La Chiesa in Malaysia

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Cattolico_Romano
00giovedì 7 gennaio 2010 07:56
Malaysia: la legge dà ragione alla Chiesa sull'uso del termine "Allah"
Intervista a mons. Paul Tan Chee Ing, vescovo di Melaka-Johor

di Mariaelena Finessi

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Lo scorso 31 dicembre l'alta Corte di Kuala Lumpur ha annullato l'ordinanza del Ministero dell'Interno che impediva alla Chiesa cattolica di pubblicare la parola “Allah” per riferirsi al Dio cristiano nel settimanale cattolico, Herald.

Sulla polemica ancora in corso (messa in atto da numerose organizzazioni musulmane e da gruppi nati su Facebook) interviene il vescovo Paul Tan Chee Ing della diocesi di Melaka-Johor concedendo una intervista a ZENIT.

Il gesuita, 69 anni, ritiene che la Chiesa in Malesia debba continuare a lottare per i diritti dei non-musulmani promuovendo il dialogo interreligioso nel Paese.

Per molti secoli musulmani e cristiani hanno convissuto in pace in Malaysia e l'utilizzo della parola “Allah” non è mai stato motivo di contrasto. Cosa pensa del divieto fatto ai cristiani di dire "Allah" per chiamare il proprio Dio? E' solo una battaglia linguistica?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Lei ha ragione ed è solo in tempi recenti che non solo “Allah” ma anche altre parole e frasi di origine araba - ad esempio “rasul”, “baitullah” ecc. - sono state vietate ai fedeli non musulmani. Non è allora una battaglia linguistica. É invece una battaglia per i voti, dunque politica. L'UMNO - United Malays National Organisation - teme di perdere contro il partito d'opposizione PAS (Islamic Party) il quale si è espresso invece a favore dei non musulmani e sull'uguale diritto che essi hanno di usare la parola “Allah”. L'UMNO, partito malese musulmano dominante all'interno della coalizione Barisan Nazional, ha cioè paura di perdere il voto dei malesi i quali rappresentano circa il 60% della popolazione. E in Malesia, purtroppo, i malesi si identificano con i musulmani - unico paese al mondo in cui, nella Costituzione, si lega la religione alla etnia.

Nel Sacro Corano, alla Sura 5,69 e alla Sura 22,17, anzi più esplicitamente alla Sura 2,62 si dice che gli ebrei, i cristiani, i sabei e i musulmani hanno il culto di Allah. Come può dunque un musulmano andare contro il suo Sacro Corano? Non è possibile. E se lo fa è per mera ignoranza o per ragioni di opportunità politica. Qualsiasi studioso obiettivo può infatti confermare che la parola "Allah" è pre-islamica ed ha la sua radice nella lingua semitica. Musulmani arabi e musulmani indonesiani ricorrono tutti al termine "Allah”. Non si pensi però che tutti i malesi musulmani siano contrari a che i cristiani facciano uso del termine “Allah”, anzi. Ad esempio, il consigliere spirituale del PAS, Datuk Abdul Aziz Nik Mat, si è espresso così sul The New Straights Times: "Fino a quando la parola non viene abusata, i non-musulmani possono farne uso”.

I malesi-musulmani sono dunque divisi sulla questione e, secondo un commentatore politico, questo è esattamente ciò che vuole l'UMNO, cioè è questa la sua strategia per vincere le prossime elezioni generali. L'UMNO si trova tra l'incudine e il martello, come si suol dire. Se permette ai non-musulmani di usare il termine “Allah”, potrebbe perdere i voti Malesi; se non consente ai non-musulmani di usare il termine “Allah”, perderà il voto di coloro che invece non sono malesi ma che sono tuttavia importanti in alcune circoscrizioni».

Diverse organizzazioni non governative e gruppi nati su Facebook hanno protestato contro la decisione della Corte di permettere l'uso del termine “Allah” nell'Herald, il settimanale cattolico. Che opinione si è fatto in merito a queste crescenti campagne atte a fare pressioni sul Governo perché intervenga?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Ma chi sono queste 26 organizzazioni musulmane non governative, chiamate Wehnah, ecc? Non sono allineate con la posizione dell'UMNO? Se esse sono sincere, allora la mia risposta alla prima delle sue domande vale per loro: a muoverli è l'ignoranza, i pregiudizi politici o meri interessi personali».

Nonostante la decisione della Corte, il National Fatwa Council ha emesso una fatwa in cui è detto che il nome di “Allah” è esclusivo all'Islam. Suona come una contraddizione...

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Anche la dichiarazione pubblica del PAS (Islamic Party) secondo cui i non musulmani possono far ricorso alla parola "Allah" è una contraddizione rispetto a ciò che il National Fatwa Consiglio ha stabilito. Contraddire è un altro gioco per fare politica».

Il Ministero dell'Interno è ricorso in appello contro la sentenza del giudice Lau Bee Lan. Qual è la risposta della Chiesa?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Il Ministero non solo ha già fatto appello alla Corte Suprema, ma ha persino presentato la richiesta di sospensione dell'ordinanza emessa dall'Alta Corte. Quanto alla Chiesa, essa deve dirsi tranquilla, ferma nella difesa dei diritti dei non-musulmani, così come sancito nella nostra Costituzione federale, e collaborare con tutte le persone ragionevoli, cercando di mantenere l'armonia, non provocando l'altro con parole o azioni e non lasciandosi abbattere. Certo, si tratta di un cammino difficile».

Qual è lo "stato di salute" della Chiesa locale in Maslaysia e il suo ruolo nel futuro della Chiesa universale?

Mons. Paul Tan Chee Ing: «Poiché sono malese, potrei essere di parte. Ma ho grandissima esperienza maturata in molti Paesi al mondo, compreso l'Italia dove ho soggiornato per 10 anni. Personalmente ritengo la Chiesa malese molto stabile, unita e forte. Il nostro movimento ecumenico e la cooperazione interreligiosa finora sono stati buoni, nonostante qualche difficoltà qua e là.

Le statistiche della popolazione cattolica hanno mostrato una stagnazione numerica per molte ragioni:
1 - I cattolici cinesi e indiani tendono ad avere meno figli rispetto ai malesi.
2 - I loro bambini vengono mandati a studiare all'estero a causa della discriminazione nei loro confronti nelle università, e molti di essi non tornano in Malesia proprio per via della paura di essere discriminati.
3 - Molti genitori seguono i figli che hanno scelto di sposare una persona di un altro Paese, e vanno a vivere lì, dove si sentono a proprio agio e possono salvarsi.

A dispetto di tutto questo, le chiese sono in genere piene di uomini, donne e bambini. Si tratta di una Chiesa vibrante. La Chiesa locale ha cercato di aiutare altre diocesi più povere in altri paesi. Faccio l'esempio della nostra diocesi di Melaka-Johor: abbiamo accantonato ogni anno, a dispetto del fatto che non siamo ricchi, 100.000 ringgit malesi da dare alla Chiesa in Kenya, alla Chiesa in Myanmar soprattutto all'Arcidiocesi Taunggyi e alla Chiesa in Loas. Questo imitando la prima chiesa cattolica del tempo degli Apostoli.

Abbiamo anche collaborato con i protestanti, i buddisti, i sikh e gli indù. Il contributo che noi malesi possiamo offrire alla Chiesa universale è la difesa della verità e dei diritti delle persone contro ogni pronostico, perché sappiamo che Dio, che è il Signore della storia, vede e sa ogni cosa. E la comprensione di ciò che è sbagliato non tarderà ad arrivare, secondo i Suoi tempi e seguendo le Sue vie. Occorre avere pazienza!».

S_Daniele
00domenica 10 gennaio 2010 09:18
Attacchi alle chiese in Malaysia. Mons. Sarah: volontà di annientare i cristiani

Tre chiese cattoliche sono state attaccate la scorsa notte alla periferia di Kuala Lumpur, in Malaysia, Paese a maggioranza musulmana. Dietro gli attacchi incendiari, la polemica scoppiata in questi giorni sul diritto dei cattolici di scrivere la parola “Allah”, dopo che l'Alta corte malese ha sospeso l'autorizzazione ad utilizzarla ad un quotidiano cattolico locale. La settimana scorsa la stessa Alta corte aveva concesso al periodico il diritto di utilizzare la parola “Allah”, ma l'ha revocato dopo che il governo malese aveva denunciato il rischio di tensioni interreligiose. La Chiesa locale - riferisce l’agenzia Fides - afferma che in lingua malay esiste solo il termine “Allah” per chiamare Dio, ed è perciò incostituzionale applicare restrizioni linguistiche ai cristiani malaysiani. Su questa vicenda che coinvolge la minoranza cristiana della Malaysia, ecco il commento dell'arcivescovo Robert Sarah, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, intervistato da Hélène Destombes:


“Je pense que c'est vraiment la volonté de les anéantir...

Io credo che ci sia veramente la volontà di annientarli, la volontà di ignorarli, di rifiutare che i cristiani hanno una fede in Dio. Il fatto poi che venga loro proibito di pronunciare il nome di Dio è come considerarli pagani e quindi da convertire all’Islam. Questa è la volontà. Noi dobbiamo pregare per questi cristiani che vivono in terre musulmane e che soffrono molto”.

Alla base degli attacchi, c’è dunque una volontà discriminatoria da parte di gruppi fondamentalisti islamici. Ne è convinto padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews, intervistato da Luca Collodi:

R. – I musulmani, o per lo meno questi gruppi, vogliono difendere l’uso della parola Allah solo per i musulmani, perché dicono che se usato dai cristiani potrebbe far confondere le idee ai musulmani. In realtà, la difesa che la Chiesa ha portato avanti per sostenere l’uso di questa parola è il fatto che i cristiani usavano la parola Allah prima ancora che esistesse la confederazione della Malaysia. Tant’è vero che la Chiesa ha fatto vedere che ci sono dei vocabolari del 1600 in cui la parola Dio viene tradotta appunto con Allah, quindi, ancora prima che ci fossero questi Stati islamici dentro la regione.

D. – Padre Cervellera, il governo ha annunciato che farà ricorso e ci sono pressioni della comunità islamica più radicale per far fare retromarcia ai giudici...

R. – Sì, ci sono minacce, ci sono tutte queste manifestazioni, e poi il fatto che una parte del governo segue l’onda emotiva. La pressione è molto forte, per questo i cattolici, in particolare, non vogliono assolutamente creare ancora più tensione e cercano di avere un profilo basso.

D. – Tra l’altro oggi si è svolta anche la preghiera del venerdì...

R. – Sì, si è svolta la preghiera del venerdì - che è stata trasmessa anche dalla televisione in tutto il Paese - e ancora una volta l’imam della moschea in Kuala Lumpur ha ribadito che la parola Allah è soltanto per un uso dei musulmani, gli altri non devono usarlo, perché Allah è solo il Dio dei musulmani. E’ una cosa veramente risibile, perché i cristiani arabi, che vengono molto tempo prima di Maometto, hanno usato questa parola.

D. – Dobbiamo dire che la comunità cristiana al momento, però, ha un profilo molto basso. Tra l’altro non sta utilizzando la parola Allah...

R. – No, perché si aspetta appunto il decreto scritto della Corte Suprema in modo tale da poterlo fare. Ma se cresce così la tensione, temo che per evitare ancora più guai bisognerà cercare di trovare una via d’uscita senza troppi scontri. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

© Copyright Radio Vaticana
Cattolico_Romano
00lunedì 11 gennaio 2010 20:22
In due giorni presi di mira quattro chiese e un convento

Nuovi attacchi in Malaysia a luoghi di culto cristiani


Kuala Lumpur, 11. Non si allenta la tensione in Malaysia, dove da giorni si susseguono attacchi contro la comunità cristiana:  tra domenica e oggi, lunedì, altri quattro luoghi di culto e un convento sono stati presi di mira da ignoti. Un ordigno incendiario è stato scagliato contro l'ingresso principale di una chiesa evangelica nella regione del Negeri Sembilan, senza causare danni di rilievo. In precedenza, a essere oggetto di attacchi erano state l'anglicana All Saints church nella città di Taiping, situata nella regione di Perak e la Saint Louis, una chiesa cattolica, che si trova nella medesima città. Anche in questi ultimi due casi, gli attentatori hanno usato delle bottiglie contenenti liquido infiammabile per tentare di bruciare le chiese, ma le loro azioni sono fortunatamente fallite.
Oltre alle chiese, sempre a Taiping, è stato preso di mira anche il convento cattolico di Saint Louis, dove all'interno del cortile la polizia ha rinvenuto ancora una volta una bottiglia incendiaria. Infine, il muro di una chiesa battista nella penisola di Malacca è stato imbrattato con della vernice nera. I nuovi episodi di ostilità si aggiungono a quelli dei giorni scorsi, che avevano coinvolti altri luoghi di culto, contribuendo a rendere sempre più tesa la situazione.
Nonostante il clima di violenza - creatosi dopo il verdetto della Corte Suprema che ha autorizzato il settimanale cattolico "Herald" a usare il termine Allah nella lingua malay, come riferimento a Dio - i fedeli, secondo le fonti locali, hanno assistito regolarmente alle liturgie domenicali, accogliendo così l'invito alla calma lanciato dai religiosi e dalle autorità civili. In particolare, il ministro dell'Interno Hishammuddin Hussein ha ribadito che "la situazione è sotto controllo e la gente non dovrebbe preoccuparsi". Tuttavia, ignoti estremisti continuano ad agire indisturbati, accusando i cristiani di utilizzare la parola Allah per cercare di confondere i musulmani a fini di proselitismo. Un appello "per disinnescare la conflittualità che i gruppi fondamentalisti vogliono accendere nella nazione" è stato lanciato nel corso dell'assemblea dei vescovi della Conferenza episcopale di Malaysia-Singapore-Brunei che si è aperta oggi a Johor, nella penisola di Malacca. I presuli hanno sottolineato che "sono in corso, e si susseguiranno nei prossimi giorni, incontri con le autorità civili e i leader musulmani". "Occorre agire in sintonia - si sottolinea - e cercare la necessaria collaborazione del Governo e delle alte autorità religiose per ristabilire un clima pacifico alla società malaysiana; anche perché questi episodi stanno "sporcando" la fama dell'Islam malaysiano, noto per la sua moderazione e per la convivenza pacifica con le altre religioni". Alla riunione partecipa, tra gli altri, il delegato apostolico in Malaysia e in Brunei Darussalam e nunzio apostolico in Singapore, l'arcivescovo Salvatore Pennacchio.
In un colloquio con l'agenzia Fides, l'arcivescovo di Kuala Lumpur, Murphy Nicholas Xavier Pakiam, ha affermato che "i cristiani pregano e non risponderanno alle provocazioni". "Attualmente - ha puntualizzato il presule - la situazione è sotto controllo. Circola un po' di timore, ma speriamo che tutto vada per il meglio".


(©L'Osservatore Romano - 11-12 gennaio 2010)

Naturalmente i media non dicono nulla!
 
S_Daniele
00domenica 17 gennaio 2010 07:14
 


Anche una moschea nel Borneo ha subito un atto vandalico

Non si fermano in Malaysia gli attacchi contro le chiese


Kuala Lumpur, 16. Non si ferma in Malaysia l'ondata di attentati incendiari contro i luoghi di culto cristiani. La notte scorsa, nella zona meridionale della penisola dove si trova Kuala Lampur, Stato federato di Negeri Sembilan, ignoti attentatori hanno dato alle fiamme un'altra chiesa. Questo attentato è l'undicesimo della serie che negli ultimi giorni ha messo in allarme le autorità di polizia di questo Paese asiatico, a maggioranza musulmana, noto finora per la convivenza pacifica tra popolazioni multietniche di diverse religioni e tradizioni.

Gli attacchi incendiari contro le chiese cristiane sono iniziati dopo le proteste di piccoli gruppi d'integralisti contro la sentenza della Corte Suprema che ha permesso all'edizione in lingua malay del settimanale cattolico "Herald" l'uso della parola Allah come termine per indicare Dio. In questa lingua, diffusa soprattutto in alcune regioni del Borneo, non esiste nessun altro termine per indicare l'entità divina.
E proprio nel Borneo, un dirigente delle forze di sicurezza dello Stato confederato di Sarawak ha denunciato un presunto atto vandalico compiuto in questo caso contro una moschea. Secondo il rapporto del vice capo di polizia di questa regione, Ismail Omar, una bottiglia contenente del liquido non identificato è stata lanciata contro il muro esterno di una moschea senza però produrre danni.

Il dirigente ha sottolineato che non è stato ancora accertato se il liquido contenuto nel vetro fosse di tipo infiammabile oppure no. Tuttavia Ismail Omar ha sottolineato di essere convinto che il lancio della bottiglia contro il muro dell'edificio sia stato compiuto da persone animate da intenti vandalici.

Le autorità di polizia di Kuala Lampur hanno intanto avviato nuove indagini per identificare gli autori dell'attentato contro lo studio degli avvocati che hanno difeso in tribunale le ragioni del direttore della rivista cattolica "Herald" nella controversia relativa all'uso della parola Allah. Ignoti attentatori hanno versato mercoledì del liquido infiammabile sotto la porta dello studio. Le fiamme, fortunatamente, hanno provocato solo dei danni agli arredamenti interni.
Gli organi di polizia che stanno svolgendo le indagini sugli autori degli attentati contro le chiese cristiane hanno arrestato Mohamed Tasyrif Tajudin, un musulmano venticinquenne che su un sito in rete aveva scritto di avere contribuito alla fabbricazione degli ordigni incendiari.

Monsignor Murphy Nicholas Xavier Pakiam, arcivescovo di Kuala Lumpur e presidente della Conferenza episcopale di Malaysia, Singapore e Brunei ha dichiarato all'agenzia Fides che "si continuerà a lavorare per il dialogo e la pace. Stiamo negoziando con il Governo per cercare una soluzione alla controversia sul nome di Allah, pensando al bene comune del Paese".

Una ferma condanna per gli attacchi incendiari contro le chiese cristiane in Malaysia è stata espressa ieri anche da Ustadhz Abdulhadie Daguit, esponente musulmano e responsabile del Philippine Center for Halal Awarness (Pcha) a Manila, nelle Filippine. "Gli attacchi contro le chiese e gli edifici di culto di qualsiasi religione sono contrari agli insegnamenti dell'Islam", ha affermato l'esponente musulmano filippino riferendosi agli avvenimenti in Malaysia dove dall'8 gennaio in poi fondamentalisti islamici hanno bruciato undici edifici cristiani. Oltre i musulmani filippini, anche l'Organizzazione della conferenza islamica (Oic) e il Council of American Islamic-Relation (Cair) hanno condannato gli assalti contro le chiese cristiane in Malaysia. Il segretario generale dell'Oic, Ekmeleddin Insanoglu, ha insistito sull'importanza di una convivenza pacifica.

In un comunicato il Cair ha invitato i musulmani a tutelare gli edifici di culto di tutte le altre religioni. "I responsabili americani - si afferma nel comunicato di questa organizzazione - sono un simbolo del dialogo pacifico e della coesistenza tra le varie fedi. Non possiamo restare in silenzio di fronte all'assalto delle chiese".

Il documento prosegue sottolineando che "non si può rimanere in silenzio di fronte all'assalto di chiese e di altri edifici di culto. I musulmani in America, Malaysia e nel resto del mondo devono tutelare tutti gli edifici di culto poiché in questo modo mostreranno il vero spirito dell'Islam".
Nel messaggio del Cair si sottolinea infine che "nel mondo arabo i cristiani utilizzano da sempre la parola Allah per indicare Dio".


(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2010)
S_Daniele
00mercoledì 20 gennaio 2010 18:46
Ancora polemiche sull'utilizzo del termine Allah

Arrestate otto persone per gli attacchi ai luoghi di culto in Malaysia


Kuala Lumpur, 20. La polizia della Malaysia ha reso noto di aver arrestato otto persone sospettate di essere responsabili dell'incendio doloso di una chiesa all'inizio di gennaio, il primo di una serie di attacchi contro luoghi di culto cristiani.

Più di una decina di atti di vandalismo, infatti, si sono verificati recentemente nel Paese, in preda a una accesa controversia sul diritto dei non musulmani di usare la parola araba Allah per definire Dio (abituale in lingua malese, ma che secondo i religiosi musulmani confonderebbe i fedeli islamici).
Gli attacchi e la reazione da parte della maggioranza della popolazione hanno intensificato la preoccupazione che la Malaysia, Paese musulmano tradizionalmente moderato, stia diventando sempre più radicale.

"Otto persone - ha dichiarato il capo della polizia federale, Bakri Zinin - sono state arrestate e sono sospettate di essere implicate nell'incendio doloso di una chiesa. Sono state sottoposte a custodia cautelare per sette giorni per facilitare l'inchiesta. Indagheremo - ha aggiunto - per scoprire se queste persone sono legate anche agli altri attacchi contro luoghi di culto".

Il capo della polizia ha invitato la popolazione alla calma per evitare di incrinare l'armonia sociale e religiosa del Paese. Il Governo ha sottolineato che questi attacchi non sono opera di gruppi coordinati, ma di singoli individui. Bakri Zinin ha spiegato che uno dei sospettati, un giovane di 21 anni, è stato sottoposto a medicazioni in ospedale a seguito di ustioni riportate a una mano e al torace. Cinque degli otto arrestati sono amici, mentre gli altri tre fanno parte dello stesso nucleo familiare.
Come si accennava, l'utilizzo della parola Allah per descrivere il Dio cristiano è diffuso nel mondo di lingua araba e anche nella vicina Indonesia. Coloro che sostengono che la parola Allah non dovrebbe essere usata dai cristiani affermano che i missionari potrebbero utilizzare la parola per confondere e convertire i malesi, mentre il giornale cattolico, "The Herald", afferma di dover utilizzare questa parola per le sue congregazioni di lingua malese nell'isola di Borneo.

In Malaysia, le questioni religiose sono spesso intrecciate con identità etniche. Il cinquantacinque per cento della popolazione è per definizione musulmana e la conversione è illegale.
Il Governo guidato dal primo ministro, Najib Razak, è stato criticato per la sua posizione ambigua in merito agli attacchi. L'opposizione, di cui fa parte anche un partito che vuole stabilire lo stato islamico, sostiene l'uso della parola Allah da parte dei cristiani. Le tensioni interconfessionali si sono acuite in seguito alla decisione dell'Alta Corte di Appello di Kuala Lumpur di autorizzare il giornale cattolico "The Herald" a utilizzare la parola Allah. Secondo alcuni politologi, la componente principale della coalizione al potere, l'Organizzazione nazionale per l'unità malese (Umno) utilizza questa polemica per far emergere il nazionalismo malese a scopi politici. La Malaysia è regolarmente in balia a dispute di ordine religioso che hanno acuito le tensioni tra musulmani malesi da una parte, cinesi e indiani dall'altra. Questi ultimi affermano di temere un'islamizzazione del Paese. I cristiani rappresentano circa il dieci per cento della popolazione e sono particolarmente numerosi nel nord dell'isola di Borneo.


(©L'Osservatore Romano - 21 gennaio 2010)
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