna rimasto integro.
 

MARTEDÌ

"Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù:
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".
(Mt 1, 21)

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 380, 1-2)

Le due nascite del Signore

Conosciamo due nascite del Signore: una divina e una umana, mirabili entrambe; nella prima non v’è madre, nell’altra non v’è padre; la nascita eterna fu volta a creare la nascita nel tempo, la nascita nel tempo a donare la nascita eterna. Di lui infatti scrive Giovanni l’Evangelista: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e ancora: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto (Gv 1, 1.3). Uguale al Padre nella sua grandezza in quanto Dio, creatore del tempo in quanto fuori dal tempo, giudice del tempo in quanto prima del tempo, egli si fece così piccolo da nascere da una donna; ma conservò la sua grandezza, non separandosi dal Padre. A lui resero ossequio e testimonianza tutti i Profeti, quelli venuti prima della sua nascita ad annunciarla, come lampade che precedono il giorno, e quelli venuti dopo la sua nascita, che aderirono a lui con la fede. Si doveva preannunciare che sarebbe venuto, che avrebbe fatto miracoli, e i miracoli dovevano rivelarlo Dio a chi ben intende; ma a chi lo guardava doveva anche mostrarsi uomo nel suo aspetto di uomo: piccolo per i piccoli, umile per i superbi. Con il suo farsi piccolo insegnò all’uomo a riconoscersi piccolo e a non credersi grande per essersi gonfiato, senza essere realmente cresciuto. La superbia non è grandezza, ma boria. Egli volle guarire il genere umano dalla vanagloria, facendosi lui stesso medico e medicina; non diede una medicina, ma si fece lui medicina. Per questo apparve uomo tra gli uomini, mostrandosi uomo a chi lo vedeva, riservandosi Dio per chi aveva fede. La vita dell’uomo Gesù fece guarire i malati, ma solo uomini forti sono in grado di contemplare la sua divinità. Poiché allora gli uomini non erano in grado di vedere Dio nell’uomo, non potevano vedere in lui che l’uomo. Ma in un uomo non si deve riporre la speranza. E allora? Un uomo lo si può guardare, non lo si deve seguire. Gli uomini dovevano seguire Dio che non potevano vedere, non l’uomo che potevano vedere. Ecco dunque che Dio si è fatto uomo per rivelarsi all’uomo in modo che lo potesse vedere e seguire. E se Dio si è fatto uomo per te, uomo, ti devi credere davvero cosa grande; ma ti devi abbassare per poter salire, perché anche Dio si è fatto uomo abbassandosi. Attàccati alla medicina che ti cura, imita chi si è fatto tuo maestro, riconosci il tuo Signore, abbraccia in lui il fratello, riconosci il tuo Dio.

MERCOLEDÌ

"Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita
e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni".
(Lc 1, 13)

Agostino stabilisce un confronto tra le due annunciazioni dell’arcangelo Gabriele, l’una a Zaccaria, l’altra a Maria. Pur riconoscendo simili le risposte date da entrambi all’angelo, tuttavia l’esito delle loro parole si rivela differente: Zaccaria merita la punizione del silenzio, Maria invece un chiarimento esplicativo. Il Vescovo d’Ippona spiega questa diversità: l’uomo non ha creduto alle parole dell’angelo, pretendendo quale conferma una prova concreta; la Vergine invece, nell’accogliere la volontà divina, ha interrogato il messaggero sulle modalità di un concepimento, che non tradisse il suo proposito di verginità. Le parole, pur risuonando simili all’orecchio, rivelano una differente intenzione dei cuori, che solo Dio può scrutare in profondità.

 

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 290, 4.4-5.5)

L’annuncio a Zaccaria

È assai importante in verità, e non solo per le madri, che Maria sia stata vergine e l’altra [Elisabetta] una donna sterile; l’una dallo Spirito Santo resa genitrice del Figlio di Dio Signore nostro e l’altra, da suo marito senescente, del precursore del Signore. E fate attenzione a quel che segue. Zaccaria restò incredulo; perché non credette? Chiese all’angelo una prova per la quale accertarsi di ciò che prometteva, essendo egli vecchio e sua moglie avanti negli anni. E l’angelo gli disse: Ecco, sarai muto, non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a suo tempo (Lc 1, 20). E ricevette la pena del mutismo a causa della diffidenza. Che aveva detto il profeta di Giovanni? La voce che grida nel deserto (Is 40, 3). È muto Zaccaria che sarà padre della voce. Rimase muto perché non credette, a ragione fu muto fino alla nascita della voce.

Ma ti prego, Signore, sto picchiando insieme a coloro che mi ascoltano, aprici, rendici chiaro il senso di tale questione. Zaccaria chiede all’angelo le condizioni per riconoscere quel che gli viene annunziato, essendo vecchio e sua moglie avanzata negli anni. Gli si dice: Perché non hai creduto, sarai muto (Lc 1, 20). Cristo è annunziato alla vergine Maria, che a sua volta s’informa della condizione e dice all’angelo: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo (Lc 1, 34). E Zaccaria: Da che posso conoscere questo? In realtà, io sono vecchio e mia moglie avanzata negli anni (Lc 1, 18). E Maria: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo. A quello dice: Sarai muto perché non credi: a lei, invece, spiega la condizione, non le si impone il silenzio. Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo. E l’angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo su te stenderà la sua ombra (Lc 1, 35). Ecco il modo in cui avverrà e che vuoi sapere, ecco come tu che non conosci uomo sarai anche madre, ecco come: perché lo Spirito Santo scenderà su di te e su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Non puoi temere l’ardore della libidine all’ombra di così eccelsa santità. Perché questo? Se teniamo conto delle parole, o entrambi credettero o entrambi dubitarono, Zaccaria e Maria. Mentre noi siamo capaci solo di ascoltare le parole, Dio può rivolgersi ai cuori.

Noi comprendiamo, carissimi, che Zaccaria, dicendo: Da che posso conoscere questo? In realtà io sono vecchio e mia moglie avanzata negli anni (Lc 1, 18), parlò nella diffidenza, non per capire meglio: ma, al contrario, quando Maria domandò: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo (Lc 1, 34), parlò decisa a comprendere, non per diffidenza. Nel porre la domanda, non dubitò della promessa. O veramente piena di, grazia! Proprio così fu salutata dall’angelo: Ave, piena di grazia (Lc 1, 28).

Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 16:10

GIOVEDÌ

"Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio,
che chiamerà Emmanuele: Dio con noi".
(Is 7, 14)

Maria è la piena di grazia, colei che plasmata interamente dalla grazia divina si lascia avvolgere dalla sua ombra; ella si eclissa, per far emergere l’azione di Dio. Per quale ragione - si interroga Agostino - Maria ha meritato un privilegio così straordinario, ossia divenire la Madre di Dio? In un dialogo mistico intrecciato con la Vergine, il Vescovo di Ippona riconosce il dono di Dio: Credi a Colui al quale ho creduto. Vuoi sapere donde a me questo? Sia l’angelo a risponderti. Dimmi, angelo, donde questo a Maria? L’ho già detto nel saluto: Ave, piena di grazia (Lc 1, 28).

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 291, 5-6)

L’annuncio alla Vergine Maria

Un figlio è promesso a Zaccaria, un figlio è promesso anche alla santa Maria, ed ella pure pronunzia quasi le stesse parole che aveva detto Zaccaria. Infatti, che cosa aveva detto Zaccaria? Come posso conoscere questo? Io infatti sono vecchio e mia moglie sterile e avanzata negli anni (Lc 1, 18). E Maria santa che cosa dice? Come avverrà questo? Simile il suono delle parole, diverse le disposizioni interiori. L’uomo infatti può udire il suono della voce, Dio scruta i cuori. Quindi, che in quelle parole di Zaccaria non ci fosse stata fede, ma dubbio e diffidenza, lo fece capire l’angelo togliendo la parola e condannando l’incredulità. Veramente Maria disse: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo (Lc 1, 34). Riconoscetevi il proposito di verginità. (…) Dicendo: Come avverrà questo? volle sapere il modo, non dubitò dell’onnipotenza di Dio. Come avverrà questo? Intendi come: resterà la tua verginità, tu credi soltanto il vero, conserva la verginità, ricevi l’integrità. Poiché la tua fede è integra, anche la tua integrità resterà inviolata. Infine, ascolta come avverrà questo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo stenderà su di te la sua ombra (Lc 1, 35).

Chi sei tu che sarai madre? Come lo hai meritato? Da chi lo hai ricevuto? Perché si formerà in te chi ha creato te? Come mai, dico, un bene così grande a te? Sei vergine, sei santa, hai fatto voto; ma se è molto quanto hai meritato, anzi, è veramente molto di più quel che hai ricevuto. Come dunque lo hai meritato? Si forma in te chi ha creato te, si forma in te mediante colui per il quale tu hai avuto l’esistenza: anzi persino mediante colui per il quale è stato creato il cielo e la terra, per il quale tutte le cose sono state create, si fa carne in te il Verbo di Dio, ricevendo un corpo, non perdendo la divinità. E il Verbo si congiunge alla carne, e il Verbo si unisce alla carne; ed il talamo di questo così grande connubio è il tuo grembo. Ripeto, il talamo di un così grande connubio, cioè del Verbo e della carne, è il tuo grembo: da dove quale sposo esce dalla stanza nuziale (Sal 18, 6). Nel suo concepimento ti trova vergine, nato, ti lascia vergine. Concede la fecondità, non priva dell’integrità. Perché a te questo? Pare che stia facendo una domanda indiscreta alla Vergine, e quasi che questa mia petulanza risulti di imbarazzo alla sua riservatezza. Noto però che la Vergine va turbandosi e tuttavia ecco che risponde e mi avverte: Mi chiedi donde a me questo? Ho ritegno a farti conoscere il mio bene, ascolta il saluto da parte dell’angelo e riconosci che in me è la tua salvezza. Credi a Colui al quale ho creduto. Vuoi sapere donde a me questo? Sia l’angelo a risponderti. Dimmi, angelo, donde questo a Maria? L’ho già detto nel saluto: Ave, piena di grazia (Lc 1, 28).

VENERDÌ

"Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:
Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!".
(Lc 1, 41-42)

La caratteristica del parto di Maria è la sua perpetua verginità. Agostino non cessa di ripetere che Maria è vergine prima, durante e dopo il parto. E’ un tema caro alla tradizione dei Padri, che pur senza avventurarsi in una complessa - quanto improbabile - spiegazione dei particolari, tuttavia riconoscono alla Vergine il concepimento che non ha violato la sua integrità fisica. Per sottolineare ancor più tale aspetto si aggiungono riferimenti biblici: il parto verginale è accostato all’ingresso di Dio nel suo tempio per la porta chiusa (Ez 44, 1-2); al giardino chiuso del Cantico dei Cantici (4, 12); all’entrata di Gesù Risorto nel cenacolo dalle porte sbarrate (Gv 20, 26). Spiega Agostino: (Cristo) nato in quella carne, poté uscire piccolo attraverso viscere chiuse, e grande, risuscitato, poté entrare attraverso porte chiuse. Il cosiddetto motivo dell’uterus clausus diviene ricorrente negli autori del IV-V secolo allorché si è affermata la convinzione della verginità perpetua di Maria, secondo una seguente articolazione di pensiero:

  1. Cristo è concepito verginalmente per opera dello Spirito Santo;
  2. Il concepimento non sottrae a Maria la verginità;
  3. Dopo la nascita di Cristo, la Madre non ha avuto altri figli.

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 215, 4)

Il concepimento verginale di Maria

La Vergine Maria partorì credendo quel che concepì credendo. Infatti quando le fu promesso il figlio, essa domandò come questo sarebbe successo, dato che non conosceva uomo. E l’angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo; colui dunque che nascerà da te sarà santo e chiamato Figlio di Dio. E dopo che l’angelo ebbe detto così, essa, piena di fede e concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose: Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me secondo la tua parola (Lc 1, 34-38). Ossia avvenga la concezione nella vergine senza seme di uomo; nasca da Spirito Santo e da una donna integra colui per il quale integra possa rinascere da Spirito Santo la Chiesa. Il santo che nascerà dalla parte umana della madre senza l’apporto umano del padre si chiami Figlio di Dio; colui che è nato da Dio Padre senza alcuna madre, doveva in modo meraviglioso diventare figlio dell’uomo, e cosi, nato in quella carne, poté uscire piccolo attraverso viscere chiuse, e grande, risuscitato, poté entrare attraverso porte chiuse. Sono cose meravigliose, perché divine; indescrivibili, perché inscrutabili; non è in grado di spiegarlo la bocca dell’uomo, perché non è in grado di esprimerlo il cuore dell’uomo. Maria credette e in lei quel che credette si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò possa giovare anche a noi. Per quanto infatti anche questa nascita sia ammirabile, tuttavia, o uomo, tu puoi pensare che cosa il tuo Dio si è fatto per te, il Creatore per la creatura; il Dio che è sempre in Dio, l’Eterno che vive con l’Eterno, il Figlio uguale al Padre non ha disdegnato di rivestirsi della condizione di servo per dei servi empi e peccatori. E questa non è stata ricompensa a dei meriti umani; per le nostre iniquità semmai noi meritavamo delle pene; ma se egli avesse tenuto conto delle colpe, chi avrebbe potuto sussistere? (Cf. Sal 129, 3) E’ quindi per dei servi empi e peccatori che il Signore si è degnato di nascere servo e uomo dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria.

SABATO

"Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono".
(Lc 1, 49-50)

"Agostino parla di Maria come tipo e madre della Chiesa. Come Maria è vergine e madre nel suo corpo, così la Chiesa deve essere vergine e madre in tutti i suoi membri. Vergine per l’integrità della fede: la sua fede deve essere integra, totale ed invulnerata. E’ per questa verginità o integrità della fede che la Chiesa è e deve essere vergine. Ma la Chiesa è anche madre, perché genera a Cristo i figli attraverso i sacramenti. E’ madre attraverso la carità, il fervore della carità. Maria è quindi l’esempio della fede; e il miracolo straordinario, compiuto da Dio perché lei fosse anche corporalmente madre e vergine, serve ad indicare questa prerogativa fondamentale della Chiesa che deve essere vergine e madre… Anche se Maria è, nella Chiesa, il membro più nobile di tutti gli altri, tuttavia la Chiesa è più in alto di Maria. La madre di Gesù va vista nella sua vera grandezza collocandola nella visione della Chiesa, senza però dimenticare che è anche madre della Chiesa" (P. Trapé).

 

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 213, 8)

Il concepimento verginale della Chiesa

La santa Chiesa siamo noi. E non dico noi [solo] nel senso di quanti ora stiamo qui, di voi che mi ascoltate. Quanti siamo qui, per grazia di Dio fedeli cristiani di questa Chiesa, ossia di questa città, quanti ne sono in questa regione, quanti ne sono in questa provincia, quanti ne sono oltre il mare, quanti ne sono in tutta la faccia della terra - perché da dove sorge il sole fin dove tramonta è lodato il nome del Signore (Cf. Sal 112, 3) -, questa è la Chiesa cattolica, nostra madre vera, vera coniuge di tanto Sposo. Onoriamola, perché è la dama di un così grande Signore. E che potrò dire? Oh! grande e singolare degnazione dello Sposo! La incontrò meretrice e la rese vergine! Non deve negare di essere stata meretrice, per non disconoscere la misericordia del suo liberatore. Egli venne e la rese vergine: rese vergine la sua Chiesa. Essa è vergine a motivo della fede: se guardiamo carnalmente, ha poche vergini consacrate, ma nella fede deve avere tutti vergini, donne e uomini; in questo deve consistere la castità, la purezza e la santità. Volete sapere come essa è vergine? Ascoltate l’apostolo Paolo, ascoltate l’amico dello sposo, che è geloso per lo sposo e non per se stesso. Io vi ho promesso ad un unico sposo, egli dice. Lo diceva alla Chiesa. A quale Chiesa? Dovunque la sua lettera fosse potuta arrivare. Io vi ho promesso ad un unico sposo, per presentarvi a Cristo come una vergine casta. Però temo, soggiunge, che come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così i vostri sentimenti si corrompano dalla castità nei riguardi di Cristo (2 Cor 11, 2-3). Se temi di corromperti, vuol dire che sei vergine. (…) La Chiesa dunque è vergine. Vergine è, e vergine si conservi: stia ben lontana da chi cerca di sedurla, per non ritrovarsi con chi la corrompe. La Chiesa è vergine. Tu forse mi potresti dire: Ma se essa è vergine, come mai partorisce dei figli? E se figli non ne partorisce, come mai noi abbiamo dato i nostri nomi per nascere dalle sue viscere? E io ti rispondo: Essa è vergine però partorisce. Assomiglia a Maria che partorì il Signore. Forse che santa Maria non partorì da vergine, e vergine rimase tuttavia? Così anche la Chiesa partorisce ed è vergine. E se consideri bene, [anche] essa partorisce il Cristo, perché sono membra di Cristo quelli che vengono battezzati. Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra (1 Cor 12, 27), dice l’Apostolo. E se partorisce membra di Cristo, essa è somigliantissima a Maria.

Cattolico_Romano
00domenica 7 dicembre 2008 16:13

IV Settimana di Avvento

 

DOMENICA

"Giuseppe non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo".
(Mt 1, 20)

Come Maria, così Giuseppe è chiamato ad accogliere un sorprendente piano divino. Egli si fa obbediente a ciò che è frutto dello Spirito e, proprio in forza di questa sua obbedienza, diviene collaboratore di Dio nella storia della salvezza. Egli sarà il padre legale di Gesù; ma il fatto di non aver partecipato al suo concepimento, non gli attribuirà tuttavia una paternità "di minor grado". Agostino insiste a chiare lettere: Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Non è un padre ritenuto tale per opinione comune: Giuseppe è padre e lo è realmente.

Dai "Discorsi" di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 51, 16.26; 20.30)

La vera paternità di Giuseppe

La dignità verginale ebbe origine dalla Madre del Signore, quando cioè nacque il re di tutti i popoli; fu lei a meritare non solo d’avere il figlio ma anche di non soggiacere alla corruzione. Come dunque quello era vero matrimonio e matrimonio senza corruzione, così quel che la moglie partorì castamente, perché il marito non avrebbe dovuto accoglierlo castamente? Come infatti era casta la moglie, così era casto il marito; e come era casta la madre, così era casto il padre. Colui dunque che dice: "Giuseppe non doveva essere chiamato padre, perché non aveva generato il figlio", nel procreare i figli cerca la libidine, non l’affetto ispirato dalla carità. Giuseppe con l’animo compiva meglio ciò che altri desidera compiere con la carne. Così, per esempio, anche coloro che adottano dei figli, non li generano forse col cuore più castamente, non potendoli generare carnalmente? Vedete, fratelli, i diritti dell’adozione, per cui un uomo diventa figlio di uno dal quale non è nato, in modo che ha maggior diritto nei suoi riguardi la volontà dell’adottante che non la natura del generante.

Allo stesso modo che è casto marito, così [Giuseppe] è pure casto padre. Ciò che lo Spirito Santo effettuò, lo effettuò per ambedue. È detto: Essendo un uomo giusto (Mt 1, 19). Giusto dunque l’uomo, giusta la donna. Lo Spirito Santo, che riposava nella giustizia di ambedue, diede un figlio ad entrambi. (…) L’Evangelista dice anche: E gli partorì un figlio (Lc 2, 7), parole con cui senza dubbio si afferma che Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente. (…) E perché è padre? Perché tanto più sicuramente padre, quanto più castamente padre. In realtà si credeva ch’egli fosse padre di nostro Signore Gesù Cristo in modo diverso; lo fosse cioè come tutti gli altri padri che generano carnalmente, non come quelli che accolgono i figli con il solo affetto spirituale. Difatti anche Luca dice: Era opinione comune che Giuseppe fosse il padre di Gesù (Lc 3, 23). Perché era opinione comune? Perché l’opinione e il giudizio della gente era portato verso ciò che di solito fanno gli uomini. Il Signore dunque non è discendente di Giuseppe per via carnale, sebbene fosse ritenuto tale. Tuttavia alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio.

LUNEDÌ - 24 DICEMBRE

"Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge
per dirigere i nostri passi sulla via della pace".
(Lc 1, 78-79)

Dal "Commento al Vangelo di Giovanni" di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 2, 5-8)

Cristo è la luce vera

Ci fu un uomo. E come poteva quest’uomo dire la verità parlando di Dio? Fu mandato da Dio. Come si chiamava? Il suo nome era Giovanni. A quale scopo egli venne? Egli venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo (Gv 1, 7). Perché dunque è venuto? Per rendere testimonianza alla luce. Perché occorreva questa testimonianza? Affinché per mezzo suo tutti credessero. E a quale luce egli è venuto a rendere testimonianza? C’era la luce vera. Perché l’evangelista aggiunge vera? Perché anche l’uomo che è illuminato può essere chiamato luce, ma la vera luce è quella che illumina.

Egli veniva in soccorso degli spiriti deboli, dei cuori feriti, per curare la vista malata dell’anima. Per questo veniva. (…) Se l’uomo non si fosse allontanato da Dio, non avrebbe avuto bisogno d’essere illuminato: dovette esserlo, perché si era allontanato da chi poteva sempre illuminarlo.

Ma allora se è venuto, dove era? In questo mondo era. C’era e c’è venuto: c’era in quanto Dio, c’è venuto in quanto uomo; perché, pur essendo qui in quanto Dio, non poteva essere visto dagli stolti, dai ciechi, dagli iniqui. Gli iniqui sono le tenebre di cui è stato detto: La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno compresa. Ecco, egli è qui anche adesso, c’era, e ci sarà sempre: mai si allontana da nessun posto. Affinché tu possa vedere colui che mai si è allontanato da te, è necessario che tu non ti allontani mai da chi è presente dovunque: non abbandonarlo mai e non sarai abbandonato. Cerca di non cadere e per te la luce non tramonterà mai. Se cadi, egli per te tramonta: ma se rimani in piedi, egli sta di fronte a te. Tu, però, non sei rimasto in piedi: ricordati da dove sei caduto, da quale altezza ti ha precipitato chi cadde prima di te. Ti ha fatto precipitare, non con la forza o con l’istigazione, ma col tuo consenso. Se infatti tu non avessi consentito al male, saresti rimasto in piedi, saresti ancora nella luce. Ora però, poiché sei caduto e sei ferito al cuore, che solo è capace di vedere quella luce, essa è venuta a te quale tu potevi vederla.

Tratto da: www.augustinus.it

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