Nell'Anno internazionale dell'astronomia presentata in Vaticano la mostra «Astrum 2009»

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 18:03
Nell'Anno internazionale dell'astronomia presentata in Vaticano la mostra «Astrum 2009»


Occhi lunghi per guardare le stelle


Nella mattinata di martedì 13 ottobre, nella Sala Stampa della Santa Sede, è stata presentata la mostra "Astrum 2009:  astronomia e strumenti. Il patrimonio storico italiano quattrocento anni dopo Galileo" che sarà aperta presso i Musei Vaticani dal 16 ottobre al 16 gennaio. Oltre al direttore della Specola Vaticana, il gesuita José Gabriel Funes, al presidente dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, Tommaso Maccacaro, e alla curatrice della mostra, Ileana Chinnici, alla conferenza stampa sono intervenuti il direttore dei Musei Vaticani e il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura che, nell'occasione, hanno scritto per il nostro giornale.

di Antonio Paolucci

Come ci ricorda in apertura di catalogo padre José Gabriel Funes, direttore della Specola Vaticana, gli indiani del Keat Peak nella riserva dell'Arizona dove sono installati i telescopi più potenti del mondo, chiamano the people with long eyes ("la gente dagli occhi lunghi") gli scienziati e i tecnici che di notte si ritirano nei loro misteriosi avamposti ipertecnologici a scrutare i limpidi cieli stellati del deserto di altura. Ci vogliono occhi lunghi per guardare le stelle, per penetrare la profondità dei cieli. Però, non bastano gli occhi che Dio ci ha dato. Ci vogliono strumenti assai più efficaci, ausili conoscitivi e tecnici molto più elaborati e affidabili perché lo sguardo diventi davvero lungo. Gli indiani del Keat Peak lo hanno capito, gli uomini di ogni epoca e di ogni cultura lo hanno sempre saputo.

La mostra che i nostri Musei ospitano nella sala polifunzionale - dal 16 ottobre al 16 gennaio - voluta e promossa dall'Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) e dalla Specola Vaticana, intende offrire alla ammirazione e alla riflessione del pubblico una vasta selezione dell'imponente patrimonio di strumentazione astronomica di interesse storico posseduta dagli istituti italiani. Nell'Anno internazionale dell'astronomia, celebrativo di Galileo e del suo Sidereus nuncius, a quattro secoli dalla scoperta e prima applicazione del telescopio, la mostra curata da Ileana Chinnici con la cooperazione dei Musei Vaticani e, in particolare, di Andrea Carignani, ci racconta la straordinaria avventura.

Come, seguendo quali percorsi conoscitivi e servendosi di quali strumenti - dall'astrolabio arabo di Ibn Sahid el Ibrahim del 1096 al telescopio di ultimissima generazione che la Specola Vaticana utilizza e che è situato a 3200 metri di altezza sul monte Graham in Arizona - la comunità scientifica internazionale, prima e soprattutto dopo Galileo, ha saputo allungare lo sguardo verso cieli sempre più remoti e sempre più incogniti. Fino ad arrivare un giorno - l'augurio è di Tommaso Maccacaro, presidente dell'Istituto nazionale di astrofisica - a risolvere il mistero della nostra apparente solitudine cosmica.

Questo è l'argomento della mostra che, nell'anno di Galileo, i Musei Vaticani ospitano. Non c'è chi non veda la straordinaria rilevanza culturale e anche "politica" dell'evento. Si spiegano così l'alto patronato concesso dal segretario di Stato vaticano e dal presidente della Repubblica italiana, le prestigiose presentazioni in catalogo (Città del Vaticano - Livorno, Musei Vaticani - Sillabe) del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e del cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e l'indirizzo di saluto del ministro italiano dell'Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini.

Due cose hanno mosso gli uomini a scrutare i cieli:  la curiosità e lo stupore. Non si può vivere sulla Terra senza cercare di capire l'infinito incognito che ci circonda e ci sovrasta. Come spiegare le fasi della Luna e i movimenti degli astri? Perché il Sole sale e discende, stagione dopo stagione, i gradini del cielo? Perché la caduta dei meteoriti che incendiano le notti d'estate e perché l'apparizione delle comete portatrici di prodigi e di presagi? Quanto è grande il firmamento, quanto distano dalla Terra le stelle a noi più vicine? Quali leggi governano - forse immutabili ed eterne, forse in continua evoluzione - l'universo di cui facciamo parte?

Sono domande che gli uomini si sono posti da sempre. Ne abbiamo una rappresentazione splendida nel mosaico del Museo nazionale di Napoli proveniente da Pompei e databile al I secolo prima dell'era cristiana, che ci presenta una pensosa raccolta di filosofi e di scienziati intenti a riflettere e a disputare di fronte a un globo celeste.

Sono domande che per trovare parziali e provvisorie risposte hanno avuto bisogno degli strumenti rari e sofisticati che la mostra ci offre. Eppure la curiosità o per meglio dire l'ansia di conoscenza è sempre preceduta dalla emozione e l'emozione produce "stupore" che è sentimento profondamente umano, di segno evocativo e fantastico.

Il cuore poetico di una mostra gremita di strumenti che hanno permesso agli uomini di scrutare la infinitudine dei cieli è rappresentato, per me storico dell'arte, dalle otto tele di Donato Creti, gioiello della Pinacoteca Vaticana. Osservazioni astronomiche si intitola la celebre serie, perché ogni tela raffigura fenomeni celesti:  il Sole, le mutazioni della Luna, la cometa, i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. La cosa per me straordinaria è che protagonista di ogni dipinto è il corpo celeste oggetto di astronomica osservazione ma è anche la persona (o le persone) che lo guardano.

Donato Creti, l'artista che dipinse le otto tele nel 1711 su commissione del conte bolognese Luigi Marsili, il quale volle farne dono a Papa Clemente xi, viene dalla tradizione stilistica di Guido Reni. Governano la sua pittura gli ideali classici della venustà, della amabilità e della grazia. Questa volta, di fronte a un soggetto iconografico così inusuale, è lo stupore a guidare il suo pennello. Noi entriamo con Donato Creti nel blu profondo, nel nero luminoso di una grande notte italiana, entriamo nei tramonti infuocati dell'estate, nella luce grigio-azzurra di un'alba serena e proviamo gioia e stupore di fronte ai prodigi che il cielo ci regala.

Dietro gli strumenti astronomici allineati dalla mostra - cannocchiali e telescopi, sfere armillari e globi celesti - in molti casi veri e propri capolavori di saperi scientifici e di talenti tecnologici, ci sono la curiosità e lo stupore. Sono i sentimenti che Donato Creti ha messo in figura nelle sue tele. Grazie a lui possiamo meglio capire le ragioni profonde che sempre hanno guidato l'uomo sulle strade impervie e tuttavia affascinanti e in ogni caso non contrastabili, della conoscenza.


(©L'Osservatore Romano - 14 ottobre 2009)
S_Daniele
00martedì 13 ottobre 2009 18:06



Il cielo tra fisica e metafisica


di Gianfranco Ravasi

"Una volta mi ero trovato in un monastero in cui si pregava per una badessa ormai agli estremi. Un giorno fu esposto un annuncio che diceva:  "Ci si deve attendere il peggio". Il peggio, sembrava dire, sarebbe stato che ella andasse in cielo". Con questo aneddoto segnato da un'ironia bonaria ma non per questo meno pungente, il benedettino Jean Leclercq, importante studioso di san Bernardo e della letteratura cristiana medievale, evocava un simbolo tanto esaltato da tutte le civiltà ma anche un po' esorcizzato proprio per la sua "trascendenza" rispetto all'orizzonte terreno ove abbiamo ben piantati piedi e radici. In modo analogo il celebre asserto finale della Critica della ragion pratica kantiana - "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e di riverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e a lungo il pensiero vi si sofferma:  il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me" - è nei nostri giorni gaudenti decisamente accantonato. Il cielo, infatti, è nascosto spesso da una coltre di smog e la legge morale è subito tacitata dalla sguaiatezza e dalla superficialità.

Eppure da quando l'uomo ha conquistato la stazione eretta e ha levato il capo verso l'alto, il cielo ha continuato ad attirare. Ricordo una bella ballata di uno scrittore a me molto caro per amicizia, Luigi Santucci:  in essa una tartaruga ribaltata dal calcio di un passante, dopo il primo smarrimento, si lasciava conquistare dalla nuova contemplazione degli spazi celesti che prima le era vietata. Nel suo Diario Anna Frank scriveva:  "Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare il cielo senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai a essere felice". E a lei faceva eco Etty Hillesum quando nel suo intenso diario composto nel lager di Auschwitz annotava al 14 luglio 1942:  "Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera".

Nell'immensità cosmica celeste, però, da secoli puntano il loro sguardo anche gli strumenti delle rilevazioni astrofisiche e non solo l'occhio vivido del poeta o del credente. E anche la visione scientifica non è priva di fremiti e di emozioni, al punto tale che in passato s'intrecciavano - persino nello stesso Galileo - senza imbarazzi astronomia e astrologia. Lo stesso scienziato moderno, configgendo i suoi telescopi più sofisticati in quelle distese sterminate, non di rado adotta categorie, linguaggi, schemi interpretativi di matrice simbolica per formulare le sue teorie. Per questo la mostra "Astrum 2009", collocata nell'Anno internazionale dell'astronomia e nel quarto centenario dell'invenzione del telescopio, si presenta attraverso una serie di strumenti e di testi non riducibili a meri mezzi di ricerca attorno a quelle che sono ancor oggi classificate come "meccaniche celesti", ma capaci anche di evocare quell'infinito che ci avvolge e ci sconvolge, ci attira e ci impaura.

Noi che non siamo scienziati, percorrendo l'affascinante itinerario espositivo della mostra, siamo invitati a non perdere mai questa straordinaria dualità che è in noi. Certo, siamo uomini che rilevano i "fenomeni", la "scena" come si è soliti dire oggi, ma al tempo stesso non esitiamo a investigare anche sul "fondamento" della realtà. Fisica e metafisica, certo, corrono su livelli diversi:  sono i due famosi non-overlapping-magisteria, cioè i due percorsi conoscitivi non sovrapponibili della scienza e della filosofia o teologia o poesia, come diceva lo scienziato americano Stephen Gould. Eppure questi due percorsi non si respingono, anzi, nella nostra conoscenza si guardano, dialogano e si ascoltano reciprocamente. Il cielo, così, è il "continente universale, lo spacio immenso, l'eterea regione per la quale tutto discorre e si muove", come scriveva Giordano Bruno in uno dei suoi Dialoghi italiani, quello "de l'infinito universo e mondi", ma è anche la suprema metafora della trascendenza, dell'oltre e dell'altro rispetto al qui e al noi immanente.


 
La stessa Bibbia rivela questa duplicità. Innanzitutto, infatti, essa ci offre una precisa cosmologia, ovviamente modellata sulla scienza arcaica, fiorita in Mesopotamia, in Egitto e in Persia, e non priva di una sua analisi sofisticata. Il cielo, così, è tratteggiato come una gigantesca cupola luminosa detta in ebraico raqia', cioè firmamento, sostenuta da colonne cosmiche le cui fondazioni penetrano, oltre la superficie terrestre orizzontale, nell'abisso caotico e infernale, antipodo del cielo. Una cupola sopra la quale freme l'oceano celeste, il cui flusso d'acqua, regolato da grandi serrande, può disseminare sulla terra la pioggia benefica o il diluvio devastatore. È per questo che appare, fin dalla prima, famosa pagina biblica della creazione del cielo e della terra (capitolo 1 della Genesi), la distinzione tra le "acque superiori" celesti e quelle "inferiori" dello sterminato bacino del mare.

Dal colossale serbatoio celeste scendono, dunque, acqua, grandine, brina, neve, venti, nubi e tempeste:  "Dal Signore degli eserciti sarai visitata - canta Isaia (29, 6) - con tuoni, rimbombi e rumore assordante, con uragano e tempesta e fiamme di fuoco divoratore". Il mirabile Salmo dei sette tuoni, il 29, è tutto scandito dal risuonare della parola onomatopeica ebraica qôl che significa sia "tuono" sia "voce" (divina). Le immagini per raffigurare la cupola celeste si moltiplicheranno:  essa è simile a un rotolo dispiegato, dice Isaia (34, 4), che ricorre anche all'idea di un velo o di una tenda da beduini distesa dal Creatore con un gesto possente (40, 22); è una specie di basamento per un palazzo reale divino dal quale - è lo stesso testo isaiano ad affermarlo in modo pittoresco - Dio "siede e di lassù gli abitanti del mondo sembrano cavallette".

Sulla maestosa volta del cielo sono appesi "i grandi luminari", cioè il Sole e la Luna, veri e propri orologi cosmici e liturgici per le stagioni, per il calendario delle feste e per il ritmo circadiano; su quella volta sono fissate le stelle e le costellazioni - l'Orsa, Orione e le Pleiadi sono citate ad esempio in Giobbe 9, 9 - e i pianeti, Venere, "Lucifero", è evocato da Isaia (14, 12), mentre Saturno, "Chiion", da Amos (5, 26). È significativo osservare che, mentre nell'antico Vicino Oriente il Sole, la Luna e gli astri sono divinità, per la Bibbia essi sono "laicamente" semplici creature comandate dal Creatore nel loro lavoro e nelle loro orbite:  "Sorge il Sole, tramonta il Sole affannandosi verso quel luogo da cui rispunterà" (Qohelet, 1, 5); Dio "ha assegnato al Sole una tenda:  esce come uno sposo dalla stanza nuziale, si esalta come un eroe che corre sulla sua strada; sorge da un estremo del cielo, la sua orbita raggiunge l'altro estremo:  al suo calore non v'è riparo!" (Salmi, 19, 5-7).

Tuttavia non c'è soluzione di continuità quando si passa dalla rilevazione sperimentale "scientifica" alla celebrazione del valore simbolico che astri e spazi cosmici contengono. Scegliamo solo un paio di esempi, desunti dal Salterio. Pensiamo al salmo 19 che introduce una sorprendente "narrazione" che il cielo personificato e il ritmo temporale ci rivolgono, senza ricorrere a parole; eppure si tratta di una voce potente e planetaria. Ecco il canto del salmista:  "I cieli narrano la gloria di Dio, il firmamento annunzia l'opera delle sue mani, il giorno al giorno affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette la notizia, senza linguaggio e senza parole, senza che si oda la loro voce. Eppure per tutta la Terra si espande il loro annunzio, sino ai confini del mondo va il loro messaggio" (vv. 2-5). "Dio ha dato un tal linguaggio alla sua creazione che, parlando di se stessa, essa non può non parlare di Lui, Dio", commentava Karl Barth.


 
La lezione teologica del cielo può essere altre volte inquietante ed esaltante al tempo stesso. È il caso di quel gioiello assoluto che è il salmo 8. Nel "silenzio eterno degli spazi infiniti", quella "canna pensante" che è l'uomo - per usare la famosa espressione di Pascal - è solo un granello microscopico. Ancor più insignificante è la sua entità di fronte a un Dio creatore che ricama nel cielo con le sue dita le costellazioni e i pianeti. Eppure è proprio questo Dio che si china sull'uomo e lo incorona rendendolo di poco inferiore a se stesso, sovrano dell'orizzonte cosmico. Ascoltiamo il corpus centrale dell'inno nella versione poetica di David Maria Turoldo:  "Quando il cielo contemplo e la Luna / e le stelle che accendi nell'alto, / io mi chiedo davanti al creato:  / cosa è l'uomo perché lo ricordi? / Cosa è mai questo figlio dell'uomo / che tu abbia di lui tale cura? / Inferiore di poco a un dio, / coronato di forza e di gloria! / Tu l'hai posto Signore al creato, / a lui tutte le cose affidasti:  / ogni specie di greggi e d'armenti, / e animali e fiere dei campi, / le creature dell'aria e del mare/ e i viventi di tutte le acque" (vv. 4-9).

L'intreccio tra meteorologia e simbologia teologica è adottato in modo folgorante anche da Gesù quando protesta perché i suoi interlocutori sanno usare il cielo solo come campo di previsioni climatiche, pur legittime, e non lo considerano anche come segno di intuizioni epocali trascendenti:  "Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite:  "Viene la pioggia", e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite:  "Farà caldo", e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l'aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete giudicarlo?" (Luca, 12, 54-56). È forse un po' anche per questo che spesso spiritualità cristiana e scienza si sono abbracciate, a partire da personaggi come Isidoro, vescovo di Siviglia (VI-VII secolo), che nei suoi Etymologiarum sive originum libri xx distingueva tra astronomia e astrologia, ma intrecciava filologia e allegoria. O come il teologo raffinato Beda il Venerabile (VIII secolo) che era già allora convinto della sfericità della Terra ("come una palla da gioco"), che tentava di calcolare l'età del nostro pianeta rispetto al cosmo e che si cimentava nella cronologia (De temporum ratione).

L'elenco potrebbe continuare a lungo seguendo un qualsiasi manuale di storia dell'astronomia:  il monaco benedettino Abelardo di Bath (XII secolo), traduttore di testi scientifici arabo-indiani, l'arcidiacono catanese Enrico Aristippo (XII secolo), divulgatore dell'Almagesto di Tolomeo, per non parlare dei grandi Cusano, Copernico, Clavius, anch'essi religiosi. Curiosa è la passione astronomica di alcuni Papi, a partire dal celebre Silvestro ii (Gerberto d'Aurillac), costruttore di astrolabi e sfere armillari e scienziato poliedrico, passando attraverso Gregorio XIII, l'artefice dell'omonimo calendario, per giungere a Pio x che sapeva approntare orologi solari, senza dimenticare la gloriosa Specola Vaticana, fondata nel 1789, esaltata dalle ricerche astrofisiche del gesuita Angelo Secchi, il primo classificatore delle stelle sulla base dei loro spettri. Questa istituzione è all'origine della citata mostra "Astrum 2009" che si inaugura giovedì nei Musei Vaticani. Le stelle, quindi, s'accendono non solo per consegnare la loro luce agli astronomi ma anche per far brillare gli occhi dell'anima, nella fede e nella poesia, tant'è vero che nell'Apocalisse Cristo non esita a presentarsi come "la stella radiosa dell'alba" (22, 16). C'è il rischio, però, che il clamore, l'eccitazione e la distrazione ci impediscano di contemplare il cielo sia come realtà sia come simbolo. Diceva il filosofo cinese Han Fei (III secolo prima dell'era cristiana):  "Nell'acqua di uno stagno si specchia il cielo. Ma se vi getti un sasso, l'immagine si romperà in cerchi concentrici e il cielo sparirà".


(©L'Osservatore Romano - 14 ottobre 2009)
S_Daniele
00giovedì 15 ottobre 2009 18:25



Ai Musei Vaticani

L'astronomia italiana in bella mostra


Nella serata di giovedì 15 ottobre viene inaugurata nei Musei Vaticani la mostra "Astrum 2009. Astronomia e strumenti:  il patrimonio storico italiano quattrocento anni dopo Galileo". Intervengono il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, l'onorevole Mariastella Gelmini, ministro italiano dell'Istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, e Tommaso Maccacaro, presidente dell'Istituto Nazionale di astrofisica. La curatrice ha sintetizzato per "L'Osservatore Romano" significato e contenuti della mostra.

di Ileana Chinnici

L'Italia possiede un patrimonio storico astronomico unico al mondo, per numero e valore delle collezioni. Tale patrimonio, costituito da edifici, strumenti, libri e carte d'archivio, è in larga parte conservato nei diversi osservatori astronomici di cui è costellato il territorio nazionale ed è stato nel tempo arricchito da pregevoli collezioni, come quella del Museo Astronomico e Copernicano di Roma.

Negli ultimi vent'anni particolare attenzione è stata rivolta al patrimonio storico strumentale da parte degli osservatori, nei quali si è dato avvio a un'opera di inventariazione, catalogazione e restauro dei pezzi. Quest'opera, inizialmente affidata all'impegno di pochi singoli, ha portato a una crescente sensibilizzazione verso il recupero dei materiali storici. Nel 2005 l'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), nel quale sono confluiti gli osservatori astronomici, ha istituito un "Servizio musei" dedicato alla tutela e alla valorizzazione del proprio patrimonio storico strumentale.

All'approssimarsi del 2009, anno internazionale dell'Astronomia, il Servizio musei ha promosso la realizzazione di un progetto nazionale che desse visibilità a questo patrimonio, mettendo in mostra non solo gli strumenti, ma anche il pregevole patrimonio librario ed archivistico dell'Inaf.

Con la collaborazione della Specola Vaticana, che ha suggerito la sede, e dei Musei Vaticani che hanno accolto e sostenuto la proposta, è stata così realizzata "Astrum 2009". Essa può considerarsi la prima mostra del patrimonio storico astronomico italiano:  non una mostra didattica o divulgativa, né una mostra puramente storica, quanto piuttosto una iniziativa culturale ad ampio raggio, volta a far conoscere e far prendere coscienza della preziosità dei materiali storici conservati negli osservatori astronomici. La mostra rappresenta anche un omaggio alle generazioni di astronomi che hanno fatto uso di questi materiali contribuendo allo sviluppo della scienza del cielo e a quanti in questi anni si sono spesi con dedizione - a volte con scarsa considerazione - per il recupero e la salvaguardia di questo patrimonio che rappresenta la memoria storica dell'astronomia italiana.

Il criterio di sviluppo della mostra è di tipo essenzialmente cronologico. Dagli strumenti pre-galileiani e ai sistemi del mondo, si passa al telescopio di Galileo Galilei, quindi all'ottica italiana del XVII secolo e all'istituzione dei primi osservatori astronomici nel Settecento. Si prosegue poi con gli strumenti dell'astrometria e della cartografia celeste nel xix secolo e quelli dell'astrofisica e delle prime spedizioni scientifiche nazionali. Alcuni pannelli descrivono i grandi strumenti dell'astronomia italiana tra le due guerre, mentre un video illustra i progetti di ricerca in cui sono attualmente impegnati l'Inaf e la Specola Vaticana. Infine, una sezione aggiuntiva espone strumenti non astronomici che si trovano negli osservatori e che testimoniano le altre attività scientifiche ivi condotte. Il settantacinque per cento dei pezzi in mostra appartiene alle collezioni Inaf - vi sono rappresentati nove osservatori su dodici - mentre il resto proviene dalla Specola Vaticana, dai Musei Vaticani e da prestiti esterni di particolare valore storico.

Oggi l'Italia si trova all'avanguardia nell'opera di tutela e valorizzazione delle collezioni degli osservatori e a essa guardano con interesse altre nazioni. Basti dire che il novanta per cento degli strumenti storici Inaf è stato catalogato e che le schede di diverse collezioni sono disponibili in rete. Tuttavia, rimane ancora molto da fare. Scantinati, magazzini e depositi dei nostri osservatori continuano a riservarci sorprese. Casse di oggetti, di libri e di documenti d'archivio sono spesso disseminate qua e là, senza che alcuno ne conosca esattamente il contenuto. L'azione di tutela e di recupero di questo patrimonio deve quindi essere costante, per evitare che vada disperso o accidentalmente distrutto, come purtroppo è spesso avvenuto, anche in tempi recenti. Sarebbe inoltre auspicabile la creazione di un catalogo unico del patrimonio storico Inaf e la pianificazione di interventi di tutela del patrimonio contemporaneo.

È evidente, tuttavia, che tali azioni necessitano di un supporto da parte dei ministeri preposti o di enti locali e fondazioni, poiché le risorse dell'Inaf allocate per le esigenze del patrimonio storico non possono essere sufficienti per questi tipi di intervento. Una delle finalità della mostra è pertanto anche quella di richiamare l'attenzione delle istituzioni su questo patrimonio a rischio, perché si intervenga in modo efficace e mirato, al fine di preservarne l'unicità e il valore.

Pensato e realizzato come un progetto di squadra, "Astrum 2009" ha visto la partecipazione attiva del comitato scientifico e del servizio musei Inaf. Ha costituito inoltre un'opportunità di collaborazione con la Specola Vaticana e con i Musei Vaticani, contribuendo alla costruzione di un dialogo tornato di grande attualità e al non facile superamento di barriere tuttora persistenti. Infine, esso ha permesso di effettuare alcuni interventi di pulitura e restauro di grandi strumenti, che hanno beneficiato della straordinarietà dell'evento, acquistandone un vantaggio duraturo.


(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2009)
S_Daniele
00venerdì 16 ottobre 2009 18:32


Il cardinale segretario di Stato all'inaugurazione della «Astrum 2009» in Vaticano

Il cielo ci sovrasta eppure è dentro di noi


Pubblichiamo alcuni stralci dell'indirizzo di saluto del cardinale segretario di Stato all'inaugurazione della mostra "Astrum 2009. Astronomia e strumenti:  il patrimonio storico italiano quattrocento anni dopo Galileo" inaugurata nei Musei Vaticani giovedì 15 ottobre.

di Tarcisio Bertone

Nell'Angelus del 21 dicembre scorso, Sua Santità volle fare esplicito riferimento alla ricorrenza galileiana e all'Anno Internazionale dell'Astronomia. Ricordò che, tra i successori di san Pietro, ve ne sono stati alcuni appassionati e anche esperti della scienza degli astri, menzionando Silvestro ii, Gregorio XIII e san Pio X. Fece poi riferimento al salmo 19 (o 18), che è un inno alla legge del Signore, ma si apre con una meravigliosa immagine cosmica (2-3).

Il Papa osservò che "anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande aiuto per contemplare le opere del Signore". E aggiunse un particolare che molti pellegrini e turisti - ma anche non pochi romani - non conoscono:  il fatto, cioè, che nella parte destra di Piazza San Pietro è collocata una grande meridiana.

È evidente come l'armonia tra la fede e la scienza costituisca uno degli aspetti caratterizzanti del magistero di Benedetto XVI, in continuità con l'enciclica Fides et ratio del servo di Dio Giovanni Paolo II. Tale impostazione, che ha alle spalle due millenni di filosofia e di teologia, ma anche di teoria e pratica della scienza - come dimostrano anche proprio la vita e le opere dello stesso Galileo - questa impostazione - dicevo - è quella che sta alla base di "Astrum 2009". Come ho già avuto modo di osservare, siamo particolarmente soddisfatti di ospitare questa mostra in Vaticano. Sicuramente per il suo valore storico e scientifico, per la ricchezza e l'originalità del patrimonio che essa presenta ai visitatori; ma, al tempo stesso, perché essa rappresenta, più di qualunque discorso, una prova inconfutabile della ritrovata serenità su una questione, quella di Galileo, che ha a lungo segnato i rapporti tra la Chiesa e il mondo scientifico. Non solo. L'astronomia, tra tutte le scienze, è forse quella che possiede la più forte carica simbolica per alludere all'orizzonte dell'infinito, del mistero, a quello spazio, cioè, in cui l'uomo, con la sua fragilità e la sua grandezza, è immerso; in cui, come disse san Paolo all'Areopago di Atene, noi tutti "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Atti, 17, 28).

Il cielo, le stelle, gli astri, occupano nella Bibbia un posto rilevante. E, a partire dal "grande codice" biblico, questa simbologia ha trovato innumerevoli espressioni nelle arti e nelle lettere. Abbiamo già ricordato un salmo, ma molti sono i testi che, dalla Genesi all'Apocalisse, si potrebbero citare. Io mi limiterò a un solo passo di Dante:  quattro versi, che, per la loro collocazione e per il loro significato, esprimono tutto ciò che intendo dire. Si tratta degli ultimi versi del Paradiso, e dunque dell'intera Divina Commedia. Eccoli:  "All'alta fantasia qui mancò possa;/ ma già volgeva il mio disiro e il velle, /sì come rota ch'egualmente è mossa,/ l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Paradiso, 142-145). Abbiamo qui l'esperienza dell'uomo che, arrivato al termine di un lungo cammino spirituale, si trova pienamente inserito in Dio stesso, nel moto del suo essere che è amore. Questo moto è lo stesso che governa il firmamento. Ora, questo testo appartiene ad un certo contesto culturale, ma credo di poter dire che la visione di Dio e dell'uomo che esso contiene - cioè la visione biblica - attinge all'universale e conserva tutto il suo valore anche nei nostri tempi. Anzi, possiamo dire senza dubbio che l'antropologia e la cosmologia cristiane, che raggiunsero un vertice straordinario ai tempi di Dante, rappresentano per la nostra epoca un messaggio quanto mai attuale. Oggi, infatti, la scienza rischia di essere ridotta a strumento della tecnica. Ecco perché il simbolo del Cielo e delle stelle è il più adatto a richiamare l'orizzonte ampio, infinito della razionalità umana, che certamente ha bisogno di strumenti, come il telescopio, per indagare e misurare, ma soprattutto ha bisogno di mantenersi aperta, di non appiattirsi, di non chiudersi. In questo non c'è differenza tra gli spazi immensi che ci circondano e quelli microscopici delle particelle elementari. È la stessa ragione umana che li attraversa. E il cielo - simbolo per eccellenza di Dio - non è solo sopra di noi, è anche dentro, dentro l'uomo e nel tessuto di ogni creatura. Il cielo è anche lo spazio tra gli atomi, e l'"amor che move il sole e l'altre stelle" muove anche l'infinitamente piccolo. L'importante, direi in conclusione, è che l'uomo non perda la capacità di guardare il cielo, di sentirsi parte di un movimento che lo supera e al tempo stesso lo attraversa, ma che lo fa, con il Creatore, protagonista.


(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2009)
S_Daniele
00giovedì 12 novembre 2009 06:46


A colloquio con l'astronomo gesuita Guy J. Consolmagno

Il segreto della Specola Vaticana? Non lavora per denaro


di Fabio Colagrande

In coincidenza con l'Anno dell'astronomia i gesuiti della Specola Vaticana hanno curato la pubblicazione di un libro divulgativo sulla loro attività scientifica dal titolo L'infinitamente grande. L'Astronomia e il Vaticano. Il volume è stato curato da uno dei membri dell'Osservatorio astronomico vaticano, il gesuita statunitense Guy J. Consolmagno (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2009, pagine 231, euro 29,90; l'edizione inglese - edita da Our Sunday Visitor - s'intitola The Heavens Proclaim. Astronomy and the Vatican). Un'iniziativa editoriale per rispondere alle domande che più di frequente questi religiosi scienziati si sentono rivolgere:  "Perché il Vaticano s'interessa allo studio dell'Astronomia?" e "Che relazione c'è tra scienza e fede?". Nel testo anche la vicenda della riforma del calendario, il caso Galileo Galilei, la storia della Specola, oltre a una presentazione dei principali campi di ricerca degli astronomi vaticani e dei risultati da loro raggiunti. Il volume è stato presentato a Benedetto XVI dal direttore della Specola, padre José Gabriel Funes, in occasione della visita del Papa ai nuovi locali dell'Osservatorio Vaticano a Castel Gandolfo, lo scorso 16 settembre. "Prima di tutto la visita del Papa - ci ha detto Consolmagno - si è inserita in una meravigliosa tradizione. Da Leone xiii in poi i Papi hanno sempre visitato la Specola come segno dell'interesse per il nostro lavoro. Ma è stato anche un momento in cui abbiamo potuto mostrare a Benedetto XVI le novità su cui stiamo lavorando e la nostra nuova sede nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo di cui siamo molto fieri.

In più, il libro uscito in occasione dell'Anno dell'astronomia.

A dire il vero l'idea è stata del cardinale Giovanni Lajolo, il Presidente del Governatorato della Città del Vaticano. È venuto da noi proponendoci di pubblicare un libro sulla nostra attività. Non credo che avesse considerato che il libro sarebbe uscito in coincidenza con l'Anno dell'astronomia, ma è stata una felice coincidenza.

Il volume è ricco di fotografie dello spazio  suggestive ma anche di grande interesse scientifico. Come sono state raccolte?

La maggior parte delle immagini che abbiamo utilizzato sono state realizzate con i nostri telescopi e con la nostra strumentazione o da ricercatori che abbiamo ospitato e che hanno lavorato con noi. Sono foto che illustrano molto bene il lavoro che svolgiamo. Non è stato difficile raccoglierle. Come astronomi non lavoriamo mai da soli, ma sempre in collaborazione con altri studiosi di diverse nazioni e istituzioni. Questi ultimi sono stati felici di cederci le loro fotografie.

Pur essendo la Specola un osservatorio di medie dimensioni il vostro lavoro è apprezzato dal punto di vista internazionale.

Io credo che ciò dipenda soprattutto da motivi pratici. Essendo un'istituzione vaticana noi non dobbiamo competere con altri osservatori concorrenti per ottenere fondi da istituzioni governative. Questo significa due cose:  prima di tutto che possiamo lavorare su ciò che troviamo più interessante e non su progetti che ci vengono imposti da eventuali finanziatori. Inoltre possiamo dedicarci a ricerche che possono andare avanti per cinque, dieci o persino quindici anni prima di ottenere risultati. Di solito un ricercatore deve pubblicare velocemente i risultati del suo lavoro, se non vuole rischiare di perdere il posto. Chi lavora alla Nasa deve dare conto continuamente dei risultati e dei progressi ottenuti con le proprie ricerche per non perdere i finanziamenti. Noi invece possiamo dedicarci a una ricerca scientifica di lungo periodo che ha bisogno anche di diversi anni di lavoro prima di giungere a un risultato. È quel tipo di ricerca fondamentale di cui tutti hanno bisogno ma che nessuno finanzia.

Forse però il vostro lavoro non è abbastanza conosciuto?

È per questo che abbiamo voluto pubblicare questo volume. Quando Papa Leone xiii creò la Specola Vaticana una delle sue motivazioni fu quella di mostrare al mondo che la Chiesa sostiene e promuove la vera scienza. E per assolvere questo mandato noi non abbiamo solo l'obbligo di svolgere il nostro lavoro scientifico, ma dobbiamo anche renderlo pubblico e quindi condividerlo. Un compito di divulgazione che compiamo volentieri e con passione, perché i cieli sono così belli che è impossibile non condividere ciò che vediamo e apprendiamo.

Lo sguardo con cui un astronomo credente scruta lo spazio è differente da quello degli altri scienziati?

La scienza è esattamente la stessa. Ubbidiamo alle stesse leggi scientifiche e pubblichiamo sulle stesse riviste. La differenza è nella motivazione. Noi non lavoriamo per produrre denaro od ottenere prestigio personale. Lavoriamo semplicemente per amore della scienza. E certamente è quello che vorrebbero fare anche tanti altri studiosi, ma è meraviglioso che qui in Vaticano noi possiamo realizzare questo desiderio senza dover affrontare tanti altri problemi.

In particolare lei ha approfondito lo studio della raccolta di meteoriti della Specola. Che soddisfazioni le ha dato studiare quelli che lei chiama nel libro "Alieni in Vaticano"?

È stato ed è davvero emozionante. Prima di diventare gesuita studiavo questo argomento basandomi sulle ricerche e i risultati di altri scienziati, ma da quando sono alla Specola ho la straordinaria possibilità di utilizzare dati che ottengo da esemplari che io stesso posso maneggiare. Prendo spesso in giro i miei colleghi astronomi dicendo loro che s'illudono di studiare le stelle e le galassie ma in realtà tutto ciò che analizzano è solo la luce di quei corpi celesti, mentre io maneggio veri e propri frammenti di pianeti provenienti dallo spazio. Posso misurarli, sfiorarli, ammirarli perché li ho tra le mani. È emozionante e allo stesso tempo mi fa sentire umile ricordare che la volta celeste sopra la mia testa non è uno scudo impenetrabile che ci separa dai "Cieli" come si pensava nel medioevo.



(©L'Osservatore Romano - 12 novembre 2009)
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:22.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com