LA TRASFORMAZIONE DI CRISTO E DEL CRISTIANO

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martinicm
00sabato 10 aprile 2010 14:34
C. M. MARTINI
LA TRASFORMAZIONE DI CRISTO E DEL CRISTIANO
ALLA LUCE DEL TABOR
Un corso di esercizi spirituali
Rizzoli, 2004

VIII MEDITAZIONE

La trasformazione eucaristica

Il tema su cui vogliamo meditare è un po' esigente: parleremo infatti della trasformazione eucaristica del cristiano. Il titolo mi è stato ispirato da un libro su Madre Teresa dove ho letto: «Oberata di problemi, assillata da innumerevoli richieste in tutti i campi dell'emarginazione, con oltre cinquemila suore sparse nei vari angoli della terra, non esitava a considerarsi la persona più felice dei mondo per il fatto di essere continuamente a contatto con Gesù servito nei poveri. La vita attiva diventava il naturale prolungamento dell'Eucaristia. Per lei la Messa durava tutta la giornata. Conduceva un esistenza eucaristica. Tutti i giorni Madre Teresa trascorreva quattro ore in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento. Poi. finita l'adorazione, si immergeva nella contemplazione di quel Dio che si è fatto piccolissimo a Betlemme, che si è annientato sulla croce, che si è fatto pane per lasciarsi mangiare; quel Dio che si è fatto corpo in ogni essere umano. Ecco la sua costante e viva contemplazione, vissuta con estrema serenità, sempre con quel misterioso sorriso sulle labbra». Ho incontrato parecchie volte Madre Teresa e ne ricordo il sorriso misterioso, velato da un po' di tristezza per tante sofferenze, ma capace di comunicare pace e serenità.

Noi dobbiamo diventare come lei «Eucaristia» e soprattutto per il prete è fondamentale imparare a relazionarsi al mistero eucaristico.

Tre i punti che desidero svolgere nella meditazione: l'Eucaristia e noi, l'Eucaristia e il Tabor, noi per l'Eucaristia?

L’Eucaristia e noi

Il primo punto è semplice. L’Eucaristia è il centro della storia umana: tutta la storia umana gira attorno ad essa, si svolge al ritmo dell'Eucaristia, va verso il suo compimento secondo un dinamismo eucaristico. Il Concilio Vaticano Il afferma che l'Eucaristia è la sorgente e il culmine dell'evangelizzazione, quindi sta all'inizio e alla sommità di tutto il lavoro della Chiesa. E’ una cosa di cui si può parlare senza fine, proprio in quanto connessa con i molteplici aspetti della vicenda umana.

D'altra parte l'Eucaristia ha pure una storia, o meglio molte storie, legate anche alla nostra biografia personale. E’ significativo che il Papa abbia raccontato più di una volta di sé e della propria biografia eucaristica. Ricordo per esempio alcune bellissime pagine dell'enciclica Ecclesia de Eucharistia e del volume Dono e mistero, pubblicato in occasione del suo cinquantesimo di Messa.

Sulla scia del Papa, ciascuno di noi può tracciare con gratitudine la propria biografia eucaristica: che cosa è stata per me? Quando ho incontrato l'Eucaristia, interiormente e non solo esteriormente? Come l'ho conosciuta: da bambino, forse nel servizio alla Messa, nella prima Comunione, nelle comunioni successive, nelle adorazioni, nelle processioni, nelle visite eucaristiche? Quali sono state le Eucaristie che maggiormente mi hanno trasformato o quelle che magari hanno generato in me dolore e resistenza? Quali vicende mi hanno avvicinato sempre di più all'Eucaristia?

E’ importante prendere coscienza di questa storia.

L’Eucaristia e il Tabor

Nei giorni che ho trascorso sul Tabor ho intuito con chiarezza come l'Eucaristia sia presente nell'evento della trasfigurazione.

E’ presente nello scambio misterioso di discorsi tra Gesù, Mosè ed Elia: «Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano del suo esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9, 30-3 1).

Sottolineo due parole chiave del verso 3 l.

* Anzitutto la parola compimento, che indica la pienezza del disegno di Dio, la pienezza dei tempi (ricordiamo Gal4, 4: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna»); e questa pienezza del disegno di Dio ne a storia umana è l'Eucaristia, che contiene in una estrema sintesi il mistero pasquale: passione, morte, risurrezione, ascensione di Gesù.

* l’altra parola chiave del verso 31 è esodo, vocabolo che ricalca la parola greca éxodos e che preferisco alla versione «dipartita». Due sono i motivi per cui si usa la parola «esodo».

- In primo luogo perché è il nome, la cifra per Israele del grande atto redentore di Dio. «Esodo» ricorda la schiavitù in Egitto, le piaghe d'Egitto, la notte di Pasqua, la fuga dal faraone, il passaggio del Mar Rosso. E’ dunque una parola chiave per la Scrittura. Nel Libro degli Atti degli Apostoli, Stefano descrive concretamente l'esodo dicendo: «Dio li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d'Egitto, nel Mar Rosso, e nel deserto per quarant'anni» (At 7, 36). E’ la ricchezza di eventi redentivi, che ancora oggi costituisce la memoria storica del popolo ebraico.

- C'è un secondo motivo per cui il verso 31 di Luca usa il termine «esodo»: il mistero pasquale, che ha la sua sintesi nell'Eucaristia, è il vero esodo di Gesù, è il suo partire, come risulta molto chiaramente nel vangelo di Giovanni: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo ai Padre, dopo avere amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (1 3, 1). Il suo passaggio al Padre mediante la morte e la risurrezione è sintetizzato nell'Eucaristia.

Gesù parla del suo esodo in altri momenti. Penso al discorso dell'ultima cena: «Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo e io vengo a te» (Gv 17, 11). Penso alle parole rivolte da Gesù a Maria Maddalena: «Vai dai miei fratelli e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"» (Gv 20, 17).

Possiamo dire che tutta la sua vita è stata esodo verso il Padre.

-Vorrei fare però un passo oltre. Il passare di Gesù attraverso la morte non è un destino fatale che gli capita addosso, ma è voluto.

Cito per esempio da Gv 10, 14~15: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore». E nei versi 17-18 ripete: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».

L’esodo di Gesù è voluto, è il suo proposito, la sua scelta, la sua decisione, la sua determinazione forte. Ciò appare nel vangelo di Giovanni e anche nei sinottici, specialmente nelle predizioni della passione. Per esempio in Luca: subito dopo la confessione di Pietro e subito prima del racconto della Trasfigurazione, Gesù dice: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno» (Lc 9, 22). Egli affronta a viso aperto il destino di morte, di rifiuto, di rigetto. E sempre in Luca (9, 44-45): «Mettetevi bene in mente queste parole: "Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato in mano agli uomini". Ma essi non comprendevano questa frase; per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento». L’esodo rimane per lungo tempo qualcosa di misterioso per i discepoli e lo è pure per noi, che facciamo fatica a entrare pienamente nel mistero eucaristico, che ci supera da ogni parte.

Soprattutto mi sembra importante citare nel capitolo 9 di Luca il verso 5 1, e lo leggiamo in greco per cogliere la pregnanza delle parole. E’ il versetto che abbiamo scelto come motto per il Sinodo diocesano di Milano, celebrato nell'arco di tre anni, dal 1992 al 1995. «Eghéneto dè en tô sympleroûsthai tàs heméras tês analémpseos autoû» («avvenne dunque che, nel compiersi i giorni della assunzione di lui, della salita di lui, del suo esodo, del suo andare verso il Padre») «kaí autòs tò pròsopon estérisen» («e lui la faccia indurì») « toû poreúesthai eis Ierousalém» («per andare a Gerusalemme»). E’ una decisione forte, sofferta, profonda quella di Gesù di guardare in faccia il suo destino a Gerusalemme e di andarvi per affrontare il mistero della sua morte.

* Siamo così giunti all'ultimo passaggio della nostra riflessione: il proposito di Gesù di dare la vita per noi è espresso in maniera piena e simbolicamente densa nell'istituzione eucaristica, il momento in cui esprime con parole, segni, gesti, questa sua volontà di offrirsi per nostro amore, per la nostra salvezza, di fronte al Padre, fino alle estreme conseguenze.

«Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione"» (Lc 22, 14-15). E’ la volontà ferma di Gesù. E ai versi 19-20: «Preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: 'Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo avere cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi"». Parole, gesti, simboli, tutto si concentra.

Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, viviamo l'esodo di Gesù, l'uscita volontaria di Gesù da sé per noi, per nostro amore. Come dice Paolo: «Annunciamo la morte del Signore finché egli venga» (cf 1Cor 11,26).

A me pare sia questo il senso del sacrificio eucaristico: la volontà irrevocabile, irremovibile di Gesù di morire per la nostra salvezza. Una volontà, un proposito che comprende tutta la sua vita - nascita, vita nascosta, vita pubblica; predicazione, miracoli; e poi la passione, le torture, gli insulti, la flagellazione, la via della croce, la crocifissione, la morte, la risurrezione e l'ascensione al Padre - e che è reso sensibile, sacramentale, simbolo reale nell'Eucaristia, il simbolo semplicissimo del pane mangiato e del sangue versato per noi.

Nel mistero della Trasfigurazione sul Tabor è già previsto l'esodo che si compirà a Gerusalemme e quindi l'Eucaristia, tenerezza del Padre resa visibile nel Figlio che si fa nostro cibo.

Naturalmente l'Eucaristia è un mistero. Noi accumuliamo parole per esprimere qualcosa che è al di là dei nostro intendimento, chiedendo al Signore di trasformare in Eucaristia la nostra vita.

Noi per l'Eucaristia?

Abbiamo contemplato l'Eucaristia per noi. E che cosa facciamo noi per l'Eucaristia, cioè per Gesù che si dona irrevocabilmente nel mistero pasquale fino alla morte in croce?

1. Penso che innanzitutto non dobbiamo «fare» qualcosa - noi pensiamo istintivamente ai gesti del culto -, ma lasciarci amare. Di fronte all'Eucaristia dobbiamo lasciarci salvare, purificare da Gesù, lasciare che sia lui a fare tutto e ricevere la sua vita con gratitudine. Non temiamo di stare in silenzio, di non trovare nulla da dire, perché è lui che ci parla, che ci viene incontro con tutto il peso della sua decisione di amore che vuole riversare su di noi; insomma lasciamo che Gesù sia Eucaristia, salvezza, perdono, pietà, tenerezza, affetto, purificazione per noi. Lasciamo che Gesù sia Gesù.

Potremo allora vivere il culto spirituale e il culto eucaristico. Può apparire strano l'ordine in cui li pongo, perché di solito partiamo dal culto eucaristico. Talora infatti si crede più importante celebrare bene la Messa (per i preti), andare a Messa almeno la domenica (per la gente) e adorare il Signore nel Santissimo Sacramento. In realtà mi sembra che dall'Eucaristia ci venga anzitutto l'invito di Gesù a celebrare il nostro culto spirituale, con l'offerta dei nostro corpo.

2. Il culto spirituale. Ritroviamo qui il versetto rivelatore di san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 1), che avevo semplicemente letto e non commentato: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. E’ questo il vostro culto spirituale».

L’Apostolo dice che il nostro culto è anzitutto offrire i nostri corpi, non celebrare bene la Messa. E i nostri corpi sono la nostra vita in tutta la sua fisicità, in tutta la sua estensione, il giorno e la notte, la giovinezza e la vecchiaia, la salute e la malattia, il successo e l'insuccesso, la gioia e il dolore, l'entusiasmo e la depressione. Tutto va donato quale sacrificio vivente, offrendoci a Dio come Gesù si è dato a noi e al Padre. Molte persone compiono, magari senza esserne consapevoli, questo culto spirituale quando vivono onestamente, amano la famiglia, vivono con serenità la fatica del lavoro o dello studio, si sacrificano, accettano con pazienza situazioni difficili e dolorose.

Sacrificio vivente, dunque, non semplicemente un rito; sacrificio santo, perché ci purifica, ci toglie dalle connivenze col male; e sacrificio gradito a Dio.

Anche il nostro ministero è culto a Dio e lo ricorda chiaramente san Paolo all'inizio della Lettera ai Romani: «Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il Vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi» (1, 9). Il culto dell'Apostolo è anzitutto e concretamente predicare il Vangelo. Leggiamo ancora in Rm 15, 16: «Mi è stata concessa da parte di Dio la grazia di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano un'oblazione gradita». Predicando vive il suo culto spirituale affinché i pagani stessi possano offrirsi a Dio, con un'oblazione che è appunto l'Eucaristia vissuta.

Mi piace citare altri due brani. Il primo lo traggo dalla Lettera agli Efesini: «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (5, 1-2). «Camminare nella carità» vuol dire vivere il culto spirituale, il culto della vita.

Il secondo brano lo troviamo nella Prima Lettera di Pietro, dove una serie di pensieri, ricchi di nuovi simboli, ritorna sul tema dell'offerta. «Stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale.» La prima metafora è quella del tempio: voi siete pietre del tempio di Dio, che ha la sua pietra angolare in Gesù. Il paragone però si allarga e si trasforma: «per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (2, 45). Ogni cristiano, dunque, è sacerdote; e su questo Pietro insiste nel verso 9: «Voi siete la stirpe eletta, a sacerdozio regale, la nazione santa».

Questa è dunque la prima conseguenza dell’Eucaristia: l'offerta della vita quotidiana, quella che facciamo ogni giorno nella preghiera mattutina: «Ti offro, Signore, nel cuore di Cristo, tutte le azioni, le preghiere, le sofferenze, le gioie di questo giorno». Questo è il nostro culto fondamentale. Che poi si esprime nella carità, nell'amore, in tutte le opere di misericordia.

3. Prendiamo così coscienza del valore del culto eucaristico. Anzitutto, celebrando e partecipando alla Messa. viviamo l'esperienza del mistero pasquale, riviviamo la morte e risurrezione di Gesù, ci disponiamo a lasciarla operare in noi, ad accettare le condizioni e le implicazioni di questo evento unico e rivoluzionario che è la Pasqua immessa nel tempo dell'uomo.

E, ancora, possiamo vivere con verità le pratiche che la Chiesa ha sviluppato nei secoli in relazione alla Messa. Ricordo le processioni eucaristiche; la devozione semplice e facile delle visite al Santissimo Sacramento; e, soprattutto, l'adorazione eucaristica, nella quale esprimiamo la lode, la gioia, l'entusiasmo, la riconoscenza. Essa è nata in Occidente da un bisogno istintivo di prolungare la celebrazione dei mistero. E non è soltanto una qualunque preghiera silenziosa davanti al tabernacolo. Deve partire dallo stato eucaristico di Gesù, dal suo essere immolato per noi, testimone del Padre fino alla morte, perfetto adoratore di Lui, distruttore degli idoli, fonte di comunione perfetta degli uomini fra loro e col Padre. Il Cristo adorato nell'Eucaristia è il Cristo che dona se stesso fino alla morte, per la redenzione dell'uomo, che fa di noi un popolo solo e ci chiama alla pienezza della pace messianica. E la contemplazione eucaristica deve nutrire in noi la capacità di offrire la vita.

Dal monte santo della Trasfigurazione, luogo d'osservazione privilegiato, chiediamoci in che misura viviamo questo culto spirituale, sacrificando noi stessi a Dio nel nostro corpo, in unione con la pietra angolare che è Gesù.
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