P. Cavalcoli ci manda per la pubblicazione questo breve saggio e lo ringraziamo. Aggiungiamo in calce (e in corsivo) le nostre osservazioni.
Gli abusi liturgici e la mancanza di rispetto per la tradizione liturgica cattolica oggi lamentati non dipendono dalla Messa di rito nuovo come tale (quella istituita da Paolo VI), ma da una sua cattiva celebrazione. Una Messa del novus ordo ben celebrata non ha nulla da invidiare alla Messa tridentina ben celebrata. Pensiamo soltanto alla celebrazioni di Giovanni Paolo II e di tanti degni sacerdoti del postconcilio.
Lo so che alla Messa nuova si possono fare delle critiche, ed esse furono fatte da eminenti liturgisti nel corso stesso del Concilio. Essi però non furono ascoltati, lo ammetto. Tuttavia non possiamo negare che la nuova Messa, a parte l’ovvia sua legittimità (il che poi è l’essenziale), è stata anch’essa frutto di accurate ricerche storiche in parte proprio dirette al recupero di tradizioni anche più antiche di quelle che si trovano nella Messa di S.Pio V; e in parte, è vero, è stata dovuta al desiderio di dare anche alla Messa un aspetto ecumenico, che potesse favorire il dialogo con i fratelli protestanti. Invece, come si sa, gli Ortodossi russi e greci non hanno molto gradito la nuova Messa ed hanno preferito l’antica.
Nella Messa bisogna distinguere un aspetto essenziale o sostanziale immutabile ed intoccabile, alterando il quale, come fece per esempio Lutero, la Messa non è più la Messa, ma una sua profanazione causata dall’arbitrio umano e quindi priva di quella struttura essenziale che era stata voluta da Gesù Cristo, svuotata quindi del suo potere di comunicare sacramentalmente la grazia della salvezza.
I lefevriani hanno voluto trovare nella Messa di Paolo VI una contaminazione modernistica e protestante. Ma questo non è vero. Essi non hanno saputo distinguere quanto nella Messa è immutabile (la sostanza) – cosa che la Chiesa non potrà mai cambiare per espressa promessa di Cristo - e quanto invece può legittimamente (anche se a volte meno opportunamente) esser cambiato dalla Chiesa (l’aspetto rituale, cerimoniale e rubricistico).
Sia la Messa antica che quella nuova sono sostanzialmente la medesima Messa. Sono diverse, come è stato fatto notare da alcuni, per una diversa accentuazione dei due elementi fondamentali della Messa: l’aspetto sacrificale e l’aspetto comunionale. La Messa tridentina esalta soprattutto la dimensione del sacro, l’attualizzazione del sacrificio di Cristo, l’orientamento al Trascendente, il momento mistico, la distinzione tra fedeli e celebrante.
La Messa del Concilio viceversa, mette maggiormente in luce la Messa come dono di sé del Popolo di Dio al Padre, la Messa come pregustazione della vita futura, come comunione con Dio e tra di noi in Dio, il celebrante come rappresentante dei fedeli, la gioia comune per la vittoria di Cristo sulla morte e sul peccato. La prima dà più spazio all’Offertorio e a Canone; la seconda, alla liturgia della Parola, alla Comunione e alla predicazione.
Anche se col Concilio la Chiesa ha voluto una Messa nuova, potremmo dire “moderna”, certo ha evitato con cura il modernismo e – come tutti dovrebbero sapere – non ha mai soppresso o proibito, in linea di principio, la Messa antica, anche se la nuova è diventata quella “ordinaria”, almeno nelle strutture più ufficiali (parrocchie, istituti religiosi, diocesi, ecc.). Ma già a gruppi laicali è concessa libertà, in certe circostanze, di preferire la Messa tridentina. Ciò è divenuto ancor più chiaro col famoso Motu proprio del Papa.
Quello che invece ha introdotto nella Chiesa inquietudine, scandalo e divisioni è stata la diffusione e messa in pratica, non sufficientemente impedita dai Pastori e dalla stessa S.Sede, di idee moderniste sulla liturgia e sul suo fondamento teologico, che è la Redenzione di Cristo. Si sono infatti diffuse idee eretiche su questo punto di fede fondamentale, per cui si è negato il valore espiativo e riparatore del sacrificio di Cristo e nonché la sua funzione di soddisfazione vicaria, che pure era stata definita dal Concilio di Trento e ciò in forza di una concezione della divinità di Cristo intesa come “orizzonte della trascendenza umana”, in pratica una forma di panteismo (Rahner) o perché semplicemente si è negata la divinità di Cristo (Schillebeeckx), tornando ad antiche eresie cristologiche precalcedonesi, sotto pretesto di “superare Calcedonia” e di rispondere alle esigenze del “mondo moderno”.
Dalla falsificazione dei dogmi dell’Incarnazione della Redenzione discende logicamente nei suddetti autori la negazione del carattere sacro del sacerdozio per il quale nella Messa il celebrante agisce in persona di Cristo Capo. Per conseguenza la Messa non è più un “sacrificio”, ma viene assimilata alla “cena” luterana e tale comincia ad essere chiamata. Per conseguenza, secondo Schillebeeckx nella consacrazione eucaristica non c’è più la presenza reale di Cristo, non avviene più la transustanziazione, ma la “transignificazione”, ossia il pane resta pane, ma “significa” il corpo di Cristo. Insomma abbiamo un crollo di tutto il sistema dogmatico cattolico centrale, un po’ come se si fanno crollare le fondamenta di un palazzo, è logico che crolli tutto il resto.
Che fare allora davanti a questa situazione? Come ci esorta il Santo Padre, è più che mai urgente che tutti noi cattolici, che vogliamo essere fedeli al dogma, siamo su questo punto tutti uniti fra di noi, benchè ci sia lecito, nei dovuti modi e circostanze, preferire o la Messa nuova o la Messa antica. Ma nel contempo bisogna che tutti rifuggiamo sia da conservatorismi anacronistici ed inaciditi che da modernismi ereticali e scriteriati, colpendo concordemente il comune nemico che è l’eresia, senza per questo mancare di rispetto a coloro che ne sono vittime o anche difensori, ma proprio in vista del loro bene e della loro salvezza.
P.Giovanni Cavalcoli, OP