La situazione e il ruolo dei greco-cattolici di Romania

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S_Daniele
00martedì 17 novembre 2009 07:14
La situazione e il ruolo dei greco-cattolici di Romania

Intervista all'Arcivescovo Maggiore della Chiesa Romena Unita con Roma


ROMA, lunedì, 16 novembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo apparso sul numero di novembre di Paulus, dedicato alla Prima lettera a Timoteo e al tema “Paolo l'organizzatore”.



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Il 19 settembre scorso, Benedetto XVI ha incontrato i capi delle chiese orientali cattoliche a Castel Gandolfo, accogliendo la ripetuta richiesta di un incontro comune per discutere sulla situazione del Medio Oriente e degli orientali cattolici, presenti anche al di fuori dei suoi confini. Ricevuto da alcuni Patriarchi e Arcivescovi maggiori, che hanno presentato le realtà delle Chiese in cui si trovano a vivere come capi, Paulus ne ha condiviso le gioie e le preoccupazioni. Dai colloqui – che presenteremo nei prossimi numeri – è risultato che sia le grandi chiese patriarcali del Medio Oriente sia le più piccole, come le Arcivescovili maggiori dell’est Europa o gli esarcati, si trovano a dover affrontare gravi problemi. Le parole di Sua Beatitudine Lucian Mureşan, Arcivescovo Maggiore della Chiesa Romena Unita con Roma, Greco-Cattolica, sono segnate dalla sofferenza di una Chiesa ancora oggi vessata e incompresa. «San Paolo – egli ricorda – continua tuttora a insegnare, correggere, guidare, esortare. Oggi noi, corinzi, galati, romani, filippesi... cristiani... possiamo concordare con lui, quando osservava l’amore reciproco che vivevano i cristiani? Veramente ci amiamo?».

Beatitudine, ripercorriamo la storia di questa vostra Chiesa così provata...

«Parlare della Romania cristiana significa tornare all’Anno Domini 105, quando la Dacia fu conquistata dall’imperatore Traiano e le legioni romane, mescolandosi con la popolazione locale, diedero vita a un nuovo popolo, con una nuova lingua e con una nuova fede, quella cristiana: il popolo romeno. La leggenda narra che l’apostolo Andrea evangelizzò il Ponto Eussino, la regione dell’attuale Mar Nero, anche se allora non si poteva ancora parlare di popolo romeno. Successivamente alla matrice latina, la Romania rimase sotto l’influsso bizantino e, col grande scisma del 1054, rimase separata da Roma. Nel 1700 gli ortodossi della Transilvania – una delle tre grandi province romene, insieme con Moldavia e Valacchia – si riunirono con Roma. Nacque così la Chiesa Greco-Cattolica di Romania. Nel 1948, per ordine di Stalin, questa Chiesa venne dichiarata fuori legge: i suoi dodici vescovi, insieme a tutti i sacerdoti e religiosi, furono incarcerati. I fedeli, obbligati a diventare ortodossi. Lungo i difficili anni del comunismo sette di quei vescovi, più di 350 sacerdoti e moltissimi fedeli morirono in prigionia. Nel 1989, alla caduta del regime, la Chiesa Greco-Cattolica tornò a essere libera, la vita ecclesiastica cominciò a riorganizzarsi, i seminari e alcune delle scuole confessionali riaprirono e i fedeli greco-cattolici riacquistarono, finalmente, la libertà di culto».

Prova di questa libertà riconquistata è la presenza di molteplici confessioni sul territorio.

«Difatti i fratelli ortodossi sono l’85%, i cattolici sono circa il 12%, in cui rientrano i cattolici latini di lingua romena, ungherese, tedesca, polacca, slovacca, un piccolo gruppo di armeno cattolici, e i greco-cattolici di lingua romena, ungherese e ucraina. Ci sono sei diocesi latine e cinque eparchie greco-cattoliche, ma esiste una sola Conferenza Episcopale, pur essendoci il Sinodo per la Chiesa Greco-Cattolica. Infine ci sono sia alcuni protestanti di antica data – luterani, calvinisti, unitariani – sia neoprotestanti come i battisti, gli avventisti e i pentecostali. Come presenza interreligiosa, abbiamo alcuni ebrei e una piccola minoranza musulmana».

A vent’anni dalla caduta del comunismo, qual è la situazione della Chiesa Greco-Cattolica?

«Stiamo vivendo una rinascita molto sofferta, che comunque rimane una “primavera”, come diceva papa Giovanni Paolo II. Attualmente si contano circa 750-800 mila fedeli, con circa 900 sacerdoti e 200 seminaristi. Anche la vita monastica si sta riprendendo, pur non avendo riavuto nessuno dei nostri antichi monasteri confiscatici dallo Stato. Non mancano neanche le vocazioni alla vita religiosa, sia maschile che femminile. I giovani sorreggono la Chiesa cercando di vivere i valori trasmessi dai loro genitori come vere pietre vive. I nuovi sacerdoti che hanno compiuto i loro studi nelle diverse Università d’Europa, tornando a casa, iniziano a far rivivere lo splendore della vita liturgica e cominciano a pensare come adeguare la teologia secondo lo spirito del Concilio Vaticano II».

Ma c’è una spina...

«Sì, e molto dolorosa. Lo Stato, che durante il regime comunista, nel 1948, spogliò la Chiesa Greco-Cattolica di tutti i suoi beni, dovrebbe operare una sorta di riparazione, materiale e morale. Qualcosa è stato fatto, ma resta ancora tanto altro. Ma ciò che ci addolora più a fondo sono i difficili rapporti con i nostri fratelli ortodossi. Durante la nostra persecuzione hanno preso possesso di tutte le nostre chiese e monasteri, e si sperava che, alla caduta del regime, sarebbero stati così gentili da chiamare i loro fratelli greco-cattolici per celebrare e utilizzare insieme le chiese, dal momento che condividiamo la medesima liturgia. Delle 2.588 chiese che ci appartenevano nel 1948 siamo riusciti a recuperarne solo 200: una sproporzione che dimostra poca disponibilità al dialogo. I fratelli ortodossi sono nelle nostre chiese e noi ne siamo fuori. In qualche caso si celebra alternandosi. Nella regione del Banat, nel sud-ovest, abbiamo rapporti molto buoni con il Metropolita ortodosso Nicolae Corneanu: anche se non ha reso ogni cosa ai greco-cattolici, ha restituito tutto ciò che gli hanno chiesto e di cui avevano bisogno, creando un clima di sincera fratellanza».

In questi anni il dialogo teologico ed ecumenico ha riflettuto molto sulla “essenza propria” dei greco-cattolici. Cosa significa, oggi, essere greco-cattolico?

«Tuttora, in Romania come nel resto dell’Europa, per alcuni sembriamo una pietra d’inciampo. I fratelli ortodossi non ci vogliono – per loro siamo dei traditori – e spesse volte anche i latini non comprendono la nostra identità. Essere greco-cattolico, in questo momento storico, significa portare avanti un’eredità di martirio – con umiltà e dignità – per il Signore, per la Chiesa e per il primato pietrino. Questa chiesa non è rimasta in ginocchio dopo la caduta del comunismo e non vuole altro che vivere in armonia con i fratelli ortodossi, per la salute spirituale dei nostri fedeli».

Quali le sfide maggiori e i doveri che avverte per la sua Chiesa?

«Siamo in un’epoca nella quale la Chiesa viene sempre meno ascoltata e il messaggio evangelico è spesso deriso. La nostra sfida è di riuscire a dare testimonianza della nostra veridicità come seguaci di Cristo Risorto e del suo Vangelo come bizantini e in piena comunione col Papa, proprio quando nessuno ci vuole. Riuscire a mostrare, con umiltà e semplicità, che siamo l’altro polmone della Chiesa e il ponte per l’unità dei cristiani. In tutto questo si cela il dovere fondamentale della Chiesa: diffondere la speranza evangelica; predicare la Verità nella Carità e promuovere la cultura del bene e della vita».

I rapporti con Roma come si possono definire?

«Ho ancora in mente il grido della folla – “Unitate! Unitate! Unitate!” – che si è sollevato durante la visita di papa Giovani Paolo II a Bucarest nel maggio 1999. È stato un grido sorto da un vero desiderio di unità, sentito e desiderato dal popolo intero. Si è trattato di un abbraccio sincero fra due persone che sapevano che l’unità è il più grande bene per la cristianità. In Italia e in tutta l’Europa la Chiesa latina, dopo quella visita, ha generosamente aperto le porte di tante chiese per i romeni ortodossi offrendo la possibilità di creare parrocchie e diocesi in tutto l’occidente. Purtroppo i nostri fratelli ortodossi non hanno avuto e non hanno lo stesso atteggiamento nei nostri confronti. Roma invece ha mostrato sempre grande disponibilità, sia con la Chiesa Ortodossa, sia con quella Cattolica di ambedue i riti. Lo dimostra anche la generosità con cui offre borse di studio agli studenti romeni greco-cattolici, ortodossi e latini presso le Università pontificie».

C’è un ruolo specifico che potete ricoprire, nel cammino ecumenico?

«Il dialogo ecumenico è un imperativo per tutti, ma per i greco-cattolici lo è in virtù della nostra stessa identità. Siamo bizantini ex oriente e siamo parte integrante della comunità cattolica, spinta dal desiderio del Signore e della sua Chiesa, ut unum sint. Per questo, negli ultimi vent’anni, i greco-cattolici sono stati incorporati in tutte le strutture ecumeniche che la Chiesa Cattolica promuove. Il ruolo proprio dei greco-cattolici nel cammino ecumenico è quello di essere il polmone orientale della Chiesa Cattolica, come pure dare testimonianza che possiamo essere ortodossi in piena comunione con Roma, mantenendo integra la tradizione, i riti e le norme liturgiche e canoniche proprie dell’Oriente. E soprattutto possiamo mostrare che la comunione con Roma non è confusione né assimilazione, tanto meno uniformazione, ma unità nella libertà e nella carità».

Cosa hanno da offrire i greco-cattolici di Romania alla Chiesa universale?

«Non molto, se non il tributo di sangue dei loro martiri sull’altare della fede, offerto con gratuità, umiltà e modestia. Ringraziamo il Signore perché, alla Sua chiamata a prendere con sé ciascuno la propria croce, i nostri antenati hanno risposto: “Eccoci Signore, si faccia in noi la Tua volontà”. Il sangue dei martiri della Romania, dell’Ucrania, della Bulgaria e di tutto il blocco dell’oltre cortina di ferro è stato versato per la nascita dei nuovi cristiani in Europa. Questo è lo scambio di doni del quale parlava Giovanni Paolo II e di cui noi siamo onorati».

Daniela D’Andrea
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