L'islam espelle i cattolici da Sarajevo. L'ONU tace (e acconsente)

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Bereschit
00domenica 11 gennaio 2009 20:19
Mentre in Italia alcuni, purtroppo crescenti sacerdoti hanno la "pia" intenzione di Donare dei luoghi di preghiera ai musulmani, ecco cosa avviene in Europa ai cattolici:

L'islam espelle i cattolici da Sarajevo. L'ONU tace (e acconsente)

I diversi islam
Noi cattolici senza casa

Anche in Europa, a un’ora di aereo da Roma, c’è un paese dove i cristiani subiscono lo sfratto della maggioranza islamica. L’allarme di Puljic, arcivescovo di Sarajevo

Bosnia Herzegovina, terra d’Europa a rischio “islam integralista”. L’ultimo caso è quello di un processo giudiziario contro ex mujaheddin islamici combattenti nella guerra degli anni Novanta, oggi “felicemente” integrati nell’apparato statale bosniaco: tale procedimento penale è stato insabbiato dalle autorità di Sarajevo. Secondo alcuni osservatori, quelli che un tempo, in nome del jihad, combattevano contro i cristiani serbi e croati oggi operano sottotraccia per imporre con la violenza la supremazia coranica nel cuore dei Balcani.

«Nel mio paese non esistono diritti umani uguali per tutti, i cattolici sono di-scriminati sia dai serbi che dai musulmani. E la comunità internazionale (leggi Onu, ndr) non fa niente, anzi: i militari, su comando dei politici, irrompono nelle nostre scuole dove si insegna la tolleranza tra le diverse religioni». La denuncia è di quelle autorevoli, viene da Vinko Puljic, arcivescovo cattolico di Sarajevo dal gennaio 1991, pochi mesi prima dello scoppio del sanguinoso conflitto. Quando a 49 anni ricevette la sua nomina a cardinale nel 1994, segno di affetto di Giovanni Paolo II per la città assediata dai cecchini, Puljic diventò il porporato più giovane di tutto il collegio cardinalizio. Nei giorni scorsi l’arcivescovo di Sarajevo è stato ospite del Centro Papa Luciani di Belluno. Tempi lo ha intervistato sulla situazione “dimenticata” dei cattolici in Bosnia.

Eminenza, recentemente il vescovo di Banja Luka, monsignor Franjo Komarica, ha denunciato che solo il 2 per cento dei cattolici di Bosnia esuli per la guerra sono potuti ritornare alle loro case. Qual è la situazione dei cattolici nel vostro paese?
Grazie per la domanda. Dopo gli accordi di Dayton, la Bosnia è stata divisa in due zone, una repubblica in cui è tutto in mano ai serbi, e un’altra interetnica, dove ci sono Sarajevo e Banja Luka. Nella prima repubblica, su 220 mila cattolici presenti prima dei combattimenti, oggi ve ne sono solo 12 mila. Perché? Il governo serbo non dà sicurezza a chi vuole tornare. Ci sono gravi problemi dal punto di vista burocratico e delle infrastrutture: mancano le case per chi vuole rientrare. Di tutti i programmi di aiuto di carattere internazionale stabiliti per questa zona, nessuno è andato a vantaggio dei cattolici, ma solo dei serbi (ortodossi, ndr) che sono al governo. Ho denunciato questo fatto anche a livello internazionale, ad esempio al governo austriaco. Il ministro degli Esteri di Vienna mi ha detto che sbaglio e che loro hanno dato 7 milioni di euro per chi vuole tornare. Ma ho replicato: grazie, ma mi si dimostri che con quei soldi è stata costruita una sola, anche una sola casa per i cattolici! Io, come tutti i vescovi di Bosnia, grido che mancano i diritti fondamentali uguali per tutti.

E sul versante musulmano?
In ogni città dove i musulmani sono la maggioranza (Sarajevo, Tuzla, Srebenica, dove gli islamici sono l’85 per cento della popolazione), i diritti non sono uguali per tutti. I musulmani possono costruire ovunque le moschee che vogliono, ne hanno fatte più di settanta dalla fine della guerra. Noi cattolici è da nove anni che chiediamo di costruire una chiesa. Qui c’è anche una responsabilità della comunità internazionale, che non vuole fare pressioni perché si arrivi a una vera situazione di uguaglianza. Le faccio un esempio. In un comune vicino a Sarajevo, Ilija, dove prima della guerra c’era una grande comunità cattolica, abbiamo presentato le carte per ricostruire le case, ma non ci sono stati concessi i permessi. Persino a livello di investimenti industriali si assiste a discriminazioni contro i cattolici: vengono dati subito i permessi di costruire ai musulmani, non ai nostri.

E lei come si spiega questa situazione di discriminazione?
Durante il conflitto la Chiesa cattolica è stata l’unica organizzazione stabile. Mentre tutto era distrutto, i miei preti si sono dimostrati coraggiosi e pronti a dare aiuto a chiunque. La Chiesa cattolica va avanti da sola senza appoggiarsi a questo o quel potere, e questo non è gradito alla comunità internazionale e al governo di Sarajevo. Noi siamo liberi perché durante i bombardamenti aiutavamo tutti quelli che erano nel bisogno, per lo più musulmani, con cibo e medicine. Le nostre scuole oggi sono aperte a cattolici, ortodossi, musulmani e atei, perché vogliamo educare i giovani alla tolleranza. Ma la politica locale e la comunità internazionale non vogliono questo processo. Anche i militari internazionali (i caschi blu, ndr) sono entrati nelle nostre scuole per dire che quello che facciamo non va bene. Certo, non sono i militari che vogliono questo, io ho ottimi rapporti con i comandanti e i carabinieri, ma loro obbediscono ai politici che hanno il potere.

Come valuta il recente primo incontro del Forum cattolico-islamico in Vaticano? A capo della delegazione musulmana vi era proprio il gran muftì di Bosnia, lo sceicco Mustafa Ceriç.
Il risultato non è grande, ma è molto importante lavorare per il dialogo perché non c’è alternativa. Bisogna sempre creare un clima che assicuri la stabilità per il futuro. Anche noi a Sarajevo, periodicamente, otto-nove volte all’anno, facciamo delle riunioni come capi religiosi ebrei, ortodossi, cattolici e musulmani su alcuni temi. Ma i problemi devono essere risolti dalla politica: io lavoro per creare uno Stato bosniaco in cui i cattolici siano liberi.

Sulla base della sua esperienza di pastore in un paese a maggioranza islamica, cosa manca ai risultati del Forum?
Bisogna chiedere ai musulmani il concetto di reciprocità. Gli islamici in Europa trovano il rispetto dei loro diritti, quindi è necessario garantire gli stessi diritti ai cristiani nei paesi musulmani. Come vivono i cristiani in Turchia, in Iraq, in Iran, in Pakistan e anche in Bosnia? Quando giungono in Europa, i musulmani costruiscono le loro moschee, a Colonia, Roma, Vienna… Quando è stata costruita l’ultima chiesa in Turchia? Il governo di Istanbul vuole entrare nell’Unione Europea, ma quando ha permesso l’ultima costruzione di un edificio cristiano? Inoltre bisogna rispettare la libertà di coscienza. Quando un musulmano riceve il cristianesimo, tutti, a cominciare dalla famiglia e dalla società, diventano suoi nemici.

Come vive oggi la Chiesa in Bosnia?
Continuiamo il nostro lavoro pastorale con i preti, le scuole, la Caritas, seppur tra tante croci, ma questa è la nostra vita. Sono molto grato ai nostri sacerdoti, religiosi e religiose, davvero coraggiosi: grazie a Dio abbiamo ancora vocazioni e famiglie molto religiose. Ma i cattolici d’Europa devono essere più vicini ai cattolici bosniaci: tra Sarajevo e Roma vi è poi solo un’ora di aereo! Devono impegnarsi, perché in Bosnia i diritti umani non sono uguali per tutti.

COINCIDENZE

Grazie YouTube, Grazie Onu

Negli stessi giorni in cui un poeta giordano viene trascinato in giudizio ad Amman per versi d’amore che oltraggerebbero il Corano, YouTube premia la regina di Giordania per i suoi video «contro i pregiudizi sul mondo arabo». Stupendo. E non è straordinario che mentre si denuncia una presunta islamofobia in Europa, l’islam politico espella i cattolici dall’europea Sarajevo?

Lorenzo Fazzini, Tempi, 18 novembre 2008


www.fattisentire.net

Bereschit
00domenica 11 gennaio 2009 20:24
Per quanto riguarda la concessione di locali ecclesiastici cristiani date ai musulmani per luoghi di preghiera ricordo che la Chiesa vieta questa possibilità, riporto un'articolo in proposito;

Monito della cei ai sacerdoti italiani

"Niente sale parrocchiali a islamici"



CITTA' DEL VATICANO - No a quei preti che danno dei locali ecclesiastici per la preghiera musulmana, perché cosi' facendo ''alienano per sempre quegli spazi alla fede cattolica, cedendoli ai musulmani''. Lo ha detto il segretario generale della Cei.

Secondo monsignor Giuseppe Betori chiese e parrocchie in Italia ben volentieri ospitano i riti degli ortodossi, confessione che oggi, nel nostro Paese, è seconda per numero di presenze a quella cattolica. Ma la stessa disponibilità non può essere utilizzata verso le comunità musulmane, pur con tutto il rispetto che nutrono verso le loro esigenze di culto. Infatti in base alle consuetudini dell'Islam, quando un terreno viene utilizzato per la preghiera dei fedeli di Maometto, non è più disponibile per altre religioni.

"Quando un parroco presta i locali della parrocchia deve sapere che in quel momento aliena quello spazio alla religione cattolica e lo affida per sempre all'Islam", ha affermato monsignor Betori, ricordando che "le moschee non sono un luogo di culto, ma luoghi di preghiera e di formazione". Per questo, la Conferenza episcopale italiana ha deciso di elaborare un documento per definire la posizione della Chiesa cattolica sulla questione della costruzione delle moschee in Italia.

repubblica.it (27 maggio 2008)

Bereschit
00domenica 11 gennaio 2009 20:24
Cei: "Basta moschee
su spazi dei cattolici"
I vescovi in un documento detteranno le linee guida per la costruzione dei luoghi di culto. Betori: "Quando un parroco presta i locali deve sapere che li presta per sempre all'Islam"

di Andrea Tornielli

La Conferenza episcopale preparerà un documento per spiegare la posizione dei vescovi italiani sulla costruzione delle moschee nel nostro Paese. È quanto ha annunciato ieri il Segretario della Cei Giuseppe Betori, rivelando che nel corso della discussione che si è aperta lunedì pomeriggio ed è continuata ieri «ben tre interventi hanno chiesto un approfondimento del problema per avere una posizione ufficiale». Betori ha ribadito il «no» della Cei nei confronti di quei preti che concedono dei locali ecclesiastici per la preghiera musulmana, perché così facendo «alienano per sempre quegli spazi alla fede cattolica».
Il caso più recente, che risale al novembre scorso, aveva coinvolto un parroco del trevigiano. «Quando un parroco presta i locali della parrocchia deve sapere che in quel momento aliena quello spazio alla religione cattolica e lo affida per sempre all’Islam», ha detto il Segretario della Cei, spiegando anche che «le moschee non sono un luogo di culto, ma luoghi di preghiera e di formazione». Secondo un’antica consuetudine, quando un terreno o uno stabile vengono utilizzati per la preghiera dei fedeli seguaci di Maometto, quello spazio non è più disponibile per le altre religioni. Proprio per questo, nel 1993 la Cei aveva pubblicato una Nota nella quale, al paragrafo 34, si specificava che «le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali». Da allora sono passati quindici anni, oggi la presenza musulmana è molto cresciuta e in varie città italiane si discute sui progetti per la costruzione di nuove moschee per i fedeli dell’islam. La nuova nota dei vescovi servirà dunque a dare direttive unitarie sulle posizioni da prendere al riguardo, ribadendo il no alla concessione di spazi parrocchiali o ecclesiastici per la preghiera musulmana.
Betori, rispondendo alle domande dei giornalisti, è tornato sulle parole pronunciate lunedì dal cardinale Bagnasco e si è augurato che i Cpt per gli immigrati rappresentino una «soluzione di passaggio, non finale, per l’identificazione dei clandestini», chiedendo che siano accelerati «i tempi di valutazione» dello status e delle domande di asilo presentate da chi arriva nel nostro Paese, e coniugando l’esigenza di legalità, che è presupposto della sicurezza, con l’esigenza di accoglienza. Il vescovo ha anche invitato a non penalizzare singoli gruppi di immigrati, come in rom, ammettendo però che nel nostro Paese esistono «paura e senso di insicurezza». Da quanto si apprende, la discussione in assemblea è stata accesa riguardo agli immigrati, e alcuni vescovi sono intervenuti contro il provvedimento che intende istituire il reato di immigrazione clandestina.
Betori ha quindi auspicato che venga fatto un «tagliando» alla legge 194 (non citata da Bagnasco nella sua prolusione), spiegando che «come ogni altra legge è passibile di miglioramenti». E ha quindi affrontato lo spinoso problema della pedofilia spiegando che i vescovi, «appena c’è notizia» di un reato di questo tipo che coinvolge un sacerdote, «debbono aprire una inchiesta canonica», mentre la giustizia civile «segue le proprie strade». Sta infatti alle vittime «scegliere la strada della giustizia civile, cosa che non tutti sono pronti a fare».
Infine, Betori, che ha anche pronunciato parole in sostegno all’opera del sottosegretario ai rifiuti Bertolaso, è intervenuto sull’inchiesta genovese e sulle intercettazioni nelle quali vengono citati i nomi dei cardinali Bertone e Bagnasco: «Non hanno bisogno di solidarietà», ha detto il Segretario della Cei, «perché non sono minimamente coinvolti e ci sono solo persone che vantano amicizie con loro».
Il numero due della Cei dovrebbe essere promosso a breve, con tutta probabilità nella sede cardinalizia di Firenze, che si renderà vacante perché il cardinale Antonelli verrà richiamato in Vaticano. Per la sua successione, al posto-chiave di numero due della Cei, si fa con insistenza il nome del vescovo ausiliare di Milano Franco Giulio Brambilla, insieme a quello – oggi più defilato – del vescovo di Ivrea Arrigo Miglio. Altri nomi sono quelli dei vescovi Semeraro (Albano), Bassetti (Arezzo), Ghirelli (Imola) e Bianchi (Pistoia).

il Giornale n. 126 del 2008-05-28 pagina 12
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