Roma, 26. "Non si può affrontare il problema dell'aids senza considerare che la nostra famiglia africana è una comunità unica che unisce i vivi con coloro che non sono ancora nati e coloro che non ci sono più, e senza inserirlo in un contesto globale": è quanto si sottolinea in un messaggio di Fratern Masawe, moderatore del Jesuit Superiors of Africa and Madagascar (Jesam), la Conferenza dei superiori maggiori gesuiti dell'Africa e del Madagascar, indirizzato a tutti i confratelli del continente, in occasione del World Aids Day, che sarà celebrato il prossimo 1° dicembre.
Nel messaggio si ricorda che, nell'ultimo Sinodo dei vescovi sull'Africa, è stato confermato che l'aids, assieme alla malaria e alla tubercolosi, sta decimando la popolazione e danneggiando in maniera grave la vita economica e sociale. Questa emergenza, si aggiunge, non è la sola, ma "prende posto tra le grandi sfide e i problemi" che presenta il continente.
Secondo padre Masawe è quindi giunto il momento di lanciare un messaggio di speranza e di incoraggiamento rivolto a coloro che sono stati colpiti dalla malattia e per sollecitare tutte le istituzioni civili coinvolte nell'affrontare l'emergenza ad adottare una visione più di ordine morale che prettamente sanitaria.
Nelle premesse, il gesuita afferma che "quando l'aids ha iniziato ad affliggere l'Africa, circa venticinque anni fa, poche persone hanno saputo reagire bene. Coloro che sono risultati contagiati dal virus dell'hiv o che erano già malati, si sono visti rifiutare e condannati, quasi come se fossero praticamente dei morti viventi" "Oggi le cose sono e devono essere differenti. Appartenere alla famiglia di Dio - aggiunge il sacerdote - significa reagire come Gesù ci ha insegnato: "Molti ragni che lavorano insieme possono immobilizzare un leone"".
È proprio sulla base del concetto di famiglia-comunità che il gesuita sviluppa la sua analisi, a iniziare dallo stesso titolo dato al messaggio "Imparare ad affrontare l'aids come famiglia". Il gesuita si riallaccia, fra l'altro, al primo Sinodo sull'Africa, che ha adottato l'espressione, ispirata dal concilio Vaticano II, "Chiesa-Famiglia di Dio in Africa". "La Chiesa - evidenzia padre Masawe - ha insegnato ai suoi figli e alle sue figlie a re-immaginare che cosa significhi essere cristiani come famiglia-comunità". Il gesuita, peraltro, pone in luce il fatto che la Compagnia di Gesù, tramite l'African Jesuit Aids Network (Ajan), ha negli ultimi anni avviato numerosi programmi di assistenza per sviluppare vie di approccio al problema, nell'ambito della rete delle comunità che fanno capo alla famiglia ignaziana e a quelle collegate.
Per padre Masawe non si può affrontare il problema, tuttavia, "senza comprendere anche il contesto, il ricco grappolo di complessi fattori che circondano ogni situazione umana". Riferendosi ancora a quanto emerso in occasione dell'ultimo Sinodo sull'Africa, il gesuita ricorda, a tale proposito, che la malattia non deve essere trattata soltanto dal punto di vista medico e farmaceutico o semplicemente come una questione legata al cambiamento del comportamento umano, ma come un tema che va affrontato tenendo in conto gli aspetti dello sviluppo e della giustizia, e che richiede un approccio e una risposta olistici da parte della Chiesa.
Padre Masawe rileva quindi che uno dei punti principali da prendere in considerazione è quello dell'educazione alla sessualità. Il gesuita spiega che "la sessualità in Africa è stata sempre vista come moralmente neutrale, né buona né cattiva, e come parte di ciò che significa essere umani". Per rendere più efficace l'affermazione, il sacerdote offre un paragone: " Il fuoco, se controllato e domato, è utile a preparare un pasto; se, invece, non lo si controlla, può bruciare il tetto e consumare l'intera casa". " Così, allo stesso modo, la sessualità - aggiunge - deve essere incanalata e disciplinata perché il suo potenziale di donare la vita sia realizzato e la sua distruttività venga limitata. Sia la nostra cultura africana che il nostro essere cristiani, ci forniscono delle norme per vivere la sessualità con il fine del bene duraturo di ognuno".
Padre Masawe nota altresì che la visione ecclesiale della sessualità "è spesso ritenuta rigida, irrealistica e moralistica e alcuni pensano che il fuoco dovrebbe essere lasciato bruciare, anche non tenendo in considerazione l'aids". "Questo - puntualizza - può essere un messaggio seducente per i membri più giovani della nostra famiglia, che stanno scoprendo la propria sessualità, come anche per gli adulti; ma molti altri, in realtà, cercano una guida su come vivere la sessualità in modo sano". "L'astinenza e la fedeltà - afferma il gesuita - sono non solo i modi migliori per evitare il contagio da hiv, ma anche la via per un'autentica realizzazione personale". Su questo terreno, ha specificato, diventa fondamentale il ruolo della Chiesa nella formazione personale e nel sostegno pubblici di coloro che vogliono promuovere e seguire questi valori. "L'educazione morale - spiega il sacerdote - incoraggia un approccio salutare nei confronti delle relazioni e della sessualità, basato sul rispetto e sull'amore per gli altri".
Nell'ambito della "famiglia africana", particolare cura, secondo il gesuita, dovrebbe essere posta anche nel sostegno alle coppie nelle quali entrambe le persone risultano afflitte dalla malattia.
Ma oltre alla sessualità, anche altri fattori, è ribadito nella parte finale del messaggio, favoriscono la pandemia: "Povertà, fame, guerra e sfruttamento forzato, violenza domestica e tratta degli esseri umani". "Chiunque voglia comprendere l'impatto dell'hiv/aids - si rileva - sulla vita umana, deve considerare l'economia, la politica, la società e la cultura, così come le questioni personali e familiari più immediate".
Il gesuita esorta però a non aver paura e a non scoraggiarsi "di fronte all'enormità dei problemi" che investono la popolazione africana. "L'aids - conclude padre Masawe - è parte della vita e lo sarà per molto tempo. Come una grande famiglia, affrontiamo la sfida con fiducia. Imploriamo il sostegno per fare fronte alle necessità di assistenza di molti. Sappiamo che nostro Padre è al nostro fianco. Come Gesù, Maria e Giuseppe nella Sacra Famiglia, così la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa conosce i suoi figli e le sue figlie, i loro bisogni, i loro punti di forza e le loro debolezze, le paure e le speranze". "La Chiesa - aggiunge - manifesta questa conoscenza d'amore nei suoi modi di prevenire l'hiv e di prendersi cura dei malati e di quanti sono affetti dall'aids, lavorando per la riconciliazione, la giustizia e la pace".