La Chiesa perseguitata

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Cattolico_Romano
00lunedì 7 settembre 2009 18:38

Sacerdote filippino ucciso in un agguato nel Samar del Nord


Manila, 7. Padre Cecilio Lucero, sacerdote diocesano di 48 anni, è stato ucciso domenica mattina in un agguato nelle Filippine lungo la strada che dalla sua parrocchia di Catabig porta alla città di Catarman, maggiore centro della regione di Samar settentrionale. Altre due persone che viaggiavano con lui a bordo di un fuoristrada, Isidro Miras ed Eugene Batation, sono rimaste ferite nell'attacco condotto da un gruppo di circa trenta uomini armati presso in località Layuhan, nella città di San José.
"Come nei casi precedenti - ha dichiarato questa mattina il vescovo di Catarman, monsignor Emmanuel Trance - mi unisco a quanti chiedono alle autorità governative di intervenire per interrompere questi attacchi che, in questo caso, hanno provocato la morte del sacerdote".
Secondo il vescovo di Catarman, padre Lucero aveva precedentemente ricevuto minacce a causa del suo impegno in un gruppo di difesa dei diritti umani. Il sacerdote aveva ripetutamente condannato in pubblico il fenomeno delle cosiddette esecuzioni extragiudiziali da parte di anonime squadre armate. Il vescovo di Catarman ha sottolineato che il religioso, cosciente del pericolo che correva, durante gli spostamenti si faceva accompagnare dal poliziotto Eugene Batation che, benché ferito, ha risposto al fuoco degli aggressori.
Padre Cecilio Lucero aveva iniziato a ricevere minacce da alcuni mesi dopo avere denunciato una serie di agguati in cui erano stati uccisi politici, professionisti e giornalisti del Samar del Nord.
Secondo un portavoce del Philippine National Police, il sacerdote è stato ucciso con un proiettile in testa. "Se è possibile uccidere in questo modo perfino un sacerdote, questo omicidio provocherà il terrore tra i comuni cittadini", ha affermato il vescovo Trance.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00mercoledì 9 settembre 2009 18:46
  Cristiani, musulmani e indù nel santuario pakistano

A Mariamabad in pellegrinaggio per la fine d'ogni discriminazione



 
Lahore, 9. Sono giorni di festa e di preghiera per la comunità cattolica del Pakistan. Festa in onore della Madonna venerata nel santuario di Mariamabad e preghiera per i persecutori, affinché il Signore cambi radicalmente i cuori di quanti - specialmente nell'ultimo mese - sembrano volersi accanire con inaudite violenze e accuse infondate contro la minoranza cristiana del Paese.

Da sessant'anni, il 4 settembre è il giorno in cui inizia il tradizionale pellegrinaggio alla grotta della Madonna, nella cosiddetta Terra di Maria, situata in una delle più antiche località cristiane del Pakistan, a poco più di cento chilometri da Lahore. Da tutto il Paese i fedeli percorrono le strade a piedi o in bicicletta. Alcuni gruppi si muovono in treno e, chi ce l'ha, usa l'automobile. Tutti addobbano il proprio mezzo di trasporto con festoni o striscioni per segnalare che sono in viaggio verso il villaggio di Maria. Ma, insieme ai cattolici si muovono cristiani di altre confessioni e anche musulmani, indù e sikh. La festa è ormai un evento per tutta la popolazione e in molti, anche non cristiani, offrono alloggio e cibo ai pellegrini meno facoltosi. Quest'anno - secondo Ucanews - oltre un milione di persone ha partecipato alle celebrazioni culminate poi, martedì 8, con la ricorrenza della Natività della Beata Vergine Maria. Soprattutto, però, ha assunto particolare importanza la preghiera per la pace e la riconciliazione nel Paese. "Abbiamo posto ai piedi della Vergine Maria la nostra opera in favore dei cristiani perseguitati. Preghiamo e digiuniamo per la conversione dei terroristi coinvolti nelle recenti violenze contro i cristiani", ha detto padre Emmanuel Asi, segretario esecutivo della commissione biblica cattolica del Pakistan. "Noi - ha aggiunto - siamo  parte integrante di questo Paese e vogliamo diventare strumenti di pace".

Padre Asi è anche tornato a chiedere l'abrogazione delle controverse leggi sulla blasfemia, che puniscono duramente, talvolta con la morte, le offese ai simboli islamici. "Si tratta di leggi che meritano d'essere cambiate - ha detto - per evitare la persecuzione di pakistani innocenti, la metà dei quali poveri cristiani". In molte occasioni, infatti, queste leggi vengono applicate solo per alimentare l'odio comune o per regolare interessi personali senza alcun collegamento con la religione.

"Si può essere deboli e poveri, ma la persecuzione non può scoraggiare la nostra fede", ha detto nel corso di una celebrazione il padre cappuccino Mehboob Evarist, il quale ha anche esortato i fedeli a "pregare per coloro che ci fanno del male".

La cooperazione della polizia locale ha comunque consentito un tranquillo e ordinato svolgersi del pellegrinaggio, la cui celebrazione principale è stata presieduta dall'arcivescovo di Lahore, Lawrence John Saldanha. "Alcuni sacerdoti avevano ricevuto delle telefonate minatorie che annunciavano attentati contro il pellegrinaggio e che dicevano che ci avrebbero ridotti a un mucchio di cenere", ha detto padre Mushtaq Pyara, segretario del comitato organizzatore del pellegrinaggio. "Abbiamo quindi chiesto al Governo del Punjab - ha continuato - di garantire la sicurezza. Si sono svolti degli incontri con i funzionari della Polizia che hanno poi proibito per alcuni giorni l'utilizzazione degli altoparlanti delle moschee nei villaggi circostanti Mariamabad". Infatti, proprio questi altoparlanti in passato sembra siano stati talvolta utilizzati per incitare alla violenza contro le minoranze religiose.


(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2009)
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00mercoledì 9 settembre 2009 18:48
Arrestate 150 persone per aver interrotto in pubblico il digiuno durante il ramadan

I cristiani in Egitto per la libertà religiosa


Il Cairo, 9. Almeno centocinquanta persone sono state arrestate dalla Polizia in Egitto per aver interrotto in pubblico il digiuno che caratterizza il ramadan, mese sacro ai musulmani. A denunciarlo è il direttore di un movimento liberale cristiano del Paese, Samwel Alashay, copto, il quale ha riferito all'agenzia spagnola Efe che la campagna di arresti, la prima di questo tipo in Egitto e riguardante anche la minoranza cristiana che non digiuna durante il ramadan, "è incostituzionale, poiché le leggi egiziane garantiscono la totale libertà". Secondo quanto riferiscono il movimento e alcune locali organizzazioni per i diritti umani, i provvedimenti sono stati eseguiti nei governatorati di Aswân, Daqahlîya, Mar Rosso e Porto Said, mentre i fermati stavano mangiando o fumando per strada durante le ore diurne. Alcuni arrestati sono stati liberati grazie al pagamento di una cauzione di cinquecento lire egiziane (circa cento dollari).
Il movimento liberale cristiano ha inviato una lettera al ministero dell'Interno nella quale chiede di interrogare e di giudicare gli ufficiali della Polizia responsabili di questa campagna. "Il fatto che alti responsabili della Polizia compiano questi arresti - ha detto Alashay - è un segnale grave per i musulmani in generale e per i cristiani nel concreto, perché trasforma il Paese in uno Stato di tipo talebano e wahabbita", con una rigida interpretazione della religione islamica.
In Egitto la maggioranza è musulmana sunnita (quasi il 90 per cento della popolazione). Il restante 10 per cento è costituito in gran parte da cristiani, soprattutto copti ortodossi. Una minoranza che si sente minacciata, discriminata, non sufficientemente tutelata. Per questo il movimento guidato da Alashay e altre associazioni copte hanno indetto, per venerdì 11 settembre, uno "sciopero dei cristiani" per rivendicare i propri diritti e per chiedere una legge che faciliti la costruzione di chiese in Egitto. La questione è stata argomento, nei giorni scorsi, di una fatwa emanata dal Consiglio islamico dell'Egitto. Il decreto - secondo quanto riferisce l'Assyrian international news agency - sostiene che "l'intenzione da parte di un musulmano di donare soldi per costruire una chiesa è un peccato contro Dio", paragonabile a quello che si commette finanziando un night club, una casa da gioco o "una stalla dove tenere maiali, gatti o cani". La fatwa ha provocato polemiche, tanto che il gran muftì Ali Gomaa e il ministro della Giustizia hanno avviato un'indagine sui saggi che l'hanno emessa. Anche lo sceicco Al-Azhar Mohammed Sayed Tantawi l'ha criticata sostenendo che i musulmani possono donare soldi per costruire chiese e che deve essere favorita la libertà di culto.
Secondo Samwel Alashay, la campagna di arresti durante il ramadan è una risposta alla convocazione dello sciopero. Le associazioni che sostengono la manifestazione hanno chiesto ai cristiani di rimanere venerdì nelle loro case e di vestirsi di nero. Finora - riferisce la Efe - almeno tremila cristiani hanno assicurato, attraverso Facebook, la loro partecipazione e, giorno dopo giorno, cresce il numero dei copti che danno la propria adesione.
Va detto, tuttavia, che un portavoce della comunità copto ortodossa in Egitto ha dichiarato - sempre all'agenzia spagnola - che "la Chiesa non ha nulla a che vedere con lo sciopero" e che "la Chiesa utilizza il dialogo per risolvere qualsiasi problema. Gli scioperi non servono a niente".
L'ondata di arresti è stata commentata negativamente anche dai non cristiani. "È orribile che stia accadendo questo - ha dichiarato uno dei fermati, membro della Fratellanza musulmana - e non possiamo restare fermi e consentire che ciò continui. Vogliamo vivere in una società libera, la religione non è obbligatoria e così deve continuare a essere". Anche il direttore dell'Arabic network for human rights information, Gamal Eid, ha criticato gli arresti definendoli "illegali" e ha definito la "campagna" lanciata dal ministro dell'Interno "una manovra del Governo per compiacere gli islamici, in modo da guadagnare terreno" presso di loro. "Non esiste alcuna esplicita norma di legge - ha aggiunto il presidente della Fondazione per lo sviluppo della democrazia egiziana, Negad Al Borai - che autorizzi l'arresto delle persone che interrompono il digiuno durante il ramadan".
Il ministro dell'Interno, Habib el Adli, non ha confermato né smentito la notizia. Ma una fonte della sicurezza egiziana ha riferito che la campagna potrebbe essere stata lanciata per mantenere l'ordine e far diminuire i crimini durante il mese sacro ai musulmani.


(©L'Osservatore Romano - 10 settembre 2009)
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00lunedì 14 settembre 2009 06:39
Assassinato un sacerdote filippino difensore dei diritti umani

MANILA, domenica, 13 settembre 2009 (ZENIT.org).-

La Conferenza Episcopale Filippina, attraverso il Vescovo ausiliare di Manila, monsignor Broderich S. Pabillo, ha condannato duramente il brutale assassinio di padre Cecilio Lucero, che si è distinto per la sua difesa e promozione dei diritti umani nella Diocesi di Catarmán.

Padre Lucero, di 48 anni - informa OMPress -, era alla guida del dipartimento per i diritti umani della sua Diocesi. Domenica scorsa, mentre si dirigeva in automobile verso una parrocchia con altre due persone, ha ricevuto un colpo d'arma da fuoco alla testa ed è morto. I suoi accompagnatori sono rimasti feriti.Il Vescovo della Diocesi, monsignor Emmanuel C. Trance, ha rivelato che il sacerdote aveva già ricevuto minacce di morte, per cui si temeva per la sua sicurezza.

Il portavoce della Conferenza Episcopale ha descritto padre Lucero come un "instancabile difensore dei diritti e della dignità di tutti gli individui", un uomo consapevole di quanto fosse pericoloso il suo lavoro ma che non si è mai fatto intimidire.La polizia ha dichiarato che il parroco è stato ucciso in un'imboscata alla quale hanno partecipato almeno 30 tiratori non identificati.

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00lunedì 14 settembre 2009 06:39
Aumentano le minacce anticristiane in India e Pakistan

Gli estremisti attaccano una chiesa vicino Bangalore


BANGALORE / FAISALABAD, domenica, 13 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Un gruppo di circa venti facinorosi ha distrutto nella notte tra il 9 e il 10 settembre varie vetrate e due statue di San Giovanni e della Madonna nella chiesa di San Francesco di Sales a Hebbagudi, vicino Bangalore (India), riporta l'agenzia AsiaNews.

L'episodio avviene a un anno dalle violenze negli Stati dell'Orissa e del Karnataka, le cui ferite non si sono ancora rimarginate. Quest'anno si sono verificati circa venti attacchi anticristiani.

Secondo il rapporto ufficiale sui fatti, una ventina di giovani estremisti ha distrutto due statue di un gruppo scultoreo della Via Crucis e ha frantumato quaranta finestre con mazze e asce. Ha anche provato a incendiare un veicolo parcheggiato davanti alla parrocchia.Questo ennesimo attacco ha provocato grande preoccupazione tra i cristiani della zona, malgrado le promesse del Governatore del Karnataka, B.S. Yeddyurappa, nazionalista, di voler difendere la minoranza cristiana.

Per il Consiglio Globale dei Cristiani Indiani, "la violenza e l'intimidazione contro la minoranza cristiana continuano, e i criminali sono più arroganti che mai, perché non vengono perseguiti".

Tensione nel Punjab

Anche in Pakistan, un mese dopo i sanguinosi attacchi anticristiani nel Punjab la tensione sta crescendo, nonostante gli sforzi della Chiesa per sensibilizzare il Paese verso la protezione delle minoranze.Questo venerdì, riferisce l'emittente pontificia, nel villaggio di Jaithikev, sempre nel Punjab, una folla di musulmani ha dato fuoco a una chiesa dopo la preghiera nella moschea locale. La scintilla che ha scatenato la violenta reazione è stata l'accusa rivolta a un ragazzo cristiano di vent'anni di aver gettato a terra il Corano di una ragazza di cui è innamorato, una quindicenne musulmana. Gli assalitori hanno devastato anche due abitazioni adiacenti alla chiesa, utilizzata sia dai cattolici che dai protestanti. Circa 35 famiglie cristiane hanno abbandonato le proprie case.

"L'Osservatore Romano" ha riportato un reportage del Pakistan christian post in cui si avverte che negli ultimi giorni si susseguono le provocazioni contro i cristiani di Gojra e Koriyan, in alcuni casi invocando la legge antiblasfemia. Secondo il quotidiano, un'associazione islamica avrebbe accusato il direttore della commissione diocesana per il dialogo interreligioso, padre Aftab James Paul, e altre tre persone, due delle quali sacerdoti, di aver fornito armi a un giovane perché uccidesse i musulmani.L'associazione chiede l'arresto del sacerdote, minacciando in caso contrario nuove azioni violente.

Il 9 settembre, la comunità cristiana di Faisalabad ha celebrato una Messa in ricordo delle sette persone assassinate il mese scorso a Gojra. La comunità cristiana celebra come "martiri" le sette vittime, tra cui tre donne e due bambini, bruciate vive tra il 1° e il 3 agosto durante gli attacchi ai cristiani di Gojra e Koriyan. Oltre venti persone sono rimaste ferite e centinaia di case sono state distrutte. Padre Yaqoob Yousaf, direttore del Centro Diocesano di Catechesi, ha sottolineato durante la celebrazione "il coraggio della gente di Gojra", che "ha sacrificato la sua vita per testimoniare la fede cristiana".

In queste settimane, le Diocesi del Pakistan stano organizzando Messe e incontri di preghiera per ricordare le vittime e le minoranze perseguitate per la loro fede.
Cattolico_Romano
00mercoledì 16 settembre 2009 07:10
Pakistan: un amore proibito scatena la violenza

Estremisti islamici contro una chiesa e abitazioni cristiane


KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Un amore tra adolescenti in Pakistan ha avuto conseguenze devastanti quando dei fanatici hanno dato fuoco alla chiesa di un villaggio e hanno costretto i cristiani ad abbandonare la zona.

Centinaia di fedeli, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) in un comunicato inviato a ZENIT, hanno fatto appena in tempo a mettersi in salvo l'11 settembre, quando gli estremisti hanno devastato il villaggio di Jethki, nel distretto di Sialkot della provincia del Punjab.Armati di mattoni, pietre e spranghe, hanno gettato cherosene sulla chiesa prima di darle fuoco e profanarla.La folla ha anche anche appiccato il fuoco a due abitazioni cristiane vicine alla chiesa e ha minacciato di uccidere gli abitanti del villaggio.Secondo i leader ecclesiali, la scintilla delle violenze è stata la rabbia di una donna musulmana furiosa perché la figlia diciottenne aveva rotto un tabù sociale e religioso legandosi a un ragazzo cristiano.

Determinata a porre fine al legame triennale tra i due ragazzi, che sono compagni di scuola, secondo i religiosi avrebbe strappato una pagina contenente dei versetti del Corano e l'avrebbe gettata di fronte alla casa del ragazzo.Sarebbe quindi corsa dalle autorità musulmane accusando il giovane di profanazione del Corano, cioè di aver infranto le leggi sulla blasfemia in vigore in Pakistan.In base all'articolo 295B del Codice Penale, la profanazione del Corano comporta una pena che può arrivare anche alla prigione a vita.Le autorità musulmane avrebbero apparentemente orchestrato gli attacchi al villaggio per vendetta.

Violenza senza fine

Gli attacchi a Jethki sono il quarto episodio di questo tipo che si verifica in tre mesi e hanno suscitato ulteriori appelli dei leader cristiani in Pakistan perché le leggi sulla blasfemia vengano ritirate.Sabato 12 settembre, il Presidente pakistano Asif Ali Zardari ha condannato gli attacchi del giorno prima e ha chiesto al Governo fondi per riparare la chiesa.Nel frattempo, il 19enne accusato di blasfemia, il cui nome non è stato reso noto per motivi di sicurezza, è stato arrestato mentre la polizia indagava sull'accaduto.

In un'intervista ad ACS, padre Andrew Nisari, vicario generale dell'Arcidiocesi di Lahore, da cui dipende Sialkot, ha affermato che “la gente è molto spaventata e sconvolta per quanto è successo”.“Siamo davvero felici che il ragazzo sia in prigione in questo momento – ha dichiarato –. Almeno è al sicuro. Significa che non verrà ucciso dagli estremisti musulmani”.“Anche se la chiesa è ancora in piedi, è completamente bruciata al suo interno – l'altare, le statue, i banchi, la sedia del sacerdote, la Bibbia e altri testi religiosi. L'intero edificio è del tutto inutilizzabile”.Il preusle ha chiesto ripetutamente l'abolizione delle leggi contro la blasfemia. “Le leggi danno alle persone – e ai musulmani in particolare – una spada invisibile, facendo sì che possano vendicarsi su chi vogliono”.“Questo caso mostra che nel nostro Paese la religione viene strumentalizzata”, ha aggiunto.

Strage sfiorata

Padre Nisari ha sottolineato come l'episodio sia quasi sfociato in tragedia. “Tutti i sacerdoti hanno detto ai cristiani di scappare dal villaggio, altrimenti la folla li avrebbe uccisi”.

I fedeli si sono quindi rifugiati presso amici e parenti nelle zone circostanti.“Esorto tutti i cristiani del mondo a pregare per noi perseguitati in Pakistan – ha chiesto il sacerdote –. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere”.Il Ministro per le Minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti, l'unico cristiano del gabinetto federale, visiterà la regione e sottoporrà un rapporto al Governo.I leader ecclesiali interpretano l'accaduto come un'altra prova della persecuzione diffusa contro i cristiani nel Paese.L'ondata di violenza ha avuto il suo apice negli attacchi di agosto a Gojra, sempre nel Punjab, costati la vita a nove persone.
Cattolico_Romano
00mercoledì 16 settembre 2009 07:12
I cristiani di Terra Santa, vittime di continue oppressioni

Il Patriarca Twal: senza l'aiuto esterno, la Chiesa è a rischio



KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha avvertito che il futuro della Chiesa in Terra Santa è a rischio. Per questo motivo, ha chiesto ai cristiani di tutto il mondo di unire i propri sforzi per aiutare i fedeli della terra di Gesù.

Durante un discorso pronunciato l'8 settembre nella Cattedrale di Westminster, a Londra, il Patriarca ha sottolineato che l'emigrazione ha ridotto drasticamente il numero dei cristiani sia in Israele che in Palestina.

Secondo il presule, ricorda l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che ha organizzato l'incontro londinese, si pensa che i fedeli di Gerusalemme diminuiranno dai 10.000 attuali a poco più di 5.000 nel 2016.In tutta la Terra Santa, ha aggiunto, i cristiani sono scesi dal 10 al 2% in 60 anni, anche se altre prove mostrano che il declino potrebbe essere superiore.

Oppressione e muro di separazione

Il Patriarca ha confessato che fino ad ora il pellegrinaggio svolto da Benedetto XVI in Terra Santa a maggio non ha portato a una minore oppressione delle minoranze e che “la continua discriminazione in Israele minaccia sia i cristiani che i musulmani”.“Tra la limitazione degli spostamenti e la noncuranza per le necessità abitative, le tasse e la violazione dei diritti di residenza, i cristiani palestinesi non sanno da che parte voltarsi”.

Il Patriarca Twal ha condannato in particolare il muro eretto da Israele intorno alla West Bank, affermando che oltre a ostacolare la libertà di movimento “ha chiuso molti palestinesi in zone-ghetto in cui l'accesso al lavoro, all'assistenza medica, all'istruzione e ad altri servizi di base è stato gravemente compromesso”.

“Abbiamo una nuova generazione di cristiani che non può visitare i Luoghi Santi della sua fede anche se distano solo pochi chilometri dal luogo in cui risiede”, ha denunciato.

Senza di voi, che ne sarà del nostro futuro?”

Alla presenza della coordinatrice per i progetti in Medio Oriente di ACS, Marie-Ange Siebrecht, il Patriarca Twal ha anche ringraziato l'opera dell'associazione, che sostiene seminaristi e suore a Betlemme, famiglie che costruiscono oggetti devozionali in legno d'ulivo e iniziative che promuovono la cooperazione interreligiosa.

Nell'omelia della Messa che ha celebrato nella Cattedrale di Westminster prima dell'incontro, ha espresso la propria riconoscenza affermando: “Contiamo sul vostro affetto e sul vostro sostegno. Senza di voi, che ne sarà del nostro futuro?”.

Il presule ha poi sottolineato l'importanza delle cinque “P”: preghiera, pellegrinaggio, pressione, progetti, che portano tutti alla quinta “P”, quella della pace.“Se in 61 anni non siamo riusciti a ottenere la pace, vuol dire che i metodi che abbiamo usato erano sbagliati”, ha commentato parlando della necessità di raggiungere una soluzione definitiva nella regione.

“Sembra che i politici siano più preoccupati della pace che della guerra e preferiscano gestire il conflitto piuttosto che risolverlo”.Nei Territori Occupati, ha aggiunto, la gente “è completamente alla mercé dell'Esercito israeliano, e al momento la Striscia di Gaza vive sotto un assedio imposto da Israele, che ha provocato una drammatica crisi umanitaria”.

Nonostante tutto, il presule si dice “cautamente ottimista” per “il cambiamento di tono dell'Amministrazione americana guidata dal Presidente Obama”, osservando che il nuovo Capo di Stato “sembra molto più consapevole dei suoi predecessori degli errori fondamentali dell'Amministrazione nell'atteggiamento verso il conflitto”.

Durante la sua visita a Londra, il Patriarca ha anche incontrato i Vescovi di Inghilterra e Galles e rappresentanti di organizzazioni come i Cavalieri del Santo Sepolcro e Missio.
Cattolico_Romano
00mercoledì 16 settembre 2009 18:14
Morto in carcere un giovane accusato di blasfemia

In Pakistan non si placa l'odio anticristiano


Sialkot, 16. Sarebbe stato ucciso in carcere, nella notte fra lunedì e martedì, il giovane cristiano arrestato l'11 settembre in un villaggio del Punjab, in Pakistan, con l'accusa di blasfemia. Come riferiscono le agenzie AsiaNews, Uca News e il Pakistan christian post, Fanish "Robert" Masih, ventenne, ieri mattina è stato trovato morto nella sua cella dai secondini del carcere distrettuale di Sialkot. Sul corpo c'erano evidenti ferite, non compatibili con la tesi del suicidio per impiccagione sostenuta dalla polizia. "È un omicidio legalizzato", accusa Anthony Nadeem, membro della Commissione pakistana per i diritti umani, il quale condanna senza mezzi termini l'ennesimo caso di violenza contro i cristiani:  "La polizia parla di suicidio. Fanish si sarebbe impiccato in carcere, ma questo non ha senso", afferma Nadeem, aggiungendo che il giovane "ha subito torture in seguito alle quali è deceduto" e che "sono visibili i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, come emerge dalle fotografie".

Il corpo è ora a disposizione dell'autorità giudiziaria, che ne ha disposto il trasferimento all'ospedale civile di Sialkot per l'autopsia.

Le comunità cristiane sono subito scese in strada organizzando, come a Sialkot e a Lahore, capoluogo della provincia del Punjab, manifestazioni di protesta contro l'ennesimo episodio di violenza anti-cristiana. "Basta con l'estremismo religioso e il massacro dei cristiani", recitava uno degli striscioni esposti. La Commissione di giustizia e pace della Conferenza dei vescovi cattolici del Pakistan (Pcbc) - presieduta dall'arcivescovo di Lahore, Lawrence John Saldanha, presidente della Pcbc - ha emesso un comunicato nel quale si sollecita "un'inchiesta credibile" e che "il caso venga affrontato come omicidio". I responsabili della morte di un giovane innocente - si afferma - "dovrebbero essere portati davanti alla giustizia".

La Chiesa negli ultimi mesi è più volte intervenuta contro le leggi sulla blasfemia, introdotte nel 1986 e considerate all'origine di molti episodi di violenza, chiedendone l'abrogazione. È stata anche lanciata una petizione che verrà presentata al Governo centrale. "Per le minoranze religiose - afferma monsignor Saldanha - quelle leggi si sono rivelate una catastrofe e, per il Governo provinciale del Punjab e il Governo federale, un fallimento".

Fanish era stato arrestato venerdì scorso a Jaithikey, nel distretto di Sialkot, con l'accusa di blasfemia. Il giorno precedente una folla di musulmani si era riunita attorno alla chiesa del villaggio per "dare una lezione" alla comunità cristiana. Gli estremisti hanno prima danneggiato l'edificio, poi gli hanno dato fuoco. Sono state anche saccheggiate due abitazioni adiacenti alla chiesa. All'origine delle tensioni - riferisce AsiaNews - vi sarebbe stata la contrastata relazione fra il giovane cristiano e una ragazza musulmana. Masih, forse dopo un litigio, avrebbe gettato a terra il Corano che la giovane teneva fra le mani.

Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di giustizia e pace, spiega che "i musulmani non sopportano che una ragazza musulmana si innamori di un cristiano". Nei giorni scorsi l'organismo della Chiesa cattolica pakistana aveva espresso "grande preoccupazione" per l'aumento dei casi di violenze contro le minoranze religiose nel Paese, perpetrate in nome delle leggi sulla blasfemia.


(©L'Osservatore Romano - 17 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00venerdì 18 settembre 2009 19:32
Le autorità tirano in ballo le conversioni illegali ma si contraddicono

L'Esecutivo dell'Orissa accusa i cristiani

Lo sdegno della Chiesa


Bhubaneswar, 18. "È ridicolo che i funzionari dello Stato, invece di dimostrare un po' di compassione e di solidarietà per i quasi cinquantamila cristiani sfollati del Kandhamal, cerchino ora di provare disperatamente di essere estranei e all'oscuro dei fatti che hanno generato le violenze in Orissa". È la risposta dell'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, monsignor Raphael Cheenath, alla versione dei fatti che alcuni funzionari dello Stato hanno sostenuto davanti alla Commissione governativa che indaga sui pogrom dell'agosto 2008.

Mercoledì scorso, il giudice Sarat Chandra Mohapatra, presidente e membro unico della commissione, ha ascoltato Gangadhar Singh, prefetto del distretto di Kandhamal. Il funzionario governativo ha affermato che durante il suo mandato le conversioni al cristianesimo sono avvenute violando le direttive previste dall'Orissa freedom of religion act (Ofra). Singh ha aggiunto due particolari significativi alla sua versione dei fatti. Da un lato ha sottolineato di aver assistito a una diffusa occupazione di appezzamenti governativi; dall'altro rileva tensioni tra tribali e dalit per il tentativo di questi ultimi di affrancarsi dal loro status giuridico e ottenere le concessioni territoriali garantite ai tribali. Sollevando la Chiesa da ogni implicazione diretta in questi avvenimenti ha sostenuto la tesi secondo cui le conversioni illegali, le occupazioni dei terreni e le tensioni tra tribali e dalit siano fenomeni tra loro collegati.

Monsignor Cheenath ha definito le dichiarazioni di Singh come ambigue e tardive. "Sembra che i funzionari governativi - ha detto - abbiano dormito a lungo. Perché non hanno portato alla luce le irregolarità prima d'ora? Possono provare quello che dicono? L'Ofra è in vigore dal 1967, ma solo adesso, dopo le persecuzioni nei confronti dei cristiani, vengono fuori le violazioni. Sembra tutto un gioco per fare apparire innocente il Governo".

Per l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar le versioni dei fatti che i funzionari stanno offrendo alla Commissione d'inchiesta sono l'ultimo capitolo del "gioco messo in atto dalle autorità governative e dallo Sang Parivar (l'associazione di attivisti indù) per continuare a perseguire i cristiani. Le vittime - ha aggiunto il presule - vivono ancora nell'insicurezza, spesso lontane delle loro case, esposte a continue minacce e boicottate dalle comunità indù. La cosa più vergognosa e grave è che i funzionari sono d'accordo con lo Sangh Parivar per cacciare via dal Kandhamal la minoranza indifesa dei cristiani".

Tra i funzionari ascoltati martedì scorso, la Commissione d'inchiesta ha sentito anche Arung Sarang, un ispettore generale di polizia, che ha confermato la versione secondo cui le autorità non avevano nessuna informazione sulle minacce maoiste a Swami Laxmanananda Saraswati, capo del Visva hindu parisad (Vhp), dal cui assasinio sono poi scaturite le violenze dell'agosto del 2008.

Sarang ha scagionato ancora una volta i cristiani del Kandhamal da ogni responsabilità nell'omicidio del leader fondamentalista indù affermando che "è assolutamente evidente che l'assassinio è opera dei militanti del partito comunista maoista dell'India". Ma anche le dichiarazioni dell'ispettore, per la comunità cattolica, suonano come un tentativo di sollevare le autorità dell'accusa di non aver fatto nulla per prevenire le violenze.

Intanto, dal 21 al 27 settembre una delegazione del Wcc in rappresentanza delle Chiese dell'Europa, America Latina, Africa e Asia effettuerà una visita di solidarietà in India per incontrare organizzazioni ecumeniche e movimenti della società civile e leader delle Chiese cristiane.


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00lunedì 21 settembre 2009 08:14
Ucciso in Amazzonia il missionario Ruggero Ruvoletto

La polizia parla di un possibile tentativo di rapina



ROMA, domenica, 20 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Don Ruggero Ruvoletto è stato assassinato sabato mattina nella sua parrocchia di Santa Evelina alla periferia di Manaos, nel nord-est del Brasile.
Dopo le prime ricostruzioni, la polizia ha parlato di un possibile tentativo di rapina, ma l’ipotesi sembra non convincere poiché nella Chiesa sarebbero stati rubati solo una cinquantina di reali (circa una quindicina di euro), mentre altro denaro è stato lasciato nell'abitazione del sacerdote. Alcuni testimoni affermano di aver visto due ''sconosciuti'' fuggire con alcuni oggetti appartenenti al religioso.

Secondo quanto riportato dall'agenzia missionaria “Misna”, per ora le forze dell’ordine hanno arrestato tre persone sospettate di essere coinvolte nell'assassinio. L’identità dei tre e l’eventuale movente restano tuttavia sconosciuti.

Don Ruggero Ruvoletto era nato il 23 marzo 1957 a Galta di Vigonovo (Venezia), nella diocesi di Padova ed era stato ordinato sacerdote nel 1982 dal Vescovo Filippo Franceschi, di cui era stato Segretario, durante tutto il suo episcopato (1982-1988).

Aveva poi studiato ecclesiologia a Roma ed era rientrato in diocesi nell’Agosto del 1994 occuopandosi per circa un anno di Pastorale sociale e del lavoro come delegato vescovile. Era stato quindi nominato Direttore del Centro missionario diocesano dal 1995 al 2003.Nel luglio di sei anni fa era partito per il Brasile, come missionario fidei donum, nella diocesi di Itaguaì a Mangaratiba insieme con don Orazio Zecchin. L’anno seguente aveva raggiunto don Francesco Biasin, nel frattempo consacrato Vescovo nella diocesi di Pesqueira, nel nord est del Brasile, per partecipare ad un progetto di presenza missionaria alla periferia di Manaus, voluto dalle diocesi locali.

La periferia di Manaus, si legge in una nota della diocesi di Padova, è "un luogo di confine tra la città e la foresta dove la criminalità è particolarmente aggressiva e ultimamente si erano verificati vari assalti. Lo stesso don Ruggero aveva recentemente partecipato a una manifestazione per chiedere maggiore sicurezza".

Dopo la notizia centinaia di abitanti del sobborgo di Manaos si sono raccolti attorno alla parrocchia per rendere omaggio alle spoglie del missionario italiano, che verrà sepolto in Italia.

Questa domenica mattina, il Vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo ha ricordato che don Ruggero “si è sempre speso tantissimo per la missione. Era uomo e prete di animo buono, sereno, sempre sorridente e di una disponibilità totale”.

Cattolico_Romano
00martedì 22 settembre 2009 06:47

Arresti e minacce contro cristiani in Laos


Vientiane, 21. È allarme in Laos per la libertà e la sicurezza della minoranza cristiana. A lanciarlo è il gruppo Human Rights Watch for Laos Religious Freedom (Hrwlrf) che nelle ultime settimane ha registrato diversi episodi di persecuzione, soprattutto nei confronti dei protestanti, accusati dalle autorità d'aderire a credenze straniere e di rappresentare perciò una "minaccia" per il Paese.
Tra gli episodi segnalati dall'organizzazione umanitaria, l'arresto nel sud del Paese di Thao Oun, uno dei leader protestanti locali. L'uomo è stato interrogato e minacciato per ore, con la pressante richiesta di denunciare altri correligionari.
Pochi giorni dopo un altro fedele, da poco convertitosi al cristianesimo, è stato bandito dal proprio villaggio per essersi rifiutato d'abiurare. E nella zona le autorità impediscono anche ai cristiani di mandare i figli a scuola e negano loro l'acqua, le cure mediche e la protezione della legge. Inoltre, in questo clima - riferisce AsiaNews - si registrano "frequenti aggressioni anche da parte di semplici cittadini, che sanno di poter usare violenza ai cristiani senza dover temere conseguenze".
Risale alla fine degli anni Novanta l'ultima ondata di persecuzione anticristiana in Laos. Ciò spinse il rapporto annuale degli Stati Uniti sulla libertà religiosa nel mondo a mettere il Paese "sotto osservazione". Le pressioni internazionali e anche il rischio di perdere gli aiuti finanziari suggerirono una maggiore e sostanziale tolleranza religiosa. Tuttavia, oggi - è la denuncia di Hrwlrf - Vientiane sembra aver cambiato registro.
Negli ultimi tempi, secondo l'ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, oltre cinquecento cristiani avrebbero subito violenze, minacce e vessazioni nel tentativo di spingerli a rinnegare la propria fede. Oltre al carcere, è frequente anche il sequestro del bestiame, il rifiuto della scuola per i figli e la negazione dei documenti d'identità.


(©L'Osservatore Romano - 21-22 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00giovedì 1 ottobre 2009 10:57
Iraq: per i cristiani non c'è alcun posto sicuro

La violenza ha invaso anche la regione di Ninive



KÖNIGSTEIN, mercoledì, 30 settembre 2009 (ZENIT.org).-

I cristiani iracheni stanno iniziando ad abbandonare l'unica zona in cui pensavano di essere al sicuro – la loro antica patria nelle pianure di Ninive.

Secondo i rapporti del clero del nord del Paese, negli ultimi mesi si è verificata un'emigrazione lenta ma costante dai villaggi e dalle città nei pressi di Mosul, dove i fedeli sono presenti fin dai primi secoli del cristianesimo.

Tutto, riferisce l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), avviene dopo gli avvertimenti di un altro attacco alla Chiesa atteso subito dopo le elezioni del gennaio prossimo.

Padre Bashar Warda ha affermato che i cristiani nella regione di Ninive stanno iniziando a sentirsi minacciati dalla mancanza di sicurezza che ha colpito tanti fedeli in molte altre parti dell'Iraq.

Secondo il sacerdote, anche se è difficile presentare stime precise, i villaggi totalmente cristiani della regione di Ninive perdono 30 o 40 fedeli al mese, a volte anche di più.

Questi numeri sono ancora più preoccupanti se si considera che i villaggi quasi totalmente cristiani sono il luogo in cui si sono rifugiati i fedeli che si sentivano minacciati in altre zone del Paese. Dopo l'ondata di propaganda e attacchi anticristiani a Mosul dell'anno scorso, infatti, molti si sono trasferiti nella regione di Ninive.

Padre Warda, rettore del Sdeminario maggiore di St Peter ad Ankawa, fuori Erbil, la capitale provinciale del nord curdo dell'Iraq, ha osservato che ci si attende un aumento dell'emigrazione da Ninive dopo che una famosa dottoressa è stata rapita in casa propria a Bartala, una delle più importanti città della zona.

Mahasin Bashir, ginecologa, è stata liberata questa domenica a Baashiqa, a circa 10 chilometri da Bartala. Il rapimento, secondo padre Warda, “ha avuto forti ripercussioni” nella zona, che di recente non aveva subito sequestri, esplosioni e altri incidenti.

Un'escalation della violenza in seguito alle elezioni del 2010 potrebbe avere conseguenze catastrofiche per la sopravvivenza della Chiesa e porterebbe ancor più fedeli ad abbandonare il Paese, ha avvertito il presbitero.

Secondo le ultime stime, i cristiani iracheni, che nel 1987 erano 1,4 milioni, sarebbero ormai meno di 400.000.
S_Daniele
00mercoledì 7 ottobre 2009 13:13
Iraq: assassinato un infermiere cristiano

L'Arcivescovo di Kirkuk definisce la situazione “preoccupante”



KIRKUK, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

E' stato assassinato questo sabato Imad Elia Abdul Karim, infermiere cristiano di 55 anni, sequestrato davanti alla sua casa nel quartiere di Mualimin, a Kirkuk (Iraq).

Fonti locali hanno riferito ad AsiaNews che questo sabato la polizia ha rinvenuto il cadavere dell'uomo “buttato” per strada, nel quartiere di Dumez e Asra Wa Mafqudin. E' lo stesso luogo in cui sono stati uccisi in precedenza Aziz Risqo, un importante funzionario cristiano della città, e due donne. Secondo un primo rapporto medico, il corpo “presenta evidenti segni di tortura”.

Nello stesso giorno, monsignor Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk, aveva rivolto un appello alle autorità e ai giornali locali per la liberazione, definendo la situazione dei cristiani “preoccupante” perché negli ultimi mesi sono sempre più “obiettivo di minacce, sequestri e omicidi”.Il rapimento è avvenuto nel pomeriggio del 3 ottobre. Durante l'assalto, il gruppo – formato da tre persone – ha aperto il fuoco ferendo l'infermiere, sposato e padre di due figli.

Fonti locali hanno spiegato che Imad Elia Abdulkarim stava riparando la sua automobile quando è arrivato un “gruppo di tre persone che ha sparato” in direzione dell'uomo. I malviventi lo hanno portato via, facendo poi perdere le proprie tracce.

“Imad – ha detto un cristiano – è un uomo buono molto noto nell'ambiente della sanità a Kirkuk. Il motivo del sequestro potrebbe essere un'eventuale richiesta di denaro, o potrebbe essere collegata alla sua attività professionale”.

La comunità cristiana conferma il clima di “paura” per i numerosi casi di “sequestri e omicidi avvenuti quest'anno”. Dopo il rapimento del medico Samir Gorja, alcune famiglie “hanno abbandonato la città. Il Governo non fa nulla e i cristiani sono diventati un obiettivo” da attaccare.

Lo stesso giorno del sequestro, l'Arcidiocesi di Kirkuk ha rivolto un appello per la liberazione dell'infermiere. In un messaggio ai media e alle autorità cittadine, monsignor Sako ha confermato che “i cristiani sono un bersaglio della violenza” e ha denunciato quanti “mirano a guadagni politici” o “approfittano di una mancanza d'ordine” per continuare a sequestrare persone e a chiedere “riscatti in denaro”.

“Tutti – ha ricordato il presule – sanno che i cristiani sono cittadini di questo Paese e di questa città; nessuno dubita del loro amore per la patria, della loro sincerità”.

Allo stesso modo, ha parlato di “atti contro i cristiani che vogliono avere un ruolo nella ricostruzione del Paese” e di “una cultura dell'umiliazione che rifiutiamo con forza”, e ha invitato “le autorità governative e le persone oneste dell'Iraq e di Kirkuk a fare di tutto per difendere i cittadini, chiunque siano”.

Rinnovando la richiesta di “dialogo e cooperazione sincera”, monsignor Sako chiedeva “ai sequestratori di Imad Elia Abdul Karim di avere timor di Dio” e di liberare l'ostaggio perché potesse “tornare dalla sua famiglia e dai suoi figli il prima possibile”. Un appello che non è stato ascoltato. 
S_Daniele
00giovedì 19 novembre 2009 11:19
Cristiani iracheni: una lunga storia, un futuro precario

Un documentario lancia un grido di aiuto al mondo

di Genevieve Pollock

ARBIL, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).-

Un nuovo documentario prodotto da cattolici in Iraq invita a prendere contatto con la storia, la cultura, i martiri e le lotte di una delle più antiche comunità cristiane.

Hank e Diane McCormick, una coppia di missionari che lavora nel nord dell'Iraq, ha raccontato a ZENIT che il primo episodio del documentario, diviso in cinque parti, può essere visionato on-line in tutto il mondo da chi vuole “incontrare” i cattolici del Medio Oriente.

Il video presenta la storia dei martiri cristiani della regione e quella dei cattolici – Vescovi, sacerdoti e laici – che lavorano in scuole, ospedali e altri servizi. Illustra scene della zona dei luoghi santi, oggetti antichi, celebrazioni liturgiche e musica locale.

Diane, che ha lavorato al progetto come redattrice, ha spiegato che si tratta di uno sforzo congiunto delle Chiese caldea, siriaca, maronita e latina, prodotto come un grido di aiuto.

Il messaggio dei cattolici al mondo, ha affermato, è: “Aiuto, aiuto ora che c'è ancora un gran numero di riti che può sopravvivere”.

“Tra 10 anni potrebbero non esistere più”, ha aggiunto. La partenza dei cristiani “è una perdita, anche per i musulmani; un Oriente senza cristiani non sarebbe lo stesso”.

Situazione precaria

L'introduzione al video informa che la situazione della comunità cristiana della regione, che risale all'apostolo San Tommaso, è attualmente “precaria”.“Questi cattolici non possono restare in quella che da 2000 anni è la loro terra senza l'aiuto dei loro fratelli e delle loro sorelle cattolici” di altri continenti, indica.

Il video, intitolato “An Open Door” (“Una Porta Aperta”), offre “uno sguardo alle menti e ai cuori dei cattolici che vivono in Iraq”, spiegando che “la loro natura pacifica e lo status di minoranza troppo piccola per difendersi hanno fatto sì che siano stati un bersaglio e abbiano avuto vittime guerra dopo guerra”.

Il numero dei cristiani nella regione è crollato da 1,5 milioni a circa 350.000, e continua a diminuire.

Hank, che ha lavorato nel video come cameraman e traduttore, ha spiegato a ZENIT che i leader della Chiesa nutrono la speranza che la gente veda il video e “venga ad aiutare”.

E' necessario sostegno per “costruire industrie, erigere scuole cattoliche, seminari minori, ospedali, per adottare parrocchie in Iraq, aprendo così la comunicazione tra gli iracheni e il mondo esterno”.

“I cattolici mediorientali non sono terroristi né rifugiati”, spiega il video. “Sono persone, individui con una profonda fede, una ricca eredità e molto coraggio”.

Martire moderno

Il primo episodio racconta la storia di padre Ragheed Ganni, pastore di 34 anni di Mosul ucciso da quattro proiettili davanti alla sua chiesa nel 2007.Nel video, un compagno del sacerdote mostra l'icona, attraversata da un foro di pallottola, che padre Ganni teneva in tasca quando è stato assassinato.“La situazione qui è peggiore che all'inferno”, aveva scritto il pastore in un'e-mail a un ex professore il giorno prima di morire.

In suo onore, a circa 40 chilometri da dove è morto, i cattolici hanno istituito il Centro Medico Padre Ragheed Ganni, dove i volontari lavorano distribuendo medicinali gratuiti a cristiani e musulmani.

La dottoressa Ranna Enwya, che lavora nella clinica, era molto amica di padre Ganni e racconta che il sacerdote era costantemente consapevole della possibilità di poter morire in qualunque momento, ma che nonostante questo lavorava duramente ed “era sempre allegro”.

“Ci ha insegnato come essere felici”, ha dichiarato.

La dottoressa ha ricordato che il presbitero diceva a Dio: “Anche se perdo la mia vita va bene, perché sarà con te e per te”.

“Mi ha insegnato che si vive solo una volta – ha proseguito il medico –. Per questo devo far sì che ogni momento della mia vita sia utile agli altri. E se lo è, mi farà felice”.

Enwya lavora insieme al dottor Basman Gilal Marcos, un cattolico che grazie al suo impiego nel Centro Medico è tornato a praticare la fede dopo averla abbandonata per circa 20 anni. Serve centinaia di persone che arrivano ogni venerdì e ogni domenica per le medicine.

Hank ha spiegato che l'impatto dei cattolici nella zona deriva dalle scuole, dagli ospedali e dai servizi che forniscono. “Ci riescono anche in mezzo alla guerra”, ha riconosciuto.

Padre Rayan Atto, un sacerdote diocesano che dirige il Centro Medico, racconta nel video come padre Ganni stia intercedendo per il progetto e abbia aiutato con “molti miracoli”.

Storie di grande impegno

Man mano che il documentario passa ad altri episodi, monsignor Jack Ishaak, decano del Babel College ad Arbil-Ankowa, spiega la ricca eredità dei 2.000 anni di storia della comunità e il ruolo attuale della religione nella vita quotidiana. Insieme ad altri presuli, analizza la liturgia caldea e le sue antiche radici nei riti ebraici di Gerusalemme.

Il terzo episodio rivela come il successo dell'educazione cattolica si traduca in “sicurezza” per il futuro dei cristiani “che vivono in mezzo a 25 milioni di musulmani”.

L'episodio finale presenta testimonianze dei cattolici che sono stati sequestrati o sono rimasti vittime del crimine e della persecuzione religiosa, e le loro spiegazioni sul “perché vogliono restare in quella che da duemila anni è la loro patria”.

Si esorta anche la comunità mondiale a fornire opportunità che “permettano ai cristiani di cambiare il proprio status di rifugiati”.

Per Hank questo progetto è “una risposta alla chiamata all'ecumenismo della Chiesa e all'appello del Santo Padre ad aiutare i cristiani del Medio Oriente”.“A causa della guerra e della violenza civile, che vengono costantemente mostrate nei notiziari, è necessario che la gente – soprattutto i cattolici – veda le immagini del nord dell'Iraq, le veda e ascolti le storie dei cattolici in azione”.

Padre Jean Abou Khalife, fondatore e direttore di TV Charity, un apostolato dei Missionari Libanesi Maroniti, si è assunto la responsabilità della produzione del video.

La Chiesa cattolica caldea, attraverso il Seminario Caldeo di San Pietro ad Arbil, si è incaricata del contenuto e della regia.

L'agenda

Diane ha spiegato che il video è stato “uno sforzo di cooperazione tra le Chiese”, che sperano “promuoverà l'agenda” del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente del 2010 “con mezzi non professionali”.

Ha raccontato a ZENIT che il messaggio del documentario, presentato dall'Arcivescovo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, “riflette i principali punti da dibattere nel Sinodo”.

L'Arcivescovo caldeo si è concentrato sulla necessità che la Chiesa locale passi dal concentrarsi sul passato a prepararsi per il futuro, dedicandosi a identificare la sua vocazione e la sua missione nel nord dell'Iraq oggi.

Non è qualcosa che gli iracheni possono fare da soli, osserva, ma sarà possibile in comunione con la Chiesa universale.

“Il nostro lavoro è risvegliare in Occidente la coscienza sulle dimensioni del problema, e poi generare il sostegno per costruire scuole, ospedali, cliniche e altro”, ha detto Hank.

“I cattolici iracheni formano una classe professionale. Hanno spirito d'iniziativa, capacità e il desiderio di riuscire, ma la guerra li ha sfollati e ha privati dell'impiego”.

“Devono esserci investimenti dall'esterno. La Chiesa userà il Sinodo per fare la sua parte, e noi dobbiamo fare la nostra, che è cooperare, donare e sacrificarci per aiutare la comunità cattolica a sopravvivere in Iraq”.

La prima parte del video è attualmente disponibile per essere visionata on-line. Quando verranno completati gli altri episodi, alla fine del mese, verrà prodotto un DVD per la distribuzione.

Per vedere on-line la prima parte di “An Open Door”: www.charityandjustice.org

Per richiedere un DVD: anopendoor@tvcharity.org

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
S_Daniele
00giovedì 19 novembre 2009 11:23
In Pakistan non tutti i cittadini sono uguali

La denuncia del Vescovo di Faisalabad alla Camera dei Deputati italiana


di Chiara Santomiero


ROMA, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).-

Non sempre per le comunità cristiane nel mondo è facile vivere la propria fede senza essere discriminate sul piano dei diritti civili se non della incolumità personale dei suoi appartenenti.

Se ne è parlato questo martedì nel corso della conferenza stampa svoltasi nella Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati italiana per iniziativa dell'associazione "Salva i monasteri" (www.salvaimonasteri.org), nata per sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della distruzione dei monasteri ortodossi serbi in Kosovo.

"Senza uguaglianza nei fatti, non c'è una vera libertà religiosa", ha affermato monsignor Joseph Coutts, Vescovo di Faisalabad (Pakistan).

Il Pakistan è ufficialmente una Repubblica islamica, con 170 milioni di abitanti; i cristiani delle varie confessioni sono in tutto 3 milioni e rappresentano il 2% della popolazione.

"La Costituzione - ha affermato monsignor Coutts - assicura la libertà di culto e i diritti civili, ma i non musulmani sono di fatto cittadini di seconda classe, con pesanti discriminazioni nell'accesso al lavoro".

Alcuni partiti politici premono da tempo perché lo Stato pakistano adotti la sharia, la legge islamica, e se l'impianto normativo è ancora quello introdotto all'epoca del colonialismo britannico, gradualmente sono state approvate alcune leggi di contenuto religioso.

Secondo il Vescovo Coutts, "la legge 295, in particolare, può diventare molto pericolosa nelle sue applicazioni". La legge consta di tre paragrafi; il primo proibisce di pronunciarsi contro la religione di un altro gruppo, i suoi ministri e i luoghi di culto; il secondo commina una condanna a vita per chi dissacra il Corano e il terzo prevede la pena di morte per chiunque insulti il profeta Maometto in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente.

Questo terzo paragrafo si presta a qualsiasi tipo di abuso perché è facile rivolgerlo a danno di qualcuno. Avviene, inoltre, che "una volta formulata l'accusa, la gente si scagli contro il malcapitato prima che venga stabilito se ha o meno un fondamento reale".

"Fino ad oggi - ha raccontato Coutts - non ci sono state condanne sulla base della legge 295, ma si sono verificate delle uccisioni in seguito alle accuse e almeno 900 persone sono in carcere per blasfemia, di cui 500 sono musulmani".

Intanto il clima è cambiato e cresce l'intolleranza: "due mesi fa, la folla ha attaccato un villaggio cristiano e sono morte otto persone solo perché qualcuno aveva accusato la gente di quel posto di aver dissacrato il Corano. Questa è la quinta volta che accadono episodi simili, il primo si è verificato nel 1983".Va detto che "il pericolo viene dai gruppi fondamentalisti e non si può dire che tutti i musulmani siano pronti ad attaccare i cristiani". A Faisalabad funziona un comitato di imam e responsabili delle comunità cristiane che si riuniscono per affrontare i problemi che si presentano. A Rawalpindi c'è un centro di documentazione interreligioso, ma "abbiamo constatato che più che di dialogo teologico - per forza di cose limitato - abbiamo bisogno di dialogare riguardo ai temi sociali sui quali si può lavorare insieme".

Proprio l'intensa attività sociale nel campo dell'handicap e della tossicodipendenza, insieme alla gestione di diverse scuole, rappresenta il punto di forza della comunità cristiana. "Sebbene minoritaria - ha commentato il Vescovo di Faisalabad -, la nostra presenza non è tuttavia nascosta".

"Abbiamo nostri rappresentanti in Parlamento, alcune pubblicazioni e una Commissione episcopale per la giustizia e la pace che ha promosso delle iniziative da cui è nato un movimento per la modifica della legge sulla blasfemia", ha concluso. "Con l'aiuto dei musulmani che si rendono conto delle gravi implicazioni per la libertà di questa legge contiamo di poterla modificare".

In Iraq c'è una persecuzione religiosa di sistema, non di Stato

Dichiara l'Arcivescovo Jules Mikahel Al-Jamil


di Jesús Colina


ROMA, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).-

In Iraq la persecuzione religiosa non è "di Stato" ma "di sistema", spiega un rappresentante delle comunità cattoliche del Paese a Roma.

L'Arcivescovo Jules Mikhael Al-Jamil, procuratore del Patriarcato Cattolico Siriaco a Roma, ha presentato la sua analisi questo martedì intervenendo a un incontro con la stampa organizzato nella sala più solenne della Camera dei Deputati.

Il presule, 71 anni, ha denunciato che nel sistema sociale del Paese i cristiani, essendo una piccola minoranza, non hanno sostegni per difendersi, diventando facili prede di criminali comuni o di gruppi come Al Quaeda, la rete terroristica di Osama bin Laden.

Per questo motivo, spiega, si può dire che si tratta di una "persecuzione religiosa" provocata da un sistema sociale che si ispira a una visione del Corano secondo la quale l'islam e i suoi seguaci devono dominare e non essere dominati, concependo i credenti di altre religioni come cittadini con meno diritti.L'Arcivescovo, esperto di cultura e letteratura araba, ricorda che secondo il libro riconosciuto come sacro dai fedeli musulmani l'islam è una religione al di sopra delle altre.

Nel passato dell'Iraq (e alcuni applicano ancora questa visione), spiega, "i cristiani che si trovavano sotto un regime o una dottrina islamici erano liberi di credere nell'islam, o di abbandonare la loro terra, o di offrire un'imposta per vivere in pace".

In passato, riconosce, in Iraq i cristiani erano una minoranza piuttosto influente, che offrì un contributo decisivo alla cultura del Paese, come ad esempio nella creazione e nello sviluppo della prima Università di Baghdad, il che ha permesso loro di "godere di rispetto".

"Ciò non significa tuttavia che godano degli stessi diritti", secondo certe interpretazioni del Corano. In un regime islamico, "un cristiano non può dominare su un musulmano"; "un generale dell'Esercito non può essere cristiano".

Ora che dopo la guerra i cristiani hanno perso peso politico e influenza sociale e molti hanno abbandonato la propria terra, subiscono la "persecuzione di un sistema" sociale dominante, perché sono indifesi.

In una conversazione con ZENIT, l'Arcivescovo non si è detto favorevole alla proposta di rafforzare i diritti dei cristiani creano un enclave cristiano a Ninive (dove c'è una maggioranza cristiana), perché i cristiani fanno parte del tessuto sociale di tutto il Paese.

Non sostiene neanche l'emigrazione all'estero, perché come afferma "la Chiesa deve essere presenza di Cristo nel Paese. Se quando la situazione è difficile noi cristiani fuggiamo, allora non diamo quella testimonianza che è invece necessaria. E se le generazioni si sradicano, non torneranno mai".

Secondo il presule, in un Paese democratico come dice e vuole essere l'Iraq i cristiani devono godere degli stessi diritti degli altri cittadini.

L'incontro nella Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati è stato organizzato su proposta dell'associazione "Salva i monasteri" (www.salvaimonasteri.org) per sensibilizzare sulla situazione delle chiese e dei monasteri che vengono distrutti in Iraq, Pakistan e Kosovo.
S_Daniele
00giovedì 19 novembre 2009 11:28
India: Giornata nazionale in ricordo dei cristiani morti in Orissa

Si propone di celebrarla l'ultima domenica di agosto

BHUBANESWAR, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
La Chiesa in India vuole istituire una “Giornata nazionale dei martiri dell'India”, che si dovrebbe celebrare l'ultima domenica di agosto, anniversario del massacro nell'Orissa.

La Commissione per l'Ecumenismo della Conferenza Episcopale Indiana ha lanciato la proposta al termine di un incontro a Jhansi con i segretari regionali, come ha reso noto l'agenzia Fides.

La Giornata ricorderebbe tutti coloro – sacerdoti, religiosi e laici – che “hanno sacrificato la vita a causa della loro fede in Cristo” e sono i “moderni martiri” dell’India di oggi.

La data vuole richiamare i cristiani morti a causa della violenza che ha sconvolto lo Stato indiano dell'Orissa, iniziata nell'agosto 2008.

La proposta è stata accettata all'unanimità da tutte le confessioni cristiane presenti nel Paese. Se riceverà l'approvazione definitiva, si celebrerà a livello ecumenico, ottenendo così più forza e visibilità.

La Commissione ha ricordato che “i cristiani hanno un martirologio comune, che include tutti i martiri del Novecento e del secolo in corso”.

Il Vescovo di Jalandhar e presidente della Commissione per l'Ecumenismo, monsignor Anil Cuto, ha sottolineato in un comunicato che il martirio è la più alta forma d'amore.

“Stimo facendo uno sforzo per ricordare quanti sono morti nel nome del Signore Gesù Cristo – ha spiegato –. E’ una memoria che vogliamo confermare e continuare a beneficio delle nuove generazioni”.

“Celebrarla a livello ecumenico significa rafforzare l’unità fra le Chiese cristiane in India. Istituirla sarebbe una decisione storica che speriamo si avveri al più presto”, ha aggiunto.

Nel frattempo, i delegati del Movimento Giovanile Cattolico Indiano, riuniti in assemblea nei giorni scorsi a Mangalore, hanno rivolto un appello perché si ponga fine alla violenza.

Più di 500 giovani del Movimento hanno partecipato alla manifestazione per la pace che si è svolta nella città al termine dell'assemblea.

La comunità cristiana denuncia la lentezza della giustizia: finora solo 27 persone, delle oltre 600 arrestate, sono state condannate per i fatti avvenuti nell'Orissa.

Il fatto che molti accusati siano stati messi in libertà, avverte, mette in pericolo quanti sono stati testimoni delle violenze. 
S_Daniele
00sabato 21 novembre 2009 15:16
India: salgono a 56 gli attacchi contro una chiesa cristiana nel Karnataka


ROMA, venerdì, 20 novembre 2009 (ZENIT.org).-

Gli attacchi contro le chiese cristiane nello Stato indiano del Karnataka sembrano purtroppo diventati un appuntamento ricorrente. La notte del 17 novembre, infatti, è stato perpetrato il 56° assalto contro un tempio dall'inizio dell'anno. L'obiettivo è stata la Beersheba Church of God di Humanabad, nel distretto di Bidar.

Secondo quanto ha reso noto l'agenzia AsiaNews, alle tre di notte un gruppo di sconosciuti ha fatto irruzione nella chiesa scardinando le porte di ingresso. Finestre e arredi sono stati distrutti, mentre la croce posta sulla sommità dell'edificio è stata divelta.

La comunità cristiana che fa riferimento alla Beersheba Church of God è composta da un’ottantina di fedeli, guidati dal pastore Devadas Chandrapa, di 32 anni. I fedeli hanno avvisato dell'accaduto la polizia di Humanabad e i media locali. Il commissario N. Sathish Kumar ha assicurato indagini rapide, promettendo la cattura dei responsabili entro tre giorni e garantendo che verrà prestata una maggiore attenzione alla sicurezza dei cristiani locali.

Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), ha confessato ad AsiaNews che “l’ondata di incidenti contro i cristiani sta aumentando nel Karnataka e in altri Stati governati dal Bharatiya Janata Party (Bjp), riflettendo una crescente intolleranza religiosa”.

“Il Governo sta fallendo nel suo dovere di proteggere le minoranze cristiane e tenere a bada i radicali indù”, ha denunciato. A suo avviso, “le assoluzioni a catena” del politico del Bjp Manoj Pradhan, tra i principali responsabili delle violenze passate nel distretto del Kandhamal, “hanno fatto capire ai fondamentalisti che possono farla franca davanti alla giustizia”.

L'attacco di Humanabad segue di pochissimi giorni il 55° episodio di violenza contro un tempio cristiano nel Karnataka. Il 12 novembre, infatti, un gruppo di radicali indù del Vishva Hindu Parishad (Vhp) ha interrotto la costruzione di una chiesa a Bhadravati, nel distretto di Shimoga.

Gli estremisti hanno denunciato alle autorità il pastore della comunità locale, accusandolo di conversioni forzate. La Shimoga Development Authority ha indagato il religioso chiedendogli di rispondere delle accuse mosse contro di lui.
S_Daniele
00venerdì 27 novembre 2009 06:44
Distrutta la chiesa di Sant'Efrem e danneggiata la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina

Gli attentati a Mossul colpiscono tutti i cristiani


Baghdad, 26. "Ci dispiace, dispiace a tutti i cristiani dell'Iraq, dispiace a tutto il mondo l'attentato che ha raso al suolo la chiesa di Sant'Efrem a Mossul e colpito la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina". Con queste parole fonti cristiane in Iraq hanno comunicato nel primo pomeriggio al nostro giornale lo sconcerto e il turbamento per gli attacchi dinamitardi compiuti questa mattina nella città. Nel darne notizia, l'agenzia AsiaNews ha aggiunto di non avere notizie di morti o feriti.
Un commando di una decina di persone - riferisce l'agenzia - ha fatto irruzione nella chiesa caldea di Sant'Efrem, situata nel quartiere di al-Jadida, nella parte nuova della città. Gli attentatori hanno fatto uscire le persone che si trovavano all'interno del luogo di culto. Poi hanno posizionato gli ordigni e sono fuggiti. La chiesa è andata completamente distrutta. Successivamente il commando si è diretto alla Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina.
Ricorda la France Presse che sin dal 2008 una campagna sistematica di violenze ha provocato più di quaranta morti tra i cristiani a Mossul, determinando la fuga di più di dodicimila di essi. Inoltre, in un rapporto pubblicato il 10 novembre, l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch sottolinea che le minoranze, in particolare quella cristiana, che vivono nel nord dell'Iraq sono le vittime collaterali del conflitto fra arabi e curdi per il controllo del territorio.


(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2009)
S_Daniele
00sabato 5 dicembre 2009 07:16

Religiose cancellano le celebrazioni per le minacce dei talebani in Pakistan


Roma, 4. Le minacce islamiche hanno costretto la Congregazione delle Figlie della Croce, che gestisce alcune scuole in Pakistan, a cancellare le celebrazioni del suo giubileo. I festeggiamenti erano previsti per commemorare il 175° anniversario della fondazione delle Figlie della Croce e per l'anno giubilare della Congregazione (2008-2009), ma sono state sospese a causa delle minacce dei talebani e del clima di insicurezza nel Paese. Le religiose, la cui vocazione è l'aiuto e l'educazione dei più svantaggiati, sono presenti nel Paese dalla seconda metà del XIX secolo. Attualmente, dirigono undici conventi, sei scuole, tre residenze per bambine e la St Joseph's convent school, fondata a Karachi nel 1862.
"All'inizio di novembre - ha spiegato all'agenzia Zenit suor Parveen Dildar Jacob - c'è stato un allerta bomba in una delle nostre scuole. Per l'insicurezza crescente nel Paese abbiamo cancellato le riunioni in tutte le città". L'arcivescovo di Lahore, monsignor Lawrence John Saldanha ha sottolineato l'importanza del nome della Congregazione. "La Croce - ha detto - ha un significato speciale in Pakistan, quello delle sofferenze e delle difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno in questo clima di terrore che regna nel Paese".
Di recente, alcune delle scuole femminili gestite dalle religiose hanno ricevuto lettere con minacce di attentati esplosivi nel caso in cui non avessero chiuso. In Pakistan, i talebani ostacolano le scuole per bambine perché si oppongono all'istruzione delle donne. Vari istituti sono stati distrutti o resi inutilizzabili dopo attentati con bombe, soprattutto nel nord-est del Paese, epicentro dei radicali e dei conflitti tra forze governative e talebani. Secondo l'Unicef, gli attentati hanno distrutto duecentotrenta scuole e ne hanno danneggiate più di quattrocento. Il 17 novembre scorso, i talebani hanno colpito una scuola femminile nel distretto di Khyber, in quello che è stato il terzo attacco del mese nella regione.


(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2009)
S_Daniele
00venerdì 11 dicembre 2009 07:59

Attacco a una chiesa cattolica in Sri Lanka


Jaela, 9. "Sento ancora risuonare nelle mie orecchie le loro urla che dicevano "fallo a pezzi, uccidilo"". Padre Jude Lakshman, parroco di Nostra Signora della Rosa Mistica a Crooswatta, in Sri Lanka racconta l'attacco alla sua chiesa avvenuto nella mattina del 6 dicembre. Oltre mille persone armate di bastoni, spade e pietre hanno preso d'assalto la chiesa. Il religioso aveva appena finito di parlare ai fedeli alla messa delle 7. Hanno demolito l'altare, le statue e le sedie; hanno distrutto tutto ciò che c'era. La folla ha dato fuoco anche ai veicoli parcheggiati fuori dalla chiesa inseguendo e ferendo alcuni dei fedeli. L'assalto del 6 dicembre è l'ennesimo fatto di violenza contro la chiesa del villaggio di Crooswatta, presso Kotugoda. "È evidente - dice padre Lakshman - che l'attacco era ben programmato e che la folla aspettava la nostra uscita dalla chiesa dopo la messa".
Per garantire la sicurezza dei fedeli (sono 293 le famiglie cattoliche della parrocchia) e prevenire nuovi assalti, alcuni soldati del vicino campo dell'aeronautica militare di Ekala presidiano la zona. La polizia ha arrestato undici sospetti indagando tra i gruppi buddisti estremisti che già in passato hanno colpito la chiesa.
Nostra Signora della Rosa Mistica è da tempo causa di attrito tra le comunità cattoliche e buddiste di Crooswatta. Negli ultimi quattro anni estremisti hanno impedito il completamento della costruzione della chiesa che sorge nell'area limitrofa ad un monastero buddista. Già nel 2006 e nel 2007 la chiesa era stata presa di mira da estremisti buddisti portando alla sospensione dei lavori di completamento dell'edificio. Il 28 luglio 2008 la Corte suprema ha dato il via libera per la conclusione della costruzione. "Abbiamo anche ricevuto - sottolinea il parroco - il permesso per celebrare messa, svolgere il catechismo e altre attività della comunità". Dopo l'ultimo attacco, le autorità hanno riconfermato che nulla
cambia della decisione della Corte sulla chiesa di Crooswatta.

(©L'Osservatore Romano - 11 dicembre 2009)

S_Daniele
00domenica 13 dicembre 2009 11:33
Sri Lanka: estremisti buddisti attaccano una chiesa cattolica

Un giovane fedele ha salvato la vita al parroco


COLOMBO, giovedì, 10 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Un gruppo di oltre un centinaio di individui armati di pali e spade ha assaltato questa domenica la chiesa cattolica di Nostra Signora della Rosa Mistica a Crooswatta, nella parrocchia di Kotugoda, a Ja-Ela, pochi chilometri a nord di Colombo.

L'attacco si è verificato al termine della Messa delle sette del mattino, ha reso noto questo martedì “Eglises d'Asie”, l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi (MEP).

Il gruppo, costituito da estremisti buddisti, ha saccheggiato l'edificio e rotto statue, l'altare e tutto il mobilio liturgico davanti al responsabile della parrocchia, padre Jude Denzil Lakshman, che stava cercando di portare i fedeli fuori dal tempio.

Il sacerdote è stato attaccato con una spada e si è salvato grazie all'intervento di un giovane della parrocchia. Vari fedeli sono stati feriti e hanno dovuto essere ricoverati in ospedale.

Gli assalitori hanno anche dato fuoco alla macchina del sacerdote e a vari altri veicoli, per la maggior parte moto che appartenevano a famiglie povere.Dopo essersi resi conto dell'attacco alla loro chiesa, circa 500 cattolici hanno organizzato un sit in nelle strade in segno di protesta, chiedendo che la polizia arrestasse i responsabili dell'aggressione.

Nella località convivono, con qualche tensione, circa 300 famiglie cattoliche e 350 famiglie buddiste.

La parrocchia cattolica non ha potuto completare la ricostruzione della chiesa, iniziata nel 2007, a causa della violenza degli estremisti buddisti, fomentati dai responsabili di un monastero buddista vicino.

Gli scontri tra le due comunità sono aumentati negli ultimi anni. Nel 2006 è stata distrutta una statua della Madonna, e nel 2007 è accaduto lo stesso a tutte le statue della chiesa.

Il 6 ottobre 2007, nonostante una decisione iniziale della Giustizia a favore dei cristiani, la polizia di Ja-Ela ha sospeso la celebrazione dell'Eucaristia in pieno svolgimento perché “disturbava l'ordine pubblico”.

Alcuni giorni prima, il responsabile del vicino monastero buddista aveva minacciato la comunità cattolica di “uccidere una quindicina di persone” se la costruzione della chiesa non si fosse fermata immediatamente.

Considerava la presenza di un edificio cristiano “un insulto” a tutte le famiglie della regione.

Nel 2008 il Tribunale supremo, su richiesta della comunità cattolica di Crooswatta, ha annullato la decisione della polizia locale che proibiva i lavori di ampliamento della chiesa e l'aumento delle attività della parrocchia, incluse la creazione di classi di catechismo e la celebrazione di offici supplementari.Il 28 luglio 2008, il giudice ha ribadito il diritto costituzionale di ogni cittadino alla libertà di religione e di culto e ha ordinato la ripresa dei lavori e delle attività liturgiche e parrocchiali.

Dalla notizia dell'attacco di domenica scorsa, la polizia e le forze armate si sono recate sul luogo per prevenire nuovi incidenti. Una base dell'aviazione situata in prossimità della chiesa di Crooswatta ha fornito alcune unità per garantire la sicurezza nella zona.

Si sono recati sul posto anche alti responsabili del Governo, tra cui il Ministro dell'Aviazione.

La comunità cattolica e i suoi rappresentanti, tra cui il vicario episcopale della regione nord dell'Arcidiocesi di Colombo, padre Cyril Gamini Fernando, hanno reso noto che la polizia locale è rimasta impassibile in tutti gli incidenti che si sono verificati intorno alla chiesa, arrivando anche a liberare le persone che erano state riconosciute dai testimoni come gli assalitori, senza fornire in alcun momento la protezione alla comunità cristiana sollecitata dal Tribunale supremo nel 2008.

Da parte sua l'Arcivescovo di Colombo, monsignor Malcom Ranjith Patabendige Don, ha chiesto che le misure di sicurezza prese dalle forze dell'ordine interessino non solo la chiesa, ma anche e soprattutto i fedeli.

Oltre alla chiesa, infatti, le case dei cristiani della località sono attaccate e saccheggiate spesso.

Il parroco di Nostra Signora della Rosa Mistica ha spiegato che questo nuovo attacco alla sua chiesa è il terzo in quattro anni.

“E' dovuto alla paura condivisa dalla maggior parte dei buddisti di fronte al crescente numero di cristiani nella regione”, ha affermato.

Il sacerdote ha anche negato con forza le informazioni diffuse dai mezzi di comunicazione locali, secondo le quali sarebbe stato l'attacco da parte dei cattolici a un tempio buddista ad aver portato i buddisti ad attaccare la comunità come rappresaglia.  
S_Daniele
00domenica 13 dicembre 2009 11:49
Non si placa la violenza in Iraq: due cristiani assassinati a Mosul


Il giorno dopo il massacro di Baghdad


ROMA, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).-
 
La violenza non cessa in Iraq ed è costata la vita a due cristiani di Mosul il giorno dopo il grave attentato di Baghdad che ha provocato 127 morti.

“Non si ferma la violenza anticristiana in Iraq. Nella serata di ieri la polizia ha rinvenuto i cadaveri di due fratelli cristiani a Mosul”, ha reso noto questo giovedì la “Radio Vaticana”.

Sono stati assassinati con un colpo d'arma da fuoco alla testa. Quella che sembra un'esecuzione può essere dovuta a “estremisti sunniti”, che hanno già attaccato i cristiani in passato, precisa la fonte.

I cristiani assassinati erano originari di Batnaya, un villaggio cristiano situato a 20 chilometri a nord di Mosul. Erano nella zona industriale della città per riparare il loro camion cisterna.

L'8 dicembre a Baghdad 127 persone sono morte in un attentato che ha provocato anche circa 500 feriti. L'attentato è stato rivendicato da Al Qaeda, che ha chiesto l'applicazione della legge islamica nel Paese.
S_Daniele
00mercoledì 16 dicembre 2009 07:42

Attacco ai cristiani in Iraq

Un morto e quaranta feriti


Mossul, 15. I cristiani iracheni tornano nel mirino degli estremisti:  una persona è stata uccisa questa mattina e almeno altre 40 sono rimaste ferite in seguito allo scoppio di due autobomba a Mossul, nel nord dell'Iraq. Secondo fonti della polizia locale e una fonte ospedaliera, un'esplosione ha investito la chiesa siriaca-cattolica dell'Annunciazione a Chourta, un quartiere nord della città. La deflagrazione ha causato lievi danni all'edificio. Altre fonti, citate dall'agenzia France Presse, riferiscono di un altro attentato che ha colpito la chiesa siriaca-ortodossa della Vergine Purissima e la vicina scuola cristiana. Qui è rimasto ucciso un uomo e quaranta persone sono rimaste ferite, fra le quali cinque bambini. Secondo le testimonianze locali, l'autobomba sarebbe stata parcheggiata fra quelle in sosta davanti alla scuola, in attesa dell'uscita degli studenti.
Il 26 novembre scorso, sempre a Mossul, 405 chilometri a nord di Baghdad, due attacchi avevano colpito un convento domenicano e una chiesa caldea, senza fare vittime, mentre risale a un anno fa la sanguinosa ondata di attentati anti-cristiani a Baghdad e Mossul che fece più di 40 morti.


(©L'Osservatore Romano - 16 dicembre 2009)
S_Daniele
00mercoledì 23 dicembre 2009 18:35

Due morti e 5 feriti in un attentato a una chiesa di Mossul


Mossul, 23. Sarebbe di almeno due morti e cinque feriti il bilancio di un nuovo attentato a una chiesa di Mossul, nel nord dell'Iraq. Secondo le prime notizie, un ordigno è esploso nei pressi della chiesa siriaco-ortodossa di Saint Thomas, nel quartiere di As-Saa, provocando gravi danni. Un testimone - riporta l'agenzia France Press - ha riferito che a esplodere è stato un carretto che in apparenza trasportava farina,  parcheggiato  nei  pressi  dell'edificio.


(©L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2009)
S_Daniele
00giovedì 31 dicembre 2009 06:57

Uccisi nel 2009 37 operatori pastorali

Il numero più alto negli ultimi 10 anni


Roma, 30. Trentasette operatori pastorali uccisi nel 2009, quasi il doppio rispetto al precedente anno:  è il numero più alto registrato negli ultimi dieci anni. Si tratta di trenta sacerdoti, due religiose, due seminaristi e tre volontari laici. I dati sono resi noti dall'agenzia Fides che, come consuetudine, pubblica il luttuoso elenco alla fine di ogni anno. Fides pubblica le loro note biografiche, lo stato religioso, le informazioni sui luoghi e sulle circostanze della morte, delineando anche una panoramica sulla situazione socio-politica e religiosa per continenti.


(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2009)
S_Daniele
00venerdì 1 gennaio 2010 10:46
 


In America Latina e in Africa il più alto numero di operatori pastorali uccisi nel 2009

La vita donata per annunciare il Vangelo


Il primo è un missionario italiano in Kenya - padre Giuseppe Bertaina, ucciso il 16 gennaio a Nairobi - l'ultimo un prete colombiano - don Emiro Jamarillo Cardenas, assassinato appena il 20 dicembre scorso a meno di cento chilometri da Medellín. Nel mezzo, cronologicamente parlando, una schiera di operatori pastorali, soprattutto preti, ma ovviamente non solo, che in tutto il mondo nel corso del 2009 hanno versato il proprio sangue per la diffusione del Vangelo. Una lista lunga e impressionante di trentasette vittime. Quasi il doppio - come anticipato nell'edizione di ieri - rispetto ai dodici mesi precedenti, quando i morti furono venti. Addirittura la cifra più alta dell'ultimo decennio.

A diffondere i dati, come ogni anno, l'agenzia Fides, che nel presentare il rapporto ricorda le parole del recente messaggio natalizio urbi et orbi di Benedetto XVI:  "La Chiesa annuncia ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi e l'indifferenza, talvolta ostile, che - anzi - le consentono di condividere la sorte del suo Maestro e Signore". L'agenzia di Propaganda Fide, tuttavia, di proposito non usa per queste vittime il termine "martiri", se non nel suo significato etimologico di "testimone", per "non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro", e anche per la "scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riescono a raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte".

Trentasette, dunque, le vittime nel corso dell'ultimo anno. Di questi trenta sacerdoti, due religiose, altrettanti seminaristi e tre volontari laici. Il conteggio non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento. A questo elenco - ricordano gli estensori del rapporto - deve comunque essere sempre aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano, anche con la vita, la loro fede in Cristo. Si tratta di quella "nube di militi ignoti della grande causa di Dio" - secondo l'espressione di Papa Giovanni Paolo II - a cui la Chiesa guarda con gratitudine pur senza conoscerne i volti e senza i quali la stessa comunità cristiana e il mondo intero risulterebbero enormemente più poveri.

Il continente più insanguinato non è comunque quello asiatico, segnato dai vari fondamentalismi e talvolta dalla negazione esplicita della libertà religiosa, bensì la cristiana America - soprattutto l'America Latina - dove hanno pagato con la vita ventitré operatori pastorali (diciotto sacerdoti, due seminaristi, una suora e due laici). A seguire, l'Africa, dove hanno versato il proprio sangue nove sacerdoti, un religioso e un laico. E l'Asia, con due sacerdoti uccisi. Infine, dall'Europa, con un prete assassinato.

Dalle poche note biografiche di questi eroici "testimoni" cristiani emerge la comune offerta generosa alla grande causa del Vangelo pur trovandosi ognuno in situazioni e contesti profondamente diversi:  povertà estrema, sofferenza, tensione, violenza generalizzata. Esistenze spese per offrire la speranza di un domani migliore e cercare di strappare tante vite, soprattutto giovani, al degrado e alla spirale della malvivenza, accogliendo quanti la società rifiuta e mette ai margini.

Alcuni sono stati vittime proprio di quella violenza che stavano combattendo o della disponibilità ad andare in soccorso degli altri mettendo in secondo piano la propria sicurezza. Molti sono stati uccisi in tentativi di rapina o di sequestro, sorpresi nelle loro abitazioni da banditi che il più delle volte si sono dovuti accontentare solo di una vecchia automobile o di un telefono cellulare. Altri sono stati eliminati solo perché nel nome di Cristo opponevano l'amore all'odio, la speranza alla disperazione, il dialogo alla contrapposizione violenta, il diritto al sopruso. Tra le vittime c'è, dunque, il giovane laico della Comunità di Sant'Egidio, il ventunenne William Quijiano, freddato in El Salvador dai colpi d'arma da fuoco di una delle tante gang di giovani sbandati. E troviamo l'anziano missionario, il settantottenne austriaco padre Ernest Plöchl, vittima della violenza in Sud Africa.

A preoccupare maggiormente, come accennato, è la situazione in America Latina, e in particolare in Brasile dove sono stati uccisi ben sei sacerdoti. Una realtà talmente allarmante che - ricorda Fides - l'episcopato brasiliano, al termine della sua ultima riunione annuale, ha pubblicato una preoccupata dichiarazione sulla crescente ondata di violenza contro i sacerdoti:  "La Chiesa cattolica in Brasile si sente profondamente colpita e indignata di fronte alla violenza contro i suoi figli la cui vita è stata stroncata. Riaffermiamo che nulla giustifica la violenza!". Tra i sacerdoti uccisi in Brasile figurano lo spagnolo Ramiro Ludeña, noto come "padre Ramiro" - che lavorava da trentaquattro anni in un'associazione per il sostegno ai bambini e ai ragazzi di strada - che è stato ucciso proprio da un quindicenne per rapina. E il missionario fidei donum italiano don Ruggero Ruvoletto, ucciso nella sua parrocchia di Manaus da cui erano stati rubati una cinquantina di real (circa diciannove euro). Altro Paese sudamericano particolarmente a rischio è la Colombia, dove hanno perso la vita sei preti e un laico. Tutti i sacerdoti sono rimasti vittime di rapine o furti finiti tragicamente. Mentre il laico - Jorge Humberto Echeverri Garro - è stato ucciso da un gruppo di guerriglieri nel corso d'una riunione in cui si discutevano alcuni progetti di pastorale sociale.

Quanto all'Africa le situazioni più allarmanti si registrano in Sud Africa - quattro sacerdoti uccisi in seguito a rapine - e nella Repubblica Democratica del Congo, dove la Chiesa cattolica e la popolazione locale sono da lungo tempo oggetto di violenze, che nel 2009 sono costate la vita a due sacerdoti, una religiosa e un operatore laico della Caritas. Due i sacerdoti uccisi in Asia:  don James Mukalel, probabile vittima della violenza anticristiana nello Stato indiano del Karnataka; don Cecilio Lucero, impegnato nelle Filippine per la tutela dei diritti umani,  ucciso  da  un  gruppo  di uomini  armati  nella  provincia  del Nord Samar, a sud della capitale Manila.

(fabrizio contessa)


(©L'Osservatore Romano - 1 gennaio 2010)
S_Daniele
00venerdì 1 gennaio 2010 10:47

Ancora attacchi contro i cristiani in Iraq


Mosul, 31. Continuano gli attacchi contro i cristiani di Mosul per spingerli ad allontanarsi dall'Iraq. Ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - un diacono è stato gravemente ferito con armi da fuoco da un gruppo di sconosciuti. L'uomo era appena entrato nel suo negozio nel quartiere di al-Jadida. AsiaNews ha diffuso anche la notizia del rapimento, sempre a Mosul, di una studentessa universitaria da parte di un gruppo islamico. Dal 2003, anno della caduta del regime di Saddam Hussein, sono centinaia i cristiani uccisi in Iraq. Nelle ultime settimane gli attacchi sono ripresi con preoccupante frequenza, con attentati contro persone e luoghi di culto.


(©L'Osservatore Romano - 1 gennaio 2010)
S_Daniele
00sabato 9 gennaio 2010 06:50
Attaccate quattro chiese cristiane in Malaysia

Tre templi protestanti e uno cattolico

ROMA, venerdì, 8 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Anche la Malaysia non è esente dagli attacchi ai templi cristiani. Questo giovedì notte, infatti, i fondamentalisti musulmani hanno attaccato tre chiese protestanti e una cattolica.

Padre Lawrence Andrew, direttore del settimanale cattolico Herald, ha riferito all'agenzia AsiaNews che “non vi è un pericolo immediato, ma la situazione è comunque preoccupante”.

Gli attacchi arrivano dopo che il 31 dicembre la Corte Suprema di Kuala Lumpur ha annullato l'ordinanza del Ministero dell'Interno che impediva alla Chiesa cattolica di pubblicare la parola “Allah” per riferirsi al Dio cristiano sull'Herald (cfr. ZENIT, 6 gennaio 2010).

Il sacerdote ha osservato che è in atto “una campagna di propaganda nazionale” della maggioranza musulmana, secondo cui “il nome Allah può essere usato solo per riferirsi al Dio dell’islam”.

La chiesa cattolica danneggiata nell'attentato è quella dell’Assunzione a Petaling Jaya. Gli assalitori hanno lanciato una bomba Molotov all’interno dell’edificio, senza provocare danni ingenti.

Padre Lawrence ha riferito che oltre ai luoghi di culto sono state attaccate alcune “auto di proprietà dei cattolici: carrozzerie danneggiate e vetri infranti, ma non vi sono feriti”.

In seguito alla decisione della Corte Suprema, nelle vie di Kuala Lumpur si è svolta questo venerdì una manifestazione di protesta promossa da 58 organizzazioni non governative (ONG) musulmane, alla quale hanno partecipato circa 300 persone.

“La protesta non ha fatto registrare incidenti – ha detto padre Lawrence ad AsiaNews – perché la polizia ha fatto un buon lavoro. Le forze di sicurezza sono impegnate a mantenere la calma, per prevenire un’escalation delle violenze”.

“Siamo preoccupati ma la situazione non è ancora di pericolo – ha aggiunto –. Abbiamo avviato una stretta collaborazione con il Governo, per contribuire a riportare la tranquillità del Paese”.

Per evitare ulteriori violenze, ha confessato, “non useremo la parola Allah nelle edizioni del nostro giornale finché la magistratura non avrà emesso la sentenza definitiva”.

“Oggi la tv ha trasmesso in tutto il Paese la preghiera del venerdì. Durante il sermone si è ripetuto più volte che Allah è il Dio dei musulmani e essi soli lo possono utilizzare – ha concluso –. È un tentativo di mettere sotto pressione i giudici, perché cancellino la sentenza della Corte suprema. Con un clima di questo genere, non sarà possibile svolgere un processo equo e giusto”.

S_Daniele
00sabato 9 gennaio 2010 06:51
Vietnam: nuova aggressione della polizia in una parrocchia di Hanoi

Feriti dei fedeli che tentavano di evitare la distruzione di una croce

HANOI,venerdì, 8 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Forze di polizia hanno fatto irruzione nella parrocchia di Dong Chiem (Vietnam) e hanno abbattuto una croce situata su una collina che si eleva nel territorio della parrocchia, ha reso noto la pagina web dell'Arcidiocesi di Hanoi questo mercoledì mattina.

Alcuni parrocchiani presenti sulla collina al momento della distruzione della croce hanno informato telefonicamente i due sacerdoti responsabili della parrocchia.

La parrocchia appartiene all'Arcidiocesi di Hanoi ed è situata nel distretto di My Duc, che dal punto di vista amministrativo fa parte della capitale, riferisce l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi (MEP), Eglises d'Asie.

Il parroco ha spiegato che alle 7.30 del mattino è stato avvertito del fatto che molti poliziotti avevano circondato il villaggio e si disponevano a distruggere la croce elevata sulla collina.

Avvertiti di questo pericolo, i fedeli si sono recati sul luogo per cercare di difendere la croce. Hanno affrontato i poliziotti, che li hanno colpiti. Due di loro sono stati feriti gravemente.

L'operazione di polizia per distruggere la croce è iniziata verso le tre del mattino. Circa 500 agenti di pubblica sicurezza muniti di gas lacrimogeni, manganelli elettrici e fucili e accompagnati da cani poliziotto erano ancora sul luogo al momento della conversazione telefonica.

Tutti gli ingressi al villaggio sono stati bloccati e nessuno poteva entrare o uscire. Gli stessi poliziotti hanno trasferito i due feriti verso una destinazione sconosciuta, senza permettere che i loro familiari li accompagnassero.

S_Daniele
00mercoledì 17 febbraio 2010 11:07

Assassinati tre cristiani a Mossul


Baghdad, 16. Due commercianti cristiani sono stati uccisi ieri a colpi d'arma da fuoco a Mossul, nell'Iraq settentrionale. Ne dà notizia l'agenzia Ansa. Mounir Fatouki è stato ucciso nei pressi del suo negozio, situato nel quartiere Sahaba, da sconosciuti che hanno aperto il fuoco da un'auto in corsa. Rayan Salem Elias è stato ucciso nella zona est di Mossul. Oggi si è appreso che un altro cristiano, uno studente iracheno, è stato ucciso, sempre a Mossul, da un gruppo di uomini armati. In un rapporto pubblicato lo scorso novembre, ricorda l'Ansa, Human Rights Watch sostiene che nel nord dell'Iraq le minoranze - e in particolare quella cristiana - sono spesso "vittime collaterali" nel conflitto fra arabi e curdi per il controllo del territorio e devono dunque essere protette.
Quanto riportato dall'Hrw non fa che confermare che i cristiani sono vittime di una strategia che tende a eliminarli da Mossul.
Ieri intanto Air France ha comunicato che non riprenderà entro la fine di febbraio i suoi collegamenti aerei con Baghdad, come auspicato all'inizio del mese dalle autorità di Parigi. Per il sito internet di "Le Figaro" i motivi del rinvio sono essenzialmente due:  l'aeroporto della capitale irachena non risponde ancora ai principali standard di sicurezza e, sul piano interno, la decisione di riprendere i voli sull'Iraq richiede l'accordo dei sindacati di Air France.


(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2010)
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