L'arcivescovo belga che cambiò il volto della Roma di Pio IX

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S_Daniele
00venerdì 30 ottobre 2009 19:38
 



 

L'intelligenza pratica del soldato de Merode

 
L'arcivescovo belga che cambiò il volto della Roma di Pio IX

 

 

Pubblichiamo gli interventi di due relatori presenti all'incontro "Monsignor de Merode (1820-1874) e la Roma del suo tempo", tenuto venerdì 30 ottobre a Roma presso l'Academia Belgica.

di Johan Ickx

Frederick François-Xavier de Merode nasce a Bruxelles il 26 marzo 1820. Era il nipote del conte Félix de Merode (1791-1851), uno dei politici più in vista nel nuovo regno del Belgio. Uno dei suoi antenati, Charles William (1762-1830) era stato nominato ciambellano da Federico Guglielmo ii, re di Prussia, e sotto il regno di Napoleone fu ambasciatore a L'Aia, membro del Senato imperiale francese e sindaco di Bruxelles, nonchè Gran Maresciallo della Corte dei Paesi Bassi. Un vero cittadino europeo, quindi:  è stato successivamente austriaco, belga, prussiano, francese e olandese. Philippe-Félix, il padre di François-Xavier, nacque a Maastricht nel 1791. Era un leader del regno cattolico dei Paesi Bassi e del Belgio:  nel 1831, dopo la rivolta contro il re Guglielmo ii d'Olanda, nella quale perse la vita suo fratello Federico, il primo re del Belgio indipendente lo nominò ministro di Stato. Si sposò due volte:  nel 1809 con Rosalia de Grammont e nel 1831 con Philippine de Grammont, sorella della prima moglie, che curò l'educazione del giovane Xavier quando perse la madre all'età di tre anni.

François-Xavier compie gli studi classici presso il Collegio dei Gesuiti a Namur ed in seguito, dal 1834 al 1838, nel famoso collegio Juilly, vicino a Parigi. Iscrittosi nel 1839 all'università di Lovanio, dopo alcuni mesi passa all'Accademia militare di Bruxelles. Destinato alla carriera militare, dietro sua richiesta nel 1844 diventa addetto estero particolare dello Stato Maggiore del generale Thomas Robert Bugeaud, governatore d'Algeria.

Alla fine del 1845 torna in Belgio da tenente; nel dicembre 1847, secondo in comando, si dimette dall'esercito per seguire una vocazione di cui aveva già parlato al famoso conte Charles de Montalembert, diventato suo cognato nel 1836. Il 14 dicembre 1846 in una lettera indirizzata al conte, che egli ammirava moltissimo, de Merode confessa il suo disgusto per il mondo e parla del suo desiderio, segreto ma probabilmente molto sincero:  "Così, ogni giorno mi sento più trascinato verso un pensiero di cui ho parlato con voi tra Gibilterra e Ceuta, se non mi sbaglio. È questo il pensiero del quale mi sarebbe piaciuto parlare con voi, se avessi potuto incontrarvi presto, come avrei voluto. Voi siete riuscito a convincermi ad andare alla guerra in Algeria, invece avreste fatto meglio a mandarmi per la Chiesa e Gesù Cristo".

Nel marzo 1847 de Merode perde la sua seconda madre, Philippine de Grammont. Nell'inverno dello stesso anno prende una decisione importante, cercando il sostegno e la direzione nel cognato Montalembert, in padre Gerbet e in padre Ventura. Nel mese di ottobre dello stesso anno Francesco Saverio, 27enne, parte per la città eterna:  vi è accolto da monsignor Pieter Aerts, rettore dell'appena eretto Collegio belga, e da padre Janssens, della Compagnia di Gesù. Si iscrive intanto al Collegio Romano, ammirato dai giovani sacerdoti del Collegio belga. Il futuro canonico Dubois di Tournai scrive al suo vescovo, il 26 luglio 1848:  "Monsieur le Comte de Merode ci ha insegnato ad usare il bastone, perché di recente qualcuno ha cercato di inviare un cane alle calcagna, ma la bestia, come Ella sente bene, non si è degnata nemmeno di alzare la testa ed aprire gli occhi".

Dopo l'assassinio del primo ministro Pellegrino Rossi (avvenuto il 16 novembre del 1848), pugnalato sulle scale del Palazzo della Cancelleria, François-Xavier partecipa all'attacco al Quirinale. Il 23 dicembre 1848 - mentre il Papa è in esilio a Gaeta - François-Xavier prende gli ordini minori. Celebra la sua prima Messa a San Pietro il 23 settembre 1849. Il giovane ecclesiastico avrebbe potuto ben presto cominciare la "sua" battaglia per la Chiesa. Durante l'assedio di Roma del 1849 si distingue per il suo coraggio disinteressato. Dopo che le truppe francesi avevano riportato l'ordine a Roma, de Merode partecipa attivamente al restauro del governo pontificio, iniziando da cappellano militare. Di ritorno da Gaeta Pio IX, nel mese di aprile 1850, lo nomina uno dei suoi camerieri partecipanti. Durante i primi dieci anni della sua carriera nella Curia si distingue sia per la generosità verso i poveri, sia per le doti d'intelligenza pratica nelle opere, alle quali dedica molto del suo tempo libero e gran parte delle proprie risorse.

L'abate de Merode guadagnò rapidamente il favore del Papa per la sua natura perspicace e decisa, la sua pietà, la sua devozione, la sua profonda conoscenza di tutto ciò che riguardava l'alta politica dei Paesi al di là delle Alpi, e la sua esperienza istituzionale, amministrativa e finanziaria. Anche le istituzioni nazionali belghe a Roma non mancavano di chiamarlo in loro aiuto. Il 6 maggio 1851 divenne provvisore della Fondazione Lambert Darchis, dove conobbe il banchiere Terwange e il pittore, più tardi imprenditore, Pietro Monami.

Merode fu risolutamente devoto alla causa del potere temporale del Papa, promuovendo nel contempo l'ammodernamento dell'amministrazione pontificia, cercando così di eliminare una delle obiezioni principali avanzate dai liberali contro la sovranità del Pontefice.

Un tale personaggio non poteva mancare all'appuntamento con la storia. Il 17 aprile 1859 diventa canonico di San Pietro e un anno dopo, nel 1860, Pio IX lo nomina pro-ministro delle armi. "Pro-ministro" invece di "ministro":  è facile concepire quanto fosse delicata la posizione di questo prelato belga presso la Curia, vis-à-vis con gli esponenti politici ed ecclesiastici predominanti nella città papale, in primo luogo il cardinale Antonelli, segretario di Stato, che nutrì non poca invidia per la sua posizione.

Da quella data François-Xavier de Merode comincia ad organizzare, in stretta collaborazione con il generale dell'esercito pontificio La Moricière, la campagna bellica, avviata troppo presto nelle sanguinose campagne di Castelfidardo e Ancona. Dopo il fallimento dei suoi zuavi, perché contrastato dal cardinale Antonelli geloso della sua influenza e della sua attività, a causa di intrighi organizzati contro di lui, ma anche a causa della sua "impertinenza", vale a dire la sua incapacità di adeguarsi alle sottigliezze del gioco politico, il pro-ministro è costretto a dimettersi nel 1865. Accetta però una carica nuova, quella di cappellano papale, e il 22 giugno 1866 il Papa gli conferisce la dignità di arcivescovo titolare di Militene.

Tra il 1865 e il 1870 Xavier de Merode mostra straordinaria attività nel campo della carità, dell'educazione e nella pianificazione urbana. Erede delle idee dei grandi progettisti d'Europa, non solo ha lanciato un programma di rinnovamento e di trasformazione di Roma, ma ne diresse e organizzò egli stesso l'esecuzione. Grazie alla sua iniziativa conosciamo la prima bonifica dei terreni agricoli intorno alla città, ma ancora più incisiva è stata la creazione e l'attuazione della piazza Termini e di piazza Esedra; la progettazione e realizzazione della Via de Merode, in seguito via Nazionale, e di tutto il quartiere intorno, come strada di collegamento della zona di Termini e delle Terme di Diocleziano, fortemente vittima del degrado sociale, con piazza Venezia, il centro di Roma, elevando così i ceti bassi della società fino ad allora rintanati nei loro "settori". Con particolare attenzione si impegna al contempo per rendere più umane le condizioni di vita dei carcerati.
L'avvento di Porta Pia pose fine a questa "impresa de Merode", che qualcuno ha considerato mera speculazione, dimenticando i vantaggi che la città di Roma e la sua gente ne ha ricavati.

L'apertura degli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede, ci ha permesso di scoprire la prova di un altro danno psicologico inflitto all'arcivescovo di Militene. Accusato dal preposito generale della Compagnia di Gesù, il belga Beckx, di non aver accettato la definizione di infallibilità, e dopo che Pio IX ordinò al Sant'Uffizio di esaminare l'affare, monsignor de Merode ne uscì umanamente umiliato e ferito, ma la sua fama non ne subì alcun danno.

Tuttavia dopo il 1870, non si è fermata la sua opera caritativa e di acquisizione. Un anno dopo, nel 1874, lo troviamo con un suo amico di vita, Giovanni Battista De Rossi, alla scoperta delle catacombe di Santa Domitilla. Ma forse proprio questa visita alle catacombe ha causato, nel giugno 1874, una polmonite acuta. Recentemente presso il castello di Trélon abbiamo avuto modo di consultare, attraverso la disponibilità della principessa de Merode e della sua famiglia, e l'aiuto della archivista, le ultime lettere scritte dall'arcivescovo. A Roma, intanto, si vociferava che lui fosse un candidato alla porpora cardinalizia per l'imminente concistoro.

Nell'ultima lettera al fratello, datata 5 luglio 1874, de Merode scrive:  "Io continuo a stare meglio (...) non scrivo a te domani, se non vi è nulla di nuovo nella mia condizione". Due giorni dopo, però, la malattia peggiora e il 10 luglio François-Xavier muore. Pio IX lo va a trovare, mentre lo assiste la sorella Anne, Madame de Montalembert.
"Nessuno lo ha conosciuto meglio di Pio IX e nessuno lo ha forse più amato" disse di lui Veuillot. È vero che l'arcivescovo de Merode poteva contare sul favore del Papa, che era affezionato a questo leale, austero e gioioso prelato belga ed aveva potuto apprezzare la sua dedizione e disinteresse personale. Il 18 febbraio 1875 Pio IX scrisse a Werner de Merode:  "Ho avuto la Consolazione di veder terminata tutta la gestione di Mons. Fra(ncesco) Saverio instancabile gestore, Che però ha voluto spesso camminare per vie difficili, e non poteva far a meno di inciampare".

Come valutare il silenzio sui rapporti tra questo personaggio e il Risorgimento italiano? Oltre alle monografie di La Potevin e di monsignor Besson, ci sono gli studi del canonico Aubert e questo è tutto. Ci sono diversi motivi che giustificano questa mancanza di interesse da parte degli storici della Chiesa. La damnatio memoriae è probabilmente causata dagli eventi storici in Italia, ma la ragione ancora più importante è probabilmente la mancanza di materiale d'archivio che ha impedito a storici italiani e colleghi belgi di affrontare con successo uno studio approfondito e una biografia completa di de Merode, e valutare le sue numerose attività. Abbiamo seguito per anni il compianto John Puraye di Liegi, solerte provvisore della Fondazione Darchis a Roma, nella ricerca delle lettere e dei documenti di François-Xavier de Merode, ma i risultati di questo suo lavoro, purtroppo, non sono mai emersi. Siamo lieti di poter completare il suo testamento spirituale, attraverso la disponibilità di tutti i membri della famiglia de Merode a metter a disposizione queste preziose fonti storiche. Gli archivi del Vaticano sono stati così arricchiti di una vera miniera d'oro per il ricercatore.



(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)
S_Daniele
00venerdì 30 ottobre 2009 19:40
  Fede, opere e attenzione ai «marginali»

Il rinascimento voluto dal cognato di Montalembert


di Roberto Regoli

La Roma papale è conosciuta per la bellezza della città, i suoi musei, gli scavi archeologici, la maestosità architettonica e l'imponenza sacrale delle sue cerimonie. È tappa obbligatoria dei tour neoclassici e romantici. La Roma città, però, è anche altro. È una rete di persone, relazioni e istituzioni. Esiste una Roma meno conosciuta, quella dei bisognosi, dei malati e dei prigionieri. Esiste una Roma rete di istituzioni caritative ed educative. È la città che conobbe e nella quale visse monsignor François-Xavier de Merode.

Nella Roma del periodo si ha un incremento costante della popolazione, al cui interno il clero costituisce mediamente il 3,5 per cento della popolazione, con tendenza a salire da metà secolo al 1870, anche per l'afflusso di religiosi provenienti dagli Stati gradualmente annessi al Regno d'Italia.

La significativa presenza del clero rende unica al mondo la città, arricchita ulteriormente da una rilevante presenza religiosa femminile. È una città in crescita tanto demografica, quanto urbanistica. Ciò è dovuto soprattutto all'afflusso dalle campagne romane. La plebe costituisce circa il 90 per cento della popolazione, essendo poco incisiva la presenza del ceto medio e numericamente poco significativa l'aristocrazia. Le autorità governative si sforzano per garantire l'alimentazione di una città sovraffollata e improduttiva. Seguendo le descrizioni dei forestieri, che facevano confronti con le loro città, il costo della vita a Roma è ritenuto basso. Tra gli stranieri, risulta significativa la presenza di francesi ed inglesi. Questi ultimi formano una specie di colonia, nella quale alcuni di loro si imparentano con la nobiltà romana. In un contesto più ampio, bisogna ricordare il costante accorrere delle folle alle grandi celebrazioni papali:  si va a Roma non soltanto per visitare le tombe dei martiri, ma per incontrare il Papa Pio IX. La città continua ad essere meta di pellegrinaggi. La rete romana di locande, osterie e alberghi non può che beneficiarne.

A livello abitativo, qualcosa comincia a muoversi nella Roma dell'ultimo Pio IX, nel quadro di un lento processo di trasformazione cittadina, per cui si abbattono e si ricostruiscono case, sempre più alte, con nuove tipologie di appartamenti e servizi, nuovi materiali e nuove apparenze esterne. Di nuovo c'è la stazione ferroviaria di Termini (1863) e l'inizio di un quartiere nei suoi pressi (piazza dell'Esedra). Permangono comunque i gravi problemi della carenza di abitazioni (diffuso il fenomeno del subaffitto).

La città si modernizza. Nel 1854 si fa gran festa per l'illuminazione a gas della "Strada papale" (piazza Venezia e del Gesù, del Corso). Negli anni Sessanta, si studiano nuovi sistemi di trasporto urbano:  appaiono i primi servizi con i cavalli. Roma offre spazio sicuro all'impiego statale, alla clientela professionale e, in misura variabile, all'artigianato e al commercio. Durante il pontificato di Pio IX, si realizzano alcune opere, quali il tabacchificio di piazza Mastai, l'espansione urbanistica a ridosso di Termini, i restauri di molte chiese, le case popolari nei quartieri più degradati, l'apertura effettiva del cimitero del Verano e l'inaugurazione della ferrovia Roma-Frascati.
Il governo promuove l'attività industriale, che va dall'arte del doratore alle fabbriche di argille e mattoni (1864). Nello stesso periodo si avvia un graduale processo di imborghesimento della città, che costituirà uno dei caratteri peculiari dell'ultimo decennio di governo dei papi.

A livello di occupazione lavorativa, possono essere forniti dei dati significativi. Nel 1798-1799 più di 70.000 abitanti (46,6 per cento) sono bisognosi di aiuto, nel periodo 1809-1814 se ne hanno 30.000 (22 per cento della popolazione), mentre appena dopo il 1870 si hanno ben 112.000 romani (cioè metà della popolazione) che dichiarano alle sbigottite autorità italiane di non avere alcuna occupazione e risorsa. Gli storici, però, ritengono che in realtà solo un terzo della popolazione abbisognasse di lavoro o pane. Da secoli Roma era rifugio di vagabondi, oziosi, miserabili ed accattoni. A quest'ultimo degrado umano, si può associare quello urbano. Colpiscono, infatti, le condizioni di sporcizia in cui sono lasciate strade e piazze, con noncuranza delle norme igieniche.
Per andare incontro alle esigenze dei poveri e non semplicemente degli accattoni, lo Stato interviene costantemente. Si cerca di creare lavoro tramite il collaudato sistema pontificio dei lavori pubblici, soprattutto a partire dall'inizio del pontificato di Pio IX (1846).

Non solo lo Stato interviene, ma anche i privati:  individui, famiglie, congregazioni religiose, confraternite, istituti pii e corporazioni. Il peso principale, però, viene sostenuto dalla finanza e dall'organizzazione dello Stato. La stessa cassa privata del Pontefice interviene in elargizioni ufficiali. Particolarmente l'Elemosineria Apostolica, ufficio alla cui testa venne posto monsignor de Merode, distribuisce soccorsi di vario genere alle famiglie povere.
Esemplificando, nel 1842, operano 65 istituzioni, di cui alcune erano a carico di privati (le famiglie Torlonia, Doria, Odescalchi), riuscendo ad assistere 27.193 persone. Le vicende politiche dell'Ottocento portarono a un eccezionale aumento dell'esercito pontificio, perciò vengono aperti due ospedali per militari malati:  uno nel 1841 e uno nel 1867, l'anno di Mentana, per i soldati pontifici, francesi e anche garibaldini. Per quest'ultimo ospedale si deve molto a de Merode, che, in più, volle completare il suo istituto stabilendo a Borgo Santo Spirito una scuola per le figlie dei militari. Nel 1860 viene istituito il primo gerontocomio di Roma, nel 1869 l'ultimo ospedale della Roma papale, quello del Bambin Gesù, primo ospedale pediatrico di Roma, e vengono creati nuovi istituti specializzati. Tra il 1862 ed il 1870 circa il 4,6 per cento della popolazione è ricoverata annualmente presso gli istituti di carità.

Per quanto riguarda le malattie, la malaria è al primo posto, seguono le malattie respiratorie (come la tubercolosi), intestinali e della circolazione. È anche diffusa la sifilide. Il colera colpisce nel 1854-1855 e nel 1867-1868, il vaiolo gravemente nel 1866. Dinanzi alle epidemie coleriche, Pio IX erige lazzaretti ed elargisce soccorsi e sussidi.
Durante l'epidemia del 1854 de Merode si contraddistinse per lo zelo caritatevole. Ogni giorno, dopo aver prestato il suo servizio presso Pio IX, andava a visitare gli ospedali, sostando presso ogni letto, incoraggiando gli ammalati e distribuendo aiuti. Riuscì persino a persuadere il Papa ad andare a visitare lui stesso l'ambulatorio di sant'Andrea, destinato alla cura dei soldati. La visita fece molto scalpore a Roma e contrariò il cardinale Antonelli.
A proposito delle opere assistenziali, ne esistono alcune specializzate, come quelle per le "traviate", tese alla riabilitazione morale e alla rieducazione delle povere peccatrici. In questo ambito, un ricovero per condannate e anche per mendicanti fu aperto nel 1868 da de Merode nella villa Altieri.

Attento a ogni forma di marginalizzazione sociale, si occupa anche della riforma delle prigioni, in un contesto delicato, in quanto, a metà Ottocento, gli omicidi a Roma sono più frequenti che in altre grandi città dell'epoca. Ciononostante, decide di affidare agli ordini religiosi la conduzione dei prigionieri.

De Merode è assai operativo nella carità pratica. In ciò deve essere stato aiutato dall'educazione familiare. Dalle testimonianze di Montalembert, cognato del giovane monsignore, sappiamo che i nonni di François-Xavier "sono consacrati al sollievo e all'educazione dei poveri dei dintorni" del loro castello, così anche la madre è dedita alla beneficenza. Al castello di Villersexel, residenza della famiglia de Merode "tutto è per i poveri" scrive Montalembert.
Nella città eterna del XIX secolo non mancano gli istituti per l'educazione della gioventù. Esistono numerose scuole elementari, diversi collegi e due università. Gli strumenti per la formazione culturale non sono pochi. Si può riconoscere a Roma un ambiente culturalmente significativo, soprattutto nel campo dell'arte, dell'archeologia, per la presenza di importanti ed uniche biblioteche.
Estendendo lo sguardo all'intero Stato pontificio e considerandone il livello di istruzione, la valutazione è piuttosto positiva. Fra gli Stati italiani pre-unitari, quello pontificio è tra quelli che più rapidamente recuperano ampie fasce di ignoranza:  nel 1858 il tasso di scolarità generale è del 27 per cento, mentre nel 1870 il tasso di analfabetismo della sola provincia romana è del 60 per cento, inferiore a quello di Sicilia, Sardegna, Campania e Toscana, che già da almeno un decennio erano parte del Regno d'Italia.

Nel 1870, gli studenti assistiti dal clero sono più di 19.000 (l'8,5 per cento della popolazione), dei quali solo il 23,5 per cento paga per l'insegnamento ricevuto. A questo livello riforma l'Istituto delle "Zoccolette", come anche altri istituti destinati all'infanzia (per esempio, la scuola di San Luigi Gonzaga).
De Merode è un uomo che ha inciso nella vita cittadina del suo tempo, intento a innovare prigioni, scuole, ospedali e istituti caritativi; in questo è un rappresentante tipico della sua epoca. Ma siamo già al 1870.
La Roma papale tramonta, mentre sorge la capitale del Regno d'Italia. Il nuovo governo cittadino, anche dopo la morte del prelato (1874), accoglierà e realizzerà i suoi progetti urbanistici.



(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)
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