Meditazioni per il Mese di Maggio

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Caterina63
00sabato 1 maggio 2010 23:21
[SM=g1740733] Riprendiamo le meditazioni per il Mese di Maggio di questo 2010...

è trascorso un anno...auspichiamo per tutti il progressivo perfezionamento dello spirito....
Non sentiamoci scoraggiati se in questo anno non tutto è andato secondo i buoni propositi fatti, ritentiamo, rialziamoci, corriamo verso quelle braccia spalancate, ritorniamo a quel Volto materno...la nostra costanza nel voler piacere a Gesù sia più forte delle nostre debolezze, chiediamo aiuto alla Madre, Ella è lì che ci attende proprio per questo...

Vi suggeriamo e vi offriamo di scaricare questi due file in pfd

Ratzinger: il Rosario culla l'anima
it.gloria.tv/?media=71724


Una corona per NON sprecare parole
it.gloria.tv/?media=71723


e ancora:

it.gloria.tv/?media=70608



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Caterina63
00lunedì 3 maggio 2010 15:55
Come e perchè meditare il Rosario....

"Un elemento, non secondario, della Spiritualità Domenicana è il filiale amore per la Beata Vergine Maria, la Madre di Gesù, dalla quale la tradizione attesta che san Domenico abbia ricevuto la corona del santo rosario come strumento di predicazione.

In questo "clima" mariano, palpitante nella Famiglia Domenicana, la ricerca filosofica e teologica che la caratterizza, ne ha sempre ricevuto benefici influssi fruibili in una predicazione insieme profonda e popolare che nel santo rosario ha trovato il mezzo privilegiato.

Erede di questa spiritualità, ogni Figlio di san Domenico, da sempre ed anche oggi, è un appassionato devoto della Vergine Madre dalla quale, ad immagine del Fondatore, in un modo o in un altro riceve la corona del santo rosario per proporre il segreto di quell’incontro beatificante che, già ora nella fede, Lei vuol generare in ogni anima affinché Gesù possa essere vivo con la Sua Luce ed il Suo Amore in ogni epoca e in ogni tempo.

Questa devozione, personale e comunitaria insieme, ha sempre visto i Domenicani, di tutti i tempi e in ogni dove, impegnati in un’appassionata opera di promozione del santo rosario affinché, nella luce del Magistero, la Parola potesse essere letta, amata, meditata e "compresa" per essere luce e guida nel cammino di fede di ogni fedele."

Il resto della riflessione lo trovi CLICCANDO QUI nel sito
www.sulrosario.org
e se vuoi saperne di più e, perchè no, anche collaborare, scrivici:
movrosar@tin.it

qui invece puoi scaricare il video o metterlo nel tuo blog o sito...
it.gloria.tv/?media=72059 [SM=g27998]



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S_Daniele
00lunedì 3 maggio 2010 16:03
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Primo giorno

1° MAGGIO - IL MESE DI MARIA


«Ecco finalmente tornato il mese della bella Mammina...»: così scrisse una volta san Pio da Pietrelcina all'inizio del mese di maggio.

Proprio così. È da secoli, ormai, che il mese di maggio è il mese di Maria per eccellenza, il mese della «bella Mammina».

È il mese più bello dell'anno per lo splendore primaverile che lo riveste: per questo è consacrato a Colei che la Chiesa canta e loda come Tutta Bella.

È il mese in cui sbocciano fragranti le rose nel tepore della ridente natura: per questo viene consacrato a Colei che la Chiesa esalta come Rosa Mistica.

«Mese di maggio - così il Papa Paolo VI - Noi ricordiamo la letizia infantile con cui, andando a scuola, portavamo fiori per l'altare della Madonna: lumi, canti, preghiere e "fioretti" davano gioconda espressione alla devozione verso Maria Santissima, che ci appariva allora come la regina della primavera, primavera della natura e primavera delle anime».


Il mese delle grazie

Maggio è chiamato anche il mese delle grazie e delle glorie di Maria, perché in questo mese si ricevono copiose grazie, celebrando le glorie della Madre e Regina universale.

Anzi, soprattutto per i frutti spirituali che produce, il mese di maggio canta le più alte glorie di Maria Corredentrice e Mediatrice di ogni grazia.

Sono grazie di ogni sorta che Ella dona amorosamente a chi celebra questo mese. Grazie di progresso spirituale, di rinnovamento di vita, di conversione; grazie temporali per la salute, il lavoro, gli studi, per la sistemazione, per la famiglia. Quante grazie in questo mese benedetto! Tanto più che esso si chiude con la festa dolcissima della Madonna delle grazie. Chi di noi non ha bisogno di grazie?

San Massimiliano M. Kolbe, per aiutare il fratello travagliato da pericolose angustie spirituali e materiali, non trovò rimedio più efficace che raccomandargli con premura di fare il mese di maggio; e gli mandò libretti utili a fargli seguire il mese mariano giorno per giorno.


Un mese di maggio... per sbaglio

Un giovane ebreo, Ermanno Coen, trovandosi a Parigi per studiare musica, si era dato al gioco e alla dissipazione. Bisognoso di denaro per soddisfare le sue brutte passioni, trovò un posto di suonatore d'organo nella chiesa di Santa Valeria, per tutto il mese di maggio.

Le prime sere egli suonava con totale indifferenza, da semplice mestierante. Ma senza volerlo, stando lì era costretto a sentire le prediche che ogni sera si tenevano sulla Madonna. Di sera in sera, ascoltando, il suo spirito cominciò a turbarsi e il suo cuore a commuoversi.

Alla fine del mese di maggio pensò seriamente di prepararsi al Battesimo per diventare cattolico. E poco dopo si fece battezzare in quella stessa chiesa. Insieme, ebbe il dono della vocazione religiosa: divenne religioso carmelitano e morì in concetto di santità. Quante grazie da quel mese di maggio fatto fortuitamente!


Per la Chiesa intera

Fare il mese di maggio, quindi, è accumulare grazie, è risolvere problemi o situazioni dolorose, è ottenere il patrocinio della Divina Madre.

Per questo la Chiesa, i Pontefici, i Santi hanno tanto raccomandato di celebrare con devozione il mese mariano.

Il Papa Paolo VI nel 1965 pubblicò una Lettera Enciclica sul «Mese di maggio» per riaffermare espressamente che la Chiesa lo considera il mese più fecondo di preghiera e di grazie celesti per tutti i bisogni dell'umanità e della Chiesa.

«Appunto perché il mese di maggio porta questo potente richiamo a più intesa e fiduciosa preghiera, e perché in esso le nostre suppliche trovano più facile accesso al cuore misericordioso della Vergine, fu cara consuetudine dei Nostri Predecessori scegliere questo mese consacrato a Maria, per invitare il popolo cristiano a pubbliche preghiere, ogni qualvolta lo richiedessero i bisogni della Chiesa, o qualche minaccioso pericolo incombesse sul mondo».


Facciamolo bene

Non perdiamo questa grande occasione di grazia. E cerchiamo di non farla perdere neppure agli altri. Invitiamo i nostri cari e sforziamo i nostri amici a partecipare alle funzioni del mese mariano. La Madonna non rimanderà nessuno a mani vuote. Ricordiamoci che Ella stessa, apparsa con le mani che proiettavano fasci di raggi luminosi, disse a santa Caterina Labouré: «Questi raggi sono il simbolo delle grazie che io spargo sopra le persone che me le domandano». E santa Caterina Labouré - sull'esempio di san Filippo Neri, san Camillo, sant'Alfonso de' Liguori e di tanti altri Santi - voleva che soprattutto nel mese di maggio si intensificasse la preghiera mariana, l'umile ricorso a Colei che siede sul «trono della grazia, per ottenere misericordia e trovare grazia nel bisogno» (Ebr. 4, 16).

Ricorriamo alla Madonna ogni giorni di questo mese con la recita devota del Santo Rosario, di questa preghiera mariana che il Papa Paolo VI considerava e chiamava «compendio di tutto quanto il Vangelo».

Soprattutto durante il mese di maggio, san Benedetto Giuseppe Labre si faceva vedere con due corone del Rosario: una al collo e l'altra in mano; così cercava di invogliare tutti a recitare il Santo Rosario, che è catena di grazie e di benedizioni.

Ai piedi di Maria troviamo la sorgente di ogni grazia e santità.



Fioretti

- Impegnati a portare qualcuno al mese mariano.

- Recita un Rosario perché molti facciano il mese di maggio.

- Prega san Giuseppe perché ti insegni in questo mese ad amare la Madonna.
S_Daniele
00lunedì 3 maggio 2010 16:05
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Secondo giorno

2 MAGGIO - LA SALVEZZA DELL'ANIMA


La Madonna apparve a Fatima per ricordarci soprattutto la necessità della salvezza dell'anima.

Perciò Ella raccomandò con insistenza ai tre pastorelli di pregare e fare sacrifici per la conversione dei peccatori: «Molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi preghi e si sacrifichi per loro».

Prima di ogni altra cosa, la Madonna ha a cuore le nostre anime da salvare. È vero che Ella si preoccupa maternamente anche dei nostri bisogni temporali; ma la grazia che Ella vuole concederci più di tutte le altre è certamente la grazia della salvezza dell'anima.

Questa è senza alcun dubbio la grazia delle grazie, la grazia che vale l'eternità del Paradiso.

L'apostolo san Pietro scriveva ai cristiani: «Conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle vostre anime» (1 Pt. 1, 9). Ma noi che conto facciamo della salvezza della nostra anima? Ci sta veramente a cuore? Ci preoccupiamo sul serio?

Come è triste, purtroppo, dover rispondere che spesso noi facciamo come quei figlioli ammalati, i quali anziché pensare a far la debita cura per riacquistare la salute, sono insofferenti della cura e pensano soltanto a divertirsi e a godere.


«Che giova all'uomo...»

Possibile che non comprendiamo come sia di primaria importanza lavorare anzitutto alla salvezza dell'anima?

Guadagno, studio, lavoro, divertimenti, commercio, famiglia, carriera, sono cose del tutto secondarie rispetto alla salvezza dell'anima.

«Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l'anima sua?» (Mt. 16, 26). E ancora, in parabola: «Le terre di un ricco avevano dato abbondante raccolto. Ed egli, fra sé, così andava ragionando: come farò che non ho posto dove ammassare i molti raccolti? Ecco, disse, farò così: demolirò i miei granai, ne costruirò dei più grandi, vi ammasserò tutto il mio raccolto e tutti i miei beni; poi dirò all'anima mia: "O anima mia, tu hai una gran riserva di beni per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!". Ma Dio gli disse: "Stolto! Questa notte stessa ti verrà richiesta la vita; e quello che hai preparato per chi sarà?". Così avverrà pure a chi accumula tesori per sé, ma non si cura di avere ciò che vale per Iddio» (Lc. 12, 16-21).

Poteva parlare più chiaro Gesù nel suo Vangelo? Perché lo dimentichiamo o non ci badiamo come si dovrebbe?

Buon per noi che la Madonna viene a ricordarcelo con amore materno, e ce lo vuol ricordare anche oggi in questo suo bel mese.


«Egli è salvo!...»

Fare bene il mese di maggio può valere la salvezza eterna della nostra anima. Ecco un esempio molto istruttivo.

Ad Ars, un giorno, arrivò una signora disfatta dal dolore che la stava portando alla disperazione. Pochi giorni prima le era morto tragicamente il marito. Si era suicidato, gettandosi da un alto ponte nel fiume. La moglie era tormentata indicibilmente dal pensiero della dannazione del marito.

Entrata nella chiesa di Ars, la povera signora si pose subito in ginocchio a pregare e a piangere. Era la prima volta che si recava ad Ars.

Il santo Curato d'Ars, passandole accanto, le sussurrò in un orecchio: «Egli è salvo!». «Che cosa?», esclamò la signora sbalordita. «Suo marito è salvo - ripeté il Santo - è in Purgatorio, e bisogna pregare per lui... Tra il parapetto del ponte e il fiume ha avuto tempo di pentirsi... È la Madonna che gli ha ottenuto la grazia. Ricordatevi del mese di maggio che facevate in camera. Talvolta vostro marito, sebbene irreligioso, si univa alla vostra preghiera e metteva anche un fiore dinanzi all'immagine di Maria. Ciò gli ha ottenuto il pentimento e il perdono estremo».


La cosa più necessaria.

Chi si prende cura della salvezza dell'anima somiglia a Maria di Betania che sta ai piedi di Gesù, attenta alle sue parole di vita eterna. Marta, invece, che «si affanna dietro molte cose», è immagine di quelli che si preoccupano delle cose terrene e secondarie, e non hanno mai tempo di badare all'anima. Eppure, la salvezza dell'anima resta sempre «l'unica cosa necessaria» (Lc. 10, 42).

Quanta stoltezza nella nostra vita, se fra i pericoli del mondo trascuriamo quest'unica cosa necessaria!

C'è una lettera scritta da san Gabriele dell'Addolorata a un suo compagno di liceo, in cui tra l'altro è scritto: «
Hai ragione di dire che il mondo è pieno di pericoli e d'inciampi, e che è molto difficile salvarsi l'unica anima nostra; per questo, però, non devi perderti di coraggio...

Ami la salvezza? Fuggi i compagni cattivi, i teatri dove spesso di entra in grazia di Dio, e se n'esce dopo averla perduta o messa in gran pericolo

Ami la salvezza? Fuggi le conversazioni troppo libere, i libri cattivi, che possono fare un male indicibile a tutti...
».

Diamo ascolto ai Santi! Adoperiamo i mezzi di salvaguardia per non rovinarci l'anima. Non c'è niente che possa valere la salvezza dell'anima. «Che cosa potrà dare l'uomo in cambio della sua anima?» (Mt. 16, 26).

«Coloro che presumono di non aver bisogno di salvezza - dice il Catechismo della Chiesa cattolica - sono ciechi sul proprio conto» (n. 588).


La scala bianca

Un giorno, mentre san Pio da Pietrelcina passava lentamente tra una folla di uomini, un giovane gli gridò da lontano: «Padre, mi dica una parola decisiva, che cosa debbo fare?». Padre Pio lo guardò di uno sguardo profondo e gli rispose subito: «Salvarti l'anima!».

Ecco l'essenziale. Tutto il resto passa. La salvezza dell'anima dura in eterno.

E la Madonna vuole assicurarci la salvezza con la nostra collaborazione nell'uso dei mezzi di salvezza: la preghiera, i sacramenti, la penitenza, le opere buone, e particolarmente la devozione mariana. Anche san Francesco d'Assisi nella celebre visione di frate Leone sulla scala bianca e la scala rossa, ci assicura che la devozione alla Madonna è garanzia di salvezza. Difatti, tutti coloro che salivano sulla scala bianca in cima alla quale c'era la Beata Vergine, arrivavano in paradiso; quelli della scala rossa, invece, quanti sforzi a vuoto!



Fioretti

- Impegnati a esaminare ogni sera la tua anima (esame di coscienza).

- Chiediti spesso: «Giova alla mia anima questa azione, questo pensiero?».

- Parla anche agli altri della salvezza dell'anima.
S_Daniele
00martedì 4 maggio 2010 11:43
P. Stefano Maria Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Terzo giorno

3 MAGGIO - IL TEMPO PER SALVARMI


Sulla terra Dio mi dà il tempo per salvarmi e santificarmi. «Egli ci vuole tutti salvi» (1 Tim. 2, 4), vuole la nostra «santificazione» e ce ne dà la possibilità lungo l'arco di temlpo stabilito per nostra vita eterna.

«L'appello di Cristo alla conversione continua a risuonare nella vita dei cristiani», dice il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1428).

L'arco di tempo può essere più o meno lungo. San Domenico Savio si è santificando vivendo solo quindici anni. Sant'Alfonso de' Liguori, vivendo novantun'anni. La misura del tempo sta nelle mani di Dio «padrone della vita e della morte» (Sap. 16, 13). A noi tocca solo utilizzare il nostro tempo secondo il fine per cui Dio ci ha creati, ossia: «per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e poi goderlo in Paradiso», secondo l'insegnamento del Catechismo di S. Pio X.

Questo significa «operare il bene mentre si ha tempo», come raccomandava san Paolo (Gal. 6, 10). Tutto mi deve servire a raggiungere il godimento eterno del Paradiso, che consiste nella visione beatifica di Dio. Altrimenti, si opera a vuoto, con perdite incalcolabili di meriti e di energie.

Ad un vecchio eremita, una volta fu chiesta l'età. «Ho cinquant'anni», rispose. «Non è possibile! - replicò il visitatore - Ne avrete certamente più di settanta...». «È vero - rispose l'eremita - la mia età sarebbe settantacinque anni; ma i primi venticinque non li conto, perché li ho passati lontani da Dio».


«A che mi serve...?»

San Bernardo diceva: «Ogni tempo non speso per Iddio è perduto».

Per questo san Luigi Gonzaga, come tanti altri Santi, si propose di chiedersi prima di ogni azione: «A che mi serve per l'eternità?». E, riflettendo fino in fondo, comprese bene come valesse la pena di rinunciare al possesso di un principato e ad un avvenire di glorie terrene, per consacrarsi interamente a Gesù e all'acquisto della glorian eterna, consumandosi d'amore per Iddio e per il prossimo.

Sant'Alfonso Maria de' Liguori si obbligò addirittura con un voto speciale: il voto di non sciupare un attimo di tempo. E lo osservava con eroismo commovente. Quando scriveva per ore e ore quelle pagine di dottrina e di pietà che illuminavano tante anime, se a volte gli faceva male la testa, si premeva con una mano una pietra sulla fronte, mentre con l'altra mano continuava a scrivere.

Se volessimo esaminare l'uso del nostro tempo e il fine delle nostre azioni, non è forse vero che dovremmo metterci le mani fra i capelli?...

Quanto tempo sprecato! Magari siamo prontissimi a dire di non aver tempo neppure per qualche minuto di preghiera mattino e sera, o per recitare un Rosario (15 minuti), o per fare un'opera buona... e poi non ci accorgiamo di sciupare ogni giorno ore di tempo libero dinanzi al televisore o al cinema, nei bar o per le strade o allo stadio, tra fumo, canzoni e chiacchiere... Questo è l'uso del tempo libero di molti cristiani!


Raccolgo quel che semino

Che dire, poi, del fine soprannaturale che dovrebbero avere tutte le nostre azioni? Si agisce solo per guadagno. Si fa tutto per interesse. Si lavora solo per i soldi. E quale prontezza fulminea quando si tratta di lamentarsi per inconvenienti, disagi o perdite! Tutto è calcolato. Tutto mi deve dare il massimo rendimento e godimento con il minimo sforzo. Forse nei nostri comportamenti non c'è mai neppure un soffio di amor di Dio, un cenno di intenzione soprannaturale, un moto di elevazione al fine più alto per cui il cristiano deve agire. «Sia che mangiate, sia che beviate, o facciate qualunque altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor. 10, 31).

Come faremo davanti a Dio? Se è vero che un giorno renderemo conto anche «di ogni parola oziosa» (Mt. 12, 36), tanto più renderemo conto di ogni minuto di tempo sciupato. In un minuto di tempo si possono fare diversi atti di amor di Dio. Così faceva, ad esempio, santa Bertilla Boscardin, che passava per le stanze dell'ospedale recitando devoto giaculatorie piene di amore. Noi, invece, passiamo di azione in azione, di luogo in luogo, solo attenti al nostro interesse. Ma non facciamoci illusioni: «quello che l'uomo avrà seminato, quello mieterà» (Gal. 6, 8). Se riempiremo il nostro tempo di azioni fatte per Iddio, mieteremo un giorno la visione beatifica di Dio; altrimenti, mieteremo le sofferenze del Purgatorio o, Dio non voglia, dell'inferno eterno.


Un bell'esempio

Guardiamo a un modello di Santo nostro contemporaneo: san Giuseppe Moscati, grande medico napoletano. Non visse a lungo, ma riempì il suo tempo di cose veramente nobili e sante.

Ogni giorno egli iniziava la sua giornata alle cinque del mattino con due ore di preghiera raccolta e intensa: faceva la sua meditazione, partecipava alla santa Messa, riceveva la santa Comunione e faceva un lungo ringraziamento.

Senza queste due ore, soprattutto senza la santa Comunione, egli diceva di non aver coraggio a entrare in sala medica per le visite agli ammalati.

Subito dopo le due ore di preghiera, si portava nei vicoli di qualche rione della vecchia Napoli, scendeva in qualche «basso» o saliva su qualche soffitta a visitare gratuitamente ammalati in condizioni penose e pietose.

Continuava poi la sua mattinata con la scuola e con le visite mediche all'ospedale. Prima di una diagnosi, nei momenti di difficoltà, metteva la mano nella tasca, stringeva per un attimo la corona del Rosario, si raccomandava alla Madonna. Durante le visite non era meno preoccupato di raccomandare agli infermi la cura dell'anima, dando consigli e ammonizioni concrete... come confessarsi e comunicarsi. A mezzogiorno, al suono dell'Angelus, anche se stava in sala medica, recitava immancabilmente l'Angelus, invitando tutti i presenti a unirsi nella preghiera.

Al pomeriggio continuava le visite mediche, a casa, fino al tramonto. Chiudeva la sua giornata con la visita al Santissimo Sacramento, la recita del Santo Rosario, le preghiere della sera. Morì mentre faceva le visite, amando i corpi e le anime degli infermi. Ecco un vero cristiano che «operava il bene mentre aveva tempo» (Gal. 6, 10).



Fioretti

- Iniziare e chiudere la giornata con le preghiere del mattino e della sera.

- Mortificare soprattutto gli occhi e la lingua per non sciupare tempo in curiosità e chiacchiere.

- Pregare anziché parlare inutilmente.
S_Daniele
00martedì 4 maggio 2010 13:40
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Quarto giorno

4 MAGGIO - LA MORTE


La morte è la porta della vita eterna. Attraverso di essa si entra nell'aldilà. È un passaggio obbligato. «È destino dell'uomo morire» (Ebr. 9, 27). Un destino che porta il marchio della colpa originale: «La morte è stipendio del peccato» (1 Cor. 15, 21). Perciò è terribile morire. E la morte ci dimostra crudamente come sia vera la parola di Dio: «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai» ( Gen. 3, 19).

Con la redenzione operata da Gesù, però, la morte in grazia di Dio è il sigillo della salvezza eterna; per i Santi, la morte è l'entrata in Paradiso.

Il Catechismo della Chiesa cattolica, infatti, insegna che «per il cristiano che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna» (n. 1020). San Paolo sembra gridare di gioia quando scrive: «Per me la morte è un guadagno» (Fil. 1, 21). Per questo san Tommaso Moro, condannato a morte dagli eretici, il giorno del supplizio volle indossare il suo abito più bello e più prezioso. E san Carlo Borromeo si fece dipingere un quadro della morte, che raffigurava un morente pieno di serenità; vicino c'era un Angelo bellissimo con una chiave d'oro in mano, pronto ad aprire la porta del Paradiso. Quale grazia è morire da Santo! «Preziosa al cospetto di Dio è la morte dei suoi santi» (Sal. 115, 15).


Quando? Come? Dove?

La morte è la cosa più certa, ma ignoriamo quando avverrà, come avverrà, dove avverrà. Si può morire nel seno materno o a cento anni di età; si può morire nel proprio letto o in mezzo a una strada. La sera non siamo sicuri se rivedremo il sole; né al mattino siamo sicuri di arrivare alla sera. Siamo certi solo di questo: «Non sappiamo né il giorno né l'ora» (Mt. 25, 13); la morte «verrà come il ladro notturno» (1 Tess. 5, 2), ossia di nascosto e a sorpresa. Perciò Gesù ci ammonisce con energia: «Siate pronti! perché nell'ora che non credete il Figlio dell'uomo verrà» (Lc. 12, 40).

Quanta deve essere la nostra stoltezza, allora, se alla morte non vogliamo pensarci, perché - si dice - ci rattrista la vita! E non riflettiamo che in tal modo somigliamo agli struzzi, i quali mettono la testa sotto la sabbia per non vedere il pericolo che li sovrastra.

Quale tragedia sia una cattiva morte, lo capiremo solo nell'eternità. Il demonio sa bene quanto sia salutare il pensiero della morte. Per questo lo fa considerare di malaugurio, tenendoci spensierati e gaudenti fra i vizi e i peccati.

Al Papa Pio XI un giorno si presentò una signora che gli chiese un ricordo personale. Il Papa si trovava per la via; osservò la signora vestita con lusso tutto mondano; raccolse un po' di povere e fece sulla fronte della signora una crocetta, dicendo: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Non poteva darle un ricordo più personale!


Essere sempre pronti

Noi siamo capaci di riempire le nostre giornate di lavoro, di divertimenti, di sesso, di politica, di sport, di fumo, di televisione. Viviamo storditi e incatenati dalle tensioni del guadagno, del piacere, del successo. E non ci preoccupiamo affatto che intanto stiamo andando «là dove tutti sono incamminati» (Gv. 23, 14), verso l'eternità. Le realtà terrene, gli affari temporali, la salute del corpo, le cose materiali ci schiavizzano, ci addormentano in un letargo spirituale che può essere fatale. Gesù ci ha raccomandato più volte nel Vangelo di farci trovare spiritualmente svegli e operosi per il Regno dei Cieli: «Beati quei servi che il padrone al suo arrivo troverà desti!» (Lc. 12, 37).

Essere «desti», essere «pronti» significa soprattutto vivere in grazia di Dio, evitando il peccato mortale o chiedendo immediatamente perdono e confessandosi al più presto se si ha la disgrazia di cadere. San Giovanni Bosco diceva ai suoi giovani di andarlo a svegliare anche alle due di notte per confessarsi subito quando cadevano in peccato mortale. Questa deve essere la prima e assoluta preoccupazione di ogni cristiano: in qualunque momento la morte arrivi con la sua inesorabile «falce» (Ap. 14, 14), mi deve trovare in grazia di Dio. Come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica, la morte «per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione» (n. 1006).

La grazia di Dio è come l'olio delle lampade nella parabola evangelica delle dieci vergini. Le cinque vergini prudenti, che avevano l'olio nelle lampade, entrarono con lo Sposo alle nozze; le cinque vergini stolte, invece, furono escluse dalle nozze perché avevano le lampade senz'olio. «Non vi conosco» fu la parola terribile che il Signore disse loro (Mt. 25, 1-13). Pensiamo, invece, alla morte di san Benedetto. Quanto sentì giunto il momento del passaggio all'altra vita, il santo Patriarca volle essere sostenuto ai piedi da due monaci, e stava proprio così, con le braccia sollevate, nell'atto di «andare incontro allo sposo» (Mt. 25, 6).


«Nell'ora della nostra morte»

Dalla Madonna dobbiamo ottenere la grazia di una buona morte. Questa grazia è così importante che la Chiesa ce la fa chiedere ad ogni Ave Maria: «Prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte». Beata la morte di chi ha amato Maria, di chi invoca Maria! Santa Maria Maddalena Sofia Barat diceva che «la morte di un vero devoto di Maria è il balzo di un bambino tra le braccia della Madre». E san Bonaventura ha scritto che morire «con la pia invocazione della Vergine è segno di salvezza».

Quando san Giovanni Bosco ebbe l'apparizione di san Domenico Savio morto qualche giorno prima, volle fargli queste domande: «Dimmi, Domenico, quale fu la cosa più consolante per te in punto di morte?»
- «Don Bosco, indovini lei!».
- «Forse il pensiero di aver custodito bene il giglio della purezza?» - «No».
- «Forse il pensiero delle penitenze fatte durante la vita?» - «Neppure questo».
- «Allora sarà stata la tua coscienza tranquilla da ogni peccato?» - «Questo pensiero mi giovò; ma la cosa più consolante per me nell'ora della morte fu il pensare che ero stato devoto della Madonna!... Lo dica ai suoi giovani e raccomandi con insistenza la devozione alla Madonna».


Fioretti

- Offrire la giornata per i moribondi.
- Vivere come se fosse l'ultimo giorno di vita.
- Leggere e meditare la parabola delle dieci vergini (Mt. 25, 1-13).
S_Daniele
00mercoledì 5 maggio 2010 13:31
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Quinto giorno

5 MAGGIO - IL GIUDIZIO DI DIO


La meditazione sul Giudizio di Dio è così salutare all'uomo che sant'Agostino arrivava a dire: «Se i cristiani non sentissero altra predicazione che quella sul Giudizio di Dio, questa sola basterebbe a far loro osservare il Vangelo e vivere santamente in grazia».

E davvero: non cambierebbero forse tanti nostri comportamenti, se spesso avessimo il coraggio di chiederci: «come vorrei trovarmi ora al Giudizio di Dio?». Tale raccomandazione ci viene fatta anche da san Giacomo: «Parlate e operate così come fareste se già cominciaste a essere giudicati» (Giac. 2, 12).

Il Giudizio di Dio sarà un vero giudizio e glorificherà la giustizia di Dio, che «sottoporrà al vaglio ogni opera, per quanto nascosta, buona o cattiva che sia» (Eccle. 12, 14). Al Giudizio di Dio noi appariremo quel che siamo stati, senza finzioni o maschere, con tutte le nostre colpe più segrete e vergognose. Nulla sfuggirà all'occhio di Dio: neppure una fragilità, una parola oziosa (Mt. 12, 36).


Quale confusione...

Se non moriremo da santi, sarà davvero grande la confusione che proveremo. San Girolamo scrisse che gli veniva da tremare in tutto il corpo quando pensava al Giudizio di Dio e alle sue sanzioni.

«Alla fine dell'anno scolastico - scrisse il servo di Dio Dolindo Ruotolo - ogni alunno si presenta agli esaminatori per essere interrogato... Analogamente avviene per l'anima: quella peccatrice e ostinata nel male è condannata all'Inferno; l'anima mediocre è mandata nel Purgatorio, a riparare ed espiare i suoi falli; l'anima del tutto pura è accolta nella gloria e nella felicità del Paradiso».

Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che «ogni uomo, fin dal momento della sua morte, riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre» (n. 1022).

Ricordiamo sempre, quindi, l'ammonizione di Gesù: «Vegliate e pregate in ogni tempo, affinché siate degni di scampare ai futuri castighi, e possiate comparire senza timore davanti al Figliuolo dell'uomo» (Lc. 21, 36).

Al Giudizio di Dio ci sarà il vero «rendiconto» (Lc. 16, 2) inappellabile e giustissimo. E sant'Agostino ci dice che il demonio sarà il peggiore accusatore della nostra anima (cf. Ap. 12, 10).

«Signore - dirà il demonio - quest'anima non ha osservato i comandamenti della tua legge, ma della mia. Dammela, dunque, perché mi appartiene».

Oseremo appena balbettare: «Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; la tua legge è troppo dura...».

«Non è vero, non è vero! - ci insulterà il demonio -
Io ti facevo lavorare anche di domenica, mentre la legge di Dio ti concedeva il riposo. E tu lavoravi per me.

Io ti facevo bere vino, anche quando non avevi più sete, e ti faceva male; con l'ubriachezza ti abbassai al di sotto delle bestie.

Io ti comandavo di ballare, e tu, stanco da sei giornate di lavoro, ti sfinivi a ballare per farmi ridere.

Io ti suggerivo un appuntamento equivoco, e tu lasciavi i tuoi anche se faceva freddo o pioveva o nevicava.

Io ti dicevo di sprecare nei vizi tutti i tuoi sudori della settimana; e tu, che avevi paura di dare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi, con gli amici, il sostentamento della tua famiglia.

Altro che leggero il mio giogo! Eppure, tu l'hai preferito a quello di Dio...
».


A chi ricorreremo?

Il Giudizio di Dio siamo noi stessi a prepararcelo con la nostra vita. Quale sarà stata la nostra vita, tale sarà il Giudizio di Dio. «A ciascuno verrà reso secondo il suo operato», ci dice Gesù (Mt. 16, 17).

Ma se il nostro operato non sarà stato conforme al Vangelo, ossia tutto amore a Gesù e ai fratelli (Mt. 25, 31-46), a chi mai potremo ricorrere in quell'attimo che sarà fulmineo come un «batter d'occhio» (1 Cor. 15, 52)?

È prima di allora, è adesso che noi dobbiamo provvedere ad ottenere un giudizio di salvezza. «Adesso è il tempo propizio» (2 Cor. 6, 2), è il tempo della misericordia. Fin che siamo in vita possiamo ottenere l'abbondanza della misericordia, ricorrendo alla Madonna «Madre di misericordia», come la invochiamo nella Salve Regina. E sarà una grazia speciale se nei momenti estremi della vita potremo ricorrere a Lei, andando «con fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia» (Ebr. 4, 16).

San Massimiliano M. Kolbe diceva che se anche avessimo già un piede nell'inferno, purché invochiamo l'Immacolata, Ella ci otterrà la salvezza eterna.

San Gabriele dell'Addolorata, sul letto di morte, nella sua agonia, subì assalti demoniaci. Lo si vide agitarsi un poco. Il confessore lo benedisse, e pensò che volesse cambiare posizione. «No - sussurrò il Santo - cerco l'immagine della Madonna». L'immagine stava sul letto, ma fra le pieghe della coperta. Appena gliela diedero, egli si rasserenò, la guardò con amore e disse: «Mamma mia, fai presto».

Anche san Camillo de Lellis sul letto di morte venne assalito dai ricordi delle colpe commesse nella sua disordinata gioventù. Il Santo si fece portare un quadro del Crocifisso con la Madonna ai piedi della Croce e con passione ardente pregò la Vergine Addolorata Corredentrice di intercedere per lui. Morì, contemplando serenamente la Madre delle misericordie.

Sia concesso anche a noi di presentarci al Giudizio di Dio contemplando la celeste Mamma!



Fioretti

- Chiedermi spesso: «Come vorrei trovarmi al Giudizio di Dio?».

- Pregare la Madonna di prepararci Lei al Giudizio di Dio.

- Meditare la pagina del Vangelo di san Matteo (25, 31-46) e compiere qualche atto di carità.
Caterina63
00giovedì 6 maggio 2010 09:41
Domenica 2 maggio il Santo Padre, Benedetto XVI, si è recato Pellegrino alla Sindone e nella sua visita Apostolica alla Città e alla Diocesi, ha espresso un Regina Caeli davvero stupendo, profondo e meraviglioso...

Forse non molti si sono resi conto delle parole che il Papa ha usato per esprime una delle catechesi più belle su Maria...

All'inizio del Regina Caeli il Papa ha prima così pregato:

Veglia, o Maria, sulle famiglie e sul mondo del lavoro; veglia su quanti hanno smarrito la fede e la speranza; conforta i malati, i carcerati e tutti i sofferenti; sostieni, o Aiuto dei Cristiani, i giovani, gli anziani e le persone in difficoltà. Veglia, o Madre della Chiesa, sui Pastori e sull’intera Comunità dei credenti, perché siano "sale e luce" in mezzo alla società.

*********

il resto del testo catechetico le troverete nel video....
Buona meditazione!

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
movrosar@tin.it

P.S.
Il canto di sottofondo vuole essere un omaggio a Claudio Chieffo, innamorato di Maria Santissima Le dedicò questo canto: Stella del mattino.


it.gloria.tv/?media=72775




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S_Daniele
00giovedì 6 maggio 2010 19:45
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Sesto giorno

6 MAGGIO - L'INFERNO


Quando a san Girolamo venne chiesto perché si fosse ritirato in una grotta a Betlem a vivere da eremita penitente, egli rispose: «Mi sono condannato a questa prigione perché temo l'inferno».

Un gigante di dottrina e di santità come san Gerolamo teme l'inferno. Noi invece, senza dottrina e senza santità, né ci preoccupiamo né vogliamo affatto pensare all'inferno.E così dimostriamo quel che siamo: poveri incoscienti.

San Paolo, rapito al terzo cielo e carico di meriti, teme di potersi dannare (1 Cor. 9, 27). Noi, invece, con una superficialità che fa spavento, crediamo di evitare l'inferno senza meriti né timori. Anzi, arriviamo a raccomandare di non parlare mai dell'inferno perché «impressiona», non curandoci neppure del fatto che Gesù nel Vangelo ha parlato dell'inferno non solo qualche volta, ma ben diciotto volte!

Come al solito, vigliacchi quali siamo, a noi piacciono soltanto discorsi allegri e dolciastri, da cristianesimo facile e facilone, a base di fatui osanna e alleluia. La Chiesa, invece, come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica, nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il «fuoco eterno» (n. 1035).


«Via da me, maledetti!»

Questa è la terrificante condanna di coloro che muoiono in peccato mortale. «Costoro andranno all'eterno supplizio» (Mt. 25, 46).

«Andranno...». All'inferno ci va soltanto chi vuole andarci. Dio ci crea tutti per il Paradiso e ci dà i mezzi per raggiungerlo. Ma ci lascia liberi di accettare o no. L'uomo che rifiuta, quindi, sa di perdere il Paradiso e di scegliere l'inferno. Egli vuole così, liberamente. Né si può fare torto a Dio perché rispetta la libertà dell'uomo!

Ma quale follia rinunciare a Dio, perdere il Paradiso, precipitarsi in quell'abisso di orrori che è la dimora dei demoni!

La visione beatifica di Dio, l'unione a Gesù e alla Madonna, la compagnia degli Angeli e dei Santi... la perdita di questi beni infiniti costituisce la pena del danno dei dannati, ossia la pena più orrenda e spaventosa che si possa concepire. Del resto, se è vero che con il peccato mortale di crocifigge di nuovo Gesù nel proprio cuore (Ebr. 6, 6), di quale supplizio «non sarà degno colui che avrà calpestato il Figlio di Dio» (Ebr. 10, 20)?


«...nel fuoco eterno»

All'inferno c'è anche la pena del senso, ossia il «fuoco eterno» (Mt. 18, 7) che fa stare i dannati «in preda ai tormenti... di una fornace ardente» (Lc. 16, 23-24).

La Geenna è l'immagine più espressiva che Gesù ha usato per raffigurare l'inferno. La Geenna è un profondo vallone su uno dei fianchi di Gerusalemme. In essa si gettavano tutte le immondizie della città, che venivano bruciate da un fuoco perenne.

L'inferno è l'immondezaio del cielo e della terra: in esso si raccolgono tutti gli angeli ribelli e tutti gli uomini immondi, perversi e corrotti, morti in peccato mortale. Tutti bruceranno con «fuoco inestinguibile» (Mc. 9, 44), odiosi a Dio per l'eternità.

Davvero è «cosa tremenda cadere nelle mani di Dio» (Ebr. 10, 31).

Ma non si potrà forse dire che sia sproporzionata la pena eterna per le colpe dell'uomo? No, perché «come la ricompensa sta al merito - scrisse san Tommaso d'Aquino - così la pena sta alla colpa». Alle azioni buone corrisponde il Paradiso eterno. Alle azioni cattive (peccati mortali) l'inferno eterno.

Il ricco epulone che durante la vita aveva pensato soltanto ai «sontuosi banchetti» nei quali gozzovigliare, e il povero Lazzaro, invece, che aveva sopportato in pace le proprie sventure, lasciando che persino i cani venissero «a leccargli le piaghe», ci fanno comprendere molto bene la diversa sorte eterna che spetta agli uomini cattivi e buoni (Lc. 16, 19-31).


«Molti si dannano»

A Fatima l'Immacolata fece vedere l'inferno ai tre pastorelli. E Lucia ha descritto quella visione come meglio poteva con queste parole: «Vedemmo, come in un mare di fuoco, immersi i demoni e le anime, quasi fossero carboni trasparenti e neri, abbronzati, in forma umana, fluttuanti nell'incendio sollevato dalle fiamme che si sprigionavano da essi come nuvole di fumo e cadenti da ogni lato, come lo sfavillare dei grandi incendi. Senza peso né equilibrio, fra urla e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano svenire dalla paura...».

«Avete visto - disse la Madonna - l'inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori? Per salvarli, il Signore vuole stabilire la devozione al mio Cuore Immacolato».

Riflettiamo seriamente su questo richiamo della Madonna, attacchiamoci fortemente al suo Cuore Immacolato, e teniamo ben radicato in noi l'impegno di vivere sempre in grazia di Dio, pronti a tutto soffrire, pur di non commettere un peccato mortale: «Non temere coloro che uccidono il corpo, ma che non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perdere l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt. 10, 28). Se gli uomini pensassero seriamente a queste parole di Gesù, chi mai si dannerebbe?


«Come muore un dannato»

San Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, andò a visitare un moribondo miscredente, e fu accolto con insulti.

- «Vattene al diavolo, frate!... Perché non te ne vai?».

- «Perché voglio vedere come muore... un dannato!», rispose il Santo.

A queste parole il moribondo resta colpito. Ammutolisce. Intanto san Clemente invoca la Madonna con ardore. Dopo poco, si ode il moribondo singhiozzare. Infine esclama: «<Padre mio, perdonatemi. Accostatevi».

Si confessa tra le lagrime, e muore invocando Maria, Rifugio dei peccatori.

«La misericordia immensa di Maria - ha scritto san Giovanni Cristostomo - salva un gran numero di infelici che, secondo le leggi della divina giustizia, andrebbero dannati». Affidiamoci a Lei, dunque, con gran fiducia.



Fioretti

- Ripetere spesso la giaculatoria «Madre mia, fiducia mia».

- Offire la giornata per i peccatori moribondi.

- Leggere e meditare la parabola del ricco Epulone (Lc. 16, 19-31).
S_Daniele
00venerdì 7 maggio 2010 10:46
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Settimo giorno

7 MAGGIO - IL PURGATORIO


Se si muore in grazia di Dio, ma si hanno debiti di espiazione per i peccati commessi e si hanno ancora difetti di cui liberarsi per entrare puri in Paradiso, si va in Purgatorio a liberarsi dei debiti e dei difetti.

Proprio per questo esiste il Purgatorio, che è un regno temporaneo dell'oltretomba. Tutti coloro che muoiono nell'amicizia con Dio, ma non sono puri e degni per il Paradiso, vanno in quel luogo di dolorosa purificazione per tutto il tempo necessario a purificarsi.

La Chiesa insegna chiaramente questa verità: «Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene sono certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1030).

Per questo si fanno i suffragi e si prega per i defunti che si trovano in Purgatorio: perché sia affrettato il loro passaggio da quel luogo di pena al regno beato del Paradiso eterno.


È verità divina

La Sacra Scrittura ci parla, fin dalle prime pagine, dell'uso degli Ebrei di pregare per i morti. Questo uso esprime necessariamente l'esistenza delle anime defunte in un luogo che non sia l'inferno né il Paradiso, perché né i dannati né i beati hanno bisogno delle nostre preghiere.

Più espressamente ancora la Bibbia ci parla dei sacrifici per i defunti che gli Ebrei celebravano nel Tempio. Alla morte di Aronne, vennero offerti sacrifici per trenta giorni continui (Deut. 34, 8; Num. 20, 30). E Giuda Maccabeo, dopo le sanguinose battaglie, raccoglieva somme di denaro da mandare a Gerusalemme per far offrire sacrifici per le anime dei soldati caduti in guerra: «È cosa santa e salutare pregare per i defunti, affinché siano sciolti dai loro peccati» (2 Mac. 12, 46). Anche il profeta Malachia ci parla del Signore che purifica con il fuoco le anime dei figli di Levi (cf. Mal. 3, 3).

Gesù, nel Nuovo Testamento, si riferisce più di una volta al Purgatorio. Il più chiaro riferimento è quello sul bisogno di chiudere ogni conto con il nostro nemico, prima di cadere nelle mani del Giudice, che ci getterà in una prigione e non ci farà uscire se non dopo aver saldato il debito «fino all'ultimo centesimo» (Mt. 5, 25-26). Questa «prigione», è chiaro, non può essere l'inferno, da cui non si esce «in eterno», ma è il Purgatorio, come hanno interpretato i Santi Padri.

San Paolo continua l'insegnamento di Gesù dicendo che chi compie opere imperfette si salverà, sì, ma passando «per il fuoco» (1 Cor. 3, 15).

Dopo san Paolo, possiamo citare i grandi Padri e Dottori della Chiesa, sant'Agostino, san Giovanni Crisostomo, sant'Efrem, san Cipriano, san Tommaso d'Aquino, e così via. Il Magistero della Chiesa, infine, ha presentato la verità del Purgatorio come dogma di fede.


Si soffre terribilmente

In Purgatorio si soffrono le pene della purificazione secondo il bisogno di ciascuno. C'è chi ha più debiti e difetti, e chi ne ha meno. L'intensità e la durata sono su misura perfetta. Ma la qualità della sofferenza è terribile. Pena del senso e pena del danno costituiscono una sofferenza di cui sulla terra non è dato pensare l'uguale.

San Tommaso d'Aquino insegna: «La più piccola pena del Purgatorio sorpassa le più grandi pene della terra»; e ancora: «Il medesimo fuoco tormenta i dannati nell'inferno e i giusti nel Purgatorio».

Là si capirà quale cosa tremenda è l'offesa a Dio e quale riparazione esige la Sua giustizia. Per questo i Santi erano così attenti a espiare sulla terra ogni minima mancanza, anche le «parole oziose» (Mt. 12, 36). Santa Monica, sul letto di morte, a quelli che circondavano il suo letto diceva: «Pregate per me! Non vi prendete cura del mio corpo, ma soltanto dell'anima mia».


Non lagrime, ma suffragi

I defunti non hanno bisogno delle nostre lagrime, ma dei nostri suffragi. Tanto meno hanno bisogno di corone di fiori e cortei per il funerale. Quanta stoltezza, a volte, in certi cristiani! Si preoccupano e spendono senza risparmi per le solennità esterne del funerale, e non si curano o misurano la lira per far celebrare una santa Messa!

Se potessimo vedere le sofferenze delle anime purganti, con quale cura le aiuteremmo, facendo soprattutto celebrare le sante Messe, facendo Comunioni, recitando Rosari, praticando penitenze!

Una notte san Nicola da Tolentino vide l'anima del confratello defunto, fra' Pellegrino da Osimo, che lo pregò di celebrare subito una santa Messa per lui e per le anime purganti. Ma il Santo rispose che non poteva perché doveva celebrare la Messa di turno. Allora il defunto condusse san Nicola in Purgatorio. Alla vista delle pene terribili che soffrono quelle anime, san Nicola si spaventò, andò subito dal Padre Superiore e lo pregò di fargli celebrare la Messa per fra' Pellegrino e per le anime purganti. Ottenuto il permesso, la celebrazione delle sante Messe fu il suffragio più potente e salutare per quelle care anime.

Un confratello una mattina chiese a san Pio da Pietrelcina un ricordo per il papà defunto, durante la santa Messa. Padre Pio invece volle applicare la santa Messa per l'anima del papà di quel confratello. Subito dopo la Messa, padre Pio chiamò il confratello e gli disse: «Questa mattina, tuo papà è entrato in Paradiso». Il confratello rimase sbalordito e felice, tuttavia non poté fare a meno di esclamare: «Ma padre Pio, mio papà e morto trent'anni fa!». Padre Pio gli rispose con voce grave: «Eh, figlio mio, davanti a Dio tutto si paga».


La Madonna libera dal Purgatorio

San Bernardino ha chiamato la Madonna «Plenipotenziaria» del Purgatorio, perché ha nelle sue mani tutte le grazie e i poteri per liberare dal Purgatorio chi vuole.

Essere devoti alla Madonna, quindi, e ricorrere a Lei per ottenere il sollievo e la liberazione delle anime purganti deve starci davvero a cuore, se vogliamo offrire efficaci preghiere e suffragi. La Madonna stessa rivelò al beato Alano: «Io sono la Madre delle anime del Purgatorio, ed ogni ora per le mie preghiere sono alleggerite le pene dei miei devoti».

Specialmente il Santo Rosario è di una efficacia particolarissima. Sant'Alfonso de' Liguori ci insegna: «Se vogliamo aiutare le anime del Purgatorio, recitiamo per loro il Rosario, che arreca loro grande sollievo».

Un Santo che consolò molto le anime purganti con il Santo Rosario fu san Pompilio Pirrotti. Egli ebbe il dono di recitare il Santo Rosario con le anime del Purgatorio, che rispondevano ad alta voce alle Ave Maria.

Anche nelle nostre mani il Rosario sia una corona di carità verso le care anime del Purgatorio.


Fioretti

- Offrire tutta la giornata per le anime purganti.

- Santa Messa e Comunione per le anime più sofferenti.

- Un Rosario in più per le anime purganti più peccatrici.
S_Daniele
00sabato 8 maggio 2010 21:02
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ottavo giorno

8 MAGGIO - IL PARADISO


«Quel che occhio mai vide, né orecchio mai udì, né mai cuore d'uomo ha potuto gustare, questo Dio ha preparato a coloro che lo amano» (1 Cor. 2, 9).

Il Paradiso è una realtà inimmaginabile, è la pienezza di tutti i beni desiderabili, è l'estasi eterna nella visione beatifica di Dio. Perciò «il Cielo è il fine ultimo dell'uomo - insegna il Catechismo - e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva».

Santa Caterina da Siena racconta di essere stata una volta rapita alla gloria dei cieli. Quando, terminata l'estasi, tentò di parlare, non riuscì a fare altro che piangere. A chi si meravigliava, la Santa disse: «Non vi meravigliate di questo: meravigliatevi che sto ancora sulla terra, dopo aver goduto ineffabili delizie...».

Ugualmente, san Roberto Bellarmino, pensando alla felicità suprema del Paradiso, mentre un giorno guardava un quadro che raffigurava i Beati gesuiti, esclamò: «Voglio andar presto con loro! Via, via da questa vita; bisogna volar lassù con questi...».


«Venite, benedetti...»

«Credetemi - diceva san Filippo Neri - il Paradiso non è fatto per i poltroni».

In Paradiso ci vanno gli eroi dell'amore a Dio e ai fratelli. «Il Regno dei Cieli esige violenza e solo i violenti lo conquistano» (Mt. 11, 12).

Soltanto il cristiano che è eroe di bontà, di fede, di umiltà, di purezza, di obbedienza, di pazienza, di mortificazione può sperare di sentirsi dire al termine dell'esilio terreno: Vieni, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore (Mt. 25, 21).

Negli «Atti dei Martiri» è descritto il martirio di San Timoteo. Il Santo martire, piagato e torturato nella calce viva, udì gli Angeli che lo confortavano: «Alza il capo, e pensa al Cielo che ti attende!».

Purtroppo, a noi è così facile lasciarci attrarre e dominare dai beni terreni, lasciarci sedurre dalle creature e dai piaceri carnali. Perciò dobbiamo ricordare con maggiore insistenza il richiamo di san Paolo: «Cercate le cose di lassù, gustate le cose di lassù, non quelle della terra» (Col. 3, 1). Se facciamo come ci dice san Paolo, sperimenteremo anche noi la verità di questa frase di sant'Ignazio: «Oh, quanto mi pare piccola e vile la terra, quando contemplo il cielo!». E ci preoccuperemo di spingere anche altri fratelli a distogliere un po' lo sguardo dalle creature per rivolgerlo al Creatore. Sarebbe follia imperdonabile perdere i beni celesti ed eterni per i vili piaceri terreni e momentanei. Questo mondo per noi è solo una terra d'esilio, da cui dobbiamo raggiungere la nostra vera patria.

Basta riflettere un poco su questa verità per comprendere meglio anche un'altra triste realtà di questa terra: l'aborto. Con questo «abominevole delitto» (come l'ha definito il Concilio Vaticano II), non solo viene soppressa la vita di un bimbo, ma gli viene negata anche l'entrata in Paradiso: quel bimbo andrà al Limbo eterno, come ha sempre insegnato la Chiesa, perché privo del Battesimo, senza il quale non ci può essere Paradiso: «Chi sarà battezzato, sarà salvo» (Mc. 16, 16), «Chi non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel Regno di Dio» (Gv. 3, 5).


Al ciel, al ciel... con Lei

La canzoncina popolare «Andrò a vederla un dì» spinge con forza a desiderare il Paradiso per vedere la Madonna e stare sempre con Lei.

Santa Bernadetta confidò che la Madonna è talmente bella da desiderare mille volte la morte per poterla rivedere.

Una volta san Massimiliano M. Kolbe ricevette gli auguri di una rapida morte, per raggiungere presto l'Immacolata in Cielo. E il Santo rispose, ringraziando sentitamente.

San Leonardo da Porto Maurizio, apostolo ardente, arrivava a predicare dal pulpito e a chiedere preghiere ai fedeli per poter morire presto e andare a stare con l'Immacolata. Una volta su dal pulpito disse ai fedeli: «Io bramo morire per vivere con Maria. E voi recitate un Ave Maria per me. Ottenetemi la grazia di morire adesso su questo pulpito... Voglio andare a vedere Maria».

Quando si ama veramente la Madonna, il pensiero e l'aspirazione al Paradiso non danno tregua, perché è lì che la Madonna ci attende, e ci attende, diceva il santo Curato d'Ars, proprio come una Mamma che aspetta l'arrivo dei figliuoli per averli tutti intorno a sé nel gaudio eterno.


Paradiso e penitenza

Ma in Paradiso non si arriva se non «per la porta stretta e per la via aspra» (Mt. 7, 14). Ossia attraverso la penitenza.

Quando si chiedeva a san Massimiliano di moderare un po' il suo eroico e spossante apostolato per l'Immacolata, egli rispondeva: «Non è necessario risparmiarsi, mi riposerò in Paradiso!...».

Ugualmente, quando si esortava san Giuseppe Calasanzio a risparmiarsi qualcuna delle molte penitenze, il Santo rispondeva: «O Paradiso! Paradiso! Quale fortezza e alacrità tu comunichi a chi vuole entrate in te!».

Si voleva che prendesse qualche sollievo. Ma egli rispondeva: «Si può andare in paradiso anche senza passeggio. Il nostro riposo sarà in Paradiso...».

Si scoprì che portava indosso il cilizio e gli si chiese se faceva male. Rispose: «Sicuro che fa un po' male; ma per andare in Paradiso bisogna fare penitenza...».


Ci vuole la Madonna

Una cosa però ci deve consolare. Se è vero che in Paradiso non si va senza penitenza, è anche vero che per andarci per una via più sicura e più facile, bisogna andarci con Maria.

Un piccolo episodio. Una volta un Vescovo si recò da san Pio da Pietrelcina e gli portò un amico che non era uno stinco di santo. Lo presentò a padre Pio dicendogli: «Padre, questo amico vorrebbe assicurarsi un biglietto d'ingresso in Paradiso, la cosa non è facile, che cosa gli consiglierebbe, Padre?». Abbassando e scuotendo un po' la testa, con accento dolcissimo padre Pio rispose: «Eh, ci vuole la Madonna, ci vuole la Madonna».

Anche a san Bernardo avvenne una volta che andò a confessarsi da lui un grande peccatore, già sull'orlo della disperazione, perchém sconvolto da terribili peccati. San Bernardo gli parlò della divina Misericordia e gli aprì il Vangelo al passo dell'Annunciazione, là dove l'Angelo dice: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc. 1, 30). E san Bernardo commentò dicendo che Maria, «piena di grazia», ha trovato grazia per noi peccatori. Quel povero peccatore si rianimò. Dopo la confessione andò subito all'altare della Madonna e ritrovò la perfetta pace.

Se noi ameremo molto la Madonna, Ella ci donerà di giorno in giorno le grazie necessarie per vivere in maniera degna del cristiano, disponendoci via via a prepararci al Paradiso nel distacco progressivo da questa terra, fino a farci esclamare con san Giuseppe Cottolengo: «Brutta terra, bel Paradiso!».

È necessario, però, che noi amiamo la Madonna impegnandoci a far bene i nostri doveri quotidiani. Santa Bernadetta aveva avuto dall'Immacolata l'assicurazione del Paradiso, eppure si comportava in tutto con la massima perfezione, perché non presumeva di andare in Cielo senza comportarsi bene. Una volta, infatti, ci fu chi le ricordò che ella era al sicuro perché la Madonna le aveva già garantito il Paradiso. « - rispose la Santa - ma a condizione che io faccia quanto è necessario per meritarlo».

Sforziamoci perciò di vivere con gli occhi sempre fissi al Paradiso, con le mani in azione per fare sempre tutti i nostri doveri, con il cuore pieno di amore e di fiducia nella nostra dolce Mamma che ci vuole tutti in Paradiso.


Fioretti

- Fare qualche sacrificio per il Paradiso.

- Recitare i misteri gloriosi del Rosario.

- Fare l'elemosina a un povero.
S_Daniele
00domenica 9 maggio 2010 14:44
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Nono giorno

9 MAGGIO - LA VITA DI GRAZIA


La Madonna viene chiamata dall'Angelo Gabriele «piena di grazia» (Lc. 1, 28). E noi comprendiamo che «piena di grazia» significa piena di Dio.

Anche noi diciamo di noi stessi: sono in grazia di Dio o sono senza la grazia di Dio. Ossia: possiedo Dio nell'anima, o possiedo satana: «Chi non è con Me è contro di Me» (Mt. 12, 30).

Che cos'è la grazia, quindi?

È la vita divina dell'anima. Quando un'anima è in grazia di Dio è «partecipe della natura divina» (2 Pt. 1, 4). Non diventa Dio, ma è unita, è piena, è immersa in Dio: come una spugna immersa nell'acqua e ripiena di acqua. «La grazia - insegna il Catechismo della Chiesa cattolica - è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce nell'intimità della vita trinitaria» (n. 1997).

Già questi pochi pensieri possono bastare a farci comprendere la preziosità senza fine che possiede l'anima del cristiano in grazia di Dio.

Aveva certamente ragione il Papa san Leone Magno di esclamare: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità; e, diventato partecipe della divina natura, guardati dall'avvilire, con atti indegni, la tua grandezza».


L'anima... e il cane

Un giorno il santo Curato d'Ars passava, come al solito, fra due file di gente, per andare in chiesa. Improvvisamente si fermò dinanzi a un cacciatore che aveva il fucile a tracolla e il suo bel cane da caccia accanto.

Il Santo si chinò prima ad accarezzare il cane dicendo: «Che magnifico cane!».

Poi fissò per qualche istante il cacciatore, e gli disse: «Signore, sarebbe desiderabile che la sua anima fosse bella come questo suo cane!».

Così si riduce l'anima di un cristiano senza la grazia di Dio: vale molto meno di un cane!

Ma come si perde la grazia di Dio? Si perde con il peccato mortale. L'anima in grazia di Dio è simile a una lampada elettrica accesa. Con il peccato mortale l'anima diventa simile a una lampada fulminata. Non fa più luce, non serve più a niente.

Ma la grazia di Dio si può recuperarla, finché si è in vita, con il pentimento e con la Confessione sacramentale. Ed è interesse nostro non indugiare a recuperarla; perché ogni momento vissuto in peccato mortale è un momento da «figli delle tenebre» (1 Tess. 5, 5) anziché da «figli della luce» (Ef. 5, 8).

Comprendono tutto ciò i cristiani? O forse piuttosto molti non si preoccupano quasi per nulla di trovarsi in disgrazia di Dio, e continuano a vivere fra un peccato mortale e l'altro?


Umanità senza grazia

Purtroppo, a voler gettare uno sguardo anche solo fuggevole sull'umanità, per sapere se la più parte vive con la grazia di Dio, dobbiamo realisticamente ammettere che la «potestà delle tenebre» (Lc. 22, 53) e il «principe di questo mondo» (Gv. 12, 31) fanno strage della vita di grazia degli uomini.

Oggi il peccato mortale non è soltanto un fatto del singolo, ma è anche un fenomeno di massa, di costume dei popoli.

Oggi è costume, su scala pressoché mondiale, leggere stampa pornografica, vedere film bestiali, frequentare spiagge e locali scandalosi, seguire le mode indecenti, usare la pillola e i metodi anticoncezionali, avere rapporti extraconiugali e prematrimoniali, divorziare, abortire, rinnegare la Fede, professare l'ateismo, parlare con bestemmie e turpiloqui... senza nulla dire delle sopraffazioni, violenze e furti così spesso colossali.

Povero mondo! Forse mai esso con tanta evidenza si è trovato «tutto posto sotto il maligno» (1 Gv. 5, 19). Eppure «Gesù Cristo ha sacrificato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso...» (Gal. 1, 2).


La Madre della Grazia

Noi cristiani dovremmo andare santamente fieri di essere figli di Dio e di Maria, fratelli di Gesù Cristo, templi dello Spirito Santo, coeredi del Paradiso. Davvero Gesù è venuto perché gli uomini «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv. 10, 10).

E tutte queste divine ricchezze ci vengono donate con il santo Battesimo (che, per questo, è bene amministrare quanto prima ai neonati).

Sant'Ignazio martire chiamava se stesso con fierezza Teoforo, ossia portatore di Dio. E tutti i Santi hanno «glorificato e portato Dio nel loro corpo» (1 Cor. 6, 20) coltivando la vita di grazia con somma cura.

Ma chi è la Madre della divina grazia? Lo sappiamo: è la Madonna. È Lei, quindi, che ci genera alla vita divina. San Leone Magno afferma che ogni fonte battesimale è il seno verginale di Maria! Da Lei viene anche la grazia della rigenerazione, che è indispensabile a chi ha peccato mortalmente e che ha trasformato tanti peccatori in santi.

Ricordiamo, ad esempio, san Giovanni di Dio, giovane scapolo, che passava da un mestiere all'altro senza mettere mai giudizio. La Madonna lo liberò miracolosamente da un grave pericolo, apparendogli e chiamandolo a conversione: «Un giorno tu mi amavi - gli disse - torna ad amarmi e a fare vita devota. Convertiti a Dio». Il giovane fece sul serio, e si santificò. Vogliamo fare anche noi sul serio?

Per fare sul serio, rompiamola energicamente con i nostri peccati. Come è possibile che ci facciamo lusingare e sedurre da un mondo che è tutto concupiscenza? (cf. Gv. 2, 15-17).

L'esperienza di tutti i convertiti conferma in pieno questa triste realtà del mondo senza grazia tutto inganno e peccato. Soprattutto i grandi convertiti ci assicurano che la vita non ha senso, se non è vissuta per Iddio e per l'eternità.

Ricordiamo l'esperienza di una grande artista, Maria Fenoglio (in arte, Eva Lavallière), che decise di suicidarsi proprio quando era arrivata all'apice della gloria e della fama mondana.

Venne salvata in tempo, per misericordia di Dio, e fu illuminata dalla grazia. Allora comprese, finalmente, quali sono i veri valori della vita. Rinnegò la sua vita mondana, abbandonò il teatro e iniziò una vita di sacrifici sempre più ricca di grazia e di virtù. Scriveva nel suo diario: «Il mio ideale?... Gesù. La mia occupazione diletta?... L'orazione>. Il mio sport preferito?... Stare in ginocchio. Il mio profumo più caro?... L'incenso. Il mio gioiello più prezioso?... Il Rosario».



Fioretti

- Fare un atto di grande pentimento per tutte le volte che abbiamo perso la grazia di Dio.

- Ripetere spesso l'invocazione: «Madre della divina Grazia, prega per noi».

- Impegnarsi a evitare ogni occasione che mette in pericolo di perdere la grazia di Dio.
S_Daniele
00lunedì 10 maggio 2010 13:35
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Decimo giorno

10 MAGGIO - IL PECCATO


Che cos'è il peccato? È un'offesa a Dio.

Si disobbedisce ai santi voleri di Dio, e si obbediscono ai voleri della carne, del demonio, del mondo. Il peccato ci fa calpestare i Comandamenti di Dio e ci fa amare le voglie dei nostri istinti e delle nostre passioni. «Il peccato - insegna il Catechismo - è un absuo di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente» (n. 387).

Il peccato porta disordine, squilibrio, rovina, nell'uomo e nelle cose, anche se il peccatore si illude di trovare un bene nel peccato.

Basti pensare al primo peccato, quello di Adamo ed Eva. Dietro la seduzione di far diventare «come Dio», il peccato portò la rovina di tutta l'umanità e di tutto il creato (Gen. 3).

Perché il diluvio sulla terra? Per il peccato (Gen. 6 e 7).

Perché Sodoma e Gomorra incenerite? Per il peccato (Gen. 19, 1-29).

Perché Tiro, Sidone, Corazin, Cafarnao e Gerusalemme furono distrutte? Per il peccato.

Perché le guerre e le devastazioni fra i popoli?

Perché in tante famiglie c'è l'inferno?

Perché ci sono gli uomini che vanni all'inferno? Per il peccato. Sempre per il peccato.

Avevano ragione alcuni Santi a tremare al sentir solo nominare la parola peccato.


Il peccato mortale

Il peccato è mortale, se l'offesa a Dio è grave; è veniale, se l'offesa a Dio è leggera.

La sciagura più grande che possa capitare all'uomo è quella di commettere un peccato mortale. San Pio da Pietrelcina era solito esclamare «sciagurato!» a chi si accusava di una colpa mortale. Nessuna disgrazia è paragonabile al peccato mortale. Anzi, sarebbe preferibile ogni altra disgrazia.

Scrisse san Cipriano: «Osserva i guasti che cagiona la grandine alle messi, il turbine agli alberi, la pestilenza agli armenti e agli uomini, il vento e la procella alle navi... Essi non sono che una languida figura dei danni che il peccato porta all'anima nostra: esso distrugge tutti i frutti delle opere buone, corrompe tutte le nostre facoltà e guida l'uomo a morte sicura».

Faceva benissimo, perciò, il piccolo e coraggioso san Domenico Savio, a sostenere la sua bella massima: «La morte, ma non i peccati» .

La morte, infatti, è solo un fatto fisico che riduce il corpo dell'uomo a cadavere. Il peccato, invece, è un fatto spirituale che riduce l'anima dell'uomo a cadavere, fino a quando non si recupera la grazia con il sacramento della confessione. Un cristiano con l'anima cadavere: ecco la mostruosità del peccato mortale.


È spaventoso...

Per comprendere meglio la mostruosità del peccato mortale bisogna guardare al Calvario. Il peccato ha reso Gesù «l'uomo dei dolori» (Is. 53, 3), è costato la morte di Gesù sulla croce (1 Pt. 1, 19; Ap. 5, 9), ha «trapassato l'anima» della divina Madre Corredentrice (Lc. 2, 35). E chiunque commette di nuovo il peccato mortale «crocifigge di nuovo il Figlio di Dio nel proprio cuore» (Ebr. 6, 6).

Per questo, il peccato mortale fa perdere all'anima la vita soprannaturale, ossia la grazia divina, le fa perdere i meriti e le virtù infuse, lasciandole solo la Fede e la Speranza; infine, le toglie la rassomiglianza con Cristo e le imprime l'immagine del demonio. È spaventoso!

Aveva ragione santa Teresa d'Avila di dire che la visione di un'anima in peccato mortale l'atterrì al punto tale da supplicare Dio di interromperla.

Ma quanti sono i cristiani in peccato mortale, che si rendono conto di avere un'anima cadavere e di somigliare a demoni? E come possono credere di amare Dio, di amare la Madonna, se con il peccato si dimostrano «odiatori di Dio» (Rom. 1, 30) e «trapassano l'anima» della Madonna (Lc. 2, 35)?


Il peccato veniale

Non bisogna farsi ingannare. Anche il peccato veniale offende Dio e rovina l'uomo, sebbene non provochi gli effetti disastrosi del peccato mortale.

San Tommaso d'Aquino ci ammonisce: «Bisognerebbe piuttosto morire anziché commettere un solo peccato veniale»; e santa Gemma Galgani esclamava: «Mille volte la morte, piuttosto che compiere un peccato veniale».

I Santi avvertono la bruttezza del peccato veniale secondo la misura del loro amore ardente a Dio. Per questo, diceva san Giovanni Crisostomo, sono pronti a temere più un'offesa leggera a Dio, che l'inferno stesso.

Difatti, santa Caterina da Siena diceva di sé: «Vorrei essere piuttosto nell'inferno senza peccato, che trovarmi in cielo macchiata di cosa lievissima che dispiaccia al Signore...».

Come faremo noi che ci macchiamo forse ogni giorno di colpe veniali con tanta superficialità? Sappiamo stare attenti ad evitare ogni malanno fisico (anche un raffreddore), e intanto non ci curiamo dei malanni spirituali (impazienze, bugie, negligenze) che offendono Dio e deturpano l'anima.

Un giorno santa Francesca di Chantal volle mettere con le sue mani il cadavere di un lebbroso nella bara. Qualcuno tentò di impedirglielo, per timore del contagio della lebbra. Ma la Santa disse con decisione: «Non temo altra lebbra che il peccato!» . Impariamo.


La piccola Giacinta

La più piccola dei tre pastorelli di Fatima, Giacinta, fu la più ardente vittima per i peccatori. Era diventata per lei una passione: salvare i peccatori dall'inferno, offrendo sacrifici di ogni specie. E andava alla ricerca di ogni sacrificio con industria sempre nuova.

Incontrava i poverelli per la strada e dava loro la sua colazione, restandosene digiuna fino a sera; aveva una sete ardente nel mese di agosto, e rinunciava a bere ad ogni costo; il fratello Francesco raccoglieva ghiande più dolci da un albero, ed ella gli raccomandava di darle le ghiande più amare, per offrire un sacrificio; aveva un brutto mal di testa, e il gracidare delle rane le dava un forte fastidio, ma ella impedì al fratello di disperdere quelle rane, per offrire un altro sacrificio in più.

Dobbiamo imparare da questa fanciulla ad ascoltare le richieste della Madonna sulla necessità di salvare i peccatori dall'inferno, collaborando alla loro conversione con la preghiera e la penitenza.



Fioretti

- Baciare spesso a terra per la conversione dei peccatori.

- Ripetere con frequenza la massima di san Domenico Savio: «La morte, ma non i peccati».

- Ogni sera dire l'atto di dolore per il perdono dei peccati.
S_Daniele
00martedì 11 maggio 2010 14:38
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Undicesimo giorno


11 MAGGIO - IL GRANDE NEMICO


Il demonio è il grande nemico dell'uomo. È il «nemico numero uno», diceva il Papa Paolo VI.

Satana appare agli inizi del genere umano, e si presenta «fin da principio omicida, mentitore e padre della menzogna» (Gv. 8, 44-45). Riesce a far cadere i nostri progenitori Adamo ed Eva, e diventa «il principe di questo mondo» (2 Cor. 4, 4), «l'accusatore dei nostri fratelli» (Ap. 12, 10).

Con il peccato originale, quindi, «tutto il mondo è posto sotto il maligno» (1 Gv. 5, 19) e i demoni sono «i dominatori di questo mondo tenebroso» (Ef. 6, 12).

Come appaiono tenebrosi i primi eventi dell'umanità novella, a causa di questo infernale assassino, che ha «l'impero delle tenebre» (Lc. 22, 53)!

San Pio da Pietrelcina, in una lettera al suo Padre spirituale, ha accennato alla figura mostruosa di satana, visto in una visione come un essere orrendo e gigantesco, alto come una montagna nera...

San Pietro ce lo presenta con l'immagine di un leone ruggente sempre pronto a sbranarci (1 Pt. 5, 8-9). Come lo tortura l'invidia, perché noi possiamo salvarci! Egli ci vuole tutti con sé all'inferno.


«L'aurora che sorge...»

Anche una scena stupenda, però, ci appare agli inizi dell'umanità soggiogata da satana e oppressa dal peccato. Una Donna sublime, con il suo Figlio, «schiaccia la testa» (Gen. 3, 15) al serpente tentatore. L'Immacolata, vincitrice di satana, splende nelle tenebre del peccato, con il suo divin Figlio. L'Immacolata è la disfatta di satana.

La pagina del Genesi in cui Dio stesso presenta l'Immacolata è simile a un'aurora che si alza meravigliosa sulla notte dell'umanità peccatrice. L'autore ispirato del Cantico dei Cantici così esclama, rapito: «Chi è costei che s'avanza come l'aurora, bella come la luna, eletta come il sole, tremenda come esercito schierato?» (Cant. 6, 9).

Questa è l'Immacolata, la Guerriera invincibile, la Signora delle Vittorie, il terrore dei demoni.

Ci basti qui ricordare un particolare narrato da santa Bernadetta Soubirous dell'Immacolata a Lourdes. La piccola veggente vide da un lato della grotta una torma di demoni scalmanati che le urlavano grida infernali. Spaventata, santa Bernadetta alzò subito gli occhi all'Immacolata. E bastò che l'Immacolata volgesse un solo sguardo severo verso i demoni, perché questi si dessero a precipitosa fuga.

Così il demonio, di fronte all'Immacolata, dimostra di essere davvero ciò che significa il suo nome Beelzebul: un «dio delle mosche»!


Tentatori in guanti gialli

La tattica del demonio è quella di allettare i sensi e l'immaginazione dell'uomo per far prevaricare lo spirito. Si presenta come un consigliere e un servitore in guanti gialli, con offerte di beni e piaceri seducenti da guadagnare. Così fece con Eva (Gen. 3, 1-7). Così tentò anche con Gesù nel deserto (Mt. 4, 1-11) e con tanti Santi di ogni tempo: san Benedetto, san Francesco d'Assisi, santa Teresa d'Avila, il santo Curato d'Ars, san Giovanni Bosco, san Pio da Pietrelcina.

Abilissimo e scaltro com'è, egli sa servirsi di tutto per rovinarci: gli basta un'occhiata immodesta di David che guarda Betsabea (2 Sam. 11, 2-26), una golosità di Esaù che vuole un piatto di lenticchie (Gen. 25, 29-34), un attaccamento al denaro di Anania e Saffira che nascondono dei soldi (At. 5, 1-10).

Egli tenta persino di proporre cose apparentemente utili per le anime. Si sa che il santo Curato d'Ars predicava in maniera semplicissima, fecondo di grazie per le anime. Ebbene, il demonio andò da lui tutto premuroso e lo esortò a predicare in maniera dotta e difficile, assicurandogli la fama di grande predicatore.

Il Santo avvertì l'inganno, respinse l'insidia e continuò la sua predicazione facile ed efficace. Dovette pagarla, però, con molti dispetti furiosi che il demonio gli fece di giorno e di notte.


«Quattro stupidi...»

Il capolavoro dell'arte di satana è arrivare a convincere gli uomini che egli non esiste. A questo punto, è chiaro, il demonio può trattare gli uomini da veri burattini.

Una volta san Pio da Pietrelcina ascoltò una predica in cui l'oratore non faceva che chiedersi se veramente il demonio non esiste, come dicono alcuni. Soltanto alla fine l'oratore concluse affermando l'esistenza del demonio.

Dopo la predica, san Pio ammonì il predicatore dicendogli che quando si parla del demonio bisogna parlare subito della sua esistenza e della sua azione nefasta nel mondo; soltanto alla fine si può aggiungere: «Ci sono, poi, quattro stupidi che osano negare l'esistenza del demonio...».

Questi «quattro stupidi» oggi sono diventati molti, persino nella Chiesa. Tanto è vero che il Papa Paolo VI è dovuto intervenire espressamente con un discorso (il 15-11-1972) per ribadire la verità di Fede sull'esistenza di satana come persona e per constatare amaramente come il «fumo di satana» stia affumicando la Chiesa. Come insegna il Catechismo, il diavolo è «una persona: Satana, il Maligno, l'angelo che si oppone a Dio. Il "diavolo" è colui che "vuole ostacolare" il Disegno di Dio e la sua "opera di salvezza" compiuta in Cristo» (n. 2851).

Un'altra volta, san Pio da Pietrelcina disse a una figlia spirituale: «Se si potesse vedere con gli occhi del corpo quanti demoni hanno invaso la terra, non si vedrebbe più il sole!» Contro questi «impuri apostati», come li chiamava lo stesso san Pio, quale non deve essere la nostra difesa?


«Vigilate e pregate»

Gesù ci ha messo in guardia contro le insidie del diavolo. Egli ci ha insegnato le parole del Padre nostro: «non ci indurre in tentazione» (Lc. 11, 4). Egli ci ha raccomandato con cura: «Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione» (Mc. 14, 38).

La vigilanza e la preghiera sono due grandi forze dell'uomo contro il demonio. Facciamo nostra questa raccomandazione di san Pio da Pietrelcina: «Figlio mio, il nemico non dorme; all'erta con la vigilanza e la preghiera. Con la prima lo avvistiamo, con la seconda abbiamo l'arma per difenderci».

La vigilanza ci fa avvistare le occasioni pericolose (una lettura, uno spettacolo, una persona, un luogo, una voglia...); la preghiera ci dà la forza di evitare i pericoli, di fuggire le occasioni, come raccomandava san Filippo Neri.

Anche sant'Agostino insegna che il demonio è solo un cane legato, e può mordere solo chi si avvicina a lui. Alla larga, quindi! Se il demonio si fa insolente, ascoltiamo la parola di san Giovanni Bosco che diceva ai suoi giovani: «Rompete le corna al demonio con la Confessione e la Comunione».


Gli schiaccia la testa

San Massimiliano M. Kolbe ha scritto che oggi «il serpente alza la testa in tutto il mondo, ma l'Immacolata gliela schiaccia in vittorie strepitose».

Per battere il demonio nel modo più umiliante bisogna ricorrere all'Immacolata. Il demonio ha letteralmente terrore di Colei che, da sola, «è terribile come un esercito schierato» (Cant. 6, 9).

Quando santa Veronica Giuliani veniva assalita fisicamente dal demonio, non appena riusciva ad invocare la Madonna, il demonio fuggiva precipitosamente urlando: «Non invocare la mia nemica».

La preghiera mariana più forte contro il demonio è il Rosario. Una volta gli fu chiesto durante un esorcismo quale preghiera egli temesse di più. Rispose: «Il Rosario è il mio flagello!».

Se i cristiani portassero addosso e usassero spesso questo «flagello dei demoni», quante rovine, sventure e peccati in meno sulla terra!



Fioretti

- Portare indosso il Rosario e recitarlo nella tentazione.

- Offrire oggi una mortificazione della gola.

- Leggere e meditare la pagina del Vangelo sulle tentazioni di Gesù nel deserto (Mt. 4, 1-11).
S_Daniele
00mercoledì 12 maggio 2010 17:59
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Dodicesimo giorno

12 MAGGIO - L'ODIO


Sant'Ignazio di Loyola un giorno ricevette un biglietto su cui era scritto: «Vi odio tanto, che vi vorrei bruciare».

Il Santo rispose subito, d'impeto: «Anch'io vorrei bruciare voi, ma di amore divino».

Ecco l'odio e l'amore. Si oppongono direttamente. L'odio è il contrario dell'amore. «L'odio volontario è contrario alla carità», insegna il Catechismo (n. 2303). Odiare è voler male. Chi odia una persona vuole male a quella persona. Si può odiare Dio e il prossimo.

C'è l'odio di inimicizia: si odia un nemico o chi ci ha fatto del male o chi può farci del male.

C'è l'odio di abominazione: si odia soltanto il male (la disonestà, la crudeltà) che si vede in una persona. Questo odio è un atto buono.


L'odio assassino

L'odio di inimicizia nella sua radice è omicida. Realmente. È vero: molti cristiani hanno orrore anche solo a sentir nominare il quinto comandamento: «Non ammazzare». Il Confessore che chiedesse a loro se hanno mai ucciso qualcuno, sentirebbero rispondersi immediatamente un «no!» brusco e ripetuto.

Ma, forse, quasi tutti i cristiani pensano che si possa uccidere un uomo solo piantandogli un pugnale fra le costole o sparandogli un colpo al cuore. Non pensano e non si accorgono che il primo omicidio è quello che si consuma nel cuore con l'odio.

L'odio fa tendere alla distruzione dell'altro. E può arrivare anche alla violenza esterna. In ogni caso, basta l'odio nel cuore, e l'omicidio c'è già anche senza la violenza esterna. Gesù ha detto espressamente: «È dal cuore che vengono gli omicidi» (Mt. 15, 19). L'odio verso una persona è omicidio, così come il desiderio immondo di una donna costituisce già un adulterio consumato «nel cuore» (Mt. 5, 28). Che dire poi degli omicidi legalizzati con la legge dell'aborto? I bimbi più piccoli e indifesi vengono colpiti a tradimento nel grembo materno, uccisi senza battesimo, privati del Paradiso, destinati al Limbo eterno. Quale catena di sciagure opera la mano dell'omicida!

Né minore odio contro la vita e contro il «Dio non dei morti, ma dei vivi» (Mc. 12, 27) ha in cuore chi ricorre agli anticoncezionali (pillola, ecc.), che fanno commettere gli «omicidi anticipati» come sono stati definiti. Chi può misurare tutto l'odio assassino diffuso e operante nel mondo con gli aborti e con gli anticoncezionali?

Se Rachele piangeva sul suo popolo per i figli che più non erano (cf. Gen. 31, 15), quale non sarà lo strazio della Madonna di fronte all'odio omicida che imperversa su tutta la terra?

Se l'amore è la perfezione dell'uomo, l'odio è la perversione dell'uomo.


Amare soltanto

I cristiani non possono odiare nessun uomo, perché «chi dice di amare Dio, e odia un suo fratello, è un menzognero» (1 Gv. 4, 20).

Non solo: ma se «stai presentando la tua offerta sull'altare, e là ti ricordi che un tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta lì, dinanzi all'altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello, poi ritorna e presenta la tua offerta» (Mt. 5, 23-24).

I cristiani non possono odiare neppure i nemici. Debbono soltanto amarli, soffrendo: «Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono; pregate per i vostri calunniatori. A chi ti percuote su una guancia, porgi anche l'altra» (Lc. 6, 27-29).

Inutile dire che questo amore ai nemici «è la cosa più grande», come diceva sant'Agostino, ed è eroismo senza pari. Esso non corrisponde certo alle nostre tendenze naturali. Gli antichi dicevano: «occhio per occhio, dente per dente» (Es. 21, 24). Era la legge del taglione, ferrea e inesorabile. Ma Gesù intervenne e spazzò via tutto. «Voi sapete che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perché, se voi amate quelli che vi amano, quale premio meritate? Non fanno forse altrettanto anche i pagani? Siate dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt. 5, 43-48).


Il perdono cristiano

Purtroppo, noi siamo facili a recitare con le labbra le parole del Padre nostro: «...rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt. 6, 12). Ma con il cuore, quante volte non perdoniamo affatto a chi ci ha fatto del male?

Togliere il saluto, non rivolger più la parola, non voler avere più a che fare con questa o quella persona... sono cose molto frequenti tra i cristiani.

Quando san Giuseppe Cafasso voleva indurre un carcerato a deporre ogni astio contro i nemici, cercava di convincerlo a recitare il Padre nostro per l'offensore. Dopo le parole «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», il Santo lo interrompeva e gli chiedeva se le aveva dette con il cuore. Alla risposta affermativa si rallegrava con il carcerato per la generosità nel perdonare. Se invece la risposta era negativa, san Giuseppe gli diceva che ci voleva un gran coraggio a chiedere a Dio di essere duro con lui, come lui si mostrava duro con gli altri!

Così è anche per noi. Inutile appellarsi. Come perdoniamo saremo perdonati, perché Gesù ha detto: «Perdonate e vi sarà perdonato... sarà usata verso di voi la stessa misura che avete adoperato per gli altri» (Lc. 6, 37-38). Dipende solo da noi, quindi, ottenere da Dio un perdono totale.


Pretesti e scusa

Eppure, parrà incredibile, ma è verissimo che noi spesso accampiamo ogni scusa per non perdonare, pur constatando che Dio è sempre pronto a perdonare noi, che la Madonna ama costantemente noi che abbiamo una cattiveria inesauribile.

Un bravo predicatore ha messo insieme le scuse vane che di solito si portano avanti per non perdonare. Eccole.

- Io non riesco a vincere la ripugnanza che provo, nel perdonare alla tale persona...

- Esagerazione! - risponde san Girolamo - Iddio non comanda cose impossibili...

- Ma mi ha fatto tanto del male!

- Non c'è mica bisogno di perdonare a quelli che ci fanno del bene...

- Mi ha proprio rovinato, ha tentato di rovesciare la mia fortuna...

- Sia pure! Ma credete, forse, che alimentandosi in cuor vostro tanto odio, ci guadagnerete qualcosa? Per consolarvi dei mali patiti, ve ne aggiungete un altro, e gravissimo: perché Gesù ha detto chiaramente che chi non perdona non sarà perdonato...

- Ma che dirà al gente?

- Dirà che siete un cristiano!...

- Ma, e il mio onore?

- L'onore maggiore per un cristiano è di essere e comportarsi da figlio di Dio, infinitamente misericordioso.

- Ma quella persona non merita affatto il mio perdono...

- Può essere, ma il vostro perdono l'ha meritato Gesù Cristo!

- Ma quel tale profitterà del mio perdono per diventare peggiore

- Ebbene: voi diventate migliore!


Bene per male

Non solo bisogna perdonare, ma bisogna ricambiare il male con il bene. «Non farti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rom. 12, 21). Così fa Iddio, che continua a donare la vita a chi Lo offende. Così fa la Madonna, che continua ad amare chi La fa piangere.

Anche i Santi ci hanno lasciato esempi mirabili di vittoria dell'amore sull'odio.

Quando l'uccisore di santa Maria Goretti si presentò alla madre della Santa per chiederle perdono, si sentì rispondere: «E come potrei non perdonarti anch'io, se già ti ha perdonato la mia Marietta?». L'eroica vergine e martire, infatti, poco prima di morire aveva perdonato di cuore a chi l'aveva uccisa, e apparendogli dopo la morte gli disse che lo voleva con sé in Paradiso. Questa è la «vendetta» dei Santi!

Santa Giovanna Francesca di Chantal ebbe il marito ucciso durante una partita di caccia. Ella soffrì terribilmente, ma seppe talmente perdonare, che volle fare da madrina di Battesimo a un figlio dell'uccisore. Quale lezione per noi, che siamo capaci di non guardare più in faccia una persona per un semplice torto ricevuto!

San Massimiliano M. Kolbe, l'innamorato «folle dell'Immacolata», nel campo dell'odio di Auschwitz esortava i fratelli di martirio a vincere l'odio con l'amore, perché - diceva - «solo l'amore crea». Ed egli attingeva questo amore dall'Immacolata, la «Madre del bell'amore» (Eccli. 24, 24).



Fioretti

- Leggi e medita la parabola sul servo malvagio (Mt. 18, 21-35).

- Offri la giornata per tutti coloro che hanno provocato aborti o adoperano anticoncezionali.

- Recita un Rosario per un tuo nemico.
S_Daniele
00giovedì 13 maggio 2010 12:01
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Tredicesimo giorno

13 MAGGIO - LO SCANDALO


Contro lo scandalo Gesù ha detto le parole più terribili che abbia mai pronunziato.

«
Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in Me, sarebbe meglio per lui che gli si fosse appesa al collo una macina di mulino e fosse sommerso nel profondo del mare

Guai al mondo per gli scandali! È necessario che succedano scandali; ma guai a colui per colpa del quale avviene lo scandalo
» (Mt. 18, 6-7).

Perché questo linguaggio così terribile di Gesù? La risposta è semplice: perché lo scandalo è peggiore dell'omicidio. Infatti, con lo scandalo non si colpisce il corpo, ma l'anima dell'uomo, uccidendola. È un vero omicidio spirituale, è «l'assassinio delle anime - come diceva san Giovanni Crisostomo - mille volte più da temere di quello dei corpi».

Questo è l'elemento più terribile e caratteristico dello scandalo: la rovina degli innocenti, dei semplici, degli ignari del male.

Lo scandalo è scuola di corruzione, insegnamento del peccato, provocazione del male. È il peccato di uno solo che ne trascina dietro molti altri. È simile a un sasso che rotola dal monte trascinando dietro di sé tutto ciò che incontra. È come lievito di corruzione che fermenta tutta la pasta. In ogni campo: spirituale, morale, educativo. In ogni ambiente: famiglia, scuola, fabbriche, uffici. A ogni livello: individuale, sociale, culturale, economico.


«Guai al mondo!...»

Il mondo è la fucina degli scandali. «Tutto ciò che è nel mondo - dice san Giovanni - è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, superbia della vita» (1 Gv. 2, 16). E difatti, basta muoversi un po' per il mondo, e si incontrano scandali in ogni luogo e d'ogni sorta.

Si esce per le strade: ecco lo scandalo dei manifesti sconci e della pubblicità indecente.

Si entra in un cinema: ecco lo scandalo di spettacoli immondi e degradanti, da lupanare.

Si va da un rivenditore di giornali: ecco lo scandalo dei rotocalchi con illustrazioni vergognose, da stomacare; ecco i giornali, così spesso zeppi solo di chiacchiere, falsità e cronache nere o nefande.

Si entra in una casa, in un bar, in un ritrovo: ecco lo scandalo degli spettacoli della televisione, delle canzoni e canzonacce triviali, delle volgarità e litigi frequenti.

Si entra in una scuola o in una libreria: ecco lo scandalo di insegnamento falsi, con teorie aberranti, o di libri e romanzi gonfi di errori e sozzure innominabili.

Si entra in un ufficio, in un negozio, si sale su un treno, si va allo stadio o al mercato: ecco lo scandalo del turpiloquio, delle imprecazioni, delle bestemmie.

Si incontrano donne per le strade, nei luoghi pubblici, persino nelle chiese: ecco lo scandalo della moda indecente a base di minigonne, di abiti provocanti e di nudità procaci.

Che dire, poi, degli scandali così clamorosi nell'amministrazione della finanza pubblica, della giustizia, della lotta alla criminalità?

«Guai al mondo, per gli scandali!».

San Pio da Pietrelcina diceva, a proposito dei film scandalosi, che al giudizio di Dio pagheranno tutti: dal regista, agli attori... agli attacchini dei manifesti e dei cartelloni pubblicitari. Lo stesso diceva per chi porta avanti gli scandali della moda indecente, della pornografia, degli errori contro la fede e la morale.

E così sarà per chiunque coopera a qualsiasi scandalo. Gesù ha fatto ben capire che la giustizia di Dio sarà «fiammeggiante d'ira» (Sal. 69, 25) contro gli scandali.


Guai a chi scandalizza

Un peccatore scandaloso viveva indisturbato operando un gran male tra i fedeli, senza che nessuno ardisse richiamarlo.

Lo venne a sapere sant'Alfonso de' Liguori e lo fece chiamare, preparandogli un piccolo trabocchetto.

All'entrata nella camera di sant'Alfonso, il peccatore trovò a terra, sulla soglia, un grande Crocifisso che impediva il passaggio. Il peccatore restò perplesso; ma sant'Alfonso lo incoraggiò: «Passate, passate pure sul corpo di Gesù; non è mica la prima volta che lo calpestate! L'avete fatto tanto spesso con i vostri scandali!».

Quel signore rimase vivamente colpito dalle parole del Santo. Si raccolse in silenzio, pianse e cambiò vita.

Chi scandalizza calpesta le membra di Gesù. Lo scandaloso è un pericolo pubblico. Bisogna salvarlo o bisogna fuggirlo. San Paolo ammoniva il Vescovo Timoteo: «Riprendi pubblicamente quelli che commettono colpe in pubblico» (1 Tim. 5, 20).

Non bisogna aver paura. È solo un'opera buona che si compie. E se si adopera l'energia unita alla discrezione, nulla andrà perduto dinanzi a Dio nello sforzo di bene tentato.

San Roberto Bellarmino, una volta, durante la visita a un principe romano, vide nella sala d'aspetto alcuni quadri con figure di persone quasi nude. Durante il colloquio con il principe non accennò per nulla a tale cosa. Ma nel salutarlo gli disse con tutta amabilità: «Vorrei ancora raccomandare a Vostra Altezza alcuni poveretti che non hanno vesti per coprire la loro nudità».

Il principe si disse subito disposto ad aiutare; e san Roberto, additandogli i quadri appesi alle pareti, disse: «Ecco i poveretti ignudi, che stanno soffrendo molto freddo...».

Il principe comprese e diede subito ordine di togliere quei quadri indecenti.


Difesa dagli scandali

Dobbiamo difenderci dagli scandali. «Sappi che cammini in mezzo ai pericoli» (Eccli. 9, 20), ammonisce lo Spirito Santo. E quindi bisogna usare ogni cautela per non incapparci.

Le cose più necessarie sono quelle raccomandate dalla Madonna a Fatima: la preghiera e la mortificazione

La preghiera ci ottiene le grazie necessarie per evitare i pericoli, per tenerci elevati e uniti a Dio nostra forza e alla Madonna nostro rifugio.

La mortificazione fa dominare i sensi e frenare gli appetiti della nostra concupiscenza che il mondo cerca continuamente di aizzare con i suoi scandali.

Dobbiamo essere generosi con la mortificazione. Gesù non è affatto tenero a riguardo! Ascoltiamo: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, strappalo e gettalo via da te: è meglio per te che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te; perché è meglio che uno dei tuoi membri perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo vada nella Geenna» (Mt. 5, 29-30).

Facciamo come facevano i Santi. San Francesco d'Assisi camminava per le strade con gli occhi bassi, non solo per evitare i pericoli, ma faceva la «predica del buon esempio», come diceva lui.

San Giuseppe Cafasso raccomandava ai suoi figli spirituali di camminare per la strada con grande modestia, perché «la strada del mondo è tracciata lungo un precipizio». Che direbbe delle strade di oggi?

Contro la tentazione di guardare gli «scandali» dei rotocalchi, dei romanzacci, degli spettacoli della televisione, ricordiamo quest'altro esempio.

L'angelico san Domenico Savio, passando per una piazza dove c'erano le giostre, camminava sempre modesto e raccolto. Un compagno gli disse: «Domenico, perché non guardi anche tu i giochi del circo e delle giostre?».

Domenico rispose: «Voglio conservare puri i miei occhi per contemplare meglio la Madonna in Paradiso».

Che risposta!



Fioretti

- Offri la giornata per gli scandalosi.

- Esamina bene se c'è qualcosa da eliminare fra le tue cose.

- Cammina con modestia per evitare pericoli.
Caterina63
00giovedì 13 maggio 2010 23:48
Il Rosario: storia e devozione
di P. Angelico Iszak o. p.

Il Rosario non nacque in modo miracoloso.

Secondo Alano de la Roche o.p. (†1475), il primo a prediccare il Rosario sarebbe stato S. Domenico, fondatore dell'Ordine dei frati predicatori; egli l'avrebbe ricevuto per rivelazione dalla Madonna stessa. Molte persone, sia private sia rivestite di autorità, e diversi documenti ufficiali continuano, da allora, a ripetere l'affermazione di Alano.
È vero che la nascita e la diffusione di questa forma di devozione deve molto allo spirito di S. Domenico, incarnato nei suoi figli.
Esso però non nacque in modo miracoloso per una rivelazione...

Se vuoi saperne di più clicca qui:

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
movrosar@tin.it

Ringraziamo di cuore Carlotta Santandrea [SM=g1740722]
per la sua amicizia attraverso la realizzazione della musica e delle parole che animano questo video e per le quali siamo allettati ad approfondire la conoscenza di san Domenico e la pratica antica, eppur sempre nuova, del santo Rosario...
www.carlottasantandrea.it


Cliccate qui per il video

it.gloria.tv/?media=74823




[SM=g1740738]


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

Vilucchio.
00venerdì 14 maggio 2010 00:08
Sono molto belle qte meditazioni inserite da Daniele e da Tea.
S_Daniele
00venerdì 14 maggio 2010 16:46
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Quattordicesimo giorno

14 MAGGIO - LA BESTEMMIA


«L'anima mia magnifica il Signore» (Lc. 1, 46). Quando l'anima della Madonna si è aperta, per un solo spiraglio, ci ha donato un inno di gloria e di amore, che rivela come Ella fosse piena di Dio e sua perfettissima «lode di gloria» (Ef. 1, 12). All'opposto sta un'altra anima: quella del bestemmiatore. Anche qui, la bestemmia viene dal di dentro, e rivela l'assenza di Dio nell'anima e l'oltraggio al dovere di coltivare la gloria di Dio.

La bestemmia è un terribile peccato mortale, una gravissima ingiuria che si fa a Dio, alla Madonna, ai Santi, a ciò che è sacro. La bestemmia, insegna il Catechismo, «consiste nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio... contro la Chiesa di Cristo, i Santi, le cose sacre» (n. 2148).

San Girolamo arriva a dire che «ogni peccato è leggero se si paragona alla bestemmia».

Certo che con la bestemmia ci si rivolta contro Dio, si dà scandalo, si provoca «l'ira di Dio» (Col. 3, 6) e la sciagura della perdita della grazia di Dio.

San Pio da Pietrelcina definiva la bestemmia «la lingua del diavolo», e se ne affliggeva talmente all'udirla che così scriveva al suo Padre spirituale: «Quanto soffro, Padre, nel vedere che Gesù non viene curato dagli uomini, ma quel che è peggio anche insultato e, più di tutto, con quelle orrende bestemmie. Vorrei morire o almeno diventar sordo, anziché sentire tanti insulti che gli uomini fanno a Dio».

Quale delirio mentale afferra gli uomini spingendoli a bestemmiare? La bestemmia è una empietà ispirata da satana ed è scostumatezza da dementi. Non si può spiegare altrimenti.


Piuttosto il martirio

Quanti martiri hanno accettato il martirio cruento, piuttosto che bestemmiare? Quale gloria per la fede cristiana!

Quando san Policarpo, nobile vegliardo, vescovo di Smirne, venne mandato al supplizio, sentì chiedersi dal proconosole romano: «Maledici il tuo Cristo e io ti lascerò libero».

Prima di rispondere, san Policarpo alzò gli occhi al cielo, poi disse: «Sono ottant'anni che io servo il mio Signore Gesù Cristo, e in tutto questo tempo Egli non mi ha fatto che del bene; e ora lo dovrei bestemmiare? Egli è il mio Dio, il mio Salvatore, il mio sommo Benefattore...».

Affrontò la morte con intrepido coraggio. E fu morte splendida davanti a tutti.

Quasi lo stesso capitò all'ardente vergine santa Apollonia. Le avevano già estratto violentemente i denti; poi volevano che pronunciasse empietà e bestemmie, altrimenti l'avrebbero gettata in un rogo già pronto. A queste condizioni, la Santa non attese neppure di essere gettata. Si divincolò e si gettò ella stessa spontaneamente nel fuoco!


L'obbligo di correggere

Sant'Agostino dice che «i bestemmiatori di Cristo regnante nei Cieli non sono meno colpevoli di quelli che altra volta lo crocifissero sulla terra». Da ciò scaturisce l'obbligo di riprendere e correggere chiunque abbia questo maledetto vizio. «Noi dobbiamo sopportare con pazienza le ingiurie che ci si fanno; ma quando dinanzi a noi una bocca sacrilega vomita bestemmie contro Dio, lungi dall'essere pazienti, dobbiamo resistere all'empio e condannare la bestemmia, senza nascondere la nostra indignazione».

Anche a san Pio da Pietrelcina fu chiesto se bisognava riprendere chi bestemmiava, ed egli rispose: «È santissimo e giustissimo». Non bisogna dispensarsi da un dovere che deve stare a cuore a tutti, perché la bestemmia è un delitto anche sociale. «Per la bestemmia - scrive san Giovanni Crisostomo - vengono sulla terra carestie, terremoti, pestilenze e guerre». E padre Pio ribadisce: «La bestemmia attira i castighi di Dio, le malattie, le disgrazie, le sventure»; «... ci toglie il pane»; «pulisce la cenere dal focolare...», «fa perdere grazie importanti che stavano per arrivare». Per questo egli era esigente ed energico. I bestemmiatori li mandava via spesso senza assoluzione, investendoli a volte con espressioni terribili come queste: «La bestemmia è il diavolo sulla tua lingua»; «attiri l'inferno sulla tua anima».

La bestemmia è un mistero di iniquità.


«Bestemmieresti tua madre?»

Un giorno san Massimiliano M. Kolbe, per una via di Roma, udì un uomo lanciare una terribile bestemmia contro la Madonna.

San Massimiliano fremette dentro di sé, si avvicinò subito a quell'uomo e gli disse con le lagrime agli occhi: «Perché bestemmi la Madonna?... Bestemmieresti tua madre?». A quelle lagrime e a quelle parole il bestemmiatore si ravvide, chiese scusa e promise di non farlo più. Se amiamo veramente la Madonna, come dobbiamo tenerci a farla rispettare! È nostra Madre! E quando non si può o non si riesce ad ottenere la correzione del bestemmiatore, bisogna che almeno si faccia un po' di riparazione per le bestemmie.

Alessandro Manzoni racconta un piccolo episodio capitatogli a Milano. Una sera d'inverno, per le vie piene di neve, egli udì un'orribile bestemmia detta da uno spalatore. Sgomento e triste, il Manzoni volle entrare subito in una chiesa e riparare con la preghiera per quella bestemmia. E qui vide un'altra scena inaspettata e bellissima. Vicina al Tabernacolo, una bambina mandava baci a Gesù con la sua manina.

Il Manzoni guardò con tenerezza, poi si nascose il volto fra le mani e pianse.

A scuola da sant'Alfonso impariamo il dovere della riparazione, ricordando la sua visita a Gesù Eucaristico e alla Madonna, con quelle belle e significative parole: «Io saluto oggi il vostro amabilissimo cuore... per compensarvi di tutte le ingiurie che avete ricevuto...».

Dai Santi impariamo a riparare subito ogni bestemmia che udiamo, almeno con qualche giaculatoria detta con amore.

Alla Madonna, poi, chiediamo che riempia anche l'anima nostra della gloria di Dio.



Fioretti

- Recita con amore il Magnificat.

- Offri la giornata per i bestemmiatori.

- Ripara le bestemmie correggendo chi bestemmia o recitando molte giaculatorie.
S_Daniele
00sabato 15 maggio 2010 22:14
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Quindicesimo giorno

15 MAGGIO - LA BUGIA


Chi non sa che la bugia è uno dei peccati più comuni fra gli uomini? Con quale facilità, purtroppo, si dice o si fa intendere all'altro una cosa per un'altra! Nel commercio o nell'ufficio, in famiglia o a scuola, al mercato o in fabbrica: quante bugie, slealtà o sotterfugi! Chi potrà numerarle, se non Dio solo?

D'altra parte si è molto superficiali nel considerare la bugia come peccato da poco. E quindi non ci si preoccupa tanto di dir bugie ad ogni occasione di comodo.

Si dirà che sono soltanto bugie di scusa o bugie senza danno o bugie utili ad evitare un male.

Ma san Pio da Pietrelcina diceva che «le bugie di scusa sono la giaculatorie del diavolo»; e ad una penitente che gli chiedeva:

- Padre, le bugie di scusa non si dicono?

Egli rispose seccamente: - No!

- Ma, padre, non portano danno!

- Se non portano danno agli altri - ribatté san Pio - lo portano all'anima tua: Dio è verità!


È figlia del diavolo

«Il diavolo è bugiardo, è padre della bugia» (Gv. 8, 44). Ecco chi è il vero padrone delle nostre bugie! È lui che ci offre tutte le menzogne che noi distribuiamo di qua e di là con tanta disinvoltura. Poveri noi!

Se ci rendessimo conto di questa realtà, comprenderemmo la sensibilità dei Santi nell'opporsi con tutte le forze ad ogni menzogna, per non aver nulla a che fare con il «padre della bugia».

L'angelico ragazzo Guido di Fontgalland, prediletto della Madonna, provava un sincero orrore per ogni minima bugia.

Una volta la mamma aveva detto alla domestica: «A chiunque oggi mi voglia, dirai che sono uscita». Appena Guido udì queste parole dalla mamma, ebbe un sussulto, si voltò alla mamma e gettandole le braccia al collo disse: «Mamma, perché dici le bugie: la tua e quella della tua cameriera?... Io sarei più contento di aver male ai denti, piuttosto che dire una cosa non vera».

Meglio soffrire per la verità che godere per la menzogna. Meglio la sofferenza con Dio che il piacere con il demonio.


«Sì sì, no no»

Dio è luce di verità. Il diavolo è tenebra di menzogna. L'anima sincera è luminosa. L'anima menzognera è tenebrosa.

Noi cristiani dobbiamo essere «figli della luce» (Gv. 12, 36); Gesù ci ha detto che il nostro parlare dev'essere schietto e leale: «Sì sì, no no» (Mt. 5, 37).

Parlare con inganno mascherando la verità è l'arte malvagia del «serpente antico» (Ap. 12, 9) che ingannò Adamo ed Eva nell'Eden (Gen. 3, 17). In questo consiste la bugia: dire il contrario di ciò che si pensa con l'intenzione di ingannare.

«Non dire falsa testimonianza» (Lc. 18, 20) è il comandamento di Dio che ci mette in lotta contro «il padre della bugia». Dobbiamo essere energici per parlare sempre con verità, ad ogni costo.

San Giovanni Canzio, un prete polacco, una volta venne depredato da due briganti. Gli tolsero tutto quello che aveva nelle tasche, e gli chiesero infine: «Avete altro?». «No», rispose il Santo. I briganti se ne andarono. Ma san Giovanni Canzio si ricordò all'improvviso di aver cucito alcune monete nel vestito. Rincorse i briganti, e offrì loro anche queste. I briganti rimasero così edificati, che non solo rifiutarono, ma gli restituirono tutto quello che gli avevano tolto.


«Profanazione della parola»

Il Catechismo si dilunga, giustamente, a parlare della menzogna, presentandola sotto aspetti diversi nei suoi contenuti di peccato.

«La menzogna è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare e agire contro la verità per indurre in errore chi ha il diritto di conoscerla» (n. 2483).

«Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità» (n. 2484).

«La menzogna è una profanazione della parola, la cui funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta» (n. 2485).

«La menzogna è un'autentica violenza fatta all'altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione degli spiriti e tutti i mali che questa genera» (n. 2486).

Attenti alle bugie, dunque! Esse sono causa di tanti mali spirituali e temporali.


«Lingua d'impostura»

È vero che molte volte la verità ci costerà disagi e dolori anche gravi. È vero. Ma che cosa è ciò di fronte all'offesa a Dio? Di fronte al giudizio e ai castighi di Dio?

«
La tua lingua è come lama affilata
artefice di inganni.
Tu preferisci il male al bene,
la menzogna al parlare sincero.
Ami ogni parola di rovina
o lingua d'impostura.
Perciò Dio ti demolirà per sempre
» (Sal. 51, 4-7).

Sant'Andrea Avellino era un avvocato. Una volta nel difendere una causa, si lasciò sfuggire una lieve bugia. Era rattristato per questa debolezza, quando gli capitò di leggere questo versetto della Scrittura: «La bocca che dice menzogne uccide l'anima» (Sap. 1, 11).

Non esitò oltre. Sospinto da una grazia impetuosa, si ritirò dal mondo, si fece religioso, e divenne Santo. Fu il premio della sua delicatezza di coscienza.

Facciamo nostra questa bella massima di san Vincenzo de' Paoli: «La nostra lingua deve esprimere al di fuori le cose, come le abbiamo dentro; altrimenti, bisogna tacere».

Dire la verità, o tacere.


«La Vergine in ascolto»

Se tutti leggessimo e meditassimo la pagina dell'Epistola di san Giacomo sulla lingua, ameremmo certamente di più il silenzio e staremmo più attenti ad usare questa lingua che spesso è «un fuoco, è il mondo dell'iniquità...: è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Giac. 3, 6 e 8).

Bugie, falsità, errori, calunnie, maldicenze, offese, turpiloquio, bestemmie...: tutto passa per la lingua. E quanto spesso il nostro parlare è infetto da tali mali, senza che neppure lo vogliamo!

Guardiamo alla Madonna, invece. Quanto silenzio nella sua vita! Silenziosa e luminosa, Ella compare nel Vangelo e sta accanto a Gesù mentre «conserva tutte le parole meditandole nel suo cuore» (Lc. 2, 19).

Giustamente il Papa Paolo VI l'ha chiamata «Vergine in ascolto» (Marialis cultus, n. 17), presentandola quale modello perfettissimo della Chiesa nell'incessante rapporto con Dio, non turbato da «parole vane» (Ef. 5, 6) né profanato da «parole mendaci» (Prov. 30, 8).


Fioretti

- Leggi e medita la pagina di san Giacomo sulla lingua (Giac. 3, 1-12).

- Bacia spesso il Crocifisso chiedendogli perdono dei peccati di lingua.

- Prega la Madonna di farti dire sempre la verità o tacere, mai mentire.
S_Daniele
00domenica 16 maggio 2010 19:26
P. Stefano M. Manelli - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Sedicesimo giorno

16 MAGGIO - LA CUPIDIGIA


Perché san Massimiliano M. Kolbe voleva far amare l'Immacolata da tutti gli uomini della terra? «Per dare la vera felicità a tanti poveri fratelli, a tanti infelici che la cercano invano nelle gioie di questo mondo».

La sorgente infinita della vera felicità è Dio. Dio si è donato a noi in Gesù Cristo. Gesù si è donato a noi nell'Immacolata e attraverso l'Immacolata.

Dall'Immacolata, quindi, inizia il cammino della felicità che porta alla sorgente infinita: all'amore trinitario.

Cercare la felicità «nelle gioie di questo mondo» è illusorio, perché le gioie terrene non portano né provocano l'amore, ma la cupidigia, che è «l'avvelenamento dell'amore», come insegna san Tommaso d'Aquino.

Per questo sant'Antonio Abate distribuì tutti i suoi beni ai poveri, e se ne andò a trovare la felicità nel deserto. Già prima san Paolo aveva scolpito in una frase terribile la realtà della cupidigia dei beni terreni nell'uomo: «La cupidigia è la radice di tutti i mali» (1 Tim. 6, 10). San Bernardo incalza: «Non conosco una malattia spirituale più dura a sopportarsi, quanto la febbre dei beni terreni».

Ciò che può scacciare questa febbre è soltanto un'altra febbre: la febbre dell'amore divino.

Una volta ci fu una postulante che chiese di entrare fra le figlie di santa Giovanna Francesca di Chantal, e voleva portare con sé molte cose inutili.

La Santa di consigliò con san Francesco di Sales, che le disse così: «La lasci pure entrare con tutto quel che vuole...; quando l'amor di Dio sarà entrato in quell'anima, saprà discacciare tutto il resto...».

La misura del nostro distacco dalle cose terrene è la misura stessa dell'amore di Dio, perché come dice sant'Agostino: «più un'anima si distacca dai beni della terra, più aderisce a Dio».


«Non amate il mondo»

In una lettera scritta a un compagno di scuola, san Gabriele dell'Addolorata, dopo averlo messo in guardia contro i seducenti e fatali pericoli delle compagnie cattive, degli spettacoli, delle letture, dei divertimenti mondani, così conclude: «Dimmi, Filippo: potevo io prendermi più divertimenti e più spassi di quelli che mi son preso nel secolo? Ebbene, che me ne resta ora? Te lo confesso: null'altro che amarezza».

Ecco che cosa riserva all'uomo l'esperienza dei beni e dei piaceri terreni: «null'altro che amarezza».

Ecco che cosa riserva all'uomo l'esperienza dei beni e dei piaceri terreni: «null'altro che amarezza».

Perciò l'Apostolo san Giovanni ci ammonisce con forza: «Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!» (1 Gv. 2, 15-17).

Chi si attacca al mondo e alle sue concupiscenze, chi vive di fatuità e di frivolezze, che cosa potrà aspettarsi da Dio?

Una volta san Tommaso Moro, Gran Cancelliere d'Inghilterra, entrando nella camera di sua figlia, la trovò che si stava agghindando per una festa: per ingentilire il busto, due damigelle la tenevano saldamente legata con funi!

A vedere quel martirio sopportato per vanità del mondo, il papà, sospirando verso il cielo, disse alla figliola: «Figlia mia, il Signore ti farebbe un gran torto se non ti mandasse all'inferno, giacché tu ti affanni tanto per dannarti!».


«Nemico di Dio»

Anche il Catechismo, trattando e commentando il nono e il decimo comandamento, parla della concupiscenza della carne e della concupiscenza degli occhi, e ammonisce che «la cupidigia dei beni altrui è la radice del furto, della rapina e della frode» (n. 2534). Quante volte, infatti, per soddisfare la propria cupidigia non si ricorre a ingiustizie e soprusi, non si arriva a contese e lotte? Per un pezzo di terra, per un'eredità, per un guadagno che fa gola... si fanno lotte amare e magari violente!

San Giacomo grida ancora nella sua vibrante lettera: «Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere, e uccidete; invidiate e non riuscite a ottenere, e combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Gente infelice! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Giac. 4, 1-4).

Parole terribili! Per questo i Santi, con san Paolo, considerano ogni bene terreno come una «perdita», come «spazzatura», per «guadagnare» e «trovarsi» soltanto in Gesù (cf. Fil. 3, 8-9). Ricordiamo san Francesco d'Assisi, il quale, appena convertito, si rese conto e chiamò «follia» andare appresso alle cose vane di questo mondo. E nella sua estrema, totale, povertà, si trovò totalmente trasfigurato in Gesù Crocifisso!

Nella vita di san Filippo Neri si legge questo sorprendente episodio. Un suo figlio spirituale, ridotto in fin di vita, lo fece chiamare e gli comunicò che per testamento lasciava a lui in eredità tutti i suoi beni.

San Filippo non solo non esultò a questa offerta del moribondo, ma si mostrò afflitto per la donazione e gli disse che avrebbe pregato molto per la sua guarigione, offrendo anche la propria vita. Gli impose le mani e se ne andò. L'infermo guarì e il testamento andò in fumo!

Una sola cupidigia avevano i Santi: «Bramo morire ed essere con Cristo» (san Paolo); «mio Dio e mio tutto!» (san Francesco d'Assisi); «L'idea fissa: l'Immacolata» (san Massimiliano M. Kolbe).


Fioretti

- Fare elemosina ai poveri di qualche bene non necessario.

- Meditare i due brani di san Giovanni (1 Gv. 2, 15-17) e san Giacomo (Giac. 4, 1-4).

- Chiedere alla Madonna con il Rosario il distacco del cuore dal mondo.
S_Daniele
00lunedì 17 maggio 2010 21:48
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Diciassettesimo giorno

17 MAGGIO - IL RISPETTO UMANO


Il rispetto umano è una piaga della vita cristiana. Ed è una piaga di molti, di troppi cristiani.

Dove si vede Dio offeso, Gesù oltraggiato, la Madonna e i Santi maltrattati, bisognerebbe vedere i cristiani coraggiosi e coerenti che fanno muro in difesa e onore alla loro Fede.

Invece, quanto coniglismo e quanta viltà d'animo! Addirittura, quanto sforzo di nascondersi fra gli stessi nemici della Fede, per paura di essere scoperti e segnati a dito!

È vero che oggi, in questo mondo corrotto, in questa società scandalosa e beffarda, dominata dall'ateismo più animalesco che si possa concepire, occorre davvero gran coraggio per essere coerenti.

Ma non è forse questo un motivo in più perché i cristiani, lungi dal nascondersi, si facciano avanti a testimoniare con energia la loro fede «che vince il mondo» (Gv. 5, 4)?

Coloro che si vergognano, che hanno paura di apparire come veri cristiani, hanno più le vesti da vili traditori che da discepoli di Cristo.

Contro costoro c'è la parola tagliente e terribile di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli Angeli santi» (Mc. 8, 38).


«Pescatori e pescatrici»

Nella lotto contro il protestantesimo che rovinava la fede di tanti cristiani con le sue eresie dottrinali e morali, san Carlo Borromeo volle istituire grandi scuole di catechismo e di istruzione religiosa per il popolo. Ebbe bisogno di cristiani laici coraggiosi. Li trovò, uomini e donne. Li divise nei due gruppi dei «pescatori» e delle «pescatrici», e organizzò i giri apostolici per le case, per le strade, per i campi. Era uno spettacolo di vera fede vedere questi cristiani coraggiosi all'opera per testimoniare Gesù Cristo e annunciare il suo Vangelo puro, senza errori.

Ogni cristiano dovrebbe far suo, con fierezza, il grido di san Paolo: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rom. 1, 16). Dovunque. In casa o fuori. Negli uffici o nelle scuole. Tra gli amici e tra i nemici. «I veri cristiani - diceva san Gregorio Magno - sanno morire, ma non transigere». E dovrebbe bastare il ricordo dei gloriosi Martiri, sempre vivi nella Chiesa celeste e terrestre. La loro gloria conferma luminosamente la parola di Gesù: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc. 8, 35).


Si vergognano...

Che cosa dire, adesso, di molti cristiani che per rispetto umano mancano persino ai loro doveri fondamentali?

Si vergognano di farsi il segno della croce e di recitare qualche preghiera mattino e sera, o prima dei pasti.

Si vergognano di entrare in una chiesa a pregare, di avere una corona e di recitare il Rosario, di salutare un'immagine sacra nelle edicole.

Si vergognano di andare a Messa. Si vergognano di confessarsi. Si vergognano di ricevere la santa Comunione...

Si vergognano di riprendere chi bestemmia o profana cose sacre. Addirittura, alcuni arrivano a vergognarsi di... non bestemmiare!

Si vergognano di difendere la loro fede dagli attacchi e dagli insulti dei nemici; e magari si vergognano di essere considerati ancora cristiani... Si vergognano di non leggere stampe per sporcaccioni, di non vedere cinema immondi, di non seguire le nuove mode invereconde.

Si vergognano di rimproverare chi dà scandalo, chi offende e dileggia la morale evangelica. Arrivano a vergognarsi di opporsi all'aborto, al divorzio, alla pillola contro la vita umana. Si vergognano, si vergognano... Pare che non sappiano fare altro!


Chi non si vergogna

Ancora giovanetto, san Bernardino da Siena fu invitato una volta da uno zio a casa sua. Andò, ma vi trovò anche altre persone che nella conversazione con facilità parlavano scorrettamente. Pronto e risoluto, san Bernardino disse allo zio: «O questi signori cambiano modo di parlare, o io me ne vado via!». Lo zio avvertì gli ospiti, e il linguaggio non fu più scorretto.

Ma dovunque si trovava, san Bernardino non solo non aveva neppure l'ombra del rispetto umano, ma era lui che incuteva rispetto a tutti. Anche i suoi compagni lo sapevano bene, e se talvolta si lasciavano andare a qualche discorso non corretto, al solo veder arrivare san Bernardino dicevano fra loro: «Smettiamo, arriva Bernardino».

San Giuseppe Moscati, ugualmente, fu un cristiano pieno di luce ed esercitava un fascino indescrivibile con la testimonianza della sua fede viva. Chi voleva, poteva vederlo ogni mattina fermo e raccolto in chiesa per due ore di preghiera. Sulla cattedra, prima di iniziare l'insegnamento, esortava sempre gli studenti a innalzare la mente al «Signore Dio delle scienze» (1 Sam. 2, 3). Non appena suonava l'Angelus, interrompeva ogni discorso e anche la visita medica, invitando tutti i presenti a recitare con lui l'Angelus.

Quale forza e trasparenza di fede vissuta in lui! Altro che i meschini rispetti umani della nostra fede da vili complessati...


Non vergognarsi di Lei

«Fammi degno di lodarti, o Vergine Santa!».

Contro ogni rispetto umano, contro ogni paura o viltà, debbo e voglio lodare la Madonna, che è mia Madre.

Non solo non mi vergognerò di Lei, ma voglio difenderla e glorificarla, voglio amarla e farla amare, dovunque, con passione filiale sempre ardente.

Posso guardare a tutti i Santi, paladini di amore vibrante verso la celeste Madre e Regina. Ma guardo in particolare a san Massimiliano M. Kolbe, a questo apostolo e vittima dell'Immacolata, il quale non solo non si vergognò mai dell'Immacolata, ma volle consumarsi totalmente per Lei, fino a essere considerato esaltato e folle, anzi, fino a considerarsi da se stesso «folle dell'Immacolata».



Fioretti

- Salutare le immagini di Maria nelle edicole delle strade.

- Parlare della Madonna a casa o in ufficio.

- Fare il segno della croce prima dei pasti, magari invitando anche gli altri.
S_Daniele
00martedì 18 maggio 2010 12:22
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Diciottesimo giorno

18 MAGGIO - ERRORI E DEVIAZIONI


La Chiesa ha dovuto sempre combattere contro errori e deviazioni. Non c'è stato periodo della sua storia in cui non sia stata turbata dagli assalti di chi voleva trascinarla nei gorghi del disordine dottrinale e morale.

Satana, il grande nemico, è l'abile manovratore di una rete di insidie che tende a confondere la verità portando scompiglio e tenebre.

Gesù lo disse espressamente al suo Vicario san Pietro: «Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi come il grano» (Lc. 22, 31).

E satana ha fatto il suo perfido mestiere di anno in anno nella Chiesa e nel mondo, suscitando errori e deviazioni ininterrottamente, contraddicendosi o ripetendosi, pur di portare confusione e caos.

Difatti, anche oggi noi ci troviamo in un clima dall'aria rovente per i novelli errori e le deviazioni che stanno lacerando l'umanità e fanno gemere la Chiesa.

La Madonna lo predisse a Fatima, quando esortò con insistenza ad accogliere il suo messaggio di preghiera e penitenza, altrimenti il comunismo avrebbe «diffuso i suoi errori nel mondo».

L'umanità è lacerata dall'ateismo e dalla massoneria, che fanno avanzare paurosamente il materialismo ateo e il laicismo dissacratore di ogni valore religioso.

La Chiesa geme sotto l'imperversare di bufere devastatrici sia in campo dottrinale che in campo morale e formativo. La «bufera delle cristologie», come disse il Papa Paolo VI, si è abbattuta insieme alla bufera delle antropologie, dei pluralismi, degli ecumenismi, delle «proposte» per una morale nuova, e delle diverse teologie variamente denominate: della morte di Dio; della speranza; della liberazione; neo-positivista; areligiosa; escatologica; politica... Quale babele tenebrosa!


«Nell'ora delle tenebre»

Conseguenze? Scompiglio per le verità di Fede intaccate o negate: la Santissima Trinità, la Divinità di Gesù, l'Incarnazione del Verbo, la concezione virginale di Gesù, la Verginità della Madonna, la Corredenzione mariana, la Resurrezione di Cristo, il Sacrificio della Messa e la Presenza Reale nell'Eucarestia, l'esistenza del diavolo, dell'inferno, del purgatorio, del limbo, la necessità del battesimo, l'immortalità dell'anima, l'nfallibilità del Papa...

Scompiglio nella morale: peccato mortale pressoché inesistente per quanto riguarda atti impuri, desideri ignobili, letture pornografiche, spettacoli scandalosi, mode immonde, rapporti prematrimoniali ed extraconiugali, pillole anticoncezionali, onanismo e divorzio, omosessualità, eutanasia e aborto, turpiloquio e bestemmie; Confessione da eliminare; Comunione in peccato mortale; niente obbligo della Messa festiva; liturgia a gusto personale; fine del Rosario...

Scompiglio nella vita della Chiesa: distrutta l'Azione Cattolica, chiusi migliaia di Seminari, perdite enormi di vocazioni sacerdotali e religiose, preti, frati e suopre che rinnegano la consacrazione a Dio, Ordini religiosi tutti in declino, ribellione aperta al Sommo Pontefice, formazione di gruppi estremisti eversori, arresto quasi totale delle conversioni, profanazioni sacrileghe di chiese e altari...

Aveva ragione san Pio da Pietrelcina, che alla fine della sua vita esortava a pregare con questa giaculatoria: «O Gesù, salva gli eletti nell'ora delle tenebre». È proprio così.


Sempre con la Chiesa

«Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine» (Ebr. 13, 8).

In mezzo alle «bufere» degli errori che circolano come veleno nel sangue, teniamoci ben saldi alla Chiesa «colonna e fondamento della verità» (1 Tim. 3, 15); teniamoci bene stretti al Vicario di Cristo, unico «infallibile nella fede» (Lc. 22, 32); teniamoci ben legati ai dottori e ai santi della Chiesa, che ci insegnano «la via sicurissima per la quale... potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità» (Lumen gentium, n. 50).

Questa, solo questa è la Chiesa nostra Madre. Essa sola è la nostra difesa sicura dagli errori e dai pericoli, essa sola può presentarci la verità in tutto il suo splendore, come ha scritto il Papa Giovanni Paolo II nella meravigliosa enciclica «Veritatis splendor».

E la Chiesa, difatti, ha parlato anche oggi contro tutti gli errori dell'ora presente. Il Papa in persona o le Congregazioni della Santa Sede hanno ribattuto gli errori e hanno ribadito le sacrosante verità della nostra fede e della morale evangelica, con il rinnovato e magnifico Catechismo della Chiesa cattolica. Nulla in sostanza è cambiato né potrà mai cambiare, perché «la verità del Signore dura in eterno» (Sal. 116, 2).

L'eresia, invece, è sempre una falsa novità, perché è la corruzione di una verità. San Cipriano paragona l'eresia a un ramo tagliato dalla pianta: è condannato a inaridirsi; oppure, l'eresia è simile a un fiume separato dalla sua sorgente: seccherà in poco tempo nella terra arida. Noi vogliamo stare sempre e solo con la Chiesa.


La corbelleria più grossa

Un giorno san Pio da Pietrelcina incontrò alcuni operai che stavano lavorando in convento. Qualcuno gli disse che quegli operai erano comunisti, ma... cattolici. A questo punto padre Pio sbottò: «Comunisti cattolici!... Ma si può dire una corbelleria più grossa di questa?».

Purtroppo questa enorme «corbelleria» oggi è la bandiera di molti comunisti e di molti cattolici. Credono di mettere insieme le due cose, senza accorgersi che si escludono a vicenda.

Il vero e sincero comunista è ateo, deve essere ateo e non può non essere ateo. Altrimenti è un disonesto, è un traditore del comunismo.

Ugualmente per il cattolico. Deve essere e non può non essere credente, rinnegando ogni ateismo e ogni dottrina che non sia quella di Cristo Dio.

Evidentemente, questi fratelli non si accorgono neppure di essere dei veri traditori, hanno «lo spirito accecato» (Mc. 6, 52).

Quanto è triste ciò, se si pensa alle ricchezze sterminate di verità e di amore che il Vangelo offre all'uomo per tutti i suoi problemi! Che bisogno mai può avere il cattolico di ricorrere a chi crede ciecamente in una sola miserabile cosa: la materia?


Vincitrice delle eresie

Di fronte allo spettacolo desolante degli errori e delle deviazioni che stanno lacerando l'umanità, non dobbiamo mai scoraggiarci, noi cattolici.

Noi abbiamo la Debellatrice di satana, la Vincitrice di tutti gli errori, l'Immacolata, Colei che «schiaccia la testa» all'iniquo serpente.

Una antifona antica della Chiesa cantava così a Maria: «Tu sola, o Vergine benedetta, hai abbattuto tutte le eresie del mondo intero». Tutto sta che noi amiamo la Madonna, la preghiamo e l'imitiamo con generosità. Ella ci proteggerà e ci strapperà a tutti i pericoli. Diciamole spesso anche noi, con la filiale confidenza di san Filippo Neri: «Madonna Santa, tienimi la mano sulla testa, altrimenti mi faccio... eretico o ateo!».

In particolare, affidiamoci al suo Cuore Immacolato, perché è questo Cuore che «infine... trionferà».

Ma intanto difendiamo la Madonna dagli attacchi dei suoi nemici che oggi le stanno negando non solo il debito culto, ma anche il doveroso riconoscimento delle meraviglie che Dio ha operato in Lei (Lc. 1, 49) con la perpetua Verginità dell'anima e del corpo, con il parto verginale di Gesù, che non solo «non diminuì, ma consacrò l'integrità verginale» della sua Santissima Madre (dalla Liturgia).

Oggi è anche facile sentir gettare ombre sull'Immacolata Concezione e sull'Assunzione; si svuota di ogni consistenza la verità della Corredenzione e Mediazione universale di Maria; si riduce di molto la sua Regalità e presenza di grazia; si attaccano le forme di devozione mariana, anche le più venerande, come il Santo Rosario e il mese di maggio.

Bisogna reagire ed è doveroso difendere con passione di figli l'onore e la bellezza della nostra celeste Madre. Ricordiamo sant'Alfonso de' Liguori, che quando impugnava la penna per difendere la Madonna dagli attacchi dei nemici, piangeva a calde lagrime. Che grande cuore di figlio aveva!

E noi?



Fioretti

- Offri la giornata per i bisogni della Chiesa.

- Recita un Rosario per quelli che tradiscono la loro fede.

- Una mortificazione di omaggio al Cuore Immacolato.
S_Daniele
00mercoledì 19 maggio 2010 14:17
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Diciannovesimo giorno

19 MAGGIO - IL VICARIO DI CRISTO


Il primo figlio di Maria, dopo Gesù, è il Papa. Nessuno può togliere al Vicario di Cristo questo primo posto nel cuore della Madonna.

Se noi vogliamo amare molto il Papa, quindi, dobbiamo chiedere questa grazia alla Madonna, perché chi può amare il Papa come lo ama Lei?

Il Papa è la nostra roccia, una roccia evangelica, una roccia divina, perché creata dalla Parola viva di Gesù, Verbo incarnato: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt. 16, 18).

Giustamente, san Francesco di Sales diceva che «Gesù Cristo, la Chiesa e il Papa sono tutt'uno». È impossibile dividerli. Essi sono la «testata d'angolo» (Lc. 20, 17) dell'umanità, del mondo, dell'universo da salvare.

Per questo c'è tanta superficialità nelle parole di chi dice che accetta Gesù Cristo e la Chiesa, ma non il Papa.

Quando Napoleone tenne prigioniero il Papa Pio VII, per decidere alcune questioni sulla Chiesa, radunò egli stesso a Parigi molti Vescovi di Francia e d'Italia, e voleva che deliberassero sui punti in questione.

Ma i Vescovi rimasero in assoluto silenzio. Napoleone insistette e fece forti pressioni. Nulla. Allora cominciò a impazientirsi e a minacciare. A questo punto il più anziano dei Vescovi si alzò e disse con molta calma: «Sire, aspettiamo il Papa. La Chiesa senza il Papa non è la Chiesa!».

Soltanto il Papa, il Successore di San Pietro, insegna il Catechismo, «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (n. 882).


Non può sbagliare

Il Papa è l'unico maestro sulla terra che non possa mai sbagliare nell'insegnamento della fede e della morale.

«La fede romana - scriveva san Girolamo - è inaccessibile all'errore». Ed è per questo che san Cipriano poteva affermare: «La Chiesa di Roma è radice e madre di tutte le Chiese». Soltanto chi si trova unito al Papa è sicuro di essere nella verità infallibile di ciò che deve credere e operare per salvarsi.

È Gesù stesso che volle l'infallibilità di san Pietro: «Ho pregato perché non venga meno la tua fede» (Lc. 22, 32). È Gesù stesso che lo volle nostra guida infallibile: «Tu conferma i tuoi fratelli» (Lc. 22, 32).

Per questo il Papa è l'unico maestro universale e indefettibile; anzi, è l'unico che può «confermare la fede» dei cristiani, garantendola infallibilmente da ogni errore dottrinale e morale. In questo senso, sulla terra il Papa, ogni Papa, è il sommo teologo, il sommo biblista, il sommo moralista. Soltanto la sua parola di maestro universale è parola divinamente garantita da Cristo «Via, Verità e Vita» (Gv. 14, 6).

Per questo san Tommaso d'Aquino, chiamato «maestro del mondo», era pronto a rinunciare a qualsiasi pensiero dei grandi Santi Padri, di fronte al pensiero del Papa.


Il fiasco dell'inferno

Contro il Papato faranno fiasco non solo tutti gli uomini che volessero lottarlo, ma anche tutto l'inferno. È sempre Gesù che lo garantisce: «Le porte dell'inferno non prevarranno mai» (Mt. 16, 18).

E non solo i nemici non prevarranno, ma si sfracelleranno su questa «testata d'angolo, roccia contro cui si sbatte e pietra di rovina. Difatti, contro di essa andranno ad urtare coloro che non hanno voluto credere al Vangelo» (1 Pt. 2, 7-8).

Contro di essa andò a sbattere Lutero, l'impenitente eresiarca, che offendeva e malediceva il Papa come un forsennato: «O Papa, io sarò la tua morte!... Sì, io, papa Lutero I, per comandamento di Nostro Signore Gesù Cristo e dell'Altissimo Padre, ti mando all'inferno!...». Povero e infelice Lutero!

Contro il Papa si scagliò anche il terribile Napoleone. Il Papa, inerme, gli disse: «Il Dio d'altri tempi vive ancora. Egli ha sempre stritolato i persecutori della Chiesa...».

Sull'isolotto di sant'Elena, Napoleone ricordava queste parole, e diceva a un amico: «Ah, perché non posso gridare da qui, a quelli che hanno qualche potere sulla terra: "Rispettate il rappresentante di Gesù Cristo! Non toccate il Papa: altrimenti sarete annientati dalla mano vendicatrice di Dio. Anzi, proteggete la cattedra di Pietro!"».


«I falsi maestri»

Scrivendo a Timoteo, san Paolo insegna questa importante verità: quando non si sopporta più la sana dottrina, ci si procura «una folla di maestri» che consentono di «assecondare le proprie passioni», e che parlino di fantasie anziché di verità (cf. 2 Tim. 4, 3-4).

Ci siamo. Basta leggere certi libri di teologi ritenuti «grandi e celebri» per dare ragioni a san Paolo a occhi chiusi. E questi teologi sono davvero «una folla» e hanno messo su un mercato enorme di libri e riviste che sono pressoché tutti simili a cibi guasti, avariati o sospetti. Poveri gli incauti che ci cascanoa comprarli!

Questi teologi sono i «falsi maestri» di cui parlano con parole terribili, anzi, spaventose, san Pietro e san Paolo (cf. 2 Pt. 2, 2-11; 1 Tim. 1, 3-7; 4, 1-11; 6, 3-5; 2 Tim. 3, 1-7; 4, 1-5). Questi «falsi maestri» vengono chiamati dal Papa Paolo VI «teologi da camera» e «autoteologi», e di essi - dice ancora il Papa - è necessario «diffidare», perché fanno fare «naufragio nella fede» (1 Tim. 1, 19).


Pregare per il Papa

La piccola Giacinta di Fatima, prima della morte, ebbe dalla Madonna una visione in cui vide il Papa in mezzo a gravissime sofferenze.

La piccola veggente raccomandò con tutte le forze, da parte della Madonna, di pregare per il Papa, di soffrire con lui e per lui, che deve pascere il gregge universale (Gv. 21, 15-17).

Si sa che sempre ci sono state anime generose che hanno offerto e immolato la loro vita per il Papa. San Vincenzo Strambi, ad esempio, confessore del Papa Leone XIII, si offrì come vittima per far vivere più a lungo il Papa. E così avvenne: il Papa visse altri cinque anni, mentren san Vincenzo morì cinque giorni dopo la sua offerta.

Guido Negri, intrepido soldato, morì al fronte dopo aver offerto la sua vita per il Papa.

Noi tutti possiamo dimostrare al Papa il nostro filiale attaccamento, come lo dimostrava san Massimiliano M. Kolbe, che considerava ogni volta una grazia entusiasmante poter vedere il Papa, accostarsi vicino, baciargli la mano; come lo dimostrava san Pio da Pietrelcina, che voleva avere sempre l'immagine del Papa accanto a quella della Madonna, e poco prima di morire scrisse una lettera al Papa per rinnovargli la sua dedizione e fedeltà totale.



Fioretti

- Offrire la giornata per il Papa.

- Recitare un Rosario per il Papa.

- Fare una mortificazione per il Papa.
S_Daniele
00giovedì 20 maggio 2010 21:57
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ventesimo giorno

20 MAGGIO - SANTIFICARE LA FESTA


Sembra incredibile che si debba far fatica a ottenere dai cristiani di non lavorare la domenica (e le altre feste di precetto) per dedicarsi al Signore e all'anima propria. Non solo, ma il colmo è che si riesce a ottenere il riposo festivo e la partecipazione alla Messa soltanto da una scarsa minoranza di cristiani!

Siamo giunti ormai a questo!

Con quali conseguenze? Quelle già previste da Papa Leone XIII: «Violata la domenica, questo è il principio di tutti i mali: è la fede spenta, è l'eternità dimenticata, è Dio soppresso nella vita dell'uomo...». È il quadro mondiale della società di oggi: ateismo, materialismo, laicismo, animalismo.

Eppure, con il Concilio Vaticano II, la domenica è stata messa ancor più in onore, come giorno del Signore a benedizione e gioia dell'uomo.

Ogni domenica «i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all'Eucarestia... la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro» (Sacrosanctum Concilium, n. 106).

Ogni domenica i cristiani hanno da guadagnare per l'anima, con il nutrimento spirituale che ricevono dalla santa Messa; per il corpo, con il riposo che ristora dalle fatiche settimanali.

C'è solo da guadagnare, quindi. La domenica ricarica di energie l'anima e il corpo. È un dono di Dio. È giorno di grazia. «Questo è il giorno che ha fatto il Signore» (Sal. 117, 24).

Perciò san Tommaso Moro, il Gran Cancelliere d'Inghilterra, anche quando con la persecuzione venne messo in prigione, festeggiava la domenica facendosi portare e indossando gli abiti da festa «per piacere al Signore».


Tutti alla santa Messa

I due cardini delle festività sono la partecipazione alla Santa Messa e il riposo dal lavoro.

La partecipazione alla Santa Messa festiva non consiste soltanto nell'essere presente in chiesa durante la celebrazione, perché anche le pareti e i banchi sono presenti senza partecipare affatto...

La partecipazione alla Santa Messa deve essere attiva e sentita. Attiva, nel seguire punto per punto lo svolgersi del rito. Sentita, nell'unirsi vivamente a Gesù che si immola sull'altare fra le mani del sacerdote.

La partecipazione è piena, se si riceve anche la Santa Comunione, dopo aver debitamente purificato l'anima con il Sacramento della Confessione.

Questo è il cuore della domenica cristiana: Confessione, Messa, Comunione. Sono tre tesori di infinito valore, che arricchiscono meravigliosamente l'anima di grazia. In tal modo la domenica è veramente «il giorno del Signore» e «la festa dell'anima».

Parecchi cristiani, però, si contentano solo della Santa Messa. Perché? Come mai restano privi dei due sacramenti della Confessione e Comunione? E potrà chiamarsi davvero «giorno del Signore» una domenica senza la Comunione?... Gli antichi cristiani chiamavano la domenica anche con le due parole Dies Panis, «Giorno del Pane», perché tutti partecipavano alla Santa Messa e ricevevano Gesù Eucaristico, «pane del Cielo» (Gv. 6, 41). Non dovrebbe essere così anche oggi per tutti i cristiani?


È peccato mortale

L'obbligo della santa Messa festiva è grave. Chi non partecipa alla Messa di precetto commette peccato mortale.

Soltanto il caso di grave necessità o di vera impossibilità (una malattia) fa evitare il peccato.

Né vale ascoltare la Santa Messa per radio o per televisione. Questo è solo un atto di devozione, utile a chi è impossibilitato a recarsi in chiesa.

La santa Messa è l'atto comunitario e sociale per eccellenza: per questo è necessaria la presenza viva in seno alla comunità.

Ricordiamo sempre: per la sua importanza, la Santa Messa deve occupare il primo posto nella domenica. Tutto deve esserle subordinato e condizionato.

Quando il pio Alberto I, re del Belgio, si trovò una volta nelle Indie, gli organizzarono una splendida escursione per il giorno di domenica. Il programma dell'escursione venne presentato al re; questi lo esaminò, e disse subito: «Avete dimenticato un punto: la Santa Messa. Questo prima di tutto!».

Quale lezione per tanti nostri gitanti ed escursionisti, così pronti a sacrificare la Messa e a trasformare la domenica da «giorno del Signore» in «giorno del demonio»!

Più edificante ancora è l'esempio che danno alcuni semplici fedeli, i quali affrontano sacrifici veramente duri, pur di non perdere la Santa Messa. C'è una vecchietta che deve percorrere a piedi diverse ore di strada; c'è un operaio che può correre alla Santa Messa soltanto alle primissime ore del giorno, alzandosi ancora con le tenebre; c'è una mamma di tredici figli che in vita sua non ha mai perso una Messa festiva...


Il riposo festivo

Per lodare il Signore e dedicarsi a Lui, curando la propria anima, è necessaria l'astensione dal lavoro.

Insegna san Gregorio Magno: «La domenica si deve interrompere il lavoro e darsi alla preghiera, perché le negligenze dei sei giorni precedenti siano espiate con la preghiera di questo gran giorno...».

Se si potessero ascoltare di nuovo le prediche che il santo Curato d'Ars fece per otto anni contro il lavoro festivo, resteremmo anche noi colpiti e commossi.

Diceva il Santo: Se si domandasse a chi lavora di domenica: «Che cosa state a fare?», dovrebbe rispondere: «Sto a vendere l'anima mia al demonio, e a mettere di nuovo in croce Gesù, mi sono condannato all'inferno!...».

Proprio a quei tempi la Madonna appariva sui monti de La Salette e ammoniva: «Il Signore vi ha dato sei giorni per lavorare, riservandosi il settimo; e non volete darglielo: ecco che cosa appesantisce il braccio divino».

Purtroppo, la maledetta paura di perdere un po' di guadagno ci fa offendere Dio e la nostra anima nel modo più vile.

Possibile che temiamo di perdere, se serviamo il Signore osservando il Suo comandamento?

«Gente di poca fede! - deve dirci Gesù - cercate prima il Regno di Dio, e il resto vi sarà dato in soprappiù» (Mt. 6, 33).

Il papà di santa Teresa del Bambino Gesù aveva un negozio di orefice. Aperto tutta la settimana, il negozio era sempre chiuso nei giorni festivi. Più di qualcuno, però, gli consigliò di tenerlo aperto ogni domenica fino a mezzogiorno o almeno per alcune ore del mattino, perché venivano gli abitanti dalle campagne a fare spese per le figlie da sposare. Perfino il Confessore gli suggerì di tenerlo aperto qualche ora per combinare ottimi affari, senza offendere il precetto.

Ma il papà di santa Teresina non ne volle sapere. Preferiva rimetterci, anziché allontanare una sola benedizione di Dio sulla famiglia.

E il Signore lo fece diventare anche ricco proprio con i guadagni del negozio!


È fondamentale!

L'osservanza del terzo comandamento è fondamentale per la vita cristiana. Frequentare la chiesa, accostarsi ai Sacramenti, partecipare alla Santa Messa, ascoltare la parola di Dio: sono nutrimento vitale della vita cristiana. Privarsene significa condannarsi al deperimento fino alla rovina anche eterna.

Un venerando e zelante Vescovo francese, nel preparare la sua tomba, si fece scolpire sulla pietra queste semplici parole: «Ricordatevi di santificare le feste» perché, diceva, «questo solo mi basta: se i fedeli mi obbediranno, arriveranno certamente alla salvezza».

Aveva ragione. Chi santifica le feste si tiene in rapporto con Dio e resta di domenica in domenica sotto il suo salutare influsso e richiamo.

Per questo san Pio da Pietrelcina in Confessione era inesorabile nel battere sull'osservanza di questo comandamento, e quanti penitenti hanno dovuto buscarsi, per questo peccato, il rifiuto dell'assoluzione, scacciati bruscamente con un «vattene... sciagurato!».

La Madonna, Madre di Gesù e Madre nostra, vuol vederci almeno ogni domenica tutti riuniti attorno all'altare, attorno a Gesù. E come soffre per la lontananza di molti figli, come prega e attende!

Ella ci vuole tutti ogni domenica, per poterci un giorno avere nella domenica eterna che è il Paradiso.



Fioretti

- Offrire la giornata in riparazione dei peccati contro il terzo comandamento.

- Convincere a santificare la festa qualcuno dei parenti o amici che non la santifica.

- Meditare attentamente sulla parola di Dio della domenica.
S_Daniele
00venerdì 21 maggio 2010 19:38
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ventunesimo giorno

21 MAGGIO - LA CONFESSIONE


Il Sacramento della Confessione sta tutto nella parabola del Figliol prodigo (Lc. 15, 11-24).

Il peccato, il pentimento, il perdono: l'uomo che pecca, il peccatore che si pente, Dio che perdona. Sono tre realtà concatenate dalla misericordia di Dio.

La Confessione è il rimedio del peccato, è il conforto del peccatore, è l'abbraccio di Dio al figlio che ritorna. Non c'è Sacramento più umano di questo, perché segue l'uomo e lo solleva dalle sue debolezze e miserie quotidiane, presentandogli ogni volta il paterno volto di Dio Padre, che è felice di perdonare i figli, perché li vuole salvi: «Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta dalla sua condotta e viva» (Ez. 33, 11).


«A chi rimetterete...»

Il perdono dei peccati ci viene da Dio, ma solo attraverso i suoi ministri sulla terra: i sacerdoti.

Ad essi Gesù ha lasciato il suo mandato: «A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi li riterrete saranno ritenuti» (Gv. 20, 33). Soltanto i sacerdoti, quindi, possono assolverci dai peccati.

Quante volte? Sempre, purché si sia disposti. Nessun limite alla misericordia di Dio (Mt. 18, 22). «La misericordia divina è così grande - ha scritto san Giovanni Crisostomo - che nessuna parola può esprimerla e nessun pensiero concepirla...». Perciò sant'Isidoro ha potuto affermare con sicurezza: «Non vi è delitto così grande, che non possa essere perdonato nella Confessione».

Sia benedetto Dio nella sua infinita misericordia!

Che dire poi della gioia della Madonna, quando ci accostiamo al Sacramento della Confessione? Proprio Lei, l'Immacolata, la tutta splendente di candore e di grazia, non può che amare immensamente questo sacramento che annulla il peccato e fa splendere le anime dei suoi figli. Certamente ogni Confessione è una grazia della Maternità di Maria, che vuol vedere le anime dei suoi figli somiglianti a Lei, per la gioia di Gesù.


«Madonna mia, basta...»

La beata Angela da Foligno, da giovane, una volta si era confessata male, tacendo alcuni peccati per vergogna. Si trascinò avanti così per diverso tempo, vivendo tra rimorsi crudeli, turbamento e infelicità. Un giorno, finalmente, si scosse; si gettò ai piedi di un'immagine della Madonna e la supplicò singhiozzando:«Madonna mia, basta, io non voglio più vivere così! Oggi stesso dirò tutto al mio confessore...». Ed ebbe la grazia di farlo. Era ora! Andò avanti, poi, con una vita di penitenza tremenda, che l'aiutò potentemente a trasformarsi fino al vertice delle più alte esperienze mistiche.

Non dubitiamo mai e non esitiamo a correre dalla Madonna per ottenere la grazia della Confessione. «La grazia di una buona confessione è la base della perfezione», diceva san Vincenzo de' Paoli. Dalla Confessione si parte e si riparte per le più alte imprese dello spirito. E viceversa: la diminuzione e l'assenza della Confessione fa camminare all'indietro verso la «strada spaziosa e comoda che mena alla perdizione» (Mt. 7, 13).


«Se ti accusi, Dio ti scusa»

Sembra incredibile, eppure sono molti i cristiani che non apprezzano e rifuggono dal Sacramento della Confessione. Non avrebbero che da guadagnare, e invece non se ne curano affatto. Sono pronti ad andare dal medico per ogni piccolo malessere del corpo; trascurano, invece, la salute della propria anima come se fosse uno straccio!

Forse ignorano i grandi benefici del Sacramento o lo considerano soltanto nel suo aspetto più penale: l'accusa delle proprie miserie. È necessario, invece, considerare i grandi frutti positivi che la Confessione ci dona, riconciliandoci «con Dio e con la Chiesa», come insegna il Catechismo (n. 1484).

Nella vita di sant'Antonio da Padova si racconta che un giorno un grande peccatore andò a confessarsi dal Santo, dopo avere ascoltato una sua predica. Il pentimento del peccatore era così vivo che gli impedì di parlare per i continui singhiozzi. Sant'Antonio allora gli disse: «Va', figlio, scrivi i tuoi peccati e poi ritorna».

Il penitente andò, scrisse i peccati su un foglio, tornò dal Santo e gli lesse la lista delle colpe. Quale non fu la sorpresa, però, quando alla fine della lettura si accorse che il foglio era tornato bianco, senza più traccia di scrittura! Ecco il simbolo dell'anima che torna pura nella Confessione.

Dice sant'Agostino: «Quando l'uomo scopre i suoi falli, Iddio li vela; quando li nasconde, Iddio li scopre; quando li riconosce, Iddio li dimentica».

Ancora più efficace è san Francesco d'Assisi con questa breve frase: «Se tu ti scusi, Dio ti accusa; se tu ti accusi, Dio ti scusa». Del resto, continua sant'Agostino, «è preferibile sopportare una leggera confusione dinanzi a un sol uomo, che vedersi coperto d'indicibile vergogna dinanzi a innumerevoli testimoni nel giorno del Giudizio».

Questo stesso pensiero lo diceva spesso san Pio da Pietrelcina ai suoi penitenti. Ed è così.


I tre quadri

Per questo san Carlo Borromeo, prima di confessarsi, si fermava a meditare su tre quadri che aveva fatto mettere nella sua cappellina.

Il primo quadro rappresentava l'inferno, con i reprobi straziati orribilmente: e ciò serviva a incutere salutare timore.

Il secondo quadro rappresentava il Paradiso, con i beati estasiati di gioia; ciò gli infondeva una carica di impegno a evitare il peccato per non perdere il Paradiso.

Il terzo quadro raffigurava il Calvario con Gesù Crocifisso e l'Addolorata: ciò gli riempiva il cuore di dolore vivissimo per le sofferenze causate a Gesù e a Maria con i peccati, eccitandolo al più fermo proposito di fedeltà e di amore.

Confessarsi così significa non solo purificarsi dalle colpe, ma arricchirsi e crescere ogni volta nella vita di grazia. E pensare che san Carlo Borromeo si confessava ogni giorno!


Confessarsi ogni settimana

Se ogni Confessione è un tesoro di grazia perché lava la mia anima nel Sangue di Gesù, purificandola «dalle opere di morte» (Ebr. 9, 14), è chiaro che bisogna approfittarne con grande interesse e frequenza!

Ogni quanto confessarsi? La norma aurea della vita cristiana è la Confessione settimanale.

Molti Santi, è vero, si confessavano più volte alla settimana, e anche ogni giorno: così facevano san Tommaso d'Aquino, san Vincenzo Ferreri, san Francesco di Sales, san Pio X... Ma se non non siamo capaci di tanto, non dobbiamo però far passare settimana senza lavarci santamente nel Sangue di Gesù. Come era puntuale alla Confessione almeno settimanale san Massimiliano Maria Kolbe!

Proponiamoci seriamente anche noi questa norma e teniamoci fedelmente: ogni Confessione è una grazia della Madonna, Madre della misericordia! E se Ella a Lourdes e a Fatima ha tanto raccomandato la penitenza, ricordiamoci che la più grande e salutare penitenza è quella sacramentale: la Confessione frequente.

Soprattutto, però, dobbiamo confessarci al più presto quando avessimo la disgrazia di commettere un peccato mortale. Non contentiamoci dell'atto di dolore e non azzardiamoci a fare la Comunione senza esserci prima confessati, perché faremmo solo un sacrilegio orrendo: «si mangia la propria condanna», grida san Paolo (1 Cor. 11, 29). E sarebbe davvero follia andare a fare un sacrilegio, avendo a disposizione il Sacramento della misericordia. La Madonna non lo permetta mai!



Fioretti

- Proposito di confessarsi ogni settimana.

- Chiedere perdono di tutte le Confessioni fatte male.

- Meditare la parabola del Figliuol prodigo (Lc. 15, 11-32).
S_Daniele
00sabato 22 maggio 2010 21:10
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ventiduesimo giorno

22 MAGGIO - L'EUCARISTIA


L'Eucaristia è Gesù presente fra noi e per noi. Nell'Eucaristia c'è realmente Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Con l'Eucaristia abbiamo davvero l'Emmanuele, ossia «Dio con noi» (Mt. 1, 23).

Giustamente san Tommaso d'Aquino ci esorta a riflettere che non c'è nessuna religione sulla terra, la quale abbia il suo Dio così vicino e familiare come la Religione cristiana, con l'Eucaristia.

La cosa ancora più grande è che il Verbo Incarnato, Gesù, non solo vive fra noi, ma vuol donarsi, penetrare nel nostro cuore e farsi uno con ciascuno di noi. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui» (Gv. 6, 57).

E questo, Gesù lo vuole ogni giorno. Per questo si è fatto «Pane», perché il pane è il nutrimento quotidiano, è il sostentamento di ogni giorno, senza del quale ci indeboliamo e deperiamo.


La Santa Messa

Dove e quando Gesù si fa Eucaristia? Nella Santa Messa. Quando il sacerdote consacra il pane e il vino, si ha l'immolazione incruenta di Gesù presente realmente sull'altare nello stato di vittima.

Oh! quale divino prodigio è ogni Santa Messa, che rinnova il Sacrificio della Croce e opera il miracolo della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù immolato!

Aveva ragione sant'Alfonso de' Liguori di dire che Dio non potrebbe fare una cosa più grande della Santa Messa. Aveva ragione san Pio da Pietrelcina di dire che «la Santa Messa è infinita come Gesù!»

Per questo i Santi amavano la Santa Messa con una passione ardentissima. San Francesco d'Assisi voleva ascoltare almeno due Messe al giorno, e quando era ammalato voleva che un confratello gli celebrasse la Messa in cella.

E noi invece? Non è forse vero che tanti cristiani fanno difficoltà persono ad andare a Messa la domenica? Quanto poco si comprende questo mistero divino che è la ricchezza infinita della Chiesa! «L'Eucaristia - insegna il Catechismo - è il compendio e la somma della nostra fede» (n. 1327).

Eppure, se vogliamo amare la Madonna non possiamo dimenticare che mai siamo così vicini a Lei, come quando stiamo accanto ad un altare, su cui si rinnova il sacrificio del Calvario: «Presso la Croce di Gesù, stava Maria, sua Madre» (Gv. 19, 25). A san Pio da Pietrelcina una volta fu chiesto se c'era la Madonna durante la Santa Messa. Il Padre rispose con un tono di sorpresa: «Ma non vedete la Madonna sempre accanto al tabernacolo?».

Con la santa Comunione Gesù si dona a ciascuno di noi per nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue: «La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda» (Gv. 6, 56).

Nutrimento divino. Nutrimento d'amore. Nutrimento d'infinito valore e forza. «Beati gli invitati alla cena nuziale dell'Agnello...» (Ap. 19, 9).

Chi non mangia di questo Pane soffrirà indebolimenti e deperirà spiritualmente di giorno in girono. Gesù l'ha detto con parole chiare: «Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete la vita in voi» (Gv. 6, 54).

Per questo i Santi erano affamati di Gesù ed erano eroici nel fare qualsiasi sacrificio per non restare privi di questo «Pane di vita» (Gv. 6, 35), «disceso dal cielo» (Gv. 6, 59).

San Giuseppe Moscati faceva ogni mattina la santa Comunione. E quando doveva viaggiare all'estero per i Congressi scientifici dei medici, viaggiava di notte o scendeva dalle navi, e girava le città straniere, sempre digiuno dalla mezzanotte, in cerca di una chiesa cattolica per poter fare la santa Comunione. Egli diceva che non se la sentiva di iniziare le visite mediche se prima non aveva ricevuto Gesù.

E noi, invece? Forse abbiamo la chiesa a pochi passi, eppure non sentiamo nessuna attrazione per la santa Comunione. Siamo capaci di restare senza Comunione persino la domenica. Poveri noi! La Madonna ci illumini e ci scuota. Se la preghiamo con gioia, Ella ci darà la grazia e la forza di accostarci anche tutti i giorni alla santa Comunione, perché sulla terra non c'è cosa che faccia tanto contenta la Madonna, quanto il farle vedere Gesù dentro il nostro petto. Allora Ella ci stringe al suo Cuore nell'unico abbraccio con Gesù.


Con Gesù e per Gesù

La Santa Messa e la Comunione mi riempiono di Gesù per farmi vivere con Gesù e per Gesù tutta la giornata. Con quale frequenza, durante il giorno, l'amore di Gesù mi dovrebbe riportare all'Eucaristia!

Per questo san Francesco di Sales e san Massimiliano M. Kolbe avevano il proposito di fare una Comunione spirituale ogni quarto d'ora! Per questo i Santi cercavano ogni ora e ogni momento per correre da Gesù e stare vicino a Lui tutto il tempo possibile.

Le visite eucaristiche, le ore di adorazione, le piccole soste di preghiera accanto al tabernacolo erano la passione dei Santi. E come si industriavano! San Roberto Bellarmino, da giovane, andando a scuola passava davanti a due chiese: fra andata e ritorno, faceva quattro visite all'Eucaristia. La beata Anna Maria Taigi, madre di sette figli, usava ogni cura per fare almeno una lunga visita giornaliera a Gesù Eucaristico. Ogni Santo è una creatura d'amore e non può non sentire attrazione per il Sacramento dell'amore.


Ci vogliono i sacerdoti

Santa Gemma Galgani diceva che in Paradiso avrebbe ringraziato Gesù soprattutto per il dono dell'Eucaristia fatto agli uomini. È impossibile che Dio potesse darci qualcosa di più di Se stesso!

Ma come potremmo noi avere l'Eucaristia sulla terra senza sacerdoti? Essi, soltanto essi, sono i «dispensatori dei misteri divini» (1 Cor. 4, 1). Soltanto ad essi Gesù ha detto, dopo la prima Messa della storia, celebrata il giovedì santo: «Fate questo in memoria di me» (Lc. 22, 19).

Per questa divina missione di rinnovare il Sacrificio di Gesù, il sacerdote viene scelto solo da Dio (Ebr. 5, 4), che lo separa da tutti gli altri uomini (Rom. 1, 1) e lo consacra «ministro del tabernacolo» (Ebr. 13, 10).

Beato il sacerdote! Gli Angeli stessi lo venerano, perché egli impersona Gesù. San Cipriano dice con forza: «Il sacerdote all'altare opera nella stessa Persona di Gesù». Ma per avere sacerdoti ci vogliono le vocazioni sacerdotali. E non solo. Ci vogliono anche tutte le grazie della corrispondenza e della fedeltà alla vocazione.

Chi ci donerà tutte queste grazie? La risposta è unica: la Madonna, Mediatrice universale. Ma bisogna pregarla e supplicarla. Ella è la Madre del sommo Sacerdote; Ella è la Madre di tutti i sacerdoti. Ella ha allevato Gesù per il sacrificio; Ella alleva i sacerdoti per condurli all'altare dell'immolazione «con l'età piena di Cristo» (Ef. 4, 13).

Se abbiamo tanto bisogno di sacerdoti, quindi, ricorriamo alla Madonna, moltiplichiamo le nostre preghiere, non stanchiamoci di insistere per ottenere un bene così grande. Con la preghiera si ottengono le vocazioni, come ha detto Gesù: «Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt. 9, 38). Con la preghiera alla Madonna, le vocazioni si ottengono prima, perché Ella fa da potente mediatrice di amore e misericordia.

San Massimiliano M. Kolbe, folle di amore all'Immacolata, in meno di venti anni, con il suo amore e con la sua preghiera incessante, ottenne dalla Madonna circa mille vocazioni! O Maria, Madre e Regina dei sacerdoti, donaci molti e santi sacerdoti!



Fioretti

- Partecipare alla Santa Messa e fare la Santa Comunione con la Madonna.

- Offrire la Messa e la Comunione alla Madonna, per la Sua gioia.

- Fare una visita eucaristica per riparare gli oltraggi all'Eucaristia.
S_Daniele
00domenica 23 maggio 2010 12:23
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ventitreesimo giorno

23 MAGGIO - LA PREGHIERA


Le due ultime più grandi apparizioni della Madonna sulla terra sono state quelle di Lourdes e di Fatima. Ambedue ci hanno portato un messaggio identico e forte: Preghiera e Penitenza.

La Madonna punta dritta all'essenziale: anzitutto la Preghiera. Ella chiede, raccomanda e insiste sempre su questo punto, sia a Lourdes che a Fatima. Le cose andranno bene se si prega; andranno male se non si prega. La preghiera è la grande arbitra dei nostri destini. Se è assente essa, tutto va a rotoli. «Chi non prega, certamente si danna», diceva sant'Alfonso. E sant'Ambrogio affermava che se «la vita dell'uomo è una battaglia sulla terra» (Giob. 7, 1), la preghiera è lo scudo invulnerabile senza del quale saremmo colpiti inesorabilmente.


La «Vergine in preghiera»

Il Papa Paolo VI nell'esortazione apostolica sul Culto della Beata Vergine (n. 18), ci presenta la Madonna come «Vergine in preghiera» scolpita da tre pagine mariane del Vangelo.

Nella Visitazione, la Madonna loda Dio con l'inno di amore più alto che sia uscito dall'anima di una creatura umana: il Magnificat (Lc. 1, 46-56).

A Cana, la Madonna fa la preghiera di domanda con premura materna e con fede senza tentennamenti, ottenendo subito la grazia temporale per gli sposi e la grazia spirituale per i discepoli di Gesù, i quali «credettero in lui» (Gv. 2, 1-11).

Nel Cenacolo, la Madonna nutre con la sua preghiera materna la Chiesa nascente (At. 1, 14), così come, anche dopo la sua Assunzione in anima e corpo al cielo, non deporrà mai «la sua missione di intercessione e di salvezza».

È proprio Lei, la «Vergine in preghiera», che è venuta a chiedere e a raccomandarci la preghiera sia a Lourdes che a Fatima.

Se le diamo ascolto, facciamo quello che ci dice, non ne avremo che benedizioni su benedizioni. Ma dobbiamo esaminarci seriamente.


Pregare mattino e sera

Non è forse vero che ci sono cristiani i quali fanno appena appena qualche preghiera mattino e sera? Alcuni, poi, hanno paura di sforzarsi troppo e fanno solo il segno di croce. Altri, invece, non fanno neppure il segno di croce, ma si svegliano e si addormentano come gli animali: né più, né meno.

Si può essere cristiani in questo modo? Si può salvarsi l'anima trascurando la preghiera mentre si ha tempo di guardare la televisione, di leggere giornali e romanzi, di andare al bar o allo stadio?

La Madonna, nostra Mamma, è corsa ad avvertirci: «Pregate, pregate molto». Ella ci richiama maternamente a un dovere primario del cristiano: «vegliate e pregate» (Mc. 14, 38); «vegliate nelle preghiere» (1 Piet. 4, 7).

Per questo, anzitutto, non deve mai mancare almeno la preghiera del mattino e della sera. Pochi minuti di preghiera ogni mattina e ogni sera: dovrebbe essere un dovere così dolce per ogni cristiano! Così era per il beato Contardo Ferrini, professore all'Università di Milano, che scriveva: «Io non saprei concepire una vita senza preghiera: uno svegliarsi il mattino senza incontrare il sorriso di Dio, un reclinare il capo, ma non sul petto di Cristo». Così bisogna pregare. Con il cuore, con tutto il cuore. «È il cuore che prega - insegna il Catechismo. Se esso è lontano da Dio, l'espressione della preghiera è vana» (n. 2562).


La preghiera a tavola

A mezzogiorno, di solito, è tradizione cristiana il suono dell'Angelus, a richiamo devoto dell'ineffabile mistero dell'Incarnazione.

A quel segnale, l'Angelo ci invita ad unirci a lui nella preghiera alla Vergine celeste. E i Santi come ci tenevano a questa breve sosta di preghiera mariana con l'Angelo!

San Pio X interrompeva anche le udienze più importanti. San Giuseppe Moscati sospendeva per pochi attimi la lezione o la visita medica. San Pio da Pietrelcina la recitava con chi si trovava, sulla veranda, in cella o in corridoio. Il Papa Pio XII la recitava ogni volta in ginocchio.

Perché non salvare e fare nostra questa meravigliosa preghiera mariana?

Un altro dei momenti di preghiera dovrebbe essere quello dei pasti, quando ci si mette a tavola prima di iniziare a mangiare. Il segno di croce e l'Ave Maria diventano la benedizione di Gesù e di Maria sulla nostra mensa.

Capitò a san Giovanni Bosco. Invitato a pranzo in una famiglia, prima di sedersi a tavola, san Giovanni Bosco si rivolse a uno dei figlioli e gli disse: «Adesso facciamo il segno della croce prima di cominciare a mangiare. Sai perché si fa questo segno?». «Non lo so», rispose il ragazzo. «Ebbene, te lo dico io in due parole. Lo facciamo per distinguerci dagli animali, che non lo fanno perché non hanno la ragione per capire che quanto mangiano è dono di Dio».

Da quel giorno in poi, in quella famiglia non mancò mai quel segno di croce prima dei pasti.

Noi che cosa facciamo?... Se siamo in difetto, proponiamoci di fare il segno di croce e di recitare l'Ave Maria ogni volta che ci mettiamo a tavola per i pasti. E senza rispetti umani!


Una scintilla, tante scintille...

Il pensiero di Gesù è chiaro: il cristiano deve sforzarsi di pregare continuamente, per tenere costantemente offerto a Dio tutto se stesso e tutto ciò che fa: «Bisogna sempre pregare, e mai venire meno» (Lc. 18, 1); «Vegliate e pregate per non entrare nella tentazione» (Mc. 14, 38). Quale tentazione? La tentazione di agire per egoismo o per un'intenzione puramente naturale, e niente affatto per amore di Dio e del prossimo!

La preghiera è indispensabile a tenerci in traiettoria verso Dio. Quando non è possibile la preghiera lunga e sistematica, si faccia la preghiera spicciola, simile a piccoli semi che lungo il giorno vengono disseminati sul terreno delle azioni da compiere. È la preghiera delle brevi giaculatorie, dei rapidi atti di amore, delle pie offerte. Il Papa Paolo VI la chiama preghiera «scintilla».

San Francesco d'Assisi, san Tommaso d'Aquino, sant'Alfonso, santa Bernadetta, santa Gemma Galgani... quale uso ardente e costante non facevano di queste preghiere «scintilla»! Forse che le loro anime non erano alla fine uno scintillio continuo?

San Massimiliano M. Kolbe raccomandava molto questa preghiera «scintilla» per crescere nell'amore all'Immacolata. Valga anche per noi!



Fioretti

- Recita sempre e bene le preghiere del mattino e della sera.

- A tavola, fa' il segno della croce e recita l'Ave Maria prima dei pasti.

- Impegnati a recitare spesso giaculatorie durante il giorno.
Caterina63
00lunedì 24 maggio 2010 10:58

[SM=g1740733] Gli incontri del rosario
Scopriamo insieme di cosa si tratta...


Uno degli obiettivi nella “vita del Movimento” è l’interesse di coloro che, “incuriositi”, si accostano timidamente e cercano capire il “segreto” della fedeltà di coloro che hanno trovato nel santo rosario il “compagno di viaggio” del loro cammino di fede, di coloro che si interrogano sul perché dell’attività dei tanti “gruppi del rosario” che, nei vari luoghi, mantengono ordinariamente vivo quel perenne Cenacolo di riflessione e preghiera in cui, con il rosario, la presenza della Beata Vergine Maria continua ad “attrarre” il fuoco dello Spirito che “plasma” in ognuno l’uomo nuovo.

Se vuoi saperne di più clicca qui
Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
movrosar@tin.it

Intanto ti offriamo, con questo video, l'occasione per meditare sulla bellissima testimonianza, e la conseguente catechesi, del Santo Padre Benedetto XVI nel suo recente pellegrinaggio a Fatima lo scorso 13.5.2010

it.gloria.tv/?media=77559

Il canto di sottofondo è:

Vorrei essere un fiore

Vorrei essere un fiore, un fiore dell'altar,

perchè sul tuo bel cuore potessi riposar.

- O fior del ciel Maria, col Figlio tuo
divin

deh! fà ch'io sempre sia un fior del tuo giardin.

Vorrei esser l'incenso, l'incenso dell'altar,

perchè d'amore immenso potessi a te volar.

- O fior del ciel Maria.....

Vorrei essere fiamma, la fiamma dell'altar,

per te d'amore, o mamma, potermi consumar.

- O fior del ciel Maria....



Un grazie al Coro "S.Veronica" Parrocchia di S. Maria Nascente in Bonemerse (CR) il cui CD "Inni e Canti" potrete trovare dai multimedia della san paolo.





[SM=g1740738]


[SM=g1740717] [SM=g1740720] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

[SM=g1740757]

S_Daniele
00lunedì 24 maggio 2010 13:45
P. Stefano M. Manelli F.I. - MEDITAZIONI PER IL MESE DI MAGGIO - Ventiquattresimo giorno

24 MAGGIO - LA PENITENZA


Che cos'è la penitenza?

È la virtù che fa riparare l'offesa fatta a Dio con il peccato. Si possono riparare le offese proprie e le offese degli altri. C'è, infatti, chi fa la penitenza per i peccati proprio e anche per i peccati degli altri.

Gesù è stato il divino Penitente per i nostri peccati. La Madonna è stata la celeste Penitente per le nostre colpe. Vittime sublimi, si sono immolati interamente e soltanto per la nostra salvezza.

Con la loro immolazione essi ci hanno redenti, aprendoci le porte del Paradiso e offrendoci i mezzi e la grazia per salvarci.

Adesso tocca a noi servirci di questi mezzi. Uno di questi mezzi è certamente la penitenza: «Se non farete penitenza, perirete tutti» (Lc. 13, 15).

Perché la penitenza?

Perché siamo peccatori e continuiamo a peccare. È necessaria, perciò, la riparazione, l'espiazione. È giustizia: si ripara il male fatto.

«Ogni peccato, piccolo o grande - scrive sant'Agostino - non può restare impunito: o è punito dall'uomo che ne fa penitenza, o all'ultimo giudizio dal Signore».

Possiamo qui ricordare alcuni grandi peccatori convertiti e diventati Santi: santa Maria Maddalena, sant'Agostino, santa Margherita da Cortona, sant'Ignazio di Loyola, san Camillo de Lellis... Essi ci dimostrano che con la penitenza si ripara e si recupera tutto, fino alla santità più alta; e danno ragione a san Cipriano, che esclama: «O penitenza... tutto quello che era legato, l'hai sciolto; quello che era chiuso, l'hai aperto». La penitenza scioglie dalle catene dei debiti contratti per i peccati, e apre i forzieri delle grazie più elette.


Penitenza e amore

Quando san Domenico Savio era gravemente ammalato, venne un giorno sottoposto a un salasso. Prima di iniziare, il medico gli disse: «Voltati dall'altra parte, Domenico, così non vedrai scorrere il tuo sangue».

«Oh no! - rispose il Santo - Hanno forato le mani e i piedi di Gesù con grossi chiodi sulla croce: ed Egli non ha detto nulla...».

E Domenico soffrì senza un lamento i dieci piccoli tagli che gli vennero fatti.

Ecco la legge dell'amore: quando si ama veramente una persona, si vuol condividere tutte le sofferenze della persona amata. Non se ne può fare a meno.

Chi ama Gesù, e conosce la sua vita di umiltà e sacrificio, culminante nella crudele Crocifissione e Morte, non può fare a meno di desiderare la partecipazione a tutto quel dolore voluto dall'amore.

L'intensità di questa partecipazione a volte si è fatta anche manifesta in modo prodigioso e sanguinoso: pensiamo a san Francesco d'Assisi, santa Veronica Giuliani, santa Gemma Galgani, san Pio da Pietrelcina.

Ma in tutti i Santi la penitenza più crocifiggente è stata un'esigenza dell'amore. Essi arrivavano al punto di non bramare altro che il patire. Ricordiamo alcuni esempi mirabili.

San Francesco Saverio, sebbene oppresso da penosissimi dolori, pregava con trasporto, dicendo: «Ancora, Signore, ancora di più!». E all'isola su cui aveva patito le più gravi tribolazioni volle mettere il nome di Isola delle consolazioni.

Santa Teresa di Gesù è celebre anche per quel grido: «O patire o morire!». E san Giovanni della Croce, a Gesù che gli chiedeva che cosa volesse, rispose: «Patire ed essere disprezzato per te».

San Gabriele dell'Addolorata diceva che il suo paradiso erano i dolori della Madonna, san Massimiliano M. Kolbe chiamava «caramelle» le croci e le tribolazioni. San Pio da Pietrelcina diceva che i suoi tremendi dolori erano «i gioielli dello Sposo». Così ragiona chi ama.


Fare il proprio dovere

La prima e più importante penitenza del cristiano è quella di compiere fedelmente e perfettamente i propri doveri quotidiani. Fare altre penitenze, omettendo questa, significa badare al secondario trascurando il principale. Il primo posto, ricordiamo bene, tocca sempre al compimento esatto dei propri doveri. Se c'è questo, la sostanza della nostra vita di penitenza è assicurata.

San Giuseppe Cafasso menava una vita di penitenza nascosta agli occhi dei più. Dalle deposizioni al Processo di Beatificazione sappiamo che si accorse di qualcosa la buona donna che gli lavava la biancheria macchiata di sangue.

«Come mai le camicie sono sempre macchiate di sangue? - disse un giorno. Ha forse qualche piaga?».

Il Santo avrebbe voluto tacere, ma poi rispose schiettamente: «Via, voi siete come mia madre. Vi dirò tutto, a patto, però, che non lo diciate a nessuno. Dovete sapere che noi preti portiamo una cintura con punte, detta "cilizio". Ecco perché trovate delle macchie».

«Ma deve far male, povero figlio mio!» esclmaò la donna.

«Sicuro che fa un po' male; ma bisogna scontare i peccati, no?».

«Che dice? - interruppe l'altra, sgomenta - Se lei ha bisogno di far penitenza, che dobbiamo far noi?».

«Voi lavorate sodo - rispose il Santo - e lavorare tutto il giorno è una bella penitenza...».


Penitenza per i peccatori

Il lamento accorato della Madonna di Fatima dovrebbe starci veramente a cuore: «Molte anime vanno all'inferno perché non vi è chi si sacrifichi e preghi per loro».

Giacinta, il fiorellino della Madonna di Fatima, fu la pastorella a cui maggiormente stettero a cuore quelle parole della «Bella Signora». Ella volle essere la vittima innocente; e il soffrire per i peccatori fu la sua passione dolorosa fino alla morte.

Colpita dalla spagnola e dalla pleurite purulenta, con infezione progressiva; trasportata in ospedale, lontana da casa; sottoposta a intervento chirurgico per l'asportazione di due costole senza esser addormentata... Povera bimba! Eppure, fu eroicamente coraggiosa nel non perdere ogni occasione e sacrificio per i peccatori: cibi ripugnanti, sete, solitudine, immobilità nel letto, dolori brucianti... Il suo celeste conforto era l'assistenza materna della Madonna; e morì consumata da febbre e dolori, sola sola, sul Cuore dell'Immacolata venuta dal Cielo a prendere l'innocente vittima per i peccatori. Quale esempio di penitenza eroica!



Fioretti

- Meditare la Passione e Morte di Gesù (Mt. 26 e 27).

- Offrire tutti i sacrifici e disagi alla Madonna Addolorata.

- Recitare i misteri dolorosi del Rosario.
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