La vittoria di Cristo sulla morte negli «Inni sacri» di Alessandro Manzoni

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Cattolico_Romano
00domenica 12 aprile 2009 07:02
  La vittoria di Cristo sulla morte negli «Inni sacri» di Alessandro Manzoni

Leggera come una foglia la pietra tombale vola via


di Inos Biffi

La Risurrezione è il primo degli Inni sacri di Alessandro Manzoni:  l'abbozzo indica l'aprile 1812 e il 23 giugno rispettivamente come date dell'inizio e della fine. Non senza ragione è stato scritto che vi si avverte l'"ardore del neofita" (Giovanni Getto). La riservata conversione del poeta - che vi accennerà solo se interrogato, attribuendola alla "grazia di Dio" - è fatta risalire all'aprile del 1810, ed è indubbio che gli ottonari, nella loro sonorità, lascino trasparire uno stato d'animo libero e rasserenato.

A partire dal grido che apre l'inno - "È risorto" - "è tutto un susseguirsi di esplosioni di gioia, in una tessitura fonico-ritmica quanto mai ricca di riprese musicali ed effetti allitteranti" (Valter Boggioni).
Manzoni traspone in poesia i riti, le letture bibliche e le suggestioni della veglia pasquale secondo il rito ambrosiano, dove esattamente per tre volte di seguito, in tono crescente, è proclamata la risurrezione di Cristo Signore - Christus Dominus resurrexit.

Anche il poeta lo ripete tre volte a inizio di verso. A partire dalla prima strofa dell'inno, tutta pervasa di stupore.

Cristo è risorto:  allora è segno indubbio che alla morte è stata strappata la sua preda, che le porte tenebrose del suo regno sono state infrante, che Gesù ha vinto la schiavitù che lo legava, che è ritornato alla vita, che Dio lo ha risuscitato:  "È risorto:  or come a morte / La sua preda fu ritolta? / Come ha vinte l'atre porte, / Come è salvo un'altra volta / Quei che giacque in forza altrui? / Io lo giuro per Colui / Che da' morti il suscitò".

Il sudario non ricopre più il "capo santo" di Cristo; il sepolcro è diventato un "avello solitario", una tomba vuota, con "il coperchio rovesciato":  simile a "un forte inebbriato" - al "prode assopito dal vino" del Salmo (77, 65) citato dalla liturgia - il Signore si è risvegliato.

E come il viandante, al suo risveglio dopo il riposo nella foresta, con gesto disinvolto e istintivo rimuove dal proprio capo la foglia avvizzita, che, volteggiando pigramente nell'aria vi si era posata, così Cristo scaglia energicamente lontano la lastra tombale inerte e ormai superflua, quando la sua anima, tornata dagli inferi, si riunisce al suo corpo esanime, ma sempre congiunto con la divina Persona del Figlio - la "diva spoglia" de La Pentecoste.

Ma sentiamo le due ampie e ondeggianti strofe, tutte concentrate sulla potenza che si sprigiona e si diffonde dall'energia o dal vigore del Risorto: 

"Come a mezzo del cammino, / Riposato alla foresta, / Si risente il pellegrino, / E si scote dalla testa / Una foglia inaridita, / Che dal ramo dipartita, / Lenta lenta vi risté:  // Tale il marmo inoperoso, / Che premea l'arca scavata, / Gittò via quel Vigoroso, / Quando l'anima tornata/ Dalla squallida vallea, / Al Divino che tacea:  / Sorgi, disse, io son con Te":  ed è quest'ultimo un testo, a sua volta, della liturgia ambrosiana della Pasqua (Ingressa della Messa), attinto al Salmo 138, 18:  "Sono risorto e sono ancora con te".

I versi che seguono indugiano a tradurre il dogma della discesa del Signore agli inferi e della liberazione dei giusti, che ne avevano preceduto la venuta, portando nel loro cuore il suo desiderio. Gesù è chiamato dal poeta:  "il sospir del tempo antico", ed è una splendida definizione. L'Antico Testamento, anzi, l'intera storia che precede l'apparizione di Cristo è tutta un'aspirazione e un anelito a lui, terrore e vincitore del demonio:  "il terror dell'inimico, / il promesso Vincitor".

Sono, così, strappati "al muto inferno" - al "luogo d'ogni luce muto", come direbbe Dante (Inferno, V, 28) - i "sopiti d'Israele", i "vecchi padri" vissuti "in aspettando":  un'aspettazione tenuta viva da "i mirabili Veggenti".

È, infatti, particolarmente ai profeti che "quel sommo Sole" - il "Sole di giustizia" preannunziato da Malachia (4, 2) - si manifestò nel suo splendore. Essi, come Aggeo, Isaia e Daniele, predicendo il futuro quasi narrassero il passato e ricordandosi "degli anni ancor non nati", assicurarono che l'attesa si sarebbe compiuta:  "che il Bramato un dì verria". Salito dagl'inferi, Gesù risorse il terzo giorno, e agli eventi di quel giorno Manzoni dedica il seguito dell'inno sacro.

"Era l'alba" - "l'alba del primo giorno della settimana", precisa l'evangelista Matteo (28, 1). Col volto rigato di lacrime, "molli in viso", la Maddalena e le altre donne elevavano il loro compianto funebre - "fean lamento sull'Ucciso"; la collina di Gerusalemme sobbalzò e lo spavento tramortì i soldati irridenti messi a custodia, la "scolta insultatrice", ed ecco dall'angelo sfolgorante e garbato l'annuncio della risurrezione:  "Un estranio giovinetto / Si posò sul monumento:  / Era folgore l'aspetto, / Era neve il vestimento:  / Alla mesta che 'l richiese / Diè risposta quel cortese:  / È risorto; non è qui".

È, come sappiamo, lo stesso annunzio che il celebrante, rivestito dai paramenti bianchi, per tre volte diffonde ai tre lati dell'altare, che ha lasciato la malinconica veste della penitenza e della vedovanza, tra i candelabri - "i doppieri" - accesi, prima che incominci l'Eucaristia. I versi del poeta sembrano riflettere la sua personale e intensa partecipazione a questa liturgia del sabato santo - allora celebrata di mattina - o almeno la sua precisa e viva conoscenza del suo svolgimento:
 
"Via co' palii disadorni / Lo squallor della viola:  / L'oro usato a splender torni:  / Sacerdote, in bianca stola, / Esci ai grandi ministeri, / Tra la luce de' doppieri, / Il Risorto ad annunziar".

Un annunzio che fa esplodere la gioia con il canto - il "grido" - del Regina caeli, che è un ardente invito alla gioia rivolto alla Madre del Crocifisso risorto:  "Godi, o Donna alma del cielo; / Godi, il Dio cui fosti nido / A vestirsi il nostro velo, / È risorto, come il disse":  "È un delicato tocco di significativa pietà liturgica e popolare - commenta il cardinale Giovanni Colombo - da cui, per esempio, non fu esente, quasi un secolo dopo, Pietro Mascagni per La cavalleria rusticana. Anche nella storia  della  musica  non c'è descrizione di solennità pasquale, che non abbia un gaudioso saluto alla Regina del cielo".

D'altronde, la gioia di questo "giorno fatto dal Signore" - come ripetutamente lo chiama la liturgia - non può restare chiusa nei confini del "santo rito". Essa si riverbera all'esterno, nella giocondità di ogni persona, nel clima festoso della famiglia, nel convito delle case e negli abiti dei bimbi.

Ma non deve trattarsi di una letizia smodata:  il pasto frugale del ricco, la sobrietà delle sue bevande devono far sì che "ogni mensa abbia i suoi doni", che anche il "desco poveretto" di un "umil tetto" sia rallegrato e appaia "più ridente". E qui viene in mente il gesto del sarto de I Promessi Sposi (XXIV), che manda la sua "bimbetta maggiore" a portare a "Maria vedova" "un piatto delle vivande ch'era sulla tavola", perché stesse "un po' allegra co' suoi bambini".
 
Quella della risurrezione non è l'esultanza dei "tripudi inverecondi", turbolenta e passeggera, ma una contentezza "raccolta e tranquilla", come direbbe padre Cristoforo (Promessi Sposi, XXXVI); un'allegrezza "pacata" e "celeste", che prelude la "gioia che verrà".

Beati quelli, esclama con entusiasmo il poeta, ai quali il sole della risurrezione, che è poi lo stesso Cristo, sorge ancora più bello - "più bello/ Spunta il sol de' giorni santi" -; ma che sarà, egli si chiede, degli stolti che si sono incamminati sulla via della morte - "Nel sentier che a morte guida?" -.

In ogni caso, la risurrezione del Signore è garanzia e speranza di risurrezione per chi a lui si rimette:  "Nel Signor chi si confida/ col Signor risorgerà". E si avverte che è proprio il poeta che vi si abbandona, gustando la sua risurrezione interiore che, insieme con quella di Cristo, ha cantato.



(©L'Osservatore Romano - 12 aprile 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 12 aprile 2009 07:03

I versi scritti nel 1812


È risorto:  or come a morte La sua preda fu ritolta? Come ha vinte l'atre porte,
Come è salvo un'altra volta
Quei che giacque in forza altrui?
Io lo giuro per Colui
Che da' morti il suscitò.
È risorto:  il capo santo
Più non posa nel sudario
È risorto:  dall'un canto
Dell'avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:  

Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.
Come a mezzo del cammino,
Riposato alla foresta,
Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
Che dal ramo dipartita,
Lenta lenta vi risté: 
Tale il marmo inoperoso,
Che premea l'arca scavata,
Gittò via quel Vigoroso,
Quando l'anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea: 
Sorgi, disse, io son con Te.
Che parola si diffuse
Tra i sopiti d'Israele!
Il Signor le porte ha schiuse!
Il Signor, l'Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il vostro bando: 
Egli è desso, il Redentor.
Pria di Lui nel regno eterno
Che mortal sarebbe asceso?
A rapirvi al muto inferno,
Vecchi padri, Egli è disceso;
Il sospir del tempo antico,
Il terror dell'inimico,
Il promesso Vincitor.
Ai mirabili Veggenti,
Che narrarono il futuro,
Come il padre ai figli intenti
Narra i casi che già furo,
Si mostrò quel sommo Sole,
Che, parlando in lor parole,
Alla terra Iddio giurò;
Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria;
Quando, assorto in suo pensiero
Lesse i giorni numerati,
E degli anni ancor non nati
Daniel si ricordò.
Era l'alba; e, molli il viso,
Maddalena e l'altre donne
Fean lamento sull'Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.
Un estranio giovinetto
Si posò sul monumento: 
Era folgore l'aspetto,
Era neve il vestimento: 
Alla mesta che 'l richiese
Diè risposta quel cortese: 
È risorto; non è qui.
Via co' palii disadorni
Lo squallor della viola: 
L'oro usato a splender torni: 
Sacerdote, in bianca stola,
Esci ai grandi ministeri,
Tra la luce de' doppieri,
Il Risorto ad annunziar.
Dall'altar si mosse un grido: 
Godi, o Donna alma del cielo;
Godi; il Dio, cui fosti nido
A vestirsi il nostro velo,
È risorto, come il disse: 
Per noi prega:  Egli prescrisse
Che sia legge il tuo pregar.
O fratelli, il santo rito
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito;
Oggi esulta ogni persona: 
Non è madre che sia schiva
Della spoglia più festiva
I suoi bamboli vestir.
Sia frugal del ricco il pasto;
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all'umil tetto,
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.
Lunge il grido e la tempesta
De' tripudi inverecondi: 
L'allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
Della gioia che verrà.
Oh beati! a lor più bello
Spunta il sol de' giorni santi;
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida
Col Signor risorgerà.


(©L'Osservatore Romano - 12 aprile 2009)

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