MESSA CATTOLICA e rito Protestante: ATTENTI ALLE DIFFERENZE

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Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2010 10:13
Sulla scia di queste discussioni e approfondimenti qui avanzati:
La riforma della riforma scelta o obbligo?

suggeriamo un ulteriore approfondimento per chi davvero ha a cuore LA VERITA' di ciò che sta accadendo nella Chiesa....

Vi invitiamo a leggere con CALMA, PAZIENZA E RIFLESSIONE RAGIONATA, quanto segue....


Agnoli: Messa cattolica e 'messa' protestante

Di fronte alla crisi che nel quattro-cinquecento attanaglia la Chiesa cattolica, i suoi vescovi “vagabondi” e parte del suo clero, la riforma proposta dal monaco agostiniano Lutero viene a toccare il concetto stesso di sacerdozio, di gerarchia. L’attacco al papa, non nella singola persona, ma nell’istituzione in quanto tale, all’“idolo”, si accompagna alla proclamazione del sacerdozio universale e quindi alla negazione del Sacramento dell’Ordine.

A proposito di questo, a livello pratico, non si tralascia di far leva sull’anticlericalismo, particolarmente presente in un’epoca in cui il popolo cristiano poteva assistere alla confusione fra potere spirituale e potere temporale, alla bramosia di mondanità rappresentata, al sommo livello, da varie figure di principi vescovi, ma anche da sacerdoti intenti ad accumulare incarichi e prebende, più che alla cura animarum. È evidente che una nuova concezione del sacerdozio, unita alla dottrina della “sola fides”, porti con sé, consequenzialmente, la riforma di ciò che è compito precipuo del sacerdote, cioè l’amministrazione dei sacramenti e la celebrazione della Messa. “Io dichiaro - scrive lutero nell’Omelia della I di Avvento - che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulteri sono meno malvagi di quell’abominazione che è la messa papista” .

E nel “Contra Henricum”: Quando la messa sarà distrutta, penso che avremo distrutto anche il papato... Infatti il papato poggia sulla messa come su una roccia. Tutto questo crollerà necessariamente quando crollerà la loro abominevole e sacrilega messa” . Comprendere la riforma liturgica proposta da Lutero significa allora cogliere le radici profonde, teologiche, della sua polemica. Poco serve il solito impelagarsi in una trattazione storica che si riduca ad una elencazione cronachistica, settoriale - che non coglie l’essenza - delle preghiere della messa cattolica mantenute e di quelle tolte, dei cambiamenti accennati e non realizzati, delle tappe successive e talora contraddittorie di un lento e progressivo delinearsi del rito... Fin da subito infatti Lutero ha presente il cardine, lo spirito della sua azione, ma chiaramente i “dettagli”, gli aspetti “secondari” tardano ad allinearsi, a chiarirsi nella sua mente, ad essere conformati in modo consequenziale. Talora è il conflitto coi discepoli, talora la volontà di non turbare le “coscienze deboli” che determinano ripensamenti, passi indietro, la non applicazione di principi teorici già espressi, o riforme realizzate tacitamente ma non esplicitate, non dichiarate .

Talora infine è la grande libertà nelle cerimonie, che Lutero ammette in linea di principio, a rendere poco proficua una analisi solo anatomica e diacronica della messa protestante. Per tutti questi motivi occorre identificare originari fili conduttori, immediatamente presenti al riformatore, ma che saranno dipanati nel tempo, un nucleo, lo spirito stesso, e non i dettagli, della riforma liturgica, che consiste principalmente nei tre aspetti della condanna della nozione di sacrificio, dell’altare versus populum e dell’uso del volgare.

CONDANNA DELLA NOZIONE DI SACRIFICIO

Ciò contro cui il monaco riformatore viene precipuamente a scontrarsi è la tradizionale nozione cattolica di messa, intesa sì come memoriale e banchetto, ma, prima e soprattutto, come rinnovazione incruenta del sacrificio della croce, come rievocazione - riattuazione mistica dell’offerta che Cristo fece di sé al Padre, per la salvezza degli uomini. Sacrificio che, come nel mondo ebraico, greco, romano... aveva anche una funzione di ringraziamento, sottomissione e di impetrazione alla divinità, dando luogo solo in un secondo momento alla consumazione e alla compartecipazione. “Vi è un rapporto sorprendente - scrive J.Hani - fra l’altare di Mosè e il nostro (cattolico, nda.) altare. Mosè costruisce un altare ai piedi del Sinai, offre il sacrificio e fa due metà con il sangue: una è data al Signore (più esattamente: è versata sull’altare che Lo rappresenta) e l’altra la asperge sul popolo...”.

Per Lutero, invece, “la messa non è un sacrificio, o l’azione del sacrificatore... Chiamiamola benedizione, eucarestia, mensa del Signore o memoriale del Signore. Le si dia qualunque altro nome, purché non la si macchi col nome di sacrificio” . Il sacrificio quotidiano, rinnovato più volte ogni giorno nella Messa, toglierebbe infatti valore all’unico sacrificio di Cristo, avvenuto in un preciso momento storico e sufficiente da solo a cancellare i peccati del mondo, definitivamente. Questa concezione porta, soprattutto ne “L’abominio della messa silenziosa. Il cosiddetto canone”, del 1525, a modificare la parte essenziale del rito, eliminando i vari accenni al sacrificio presenti: soprattutto il “Te igitur”, nel quale si dice “haec dona, haec munera, haec sancta sacrificia illibata” ed il riferimento ad Abele. “Ora va rimosso anche il secondo scandalo, che è molto più esteso e appariscente, cioè la convinzione, diffusa un po’ dappertutto, che la Messa sia un sacrificio offerto a Dio. Anche le parole del Canone sembrano orientate in questo senso, dove dice «questi doni, queste offerte, questi santi sacrifici», e poi «questa offerta».

E ancora, si chiede in modo chiarissimo che il sacrificio sia gradito come quello di Abele, eccetera. Perciò Cristo è chiamato vittima dell’altare” . Nell’insegnamento cattolico, che Lutero trova riassunto in Pietro Lombardo, infatti, il sacrificio dell’agnello fatto da Abele, la morte di Cristo, “agnus Dei” sulla croce, e Cristo come vittima, “hostia”, nella Messa, sono collegati, in quanto il primo non è che la prefigurazione veterotestamentaria dei secondi. Da un punto di vista esteriore, tangibile, occorrerà allora abolire la lettura silenziosa del canone, in quanto essa esclude i fedeli, anch’essi sacerdoti, dalla partecipazione, e soprattutto mette in evidenza l’idea della messa come “azione del sacrificatore”. Implica infatti che il prete, e solo lui, sia concepito come “altro Cristo”, e quindi ad un tempo il sacerdote e la vittima: per questo legge silenziosamente il canone, separando nettamente, col cambiamento di tono di voce e di atteggiamento, la parte della narrazione (“Il quale nella vigilia della passione prese...”), da quella della consacrazione (“Questo è infatti il mio corpo”), e cioè il memoriale, cui tutti devono far riferimento, dalla azione attuale, reale ri-attuazione mistica del sacrificio. Con Lutero così il canone silenzioso perde di significato, divenendo tutta la cerimonia esclusivamente banchetto e memoriale, e come tale atto comunitario legato all’ascolto e alla rievocazione di un avvenimento storico e non più evento precipuamente soprannaturale, il sacrificio, intrinsecamente efficace (non necessitando della presenza dei fedeli), cui assistere, comunque, da silenziosi e adoranti spettatori, come ai piedi del Golgota.

“Atto comunitario”, si è detto, opposto ad un rito che può essere “privato”, ma che non vuole esserlo in senso assoluto: è il significato del termine “comunità” a mutare, ad assumere connotazioni diverse. Nel concetto protestante esso implica una presenza fisica, concreta, l’incontrarsi reale, attuale, che permette la con-celebrazione e l’ascolto. “L’idea basilare del Protestantesimo - così sintetizza Laura Ferrari - è la convinzione che Dio si manifesta nella comunità, in ciascuno dei suoi membri, convocati attorno alla Santa Mensa per celebrare la Cena e ascoltare la Parola...” .

Il rito cattolico, invece, sacrificale e solo secondariamente conviviale, comporta la supposizione dell’esistenza, sempre, della comunione fra Chiesa militante, purgante, negata dai protestanti, e trionfante, che si realizza, anche in assenza del popolo, per i meriti di Colui “che è il capo del corpo, che è la Chiesa”, attraverso la ricaduta benefica che ha la celebrazione, come la morte del Venerdì santo, sull’universo intero. La messa cattolica, scrive John Bossy, era intessuta di “preghiere di intercessione in vernacolo per le autorità... i frutti della terra, per gli amici” e “non faceva altro che unire i vivi coi morti nell’atto del sacrificio”: E papa Gregorio Magno (Dial. IV 58.2), scriveva: “nell’ora del Sacrificio, alla voce del sacerdote i Cieli si aprono... a questo Mistero partecipano anche i cori angelici... l’Alto e il basso si congiungono, il Cielo e la terra si uniscono, il visibile e l’Invisibile divengono una sola cosa”.

CELEBRAZIONE VERSUS POPULUM; TAVOLA AL POSTO DELL'ALTARE.

Un’altra riforma “esteriore”, che è però conseguenza di premesse teologiche, è l’abolizione dell’altare “ad Deum”, inteso come ara sacrificale su cui un pontefice, nel senso etimologico, realizzi la consacrazione; così lutero condanna l’usanza di porre le reliquie dei martiri, immagine del sacrificio degli uomini che si unisce a quello di Cristo, all’interno dell’altare, in quanto esso va ora inteso non più come luogo di immolazione, del “martirio” rinnovato di Gesù, ma come semplice tavola su cui si realizza la “Cena del Signore”. “...nella vera messa - scrive nel 1526 - fra puri cristiani, l’altare non dovrebbe rimanere così e il sacerdote dovrebbe sempre rivolgersi verso il popolo, come ha fatto senza dubbio Cristo nell’Ultima Cena. Ma attendiamo che il tempo sia maturato per ciò” . Quasi chiosando il suo pensiero (che non fu però realizzato in tutti i gruppi protestanti) il riformatore anglicano Thomas Cranmer, 25 anni dopo, spiegherà che “la forma di tavola è prescritta per portare la gente semplice dalla idea superstiziosa della Messa papista al buon uso della Cena del Signore. Infatti, per offrire un sacrificio occorre un altare; al contrario, per servire da mangiare agli uomini occorre una tavola” . Ciò a maggior ragione nell’ottica luterana per cui “il sacerdozio non è niente altro che servizio” di predicazione della S. Scrittura e quindi un servizio rivolto al popolo (versus populum): la centralità dell’azione sacrificale del sacerdote, altro Cristo che si rivolge a Dio Padre, propria del rito cattolico, viene sostituita con la centralità della Parola, la “sola scriptura”. “Tutta la terra - sostiene polemicamente nel trattato intitolato “Sulla prigionia babilonese della Chiesa” - è piena di sacerdoti, di vescovi, di cardinali, di ecclesiastici, ma nessuno di loro ha il compito di predicare, a meno che non riceva una nuova chiamata speciale” . Questo stesso concetto, la preminenza della Parola e dell’ascolto scritturale, porta ad esclamare, nel medesimo scritto: “Perché deve essere lecito celebrare la Messa in greco, latino o ebraico e non anche in tedesco o in qualsiasi altra lingua?”

L'INTRODUZIONE DEL VOLGARE

L’introduzione del volgare al posto del latino è invero un’altra capitale innovazione, che risulterà funzionale anche alla formazione delle Chiese nazionali e ad accelerare la separazione del mondo protestante da Roma, della Germania dal suo passato latino, nella religione, nelle lettere e nella cultura in genere. Come l’evangelizzatore S. Bonifacio del Wessex, “Grammaticus Germanicus” e il vescovo Rabano Mauro, autore dell’inno liturgico “Veni Creator Spiritus” e soprannominato “praeceptor Germaniae”, avevano portato ai tedeschi, tramite il latino, la Fede cattolica e la cultura romana antica, “conquistando quella terra alla romanità”, è ancora in buona parte attraverso la lingua adottata nella liturgia e nei testi sacri che Lutero e Melantone, giustamente ribattezzati anch’essi “precettori della Germania”, attuano una rottura con il passato e danno vita ad una diversa stagione non solo religiosa, ma anche culturale e politica .
In ultima analisi l’adozione del volgare appare funzionale, in genere, a tutta la concezione della messa luterana, che potremmo definire orizzontale, contrapposta a quella verticale - dall’uomo a Dio, attraverso il sacerdote mediatore - del culto sacrificale cattolico, esteriorizzata, quest’ultima, negli altari notevolmente rialzati di molte chiese romaniche, nello slancio di quelle gotiche, con le loro vetrate vertiginose e i trittici dorati, nell’uso dell’incenso, nell’abbondanza delle luci, nella lussuosa ricchezza dei paramenti che distinguono notevolmente i ministri di Dio dai fedeli... L’“orizzontalità” del culto luterano, invece, nasce da precise convinzioni teologiche: la messa come cena; il sacerdozio universale comunitario, che si manifesta soprattutto nell’abolizione della messa privata : il rito non ha più valore intrinseco - come nel caso in cui, come sul Golgota, il vero attore sia Cristo, tramite il sacerdote, e non i fedeli - ma necessita, per la sua stessa validità, della presenza umana, ne è protagonista l’uomo di fede. Come a dire che la morte di Gesù non sarebbe servita a nulla, se non vi avesse assistito qualcuno.

È quindi il carattere soprannaturale e divino della cerimonia, completamente predominante nella concezione cattolica, che viene, per così dire, ridotto, a favore della dimensione umana, ancor più con riformatori come Zwingli e Carlostadio che ne assolutizzano il carattere memorialistico, negando ogni reale presenza divina nella particola. Questa orizzontalità, forse non completamente slegata dal pensiero antropocentrico degli umanisti, porta con sé, un po’ come l’architettura classicheggiante di un Brunelleschi, la ricerca di semplicità esteriore, che diviene freddezza, nell’addobbo dell’altare, nelle luci e nelle immagini. Una grande consequenzialità, ancora una volta, guida Lutero nell’istituire un legame fra Cena e semplicità, concezione sacrificale e solennità.

Scrive infatti: “Così quanto più la Messa è vicina e somigliante a quella prima messa che Cristo compì nella cena, tanto più è cristiana. Orbene, la messa di Cristo fu semplicissima, senza nessuna pomposità di paramenti, di gesti, di canti, di cerimonie: se fosse da offrire come un sacrificio, parrebbe che Cristo non l’avesse istituita in forma completa” . I tedeschi della Controriforma, ben più delle altre popolazioni cattoliche, risponderanno con la ricchezza e la pomposità dello stile barocco, con gli immensi altari centrali “ad Deum” e l’adozione, più che in passato e più che altrove, di altari laterali con sfondo dorato, del colore, cioè, che meglio di ogni altro poteva trasmettere l’idea della Divinità realmente presente; altri elementi architettonici, come il baldacchino e le balaustre, verranno usati abbondantemente per enfatizzare la centralità e la sacralità dell’altare, non tavola, ma Golgota. Una qualche opposizione ci fu, comunque, anche fra gli stessi seguaci della riforma.

Nel trattato “Sulla prigionia babilonese della Chiesa”, del 1520, infatti, Lutero propone di “eliminare... le vesti, gli ornamenti, i canti, le preghiere, la musica, le luci e tutto quell’apparato abbagliante”; sei anni dopo invece, nel volumetto citato, “Messa Tedesca...” scrive: “Conserviamo dunque i paramenti della Messa, l’altare, le luci finché si perdono da sé...”. Evidentemente il popolo rimaneva in parte legato alle tradizioni, ai suoi aspetti più visibili, e si ritenne più efficace e indolore una applicazione graduale delle innovazioni. Che comunque non furono sempre percepite, se è vero che ancora oggi, viaggiando nella Germania protestante, si incontrano chiese estremamente semplici e spoglie ed altre dove, per quanto possa sembrare incongruente con lo spirito protestante, rimangono ancora numerose immagini e statue di santi e Madonne. Il confronto fra i due passi sopra citati dimostra anche che il progetto di eliminare i “canti” e “la musica”, presente nel testo del 1520, era già stato abbandonato almeno a partire dal 1526. In un primo tempo infatti il monaco riformatore ritiene che “canti” e “musica” nuocciano alla semplicità e alla sobrietà del rito, come inutili orpelli, finché, scrive Ernesto Buonaiuti, non “sente istintivamente di dover fare qualcos’altro per ravvivare il culto e renderlo atto a riscaldare il cuore della massa credente. Ed ecco che egli scopre improvvisamente in sé delle inattese qualità poetiche e si dà a scrivere, dal 1523, canti sacri..." . La sua primitiva convinzione, che sopravvive solo nella personale avversione per l’organo, è però accolta da alcuni collaboratori e successori, come Zwingli, Calvino, Zwick: si va dalla riduzione delle parti cantate e della musica, al canto esclusivo di melopee salmodiche più o meno elaborate, dalla condanna della polifonia alla soppressione e distruzione degli organi .

La riforma liturgica non è dunque qualcosa di isolato e limitato, ma diventa, è bene ribadirlo, anche linguistica, culturale, musicale e soprattutto architettonica.


LA RIVOLUZIONE ARTISTICA

Non che Lutero abbia contrapposto “una sua nuova concezione architettonica a quella già esistente, ma automaticamente con la sua predicazione vennero posti in particolare rilievo determinati spazi architettonici (pulpito, altare), mentre altri diventavano inutili (cappelle laterali) o venivano utilizzati non più in ordine alla finalità per cui erano stati originariamente previsti, ad esempio il coro come luogo privilegiato riservato al clero” . Le differenze liturgiche si cristallizzano in differenze fisiche, materiali.
L’edificio cattolico è concepito come Domus Dei: tutto deve parlare di Lui, la grandiosità, la luminosità, la stessa posizione dell’edificio, spesso rivolto ad Oriente verso il “Sol Iustitiae” della parusia, e la sua pianta a croce; è Cristo stesso ad abitarla, nel Tabernacolo, rendendola Casa di Dio proprio per una presenza stabile e continua. In essa si rinnova, tramite il sacerdozio gerarchico, il sacrificio della Croce: “l’abside, con la cattedra episcopale e i seggi per il clero, è l’affermazione architettonica della gerarchicità della Chiesa; la centralità dell’altare sotto l’arco trionfale e sotto la solennità del ciborio è la dottrina plasticamente resa del primato del culto e perciò del sacrificio augusto su tutti gli altri interessi della comunità” .

La chiesa protestante è invece essenzialmente la casa dell’uomo-credente, del popolo, dell’assemblea egualitaria che si riunisce per la Cena del Signore. Scompare il tabernacolo, segno della Presenza divina; scompaiono spesso reliquie, santi e Madonne, abitatori della simbolica città di Dio, la Gerusalemme Celeste; non servono più, a rigore, la pianta a croce, la posizione ad Oriente, l’abside, il coro, il ciborio... Paradigmatiche a questo proposito la chiesa del Paradiso, il tempio di Rouen (1601), di Amsterdam (1630) e i settecenteschi templi di Wadenswill, Horgen e Kloten: sono infatti le prime costruzioni veramente aderenti allo spirito liturgico dei riformatori, che per lo più si erano dovuti servire di edifici cattolici preesistenti, limitandosi a singole modifiche e alla reinterpretazione degli spazi, come, ad es., l’esclusione dell’abside. “Un’ordinanza della chiesa di Hesse del 1526 esorta «tutti i fedeli a partecipare alla preghiera e alla lettura... e alla Cena del Signore. Questi atti non saranno più compiuti nel coro, ma in mezzo alla chiesa...»” .

Anche l’altare perde il vecchio significato e la vecchia forma: diviene mensa, solitamente semplice tavola, non più sopraelevata, distaccata da scalinate e balaustre, bensì posizionata in modo da creare un rapporto più diretto, partecipativo, comunitario, fra celebrante e popolo (a questo fine si abbandona anche la divisione in navate, che potrebbe impedire una visuale completa). Evidentemente a questi mutamenti materiali viene dietro l’attenuazione, la scomparsa o il mutamento dei valori simbolici da essi espressi; valori che tentano di esprimere l’ineffabile grandezza del Mistero e del sacro della creazione e del rito. L’edificio propriamente protestante, senza abside, senza tabernacolo, a pianta rettangolare circolare o ellittica, deve ricordare una casa umana, il salone dell’Ultima Cena e non assume quindi più il triplice significato di immagine dell’universo, dell’uomo, tempio vivente della divinità, e di Dio stesso, come sostenevano ad es. S. Massimo Confessore e Onorio d’Autun. Costui, nel suo “Specchio del mondo” - richiamandosi anche alla frase evangelica “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò” (Gv. 2,19) - sostiene che, come la Chiesa-comunità dei fedeli è il Corpo mistico di Cristo, così la chiesa-edificio ne rappresenta la fisicità: il coro è la testa, il transetto le braccia, la navata il busto e l’altare, centro di irradiazione e di convergenza di tutte le linee architettoniche, rappresenta il cuore.

Ancor più, esso è anche immagine di tutto il Corpo di Cristo, definito nella Bibbia “pietra di scandalo”, “la pietra che i costruttori hanno scartato”, “pietra” da cui sgorgarono il cibo e la bevanda “spirituale” per gli ebrei nel deserto (I Cor, 10,4). Per questo viene riverito, baciato, incensato. È il centro del mondo, come stanno a significare la semisfera perpendicolare del ciborio e quella del catino absidale, simboli dell’immensità della volta celeste sopra la terra: non così può essere per l’altare-tavola luterano, e soprattutto zwingliano, la cui centralità non è autonoma, ma dipende dall’essere il supporto dell’assemblea, vero centro e cuore del rito . Sono i riformatori stessi, come Carlostadio e Zwingli, a comprendere il profondo legame fra credenze ed esteriorizzazione, didascalismo visivo, e quindi a promuovere la distruzione di cori, altari, chiese intere, e la costruzione di nuove, di cui le più antiche e tipiche sono “Fleur-de-lys”, “Paradis” e “Terraux”, a Lione .

In questo quadro si inseriscono anche le tendenze iconoclaste variamente diffusesi nel mondo protestante, dalle posizioni moderate di Erasmo, alla forte avversione per le immagini di Zwingli, Calvino e Carlostadio. Quest’ultimo, proprio a Wüttenberg, la città delle 95 tesi, “inaugurò la “messa evangelica” abbattendo e bruciando le immagini” e dando così inizio ad un movimento iconoclasta “serpeggiante in tutta l’Europa del nord” . Benché l’atteggiamento di Lutero fosse alquanto più prudente, “quasi ovunque il primo sintomo visibile dell’incipiente grande trasformazione del cristianesimo fu il ripudio dei santi, espresso in forma di sistematica distruzione delle loro immagini su tela, su tavola o scolpite in pietra, intraprese per iniziativa della pubblica autorità, o di una folla inferocita reduce dai sermoni del cristianesimo riformatore” .

Ripudio dei santi, è bene ricordarlo, che nasce dal terribile pessimismo antropologico luterano, secondo il quale l'uomo non è capace di compiere alcunché di buono, ma è solo e soltanto un peccatore, senza libertà, conteso tra Satana e Dio.

(F. AGNOLI, La liturgia tradizionale. Le ragioni del motu proprio, Fede & Cultura, I parte)




P.S.
la collana FEDE E CULTURA è una Casa editrice di recente formazione, prettamente Cattolica con tanto di riconoscimento dell'autorità ecclesiastica che si propone la pubblicazione di materiale esclusivamente Cattolico...NON è di stampo tradizionalista nel senso di chiusura, al contrario, essa si propone proprio una rilettura del Concilio in chiave magisteriale soprattutto sostenendo la Riforma di Benedetto XVI....

Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2010 10:36
Giovanni Paolo II scrivendo Ecclesia De Eucharestia, così descrive il problema:  
 
Purtroppo, accanto a queste luci, non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell'uno o nell'altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno. Inoltre, la necessità del sacerdozio ministeriale, che poggia sulla successione apostolica, rimane talvolta oscurata e la sacramentalità dell'Eucaristia viene ridotta alla sola efficacia dell'annuncio.  

Di qui anche, qua e là, iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni.    

Confido che questa mia Lettera enciclica possa contribuire efficacemente a che vengano dissipate le ombre di dottrine e pratiche non accettabili, affinché l'Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero.


ma chi gli ha obbedito? chi lo ha ascoltato? in compenso si grida "SANTO SUBITO" e lo si preferisce a Benedetto XVI per la simpatia


enricorns
00giovedì 21 gennaio 2010 11:17

Daccordissimo per quello espresso dal pontefice, ma dove nella Ecclesia De Eucharestia c'è scritto che questo debba avvenire con l'uso dell'idioma latino?



Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2010 17:27
Re:
enricorns, 21/01/2010 11.17:

Daccordissimo per quello espresso dal pontefice, ma dove nella Ecclesia De Eucharestia c'è scritto che questo debba avvenire con l'uso dell'idioma latino?







complimenti! vedo che hai letto bene Paolo VI riportato nell'altro thread sulla riforma dove è stato spiegato nei dettagli che il latino nella Messa NON E' MAI STATO ABOLITO....
tranne che per qualche Messa in giro per il mondo, il Papa stesso GPII ha sempre celebrato il Canone IN LATINO....vai a rileggere il thread, tu confondi la Messa in latino dalla tridentina....


Il beato Papa Giovanni XXIII (1958-1963), nella Costituzione Apostolica «Veterum

sapientia» pubblicata il 22 febbraio 1962, dà queste due ragioni e ne fornisce una terza: la

lingua latina ha una nobiltà e una dignità non trascurabili, indispensabile per il Rito Romano

REDEMPTIONIS SACRAMENTUM di Giovanni Paolo II:


[112.] La Messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della Messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall’autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai Sacerdoti celebrare in latino.[200]


SACRAMENTUM CARITATIS  di Benedetto XVI:

La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)



 Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha scoraggiato l'uso del

latino?

Non è così. Appena prima di aprire il Concilio, il beato Papa Giovanni XXIII nel 1962

scrisse una Costituzione Apostolica per insistere sull' uso del latino nella Chiesa. Il Concilio

Ecumenico Vaticano II, sebbene abbia ammesso una certa introduzione della lingua

volgare, insistette sul posto del latino:
«L'uso della lingua latina, salvo il diritto particolare,

sia conservato nei Riti Latini» (12). Il Concilio richiese anche ai seminaristi di «[...]

acquistarsi quella conoscenza della lingua latina che è necessaria per comprendere le fonti

di tante scienze e i documenti della Chiesa e per potersene servire» (
13).
Il Codice di Diritto

Canonico, pubblicato nel 1983, decreta: «La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua

latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati» (14).


Quindi sbagliano quanti vogliono dare l'impressione che la Chiesa abbia voluto togliere il

latino dalla liturgia. Una manifestazione dell'accettazione della liturgia latina ben celebrata

da parte delle persone si è avuta a livello mondiale nell' aprile del
2005, quando milioni di

persone seguirono in televisione le esequie del servo di Dio Papa Giovanni Paolo II e, due

settimane dopo, la Messa d'insediamento di Papa Benedetto XVI.

E’ importante il fatto che i giovani accettino volentieri la Messa celebrata a volte in latino.

Certo i problemi non mancano. Vi sono anche malintesi o approcci sbagliati da parte dei

sacerdoti sull' uso del latino. Ma per meglio centrare la questione, è necessario prima

esaminare l'uso del volgare oggi nella liturgia di Rito Romano.

 La lingua volgare. Introduzione, diffusione, condizioni

Dopo la parziale esperienza acquisita in alcuni paesi negli anni precedenti, già il 5 e 6

dicembre 1962, dopo lunghi dibattiti a volte molto accesi, i Padri del Concilio Ecumenico

Vaticano II adottarono il principio secondo il quale l'uso della madrelingua, nella Messa o in

altre parti della liturgia, poteva essere spesso vantaggioso per le persone. L'anno

seguente il Concilio votò l' applicazione di questo principio alla Messa, al Rituale e alla

Liturgia delle Ore (15).

Seguì poi un uso più esteso del volgare. Ma come se i Padri del Concilio avessero previstola

possibilità che il latino perdesse sempre più terreno, insistettero perché il latino fosse

mantenuto.

L'articolo 36 della Costituzione sulla sacra Liturgia, già citato, comincia con il decretare che

«l'uso della lingua latina, salvo il diritto particolare, sia conservato nei Riti Latini».

Gli articoli

54 e 101 dettavano i passi da seguire: «Si abbia cura [ ... ] che i fedeli sappiano recitare o

cantare insieme, anche in latino, le parti dell'Ordinario della Messa che spettano ad essi» (16);

e «Secondo la secolare tradizione del Rito Latino, per i chierici sia conservata nell'Ufficio

Divino la lingua latina» (17).

Ma, pur stabilendo dei limiti, i Padri del Concilio anticiparono la possibilità di un uso più

esteso del volgare. L' articolo 54, infatti, aggiunge:
«Se poi in qualche luogo sembrasse

opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella Messa, si osservi quanto prescrive

l'articolo 40 di questa Costituzione» (
18).
L'articolo 40 dà direttive sul ruolo delle

Conferenze Episcopali e della Sede Apostolica su una materia così delicata. Il volgare era

stato introdotto. Il resto è storia. Gli sviluppi furono così rapidi che alcuni chierici, religiosi

e fedeli laici oggi non sono consapevoli del fatto che il Concilio Ecumenico Vaticano II non

introdusse la lingua volgare in tutte le parti della liturgia.

(S. Em. il card. Francis Arinze, prefetto della

Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - esposizione della Lingua latina nella Chiesa, Convegno ed intervento in sostituzione del Pontefice Benedetto XVI - USA 2006)




Giovanni Paolo II che parlava correttamente 6 lingue usava per scrivere all'interno della Chiesa  ESCLUSIVAMENTE IL LATINO ben sapendo che pochi conoscevano il polacco....diventato Papa nello scrivere ai suoi amici a Cracovia disse: "vi scrivo in latino perchè ora devo parlare in una lingua UNIVERSALE...."




facciamo uno sforzo alla comprensione eh!


enricorns
00giovedì 21 gennaio 2010 19:41
 
21/01/2010 10.36
Giovanni Paolo II scrivendo Ecclesia De Eucharestia, così descrive il problema:  
 
Purtroppo, accanto a queste luci, non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell'uno o nell'altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno. Inoltre, la necessità del sacerdozio ministeriale, che poggia sulla successione apostolica, rimane talvolta oscurata e la sacramentalità dell'Eucaristia viene ridotta alla sola efficacia dell'annuncio.  

Di qui anche, qua e là, iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni.    

Confido che questa mia Lettera enciclica possa contribuire efficacemente a che vengano dissipate le ombre di dottrine e pratiche non accettabili, affinché l'Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero.


ma chi gli ha obbedito? chi lo ha ascoltato? in compenso si grida "SANTO SUBITO" e lo si preferisce a Benedetto XVI per la simpatia


Daccordissimo per quello espresso dal pontefice, ma dove nella Ecclesia De Eucharestia c'è scritto che questo debba avvenire con l'uso dell'idioma latino?

Evidentemente tu non mi leggi io non ho parlato affatto di Paolo VI ma di Giovanni Paolo II e della Ecclesia de Eucharestia.

No non confondo la messa in latino con la tridentina, che non so nemmeno cosa sia, e come afferma Iyvan non nego nemmeno che la lingua ufficiale e quella usata nelle celebrazioni solenni dal santo padre sia il latino e non solo il canone, come del resto è giusto che che sia quella dei documenti ufficiali.
S_Daniele
00venerdì 22 gennaio 2010 11:27

Daccordissimo per quello espresso dal pontefice, ma dove nella Ecclesia De Eucharestia c'è scritto che questo debba avvenire con l'uso dell'idioma latino?



Caro Enrico la tua domanda non ha alcun senso per vari motivi; in primis, non era nell'intenzione del Papa trattare nella Ecclesia De Eucharestia quale lingua è da utilizzare, in secondo, tu non consideri affatto che dopo la pseudo riforma attuata durante il pontificato di Paolo VI, sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI di fatto si sono ritrovati con questo problema, un problema che non può essere estirpato con un semplice: ci siamo sbagliati da oggi in poi il N.O. lo eliminiamo.
I Pontefici pian piano, forse troppo piano, stanno faticosamente sopperendo alle mancanze della dormiente Curia Romana post Concilium, e lo fanno con tatto e pastoralità, quando invece potrebbero elevare la voce dell'autorità che gli compete senza alcun bisogno di giustificarsi o di rammaricarsi (vedi la lettera di Benedetto XVI ai vescovi dopo l'abolizione della scomunica dei Lefebvriani), questo solo per amore dell'unità e della fraternità.
Non ha senso dire se questa enciclica o un altra dica qualcosa in merito, anche perchè si cerca solo ciò che conviene, ti potrei infatti rispondere con la Mediator Dei che alla luce della Messa attuale è un documento pontificio che condanna tale Messa, in verità la prassi della Chiesa e del Sommo Pontefice è l'eseguire ciò che i Concilii Ecumenici o le enunciazioni ex cathedra hanno decretato, la stessa autorità del Papa (ritornando al discorso dell'obbedienza) comunque non è arbitraria ma vincolata all'insegnamento della Verità Rivelata che neanche il Sommo Pontefice può cambiare. La stessa obbedienza all'autorità è subordinata alla fede che essa deve trasmettere intatta.
Sulla liturgia si è espresso il Vaticano II ed è questo, letto in continuità con il Magistero precedente, che ha dato delle direttive da seguire, ti prego di leggere qui, tutto ciò che è stato fatto dopo è riformabile poichè non è infallibile.




No non confondo la messa in latino con la tridentina, che non so nemmeno cosa sia, e come afferma Iyvan non nego nemmeno che la lingua ufficiale e quella usata nelle celebrazioni solenni dal santo padre sia il latino e non solo il canone, come del resto è giusto che che sia quella dei documenti ufficiali.



Il Vaticano II non dice quanto sostieni, la lingua latina non è solo per le funzioni di carattere eccezzionale, questo lo credevo anch'io ma non è così, questa è una falsa tesi elaborata da chi ha voluto estirpare il latino, pensa che oggi il latino non è più la lingua ufficiale dei teologi, ma lo è diventato il tedesco, incredibile!
Pensa che nemmeno nei sinodi i vescovi comunicano in latino ma in inglese, e non capisco perchè il tedesco o l'inglese si e il latino no!
enricorns
00venerdì 22 gennaio 2010 12:31
Caro Enrico la tua domanda non ha alcun senso per vari motivi; in primis, non era nell'intenzione del Papa trattare nella Ecclesia De Eucharestia quale lingua è da utilizzare,

La mia domanda era rivolta al fatto che la dove nella Ecclesia De Eucharestia, richiamata da Caterina, il papa parla di "Purtroppo, accanto a queste luci, non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell'uno o nell'altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento..." non si riferisce affatto alla lingua

Il Vaticano II non dice quanto sostieni, la lingua latina non è solo per le funzioni di carattere eccezzionale,

io non ho detto che lo ha detto il Vaticano II ma che non nego che sia la lingua ufficiale, ma che la messa in latino, a mio parere, non è più appropriata, perchè sicuramente, dopo 45 anni, non capita, nememno dai sacerdoti, nella celebrazioni "comuni".
E' vero che la lingua nazionale è stata introdotta solo in alcune parti e suggerita nelle celebrazioni dei sacramenti e dei sacramentali, ma non vedo alcun scandalo ne tantomeno abuso  se nel tempo, al fine di favorire la piena e consapevole partecipazione dei dei fedeli, abbia soppiantato del tutto il latino.

Ripeto lo scandalo non sta nell'uso o non del latino, o nel celebrare verso o opposto, ma nel pressapochismo.

 

S_Daniele
00venerdì 22 gennaio 2010 12:51
Re:
enricorns, 22/01/2010 12.31:

Caro Enrico la tua domanda non ha alcun senso per vari motivi; in primis, non era nell'intenzione del Papa trattare nella Ecclesia De Eucharestia quale lingua è da utilizzare,

La mia domanda era rivolta al fatto che la dove nella Ecclesia De Eucharestia, richiamata da Caterina, il papa parla di "Purtroppo, accanto a queste luci, non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell'uno o nell'altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento..." non si riferisce affatto alla lingua

Il Vaticano II non dice quanto sostieni, la lingua latina non è solo per le funzioni di carattere eccezzionale,

io non ho detto che lo ha detto il Vaticano II ma che non nego che sia la lingua ufficiale, ma che la messa in latino, a mio parere, non è più appropriata, perchè sicuramente, dopo 45 anni, non capita, nememno dai sacerdoti, nella celebrazioni "comuni".
E' vero che la lingua nazionale è stata introdotta solo in alcune parti e suggerita nelle celebrazioni dei sacramenti e dei sacramentali, ma non vedo alcun scandalo ne tantomeno abuso  se nel tempo, al fine di favorire la piena e consapevole partecipazione dei dei fedeli, abbia soppiantato del tutto il latino.

Ripeto lo scandalo non sta nell'uso o non del latino, o nel celebrare verso o opposto, ma nel pressapochismo.

 





E chi ha stabilito che non è più appropriata? Tu?
Lascia che decida la Chiesa se lo sia o meno, intanto il Concilio dice che non solo è appropriato ma è la liturgia per eccellenza, la maggiore, il resto, permettimi di dire, è aria fritta.
Ergo, si applichi il Concilio se non lo si vuole delegittimare!
S_Daniele
00venerdì 22 gennaio 2010 13:07

al fine di favorire la piena e consapevole partecipazione dei dei fedeli, abbia soppiantato del tutto il latino.



Nel link che ti ho evidenziato parla anche di questa partecipazione dei fedeli, ma è evidente che hai un idea diversa di cosa vuol dire partecipazione dei fedeli.
enricorns
00venerdì 22 gennaio 2010 14:02
Allora applichiamo il latino, non curandoci dei canoni e delle orazioni "recitati" in maniera frettolosa mangiando parole o inventndosele, ma in latino, delle adorazioni eucaristiche nelle quali si recita il rosario, ma in latino, dei fedeli che per la loro parte rispondono senza capire cosa, percè imparato a memoria, ma in latino.
Caterina63
00venerdì 22 gennaio 2010 22:58
[SM=g7497] enricorns....io non ho replicato perchè davo per scontato che tu comprendessi....

Proviamo a spiegare:

La Messa in latino esiste, ininterrottamente, dal primo secolo fino al Concilio Vaticano II....

come è stato dimostrato e come ben sai la Sacrosanctum Concilio, il testo sulla liturgia del Concilio, stabilisce che il latino VENGA CONSERVATO ALL'INTERNO DELLA MESSA NEL CANONE (parte riguardante la Consacrazione che va dal Sanctus al Pater Noster), fino a qui ci siamo?

Bene, DOPO il Concilio e su pressione di alcune Conferenze episcopali Paolo VI INIZIA A FARE DELLE CONCESSIONI attraverso le quali SI CONCEDEVA che in determinate situazioni anche il Canone poteva essere detto nella lingua del luogo...TUTTAVIA, come spiegato sopra dal card.Arinze nel breve portato sopra: "Il resto è storia. Gli sviluppi furono così rapidi che alcuni chierici, religiosi e fedeli laici oggi non sono consapevoli del fatto che il Concilio Ecumenico Vaticano II non introdusse la lingua volgare in tutte le parti della liturgia."
fino a qui ci siamo?

Paolo VI comprende la gravità della situazione e TENTA DI RICHIAMARE LE COSCIENZE ALLA DIFESA DEL LATINO, come ho dimostrato anche nell'altro thread...e qui fu il suo sbaglio perchè avrebbe dovuto rifarsi lui stesso al Concilio il quale NON chiedeva l'abolizione della Messa in latino, ma si aggiungeva al latino la lingua del luogo per le Letture e per le parti corrispondenti ai fedeli...
CIO' CHE FU UNA CONCESSIONE DIVENNE ABUSIVAMENTE LA NORMA...

e qui entra in gioco la Ecclesia de Eucharestia nella quale Giovanni Paolo II NON doveva affatto trattare il problema della lingua a parte perchè di fatto è sempre stata una NORMA UFFICIALE al contrario egli si sofferma su tutto l'aspetto DELLA MESSA parlando di ombre e di ABUSI, DI INIZIATIVE DA PARTE DEI SACERDOTI....una di queste iniziative fu appunto togliere il latino dal Canone SENZA ALCUNA NORMATIVA UFFICIALE....

L'Enciclica NON è un Motu Proprio il quale è fatto spesso da ARTICOLI fra i quali allora si sarebbe potuto inserire, articolo per articolo, tutti i problemi annessi alla Liturgia...ma è un breve trattato che analizza il problema NEL SUO INSIEME E IN UN CONTESTO PIU' AMPIO...
l'Ecclesia de Eucharestia non poteva neppure parlare del latino come l'unico o l'assoluto problema degli abusi quando si riferisce per altro ad una situazione che vedeva sacerdoti modificare perfino il Canone aggiungendo o togliendo le parole...
In quel periodo in Europa si facevano Messe CON I PROTESTANTI con l'intercomunione sempre condannata dalla Chiesa...SONO STATE FATTE MOLTE MESSE INVALIDATE...invalidate perchè il sacerdote che modifica le parole del Canone rende invalida la Messa...

Come s'innesca nel contesto l'importanza del latino?
Perchè se il Canone è detto appunto in latino, diventa praticamente impossibile modificarne il contenuto...
Il Canone in italiano, spiegava l'allora Ratzinger nel presentare la medesima Enciclica citata in qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, invece SI PRESTA A MANIPOLAZIONI SOPRATTUTTO NELLE MESSE DEI FANCIULLI perchè il sacerdote si sente più spinto AD IMPROVVISARE, AD AGGIUNGERE A CREARE....

Ordunque....precisiamo che la questione del latino nel Canone della Messa non è un capriccio, un fanatismo, o quant'altro, MA UNA NECESSITA' PER RESTARE FEDELI ALLA TRADIZIONE SENZA RISCHIARE DI AGGIUNGERE O TOGLIERE...inoltre, spiegava Ratzinger, il Canone latino nella Messa è stato detto ININTERROTTAMENTE FINO AL CONCILIO, MA IL CONCILIO NON LO ELIMINO'....QUESTA è L'ERMENEUTICA DELLA ROTTURA...

Nell'indire l'Anno dell'Eucarestia Giovanni Paolo II sottolineava nel discorso che "non basta LA LINGUA COMPRENSIBILE per per trarre grazie dall'Eucarestia, ma IL RITO, LA SACRALITA', IL SILENZIO, TUTTA LA FUNZIONE USA UN LINGUAGGIO CHE E' ENTRATO NELLA TRADIZIONE DELLA CHIESA...."

Certo, diciamola tutta la questione, Giovanni Paolo II a differenza di Ratzinger, non ha mai sottolineato il problema del latino nella Messa, ha sempre evitato in tutti i DOCUMENTI UFFICIALI di affrontare il problema direttamente perchè per lui era sufficiente SENSIBILIZZARE LE COSCIENZE AL PROBLEMA DELLA SACRALITA'....ma è evidente che ciò non è bastato...
L'unico intervento UFFICIALE sulla Messa in latino è la citazione nella Redemptionis Sacramentum dove, dopo aver dato l'indulto per la Messa tridentina, SOLLECITAVA I SACERDOTI CHE LO VOLESSERO A RIPRENDERE IL CANONE IN LATINO....

Ratzinger, suo successore, vedendo che il sollecitare NON è stato sufficiente, nella Sacramentum Caritatis che segue proprio la Redemptionis Sacramentum, ne parla più dettagliamente comimciando ad INGIUNGERE UNA RIPRESA DEL CANONE IN LATINO....

In parole povere, per noi comuni mortali e piccoli del gregge [SM=g7515] cosa sta accadendo ora?
che come DOPO il Concilio il Papa fu COSTRETTO per evitare scismi a CONCEDERE certe liberalizzazioni, dal momento che le abbiamo usate male e che abbiamo rafforzato la ROTTURA CON LA TRADIZIONE, Benedetto XVI, legittimamente, sta lentamente RIDIMENSIONANDO queste concessioni per tentare di ritornare quanto più possibile alla sacralità liturgica e soprattutto alla nostra identità nel Culto Cattolico....siamo cattolici? bene, il nostro Rito, il Canone, la Lingua, le Norme SONO QUESTE!

Spero con questo di aver chiarito il punto...
Non è sufficiente rispondere cercando letteralmente una singola parola o frase, occorre CONOSCERE TUTTO IL CONTESTO E TUTTA LA SITUAZIONE perchè quando parliamo di Magistero PONTIFICIO noi non intendiamo un solo Papa, MA PIETRO, TUTTI I PONTEFICI LEGITTIMI anche con i loro piccoli o più errori ma pur sempre legittimi perchè l'infallibilità NON è in un Documento unico o nelle parole di un solo Papa, ma in PETRUS con TUTTA la Chiesa nella sua Tradizione...


se ci sono altre domande resto a disposizione, altrimenti per me la questione del latino la ritengo risolta....

[SM=g7427]
enricorns
00venerdì 22 gennaio 2010 23:26
La Messa in latino esiste, ininterrottamente, dal primo secolo fino al Concilio Vaticano II....

non ho mai contestato questo ho solo detto, e continuo a dire, che le storture, gli abusi, le ombre, per dirla con Giovanni Paolo II, nella Ecclesia De Eucharestia, non si risolvono ripristinando il latino
Caterina63
00venerdì 22 gennaio 2010 23:44
Re:
enricorns, 22/01/2010 23.26:

La Messa in latino esiste, ininterrottamente, dal primo secolo fino al Concilio Vaticano II....

non ho mai contestato questo ho solo detto, e continuo a dire, che le storture, gli abusi, le ombre, per dirla con Giovanni Paolo II, nella Ecclesia De Eucharestia, non si risolvono ripristinando il latino




Ed io ho risposto:

In parole povere, per noi comuni mortali e piccoli del gregge cosa sta accadendo ora?
che come DOPO il Concilio il Papa fu COSTRETTO per evitare scismi a CONCEDERE certe liberalizzazioni, dal momento che le abbiamo usate male e che abbiamo rafforzato la ROTTURA CON LA TRADIZIONE, Benedetto XVI, legittimamente, sta lentamente RIDIMENSIONANDO queste concessioni per tentare di ritornare quanto più possibile alla sacralità liturgica e soprattutto alla nostra identità nel Culto Cattolico....siamo cattolici? bene, il nostro Rito, il Canone, la Lingua, le Norme SONO QUESTE!

Spero con questo di aver chiarito il punto...
Non è sufficiente rispondere cercando letteralmente una singola parola o frase, occorre CONOSCERE TUTTO IL CONTESTO E TUTTA LA SITUAZIONE perchè quando parliamo di Magistero PONTIFICIO noi non intendiamo un solo Papa, MA PIETRO, TUTTI I PONTEFICI LEGITTIMI anche con i loro piccoli o più errori ma pur sempre legittimi perchè l'infallibilità NON è in un Documento unico o nelle parole di un solo Papa, ma in PETRUS con TUTTA la Chiesa nella sua Tradizione...

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enricorns......non sto parlando in latino, ma in italiano...famo a capisse eh! il concetto di Messa in latino E' LA TRADIZIONE, tolta questa c'è la ROTTURA, avvenuta la rottura NON c'è più la verità di fede, non c'è più garanzia, viene meno la sacralità....ciò che è avvenuto togliendo IL CANONE IN LATINO è stato come l'effetto domino, riportare il Canone in latino NON SOLO E' LEGITTIMO ma riporterà parte anche della SANA DOTTRINA SULLA MESSA....che poi non sia solo il latino il problema è stato detto a josa...
ma se come tu stesso affermi che la Messa in latino è stata ININTERROTTA FINO AL CONCILIO, come fai a non capire che togliendola, per altro abusivamente e non dal concilio ma da dopo, E' STATA INTERROTTA LA TRADIZIONE DELLA CHIESA COLPENDOLA NELLA SUA SACRALITA'?


se ci sono altre domande resto a disposizione, altrimenti per me la questione del latino la ritengo risolta....

 


enricorns
00venerdì 22 gennaio 2010 23:56
ok risolta, ma non voglio ripetermi, dunque risolta
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