La testimonianza in un mondo multiculturale e multireligioso

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Cattolico_Romano
00venerdì 22 maggio 2009 18:08
La testimonianza in un mondo multiculturale e multireligioso

Il veicolo più efficace per la verità


Martedì scorso è stato presentato alla Pontificia Università Urbaniana il libro All'origine della diversità, con prefazione del patriarca di Venezia (Milano, Guerini e Associati, 2009, pagine 238, euro 15). Pubblichiamo uno stralcio del contributo del curatore.




di Javier Prades

Secondo la rivelazione cristiana, "ogni singolo uomo può aderire al fondamento originario e trascendente solo nell'atto della libera decisione in favore di quell'evento che realizza l'evidenza di tale fondamento. Questo evento è Gesù Cristo". Egli, nella sua singolarità di Figlio di Dio incarnato, pretende di realizzare la pienezza universale della rivelazione di Dio, vale a dire, pretende di rimandare al fondamento originario. Così attua storicamente il senso ultimo del mondo e dell'uomo donandosi alla concreta libertà storica del singolo uomo.

La categoria che esprime bene l'incontro dell'uomo con la realtà è quella della testimonianza, intesa come la risposta al fondamento da parte della libertà finitale. L'importanza di questa categoria è stata ricuperata nella teologia postconciliare:  "La fede nella rivelazione storicamente avvenuta viene comunicata per mezzo della testimonianza. Stando così le cose, la testimonianza è uno dei concetti centrali della teologia cristiana". Infatti, sia nel caso singolare della libertà di Gesù che risponde al Padre, essendo il Figlio di Dio, sia nel caso dei cristiani che vivono la Parola, il sacramento, la comunione e l'autorità, mediante il dono dello Spirito Santo, ci troviamo davanti alla struttura testimoniale della rivelazione e della fede, e della sua trasmissione. 

Solo quando la testimonianza viene collocata in questo incrocio filosofico-teologico risulta determinante per dire la novità irriducibile del fatto cristiano e per indicare la modalità specifica di dialogo con le religioni e con le culture, liberandosi dalle precomprensioni riduttive con cui spesso viene concepita, e che la rendono inutile per il compito fondativo che le spetta.
Superfluo rilevare che la testimonianza risulta efficace per un ricupero della dimensione esistenziale della fede, in quanto esprime una decisione personale che coinvolge la vita mediante un legame affettivo. Sembrerebbe questo il modo con cui la testimonianza corregge la deriva intellettualistica di una fede che si identifica con la ripetizione della dottrina corretta. Ma si deve essere attenti a non perdere la ricchezza teoretica del rapporto testimonianza-verità. Si deve subito chiarire che la testimonianza non si limita a una sorta di autoreferenzialità biografica del credente, invece dell'attestazione della rivelazione divina.

Anche se la testimonianza cristiana coinvolge sempre il testimone, non si deve dimenticare che questi "intenziona quel referente irriducibile [Gesù di Nazaret] come termine risolutivo del gesto sul quale si concentra, e mira esplicitamente a renderlo apprezzabile come l'inizio e il compimento dell'atto di fede che desidera propiziare". Per la sua natura veritativa, la testimonianza non si può identificare soltanto con la manifestazione dell'evidenza degli effetti buoni della fede (al modo del buon esempio) o con la persuasione vissuta della sua esistenzialità. Il suo compito non si limita a offrire una rilevanza affettivamente coinvolgente per compensare un difetto di evidenza della rivelazione.

La testimonianza ha la pretesa di veicolare efficacemente la verità di Cristo. Il nostro mondo multiculturale e multireligioso è segnato dall'apparente impossibilità di proporre la verità. La rinascita della religione non è di per sé determinante per superare questa situazione. Va ricuperata la domanda sulla valenza veritativa della religione e della filosofia.

In tale contesto l'originalità cristiana è quella di annunciare una verità definitiva per il mondo e per l'uomo. La fede si deve paragonare con le religioni sul terreno della verità e della libertà.
Poiché la concezione moderna di ragione "separata" fa fatica ad articolare verità e libertà, c'è bisogno di un ripensamento dell'ontologia e anche di un ripensamento della natura rituale della religione come accesso alla verità.

La rivelazione cristiana ha la pretesa di attribuire valore veritativo a un fatto storico liberamente deciso da Dio, che si rivolge alla nostra libertà storica. La testimonianza cristiana è una dimensione essenziale della rivelazione. Non può essere ridotta a pura autoreferenzialità, né a supplemento affettivo di una mancata evidenza, ma intenziona un referente preciso:  Gesù Cristo e Dio Trino.

Nella testimonianza il soggetto decide di se stesso in rapporto all'Assoluto nell'interpretare il segno storico che suscita l'attrattiva, coinvolgendo la sua adesione fino a potersi parlare di concepimento nuovo dell'io.



(©L'Osservatore Romano - 22-23 maggio 2009)
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